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Rassegna ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli
iscritti UIL

 

 

 

 

Anno XI n.3 del 16 gennaio 2013

 

Consultate www.uil.it/immigrazione

Aggiornamento quotidiano sui temi di interesse di cittadini e lavoratori stranieri

 

Stranieri d’Italia: un esercito di invisibili?

Immigrati, elettoralmente non attrattivi?

Fino a che servivano, erano anche oggetto del contendere – nel bene come nel male. Oggi che la crisi economica morde ed erode le condizioni di lavoro e di vita degli italiani, per molti partiti questo esercito che ormai rappresenta un decimo della forza lavoro, va semplicemente ignorato. Che molte forze politiche non mettano nel loro programma della prossima legislatura la questione immigrazione non è una bella notizia. E’ come avere di fronte un problema complesso e pretendere di risolverlo ignorandone una parte. Non è una buona idea, anzi questo approccio è potenzialmente dannoso, in quanto il lasciar incancrenire le cose può solo portare a conseguenze anche gravi, specie sul piano della convivenza civile.

 

 

 

 

SOMMARIO

 

 

 

Appuntamenti pag. 2

 

Stranieri, un esercito di invisibili ? pag. 2

Storie: io migrante e bambino pag. 3

 

Unar, in Italia più discriminazioni sul lavoro pag. 4


Brescia, bunos – bebè razzista pag. 5

Anci a Governo: chiarire su assegni familiari a stranieri pag. 6

 

Decalogo Asgi per riformare l’immigrazione pag. 7

Migranti e profughi, persone e non fantasmi pag. 9

Esteri: Cina, fine ai campi di lavoro forzato pag.10

 

The Economist: Immigrants as scapegoats pag.12

 

 

 

 

 

A cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil

Dipartimento Politiche Migratorie

Tel. 064753292- 4744753- Fax: 064744751

E-Mail polterritoriali2@uil.



Dipartimento Politiche Migratorie: appuntamenti


 

 

 

 

 

 


Roma 17 gennaio 2013, ore 11.00, sede FCEI

Riunione Tavolo nazionale Immigrazione

(Giuseppe Casucci)

Roma 25 gennaio 2013, ore 09.15, sede INPS Via Cifro il Grande, 21

Progetto Europeo SSE Move - Social Security on the move: final conference

(Giuseppe Casucci)


Corsivo


Stranieri d’Italia: un esercito di invisibili?

A cura del Dipartimento Politiche Migratorie della UIL


Roma, 16 gennaio 2013 - Fino a che servivano, erano anche oggetto del contendere – nel bene come nel male. Oggi che la crisi economica morde ed erode le condizioni di lavoro e di vita degli italiani, per molti partiti questo esercito che ormai rappresenta un decimo della forza lavoro, va semplicemente ignorato. Così molte delle forze politiche che si avviano alle elezioni, tendono a prescindere dai 5 milioni di cittadini stranieri regolarmente residenti, che vengono citati solo occasionalmente e non sempre positivamente in questo inizio di campagna elettorale. E’ un segno dei tempi in cui viviamo e di quella (in) cultura mediatica che ci invita a chiuderci in noi stessi, soli con i nostri problemi, magari con la consolazione della televisione, purtroppo non di rado abilmente utilizzata per condizionar i nostri comportamenti, nello shopping come nella preferenza politica. Meno male, dirà qualche ben intenzionato: almeno gli immigrati non vengono strumentalizzati per campagne razzistiche a fini elettorali, come è stato fatto in passato con gravi rischi per la stessa integrità della convivenza civile; Meno male, dirà più di un genitore o di un senza lavoro: almeno rimarrà qualche posto in più per noi e per i nostri figli;

Meno male, dirà qualcun altro: finalmente gli immigrati se ne vanno. Alla fine hanno capito che qui non c’è trippa per gatti.

Purtroppo, tutti questi punti di vista rispondono ad un ragionamento più fatto con la pancia, che con la testa.

Per venire al primo punto di vista, va detto che il non fare campagne xenofobe è certo positivo, ma non coincide con l’assenza in Italia di fatti e comportamenti, razzisti e discriminatori. Una certa (in) cultura è radicata nei luoghi comuni di chi diffida del diverso e di chi vede sempre gli italiani al primo posto (nell’accesso al lavoro, ai servizi sociali, nei percorsi di carriera). Ma il razzismo non è sempre e solo la conseguenza di comportamenti individuali, ma spesso il prodotto di “discriminazioni indirette”, di provvedimenti ad esclusione, cioè contenuti in norme o regolamenti, anche in spregio del dlgs 215/2003 contro le discriminazioni ed il razzismo, delle direttive europee o degli stessi principi costituzionali. La discriminazione, quindi, non si elimina non parlando dei cambiamenti etnici e culturali che avvengono della nostra società, e che sono in continua evoluzione; quello che conta e di parlare dell’immigrazione con oggettività, pesando il pro ed i contro di una società a forte gap demografico, dove l’afflusso di stranieri è venuto in parte a compensare il nostro declino, recando con sé un insieme di valori, di specificità e, certo, anche di problemi. Saper guardare con attenzione ed apertura mentale a questo fenomeno, può aiutare a capirlo e forse a governarlo (cosa finora non riuscita ad alcun Governo italiano);

In quanto al secondo luogo comune, quello sul lavoro che manca, è comprensibile che la gente sia preoccupata per il proprio incerto futuro, una incertezza però che colpisce fortemente anche gli stranieri, tanto che molti di loro scelgono di andarsene. Non staremo qui disquisire che i lavori occupati dagli immigrati sono prevalentemente a bassa qualità professionale e spesso rifiutati dagli italiani. Ci limiteremo ad osservare che nell’ultimo decennio l’Italia ha perso 5 milioni di abitanti, gap che entro il 2020 salirà a 12 milioni (su questa tendenza sono d’accordo tutti gli esperti). Senza di loro, dunque, siamo comunque destinati ad un inevitabile declino. Nel breve periodo certo, la crisi ci può far pensare che se qualche straniero se ne va, non è un gran danno. Ma la crisi non durerà in eterno (almeno si spera) e la ripresa dipende anche dalla crescita della popolazione attiva. In pratica meno abitanti equivale nel medio – lungo periodo a meno ricchezza prodotta e ad un inevitabile scivolamento del nostro Paese verso l’oblio.

Questo vale anche per il terzo punto di vista: non è con la cultura della fortezza assediata e della necessità di respingere i “forestieri” che risolveremo i nostri problemi. L’Italia non siamo solo noi nati qui; l’Italia sono anche loro: quei cittadini nati all’estero (o i loro figli nati in Italia) che lavorano e vivono accanto a noi ed hanno diritto di esercitare le nostre stesse prerogative, specie se gli si chiede di ottemperare a doveri, uguali o superiori ai nostri. Che i partiti ( o molti di essi, comunque) non mettano nel loro programma di attività futura della prossima legislatura la questione immigrazione non è una bella notizia. . E’ come avere di fronte un problema complesso e pretendere di risolverlo ignorandone una parte. Non è una buona idea, anzi questo approccio è potenzialmente dannoso, in quanto il lasciar incancrenire le cose può solo portare a conseguenze anche gravi, specie sul piano della convivenza civile. L’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI) suggerisce ai partiti su questo tema un decalogo da tenere in considerazione nella campagna elettorale e nella prossima legislatura. E cioè:

a)     Mettere mano alle norme che (dovrebbero) governare i flussi d’ingresso;

b)    Prevedere meccanismi di regolarizzazione “ad personam”;

c)     Rafforzare il diritto al ricongiungimento familiare;

d)    Affrontare il problema dei CIE, diventati ormai centri di detenzione al limite della illegalità;

e)     Assicurare l’esercizio del diritto d’asilo;

f)     Assicurare il diritto alla non discriminazione;

g)     Garantire per gli immigrati condizioni di pari accesso ai servizi sociali ed al lavoro nel Pubblico Impiego;

h)     Garantire processi equi ed unitari;

i)      Riformare la legge sulla cittadinanza e sul diritto di voto.

E’ questa di fatto la base per una discussione su di un quadro organico di riforma delle leggi concernenti l’Immigrazione e l’asilo. Temi che anche noi consideriamo importanti e sui quali invitiamo tutte le forze politiche a riflettere seriamente.


 

 

Società


“Io, migrante bambino, arrivato in Italia sotto un camion”

di Stefano Pasta, http://www.corriere.it/


Il sogno Europa può iniziare in luoghi diversi: su una spiaggia, superato il controllo passaporti in un aeroporto, dopo una frontiera terrestre di un Paese ex comunista. “Ho capito che ero in Europa dalla pubblicità di un cioccolato in caratteri greci”, racconta Daoud, che ora vive a Roma e a 14 anni ha attraversato l’Evros, il fiume che segna il confine tra Grecia e Turchia. La Lampedusa d’Europa. Da qui, fino a quest’estate, è passato il 40-75% degli ingressi illegali nell’Ue: anche 9 mila persone al mese, 300 al giorno. Racconta Daoud: “Sono un hazara dell’Afghanistan, dove mio padre è stato ucciso e dove ripetevano che eravamo dei traditori, che gli hazara erano cani”.

A 11 anni, “insieme ad un amico, ho deciso di partire, con un po’ di cibo e un kurta, il nostro vestito. Non puoi portare molto, se viaggi in montagna o in un camion”. Prima in Pakistan e poi in Iran, “dove ho lavorato due anni in una fabbrica, finché ho avuto i soldi per ripartire per la Turchia”. Per passare quel confine, una marcia di 5 giorni tra montagne e foreste:

“C’erano alcuni bambini più piccoli, tamil dello Sri Lanka, allo stremo, senza neppure la forza di lamentarsi. Solo una bambina curda aveva ancora la forza di piangere tra le braccia del padre”.

A tre anni dall’inizio del viaggio, finalmente l’appuntamento con l’Europa, sulle sponde dell’Evros. Cento metri di corrente e paura, pochi minuti pagati duemila euro. Di notte, per sfuggire ai militari dell’agenzia europea Frontex, che presidiano il confine dotati di visori notturni e armi sofisticate.

Daoud racconta che “il silenzio della notte è rotto dagli spari, non sai più se tremi per la paura o il freddo. Siamo stati caricati in undici su canotti da quattro posti, tirati da una riva all’altra con le funi”.

 Alle volte, la manovra è fatale e le autorità di frontiera devono ripescare un cadavere senza nome. La polizia ha un accordo con la comunità del villaggio greco di Sidirò: quando recupera un cadavere, lo sotterrano in una fossa comune, fuori dal cimitero.

Daoud spiega: “Conoscevo il rischio, ma non potevo certo fermarmi. Sapevo anche che un ragazzo era morto congelato”.

Passato il fiume, infatti, inizia una nuova marcia di ore fra terreni arati e campi minati. D’inverno, il freddo è un nemico pericoloso: ogni settimana, alcuni migranti sono ricoverati in ospedale per l’amputazione delle dita dei piedi. Per “presidiare” la frontiera, oltre alle armi e ai visori, servirebbero delle calze di lana pesante. Dopo alcuni mesi a Patrasso, Daoud riprende il viaggio sotto un camion:

“Sopra il penultimo asse dalle ruote posteriori, c’è abbastanza spazio per un uomo magro per appendersi e legarsi fino all’arrivo in Italia”.

Anche qui, il “Grande viaggio” ha i suoi caduti, come il ventitreenne afghano ritrovato senza vita a luglio, sotto un camion sbarcato a Venezia. Racconto a Daoud che a dicembre il Governo greco ha terminato la costruzione del primo tratto di una muraglia anti-immigrati sul confine, 12 km di cemento, fossati e filo spinato, costati tre milioni di euro. Il progetto prevede di arrivare a 150 km lungo tutto il fiume.

“Certo non potranno fermare così i miei coetanei afghani! Troveranno un altro modo”.

 Daoud non è un esperto di flussi migratori, ma ha ragione: ora si attraversa il fiume più a sud, oppure si raggiungono le isole greche dalla costa turca, come l’imbarcazione che il 14 dicembre è affondata al largo dell’isola di Mitilene con un bilancio di 20 cadaveri e 7 dispersi. C’è anche un altro dato su cui riflettere: negli ultimi mesi, tra gli immigrati entrati illegalmente in Grecia e alle volte respinti in Turchia, rimangono in testa gli afghani, ma il secondo posto è tristemente occupato dai siriani, in fuga dalla guerra e dai campi profughi.


 

Discriminazioni


Lavoro: in Italia crescono le discriminazioni

Presentati ieri a Milano i primi dati raccolti sulla discriminazione in Italia da UNAR, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, relativi al periodo gennaio-ottobre 2012.


Milano, 16 gennaio 2013 - Sono stati presentati ieri, durante la conferenza stampa “Diversity & Employability” organizzata da Diversitalavoro, i primi dati raccolti sulla discriminazione in Italia da UNAR, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, relativi al periodo gennaio-ottobre 2012.Se tra il 2010 e il 2011 sono stati i mass-media l'ambito in cui si era registrato il maggior numero di episodi di discriminazione, i primi dieci mesi del 2012 hanno segnato un primato allarmante: quello del lavoro, contesto in cui si è verificato il 35% degli atti discriminatori (+15,4%), con particolare riferimento alle fasi di accesso all'occupazione (75,5%). A segnalare questi episodi sono state soprattutto le vittime (53,8%) più che i testimoni (40,9%). “Il mobbing, l'accesso all'occupazione e le condizioni lavorative rappresentano i maggiori punti critici su cui il diversity management deve intervenire” ha dichiarato  Marco Buemi, referente di UNAR. Nel corso della conferenza stampa, sono stati inoltre presentati i risultati della rilevazione effettuata sugli oltre 5000 utenti iscritti nell’ultimo anno al sito di Diversitalavoro (www.diversitalavoro.it), il progetto promosso da UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali), Fondazione Sodalitas, Synesis Career Service e Fondazione Adecco per le Pari Opportunità che ha come obiettivo quello di favorire l'inserimento nel mondo del lavoro di laureati/diplomati con disabilità, iscritti alle categorie protette e/o di origine straniera. Le 320 risposte pervenute hanno permesso di delineare il profilo delle persone con disabilità, di origine straniera o transgender alla ricerca di opportunità dedicate di ascolto, valorizzazione delle competenze ed inserimento professionale. Nel 2012 chi ha partecipato a una edizione del Career Day lo ha fatto tendenzialmente per la prima volta (96%), traendone grande soddisfazione (88%). Le 755 persone che hanno preso parte a Diversitalavoro nell'ultimo anno erano soprattutto laureate (67%) e laureande (8%) e prevalentemente con disabilità (69%); le persone di origine straniera intervenute sono state il 29,5%, mentre le persone transgender l'1,5%. Di questi, 31 persone (il 4,1%) hanno trovato lavoro con un contratto di stage (32%), a tempo determinato (21%) e a tempo indeterminato (24%). "Da 6 anni il progetto Diversitalavoro è portatore di una cultura fattiva di inclusione e di valorizzazione delle diversità nel mondo del lavoro - ha dichiarato Paolo Beretta, partner di Synesis Career Service e responsabile del progetto Diversitalavoro - I numeri del 2012 sono l'ennesima conferma che nonostante le difficoltà che vive il mercato del lavoro e nonostante l'ulteriore svantaggio di alcune categorie di persone, le buone pratiche sono possibili e possono diffondersi. Lo dicono le storie di successo che Diversitalavoro racconta e lo dicono le oltre 40 aziende che nel 2012 partecipano al progetto". Nel corso della mattinata è stato infine consegnato uno speciale riconoscimento – il Diversity&Inclusion Award – alle imprese che nel 2012 hanno concluso ad oggi l’inserimento nella propria azienda di persone incontrate durante le edizioni annuali di Diversitalavoro: Banca Popolare di Milano, IBM, Intesa Sanpaolo e Michelin Italia.

"Il premio Diversity Inclusion Award 2012 è anche quest'anno una ulteriore conferma dell'impegno di IBM nell'ambito della diversity” ha dichiarato Monica Forbice, Recruitment Manager di IBM Italia ritirando il Premio. E ha aggiunto: “Per IBM l'inserimento di persone disabili non è solo un obbligo legislativo da assolvere, ma rappresenta un obiettivo per la realizzazione di un ambiente lavorativo inclusivo e rappresentativo delle diversità del mercato e della società".  Per Michelin Italia è invece intervenuta la Diversity Manager Elena Rubin, che ha dichiarato:"La diversità è la realtà quotidiana della nostra azienda ed è un motore di performance: la diversità dei talenti, delle competenze, delle origini e delle personalità di donne e uomini ci permette di essere specchio della società, e di beneficiare di approcci e idee differenti". Giovanni Rossi, Direttore Risorse Umane e Politiche del Lavoro di Banca Popolare di Milano, ha inviato una nota di ringraziamento in cui ha dichiarato: “Il nostro personale impegno è volto a sostenere le diversità, al fine di consentire a ciascuno di svolgere al meglio la propria attività e creare valore non solo all’interno ma anche all’esterno per i nostri clienti, i soci, i fornitori e il territorio. Siamo certi infatti che l’attenzione alla diversità possa tradursi in leva competitiva per l’azienda stessa, rafforzandone tra l’altro il valore di impresa responsabile”. Per l'azienda ha ritirato il Premio Daniela Arghetti, Responsabile Iniziative Sociali.

Il calendario degli eventi Diversitalavoro nel 2013

Durante la Conferenza sono state infine diffuse le date del Career Forum Diversitalavoro di quest'anno, che oltre a Milano (5 giugno) e a Roma (novembre), per la prima volta avrà luogo anche Napoli (28 febbraio).

L'edizione campana di Diversitalavoro sarà ospitata dall'Università Federico II.

Diversitalavoro però nel 2013 non sarà solo Career Forum. Tutte le imprese interessate possono infatti accedere ad un calendario di tre incontri formativi gratuiti per approfondire i temi della diversity e delle pari opportunità:

- 14 marzo 2013, ore 9.30-13 presso Fondazione Sodalitas: “Da obbligo a risorsa: un approfondimento dell’Art. 14 Legge 276/03”

- 18 aprile 2013, ore 9.30-13 presso Fondazione Sodalitas: “LGBT inclusive companies”

- 28 maggio 2013, ore 9.30-13 presso Fondazione Sodalitas: “Active Ageing e dialogo intergenerazionale”.

L'iscrizione a questi appuntamenti può essere effettuata inviando una mail a rosanna.paiano@synesiscs.it oppure a francesca.delpiano@sodalitas.it. 


 

 


Bonus bebè razzista. Il Comune di Brescia ha perso di nuovo

 

Settima sconfitta in tribunale per la giunta guidata da Adriano Paroli, che non voleva dare il contributo agli immigrati. Il primo cittadino: “Volevo combattere il crollo della natalità”


(www.stranieriinitalia.it) Roma – 11 gennaio 2013 - Il sindaco di Brescia Adriano Paroli ha un’ossessione. Che costa cara dai suoi concittadini. La storia è lunga. È il 2008 quando, alla guida una giunta Pdl-Lega Nord, vara un bonus bebè: 1000 euro per ogni bambino nato o adottato da famiglie a basso reddito, ma solo se almeno un genitore è italiano. “A forza di preoccuparci di non discriminare gli stranieri rischiamo di dimenticare i nostri cittadini” spiega in quei giorni, sostenendo di voler rilanciare, con quel piccolo contributo, la natalità tra i bresciani doc.

Quella scelta, però, è razzista, quindi illegittima, come certifica a gennaio 2009 il tribunale di Brescia. Il giudice accoglie un’azione civile anti-discriminazione presentato dall’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione e da quattro genitori stranieri, e ordina  che dalla delibera firmata da Paroli sparisca il requisito della cittadinanza. Il sindaco chiede scusa e si adegua? Macchè? Con una mossa che sa di ritorsione, una sorta di “muoia Sansone con tutti i Filistei”, con una nuova delibera annulla quella precedente, eliminando del tutto il bonus bebè. Insomma, per non darlo a mamme e papà immigrati, lo toglie anche ai genitori italiani.

Riparte la battaglia legale e, tra cavilli e ricorsi, Paroli si trova sconfitto sei volte. Ieri è arrivata anche la settima (ultima?) bocciatura: la sezione Lavoro del tribunale di Brescia ha dichiarato discriminatoria la delibera che annullava il bonus bebè e ha ordinato al Comune di pagare, come risarcimento per “danno da discriminazione”, 15 mila euro all’Asgi e 3 mila euro a ognuno dei quattro immigrati. E di aggiungere altri 8 mila 500 euro, iva esclusa, per le spese legali. Il conto, solo stavolta, costa quindi quasi quarantamila euro ai bresciani. Paroli però crede ancora, pericolosamente per le tasche dei suoi cittadini, di avere ragione: “Al di fuori dei servizi essenziali che nella nostra città vengono garantiti a tutti, a fronte di innumerevoli interventi esclusivamente rivolti a cittadini stranieri, credevo si potesse realizzarne uno almeno per una volta in favore dei cittadini italiani bresciani, riguardo uno specifico loro problema: il crollo della natalità” dice. EP


 


Politiche Sociali

ANCI a Ministero del Lavoro: chiarire su assegni familiari a cittadini stranieri

Scritto da  com/mto, Agenzia Parlamentare


(AGENPARL) - Roma, 14 gen - ‘’L’emanazione di una specifica direttiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali che possa dare espressamente agli Enti locali l’indicazione sulla concessione dell’assegno familiare anche ai cittadini non comunitari ‘soggiornanti di lungo periodo’’’. E’ questa la richiesta contenuta nella lettera che il Presidente dell’Anci, Graziano Delrio ha inviato al Sottosegretario Maria Cecilia Guerra. Dopo aver richiamato le normative che stabiliscono la concessione dell’assegno a favore dei nuclei familiari composti da cittadini italiani, estese poi anche ai nuclei ‘’nei quali il richiedente sia cittadino di un Paese facente parte dell’Unione Europea’’ Delrio evidenzia i contenuti di una Direttiva europea che prevede ‘’che il ‘soggiornante di lungo periodo’ goda dello stesso trattamento del cittadino nazionale per quanto riguarda le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale’’. ‘’Tutto ciò premesso – aggiunge – i Comuni si trovano a tutt’oggi di fronte al dilemma se riconoscere la provvidenza anche ai cittadini non comunitari ‘soggiornanti di lungo periodo’, in assenza di una formale direttiva del Ministero competente e rischiando eventuali responsabilità erariali, o negare la concessione basandosi sul mero dato testuale, pagando con ogni probabilità le spese legali di soccombenza per comportamento razzista e discriminatorio assunto in violazione della Direttiva UE sopra citata’’. Da qui la richiesta dell’emanazione di specifiche direttive da parte del Ministero ‘’per evitare che i Comuni incorrano nelle spese legali legate ad eventuali contenziosi in relazione ad azioni giudiziarie anti-discriminazioni promosse da cittadini stranieri oppure, in caso di concessione del contributo, in possibili procedimenti dinnanzi alla Corte dei Conti per asseriti danni erariali’’. E' quanto rende noto un comunicato dell'Anci.


 


Accusato di non aver pagato il biglietto del bus e malmenato, senegalese si dà fuoco

Venerdì scorso B.S, senegalese di 33 anni (in Italia da 5), si è dato fuoco di fronte al commissariato di Polizia di Monza. Afferma di essere stato picchiato. Un referente della comunità senegalese fa appello al testimone: “Si faccia trovare”.


http://www.redattoresociale.it/Default.aspx

MILANO, 14 gennaio 2013 - – “Nessuno mi dava ascolto, perché ho la pelle nera. Sono dei razzisti”. Ecco perché ha deciso di usare il suo corpo per un gesto eclatante. Erano le 18.20 di venerdì quando B.S., un cittadino senegalese di 33 anni arrivato in Italia nel 2008, si è dato fuoco di fronte al commissariato di Polizia di Monza, via Romagna. “Volevo solo che qualcuno ascoltasse la mia denuncia”, si sfoga al telefono, ancora sotto shock. Ora si trova in ospedale a Monza, per alcuni accertamenti.

La rabbia inizia a salire alle 18.20 di venerdì sera. B.S. ha preso l’autobus 221, per tornare a casa, dopo aver finito il turno nell’azienda dove lavora come facchino. “Ero salito dalla porta in fondo, come tutti – dice-. Stavo andando a timbrare il biglietto all’unica macchinetta che c’è, vicino al guidatore. Camminavo piano perché avevo male alla gamba”. La fermata successiva era poco distante, meno di un centinaio di metri. Quando si spalancano le porte, salgono due controllori e gli chiedono il titolo di viaggio. “Quando ho detto loro che lo stavo andando a timbrare mi hanno dato del bugiardo”, racconta B. S. Lo hanno malmenato e strattonato, fino a portarlo già dalla vettura. “Mi hanno colpito sulle braccia e sul collo”, spiega. Nel frattempo è arrivata un’auto dei Carabinieri. Babacar ha cercato di spiegare l’accaduto. “Mi hanno gridato ‘vaffanculo, qua siamo in Italia, non in Africa. Stai zitto’”. Non hanno voluto ascoltare il suo racconto. Un italiano è sceso dall’autobus: “Diceva di aver visto tutto e che voleva testimoniare. Ma i Carabinieri gli hanno parlato e l’hanno fatto andare via”. B.S. A quel punto ha cominciato a piangere, disperato. Ha bussato alla porta del commissariato, sperando che almeno lì ascoltassero la sua versione dei fatti. E invece gli hanno chiuso la porta in faccia, sostenendo che servisse un referto medico per poter depositare la denuncia. A quel punto l’uomo si è avvicinato ad un gruppo di ragazzi: “Ho visto che fumavano. Gli ho chiesto l’accendino e mi son dato fuoco”, dice. Un’ambulanza è arrivata sul posto e l’ha portato in ospedale.

Saidou Ba è uno dei referenti della comunità senegalese di Milano. Insieme a Baye Diouf, presidente del Centro di sviluppo dell’associazionismo e dell’imprenditoria dei migranti (Cesaim), sono stati i primi a recarsi sul posto. “Non lo conoscevamo, non frequentava molto la comunità – dice Ba -. Abbiamo parlato anche con i suoi parenti in Senegal e con il suo inquilino a Monza e ci hanno detto che è un ragazzo tranquillo, non ha mai avuto problemi”. B.S. ancora scosso per quanto è capitato. “Si è reso conto, da musulmano, che un gesto del genere è particolarmente grave: chi tenta il suicidio commette uno dei peccati peggiori per l’Islam”, commenta Saidou Ba. Nei prossimi giorni potrebbe partire un’azione legale contro i due controllori che hanno aggredito B.S.: “Facciamo un appello al testimone, che si faccia ritrovare”, conclude Saidou Ba.
Fonte: www.redattoresociale.it


 

Riforma dell’Immigrazione


ASGI

Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione

Il manifesto ASGI per riformare la legislazione sull'immigrazione

 

14.01.2013

 

In 10 punti la proposta di riforma in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza per la prossima legislatura.


L’ASGI ritiene doverosa e non più prorogabile una radicale riforma normativa per:

1.  DIVERSIFICARE E SEMPLIFICARE GLI INGRESSI.
Modificare il c.d. Decreto Flussi rendendolo annualmente obbligatorio, effettivamente corrispondente alle esigenze occupazionali delle singole regioni, basato su differenti criteri di attribuzione delle quote e in grado di assicurare in tempi rapidi l’ingresso del lavoratore straniero (anche grazie all’inserimento di meccanismi di silenzio-assenso). Introdurre un nuovo canale di ingresso, che consenta ai cittadini stranieri di entrare regolarmente in Italia con un visto per ricerca lavoro (di almeno un anno), con un effettivo incentivo al rientro nel Paese di origine in caso di mancato reperimento di occupazione. Semplificare le procedure per il riconoscimento dei titoli di studio e delle qualifiche conseguiti all’estero. Incentivate la negoziazione e l’attuazione degli accordi bilaterali volti alla effettuazione dei programmi di formazione professionale nei paesi di origine. Garantire sempre la restituzione dei contributi versati in Italia in caso di definitivo rientro in patria senza diritto a pensione.

Per la scheda completa clicca qui.

2. INTRODURRE UN MECCANISMO DI REGOLARIZZAZIONE ORDINARIA per ogni singolo cittadino straniero già presente in Italia che dimostri lo svolgimento di una attività lavorativa o importanti legami familiari o affettivi. Assicurare la convertibilità di tutti i tipi di permessi di soggiorno. Trasferire ai Comuni la competenza in materia di rinnovo del titolo di soggiorno. Abrogare l’accordo di integrazione, il contratto di soggiorno, la tassa sul permesso di soggiorno e ogni automatismo preclusivo al mantenimento del titolo di soggiorno. 
Per la scheda completa clicca qui.

3. RAFFORZARE IL DIRITTO AL RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE consentendo delle parziali deroghe ai requisiti reddituali e abitativi, stabilendo per i genitori gli stessi requisiti previsti per il coniuge e favorendo la regolarizzazione dei familiari che vivono già in Italia senza titolo di soggiorno. Garantire a tutti i minori parità di diritti a prescindere dalla nazionalità e dalla condizione giuridica dei genitori. Assicurare anche ai minori con genitori non autorizzati il rilascio di un titolo di soggiorno. Stabilire un sistema uniforme e scientificamente rigoroso per l’accertamento dell’età. Assicurare il diritto al rilascio del titolo di soggiorno al raggiungimento della maggiore età in presenza dei soli requisiti lavorativi e abitativi.
Per la scheda completa clicca qui.

4. CHIUDERE I CENTRI DI IDENTIFICAZIONE ED ESPULSIONE (CIE). Garantire che ogni forma di limitazione della libertà personale sia disposta da un giudice professionale (e non più dai giudici di pace) al pari di quanto previsto per tutti i cittadini italiani e che l’identificazione delle persone socialmente pericolose avvenga durante la detenzione in carcere e non più disponendo un nuovo e ulteriore trattenimento amministrativo. Limitare l’uso delle espulsioni solo per le violazioni più gravi e incentivare il rimpatrio volontario. Sottoporre sempre alla previa approvazione del Parlamento gli accordi di riammissione con i Paesi terzi. Abrogare i reati che puniscono l’ingresso o il soggiorno non autorizzati.

Per la scheda completa clicca qui.

5. ASSICURARE L’EFFETTIVO ESERCIZIO DEL DIRITTO D’ASILO in tutte le frontiere, soprattutto quelle marittime. Definire un testo unico delle norme in materia di asilo. Garantire sempre ai richiedenti asilo un’accoglienza secondo gli standard dell’UE, anche nelle c.d. zone di sbarco, abolire gli attuali Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo (CARA). Limitare a ipotesi eccezionali il trattenimento dei richiedenti asilo. Riformare la composizione delle Commissioni Territoriali e la disciplina della protezione umanitaria. Rendere automatico l’accesso al gratuito patrocinio e il diritto di restare in Italia (e di essere accolto) del richiedente asilo che ha presentato un ricorso innanzi all’Autorità giudiziaria. 

Per la scheda completa clicca qui.

6. ASSICURARE IL RISPETTO DEL PRINCIPIO DI NON-DISCRIMINAZIONE. Completare il riordino delle varie tipologie di procedimento giudiziario antidiscriminatorio. Istituire una Agenzia Nazionale Antidiscriminazione autonoma e indipendente con effettivi poteri di indagine e sanzionatori. Garantire a tutti i cd. apolidi di fatto, già in via amministrativa, il riconoscimento dello status di apolide, nonché il rilascio di un titolo di soggiorno a partire dal momento in cui la richiesta è avanzata e a prescindere da una pregressa residenza. Introdurre con legge statale, una specifica disciplina per la tutela e le pari opportunità delle persone appartenenti alla minoranza linguistica dei Rom e dei Sinti in Italia.

Per la scheda completa clicca qui.

7. GARANTIRE PARI ACCESSO A PRESTAZIONI SOCIALI E PUBBLICO IMPIEGO per i cittadini stranieri, eliminando condizioni e requisiti discriminatori che ostacolano l’accesso a prestazioni sociali di natura assistenziale, così adeguando l’ordinamento italiano ai principi di diritto internazionale ed europeo. Riconoscere il diritto dei cittadini stranieri di accedere al pubblico impiego, salvo nei casi di esercizio di pubblici poteri o di tutela dell’interesse nazionale. Completare il riordino delle varie tipologie di procedimento giudiziario antidiscriminatorio. Istituire una Agenzia Nazionale Antidiscriminazione autonoma e indipendente con effettivi poteri di indagine e sanzionatori.

Per la scheda completa clicca qui.

8. TUTELARE LE VITTIME DI TRATTA E GRAVE SFRUTTAMENTO, garantendo effettive forme di indennizzo, un iniziale “periodo di riflessione”, il rilascio del permesso di soggiorno indipendentemente dalla collaborazione con l'Autorità giudiziaria e la non imputabilità per i reati commessi durante la fase di sfruttamento.

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9. GARANTIRE PROCESSI EQUI E UNITARI a tutti i cittadini stranieri, attribuendo esclusivamente al giudice ordinario la competenza di tutti i procedimenti relativi alla condizione giuridica del cittadino straniero (escludendo sia il giudice amministrativo, sia il giudice di pace) e assicurando sempre al cittadino straniero il diritto ad esporre realmente le proprie ragioni. Migliorare la condizione giuridica e le prospettive di stabilizzazione del soggiorno dei cittadini stranieri detenuti in carcere o ammessi a misure alternative alla detenzione.

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10. RIFORMARE LA LEGGE SULLA CITTADINANZA E SUL DIRITTO DI VOTO, riconoscendo a tutti i cittadini stranieri residenti in Italia la possibilità di votare alle elezioni comunali (e delle città metropolitane) e il diritto ad acquisire la cittadinanza italiana in tempi più brevi e con procedure rapide e trasparenti. Valorizzare il principio dello ius soli. Garantire a tutti i minori e in particolare a quelli nati sul territorio italiano speciali possibilità per un agevole acquisto della cittadinanza italiana.

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Migranti, rifugiati, profughi: persone, non fantasmi


(www.unimondo.org) Ahmed era abituato a lavorare duro. Tirare su mattoni, arrampicarsi su impalcature di legno. Rientrare alla sera in una casa-dormitorio, altre dieci persone intorno. Sette giorni su sette, 10 ore al giorno, da quando a inizio 2009 il suo governo aveva stretto un accordo con quello libico. In 50 mila erano arrivati dal Bangladesh in poco più di un anno, manodopera a basso costo per il piano di costruzione di infrastrutture ideato da Gheddafi con sostegni internazionali. Nel luglio 2011, incastrato in una Tripoli dominata dalla violenza, è scappato via mare mentre migliaia di suoi concittadini attraversavano i cieli per rientrare in patria. La storia di Abdul è diversa. Per sei anni era stato arruolato nell’Union des Forces pour la Démocratie et le Développement, gruppo armato che tentava di rovesciare il regime di Idriss Déby, colpevole fra le altre cose di non riconoscere i diritti della sua etnia. Di fronte alla disfatta del movimento e alle tensioni continue nel Ciad, era fuggito in Libia. Inseguito dalla guerra, ben presto è nel mezzo degli scontri fra lealisti gheddafiani e milizie di Bengasi. La vita di un ex-soldato è difficile, anche se la guerra non è la tua. Per questo salpa per l’Europa, pochi mesi dopo essere arrivato.

Ahmed e Abdul erano fra le migliaia di persone che hanno occupato le piazze di Roma lo scorso 30 ottobre. “Persone, non fantasmi” recitava lo slogan più diffuso. Unamanifestazione nata dalla necessità di dare visibilità ai “profughi” arrivati dalla Libia, per chiedere risposte adeguate al governo. Risposte che da allora, a pochi giorni dalla conclusione del piano di accoglienza nazionale, sono arrivate solo in parte. Livia Cantore, delegata nazionale di ARCI per l’asilo, racconta come “i migranti siano stati inseriti in un sistema di ospitalità parallelo, senza regole, molto costosononostante la qualità spesso bassa”. Un sistema che, sostiene, “ha penalizzato le persone più vulnerabili, senza offrire strumenti per l’integrazione e garanzie di tutela legale”.

Salvo infatti i singoli casi di progetti più virtuosi e di sistemi regionali come quelli di Puglia, Emilia-Romagna e Toscana, Cantore sottolinea come l’accoglienza poteva essere migliore e più economica. Un aspetto reso più evidente dall’imminente conclusione dei fondi nazionali stanziati nel 2011. “Ci sono esperienze positive, ma manca una realeexit-strategy per gli accolti. Sul fronte del rilascio di permessi di soggiorno per motivi di protezione, pochi giorni dopo la manifestazione, a cui hanno partecipato anche molti rifugiati, il governo ha diffuso alcune circolari che definivano le procedure per un riesame della domanda d’asilo di tutti i migranti a cui non era stata riconosciuta alcuna protezione. Una procedura complessa e non adeguata, che fa pensare a un sistema di fantasia al potere, in senso negativo”. La posizione di ARCI è condivisa da A.S.G.I. - Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, che ha espresso dubbi sulla circolare fin dalla sua pubblicazione. Per l’avvocato Salvatore Fachile “se l’intento di fondo è apprezzabile, le modalità sono assolutamente anomale: si parla di una sorta di riesame accelerato delle domande di asilo che avevano avuto esito negativo, quando le linee guida approvate dal governo indicavano chiaramente la necessità di rilasciare un permesso per motivi umanitari, senza ricorrere nuovamente al lavoro delle commissioni territoriali per l’esame della domanda di asilo”.

È per questo che A.S.G.I., che negli ultimi anni è stata una delle più attente sentinelle di guardia dei diritti dei migranti nel nostro paese, ha avviato un monitoraggio delle pratiche delle questure in merito, sfruttando una rete di avvocati ormai presente in tutta la penisola. Anna Brambilla, milanese di nascita e di recente migrata in Toscana, racconta in breve il sistema lombardo: “la questura di Milano ha improntato un sistema telematico, per cui ogni rifugiato presentava la richiesta di riesame tramite l’ente che lo ospita. Il problema naturalmente si pone per chi è uscito dai progetti di accoglienza e per chi è ospite in alberghi, che non offrono nessuna garanzia seria”. Se infatti una cooperativa sociale può sentirsi in dovere di rintracciare un ex-ospite per informarlo della possibilità di chiedere il riesame, non è detto che l’albergatore abbia interesse a farlo, con il rischio che molte persone rimangano escluse da questa procedura. “Il problema riguarda poi chi non ha presentato un ricorso contro il diniego, o chi ha già ricevuto un rigetto del ricorso in tribunale. Su questi casi, e in generale sul reale accesso delle persone al riesame, non abbiamo ancora un riscontro preciso”.

Proprio la possibilità di continuare il ricorso è un ulteriore elemento critico, sottolinea l’avvocato Nazzarena Zorzella, socia A.S.G.I. del foro di Bologna. Per Zorzella, che segue oltre 30 ricorrenti, “ogni richiedente asilo deve essere messo in condizione di continuare il ricorso se ritiene di avere diritto a una protezione maggiore di quella umanitaria concessa tramite il riesame”. Un diritto che non tutti i tribunali sembrano riconoscere, tanto che alcuni hanno dichiarato la cessazione della materia del contendere, ovvero la conclusione del ricorso dopo il rilascio del permesso per motivi umanitari. Un permesso valido un anno, che per l’avvocato non tutelerebbe adeguatamente tutti. È il caso dei nigeriani, dato che “la Nigeria è in una situazione di violenza e instabilità diffusa, tale che in linea di massima si dovrebbe riconoscere la protezione sussidiaria (un permesso di tre anni, ndr) ai suoi cittadini”.

Questo tardivo riconoscimento di una protezione incerta per chi è scappato dalla Libia è, secondo Zorzella, “un ulteriore svilimento della dignità di persone che potevano dare un contributo significativo all’economia e alla società”. All’incertezza dei diritti segue quella dei percorsi personali. Il piano di accoglienza nazionale termina a San Silvestro, e17.500 persone potrebbero trovarsi per strada. Una prospettiva che non piace allasocietà civile napoletana, che lo scorso 11 dicembre ha promosso unamanifestazione regionale per chiedere risposte concrete al governo e alla Protezione Civile, incaricata di gestire i fondi per l’accoglienza. Yasmine Accardo, attivista dell’associazione Garibaldi 101, ha svolto un lavoro di mediazione continua con i rifugiati e con le istituzioni, contribuendo a gettare luce sugli aspetti più oscuri della gestione dell’accoglienza. “Nell’ultimo anno e mezzo – racconta Yasmine – abbiamo segnalato situazioni di estrema gravità. Alcuni degli alberghi che hanno ospitato i rifugiati, quello di piazza Garibaldi a Napoli e altri in provincia, fino al Tifata di San Prisco (Caserta) erano già indagati per attività illecite, oltre a trovarsi in zone difficili, bacini di attività per la camorra. Basti pensare che uno degli hotel è poco distante dalle vele di Scampia, fra le zone a più alta concentrazione criminale”.

Situazione che ha portato a gravi forme di sfruttamento del lavoro e che ha compromesso inevitabilmente qualsiasi percorso di inserimento, tanto che Garibaldi 101 ha presentato oltre un anno fa un esposto alla procura della Repubblica contro la Protezione Civile, per chiedere chiarezza su un sistema di finanziamenti opaco e clientelare. “Non è però cambiato nulla – sottolinea Accardo – e la così detta fase II, quella della formazione e dell’integrazione sociale, non è mai partita per i 900 rifugiatidi Napoli e per molti dei 2200 ospitati in regione”. Dopo un investimento di 59 milioni nella sola Campania, finiti in gran parte nelle borse di chi nei rifugiati vedeva solo una merce, Yasmine e i suoi colleghi attivisti guardano con preoccupazione a un’ulteriore stanziamento di fondi. È del 17 dicembre la notizia di una proroga dell’accoglienza, probabilmente per ora di due mesi, anticipata il 13 da Redattore Sociale, che ha riportato le parole del direttore Immigrazione del ministero Politiche sociali Natale Forlani. “Ci sembra assurdo – è la conclusione di Accardo – che dopo un anno e mezzo di vuoto, ora spuntino ulteriori investimenti. Davvero si pensa di poter fare in due mesi quel che non si è fatto in quasi due anni?”.

Ahmed, Abdul e con loro tutte le persone ancora accolte aspettano di sapere cosa ne sarà di loro, che senza un lavoro non possono pagare un affitto. Sembra evidente, sostiene l’avvocato Zorzella, che “la soluzione è rinviata al nuovo governo”, a conferma della visione emergenziale che continua a dominare la politica italiana dell’immigrazione.


Esteri


Il sistema giustizia di Beijing

 

 

Cina: mai più campi di lavoro forzato

Il Governo si impegna a modificare il controverso sistema. Sarà vero cambiamento?


La Cina chiede una riforma dei campi di rieducazione. 'China Daily' riferisce che il Governo si farà carico di modifiche al sistema dei campi di lavoro forzato presenti in Cina da quasi cinquant'anni. Ne esisterebbero migliaia sul territorio cinese e permetterebbero la detenzione di persone non ancora condannate fino a quattro anni. Vi si praticherebbe la tortura, la 'rieducazione politica' e lo schiavismo stando a quanto riportato da Wikipedia. Fatto sta, anche Xi Jinping avrebbe invocato misure riguardanti la sicurezza, la protezione dei diritti civili e una giustizia più giusta per andare incontro alle aspettative del popolo e combattere la corruzione e gli abusi. Jiang Wei, funzionario del 'Central Leading Group for Judicial Reform' ha ammesso che il sistema presenterebbe dei buchi neri. 'Global Times' riporta la dichiarazione di Meng Jianzhu, segretario della Commissione per gli Affari Politici e Legali del Partito Comunista Cinese, secondo il quale la Commissione Centrale del Partito avrebbe già deliberato una riforma che prevederebbe la fine dei campi di lavoro forzato mentre nel frattempo il sistema verrebbe strettamente controllato. Varie voci si sono levate e si levano contro i campi di rieducazione cinesi accusandoli di violare i diritti umani, di essere incostituzionali e illegali. In un altro articolo di 'Global Times' appena qualche mese fa, si riferiva di una petizione firmata da 7.000 persone con la quale se ne chiedeva l'abolizione. Uno degli iniziatori della campagna abolizionista, Wang Cheng, avvocato di Hanzhou denunciava le violazioni e le ingiustizie oltre che gli abusi praticati da numerosi funzionari di polizia. Wang dichiarava che "il sistema non è in linea con lo sviluppo sociale" aggiungendo che esso serviva spesso a sopprimere le voci di coloro che protestano, portando a tensioni sociali e screditando la credibilità del Governo. L'istituzione dei campi di rieducazione risale al 1957. Avevano lo scopo dichiarato di "mantenere la sicurezza sociale, riabilitare i colpevoli, agire come deterrente primario". Il loro uso è stato applicato a quei casi che non vengono considerati "crimini seri" o che rappresentano "offese minori" che non richiedono processi penali, con una durata della pena che va da uno a quattro anni. Questione molto controversa nella società cinese, oggetto di dibattiti accesi anche quando, di recente, Tang Hui, madre di una ragazza stuprata, è stata inviata in uno di questi campi perché le sue proteste presso il governo della regione"disturbavano l'ordine sociale". Il 14 agosto scorso un gruppo di dieci avvocati provenienti da tutte le regioni del Paese, scrissero una lettera al Ministro della Pubblica Sicurezza e al Ministro della Giustizia invocando riforme in merito e denunciando pratiche illegali come periodi di detenzione arbitrari, decisioni prese segretamente, assenza di limiti di età per essere inviati in un campo. 'Shangai Daily' riporta un altro clamoroso caso di condanna ai campi di lavoro, quello di Ren Jianyu, venticinquenne, inviato in 'rieducazione' per due anni per aver criticato il Governo su un media sociale. Il vice Presidente della China University of Political Science and Law, Ma Huaide parla diabuso nel ricorso al sistema e di "mancanza di basi legali nell'espansione del suo uso per disfarsi dei contestatori indesiderati".

 Insomma, le Corti di Giustizia dovrebbero attenersi alle procedure legali nel decidere sulle restrizioni alla libertà personale dei cinesi. Secondo il Ministero della Giustizia sarebbero state 160.000 le persone detenute in 350 centri alla fine del 2008 e attualmente si parla di 260.000. 'The Telegraph' riferisce che, ad una conferenza sul sistema legale cinese a Beijing, Meng Jianzhu avrebbe dichiarato che finalmente "il Partito ha deciso di mettere fine all'uso dei campi di lavoro" e promulgherà nuovi regolamenti alla riunione del Partito del prossimo marzo. Ha anche affermato che non si procederà ulteriormente ad inviare ai campi contestatori e dimostranti. Si pensa che in ogni caso i detenuti che si trovano attualmente ristretti nei campi non verranno liberati in tempi brevi. Almeno non dovrebbero aggiungersi nuovi prigionieri. E comunque gli attivisti dei diritti umani hanno chiesto al Governo di specificare i termini e le condizioni del piano che dovrà sostituire il sistema vigente. Lo scorso anno erano stati avviati dei progetti pilota chiamati "educazione e correzione delle violazioni" in quattro grandi città cinesi. I risultati non sono ancora stati pubblicati ma si sa che i centri erano stati 'umanizzati' e le indagini sui crimini commessi dai prigionieri rese più approfondite. Tuttavia, la preoccupazione e i dubbi delle organizzazioni per i diritti umani si attestano su un punto: il timore che si procederà a dare un nome diverso ai campi di lavoro senza modifiche sostanziali. Li Fangping, avvocato attivista per i diritti umani dice: "A Nanjing adesso li chiamano commissioni per la correzione dei reati. L'appellativo campi di lavoro è troppo negativo per essere accettato dalla società internazionale e ha causato troppe critiche". In ogni caso la questione è calda in Cina e il Governo non potrà limitarsi ad una "mano di vernice fresca".


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


The EconomistGreek politics

Immigrants as scapegoats

As Greece is forced to make more budget cuts, right-wing extremism is on the rise

Oct 6th 2012 | ATHENS | from the print edition


PROTESTERS in wheelchairs jeered and whistled as officials from the “troika”—the European Commission, the IMF and the European Central Bank—arrived at the labour ministry on October 2nd to press for yet more public-expenditure cuts. Beleaguered Greeks are set to endure a sixth year of recession in 2013. Greek budget planners forecast a 3.8-4% contraction, the IMF a more pessimistic 5%. Yannis Stournaras, the finance minister, is under huge pressure to find an extra €2 billion ($2.6 billion) of last-minute savings to appease the troika. Antonis Samaras, the centre-right prime minister, has an even harder task: persuading the coalition government’s left-wing partners to accept tighter austerity. Both still sound confident a deal will be reached, though the timetable is likely to slip by a couple of weeks. Delays are not helpful for Mr Samaras. He has struggled during his first 100 days in office to keep his fragile coalition together while Mr Stournaras put together a €13.5 billion austerity package in return for Greece’s second €130 billion bail-out. At the European summit on October 18th, the premier promised that he would seek a two-year extension until 2016 for implementing the new measures, thereby softening their impact. But European leaders will not grant Greece’s request until the package has been agreed to with the troika and approved by the parliament in Athens. As a result Greece’s next €31.2 billion loan tranche, needed to recapitalise Greek banks so that they can start lending again, may not arrive until mid-November. The draft budget for 2013 already includes almost €5 billion of cuts in pensions and public-sector salaries. Mr Stournaras hopes they are deep enough to achieve a primary budget surplus (before making debt repayments) of 1.4% of GDP. The troika chiefs are concerned tax revenues will be lower than forecast, and that the budget still leaves space for spending overruns by the defence and health ministries and in local government. Once again the government has shied away from sacking civil servants, despite a commitment to cut the bloated public-sector payroll by 150,000 over the next three years. Instead a total of 15,000 civil servants are to be eased out of their jobs, taking early retirement after a year on 75% of their previous salary. It is an unsatisfactory solution reached to accommodate Mr Samaras’s coalition partners. Greece’s official unemployment rate hit 24.4% in June, the EU’s second-highest after Spain. The jobless rate among young Greeks rose to 55.4%, overtaking Spain’s for the first time. Many private-sector workers, among them teachers and nurses, complain of not being paid regularly. “In our profession, you can’t not turn up for your shift,” said Yolanda, an intensive-care nurse taking part in a protest outside the health ministry, which owes more than €1 billion to private clinics for looking after state health-service patients. Public-sector trade unions are planning rolling strikes to protest against the latest wage cuts. Extremists are stirring up trouble. Opinion polls show that Golden Dawn, the far-right, anti-immigrant party that won seats in parliament for the first time at the June general election, has overtaken the socialists to occupy third place behind Mr Samaras’s New Democracy and Syriza, the main opposition party. Golden Dawn is opening more offices in provincial towns to increase support among the unemployed young. Recognisable by their black T-shirts with a swastika-like emblem, its members are growing bolder in their harassment of immigrants. One group recently attacked several stallholders at an open-air market in Rafina, a port near Athens, after posing as plain-clothes police checking their permits. The police were not much help: as often happens with Golden Dawn’s transgressions, sympathetic police officers looked the other way. Golden Dawn is not only stepping up its vigilantism and attacks against immigrants. Nikos Michaloliakos, the party leader, encourages displays designed to show Golden Dawn’s social conscience, through public distributions of food parcels to the needy. But beneficiaries must first register with the party and prove they are Greek, by showing their identity cards.

Nikos Dendias, the citizens’ protection minister, says that Golden Dawn’s storm-troopers will not be tolerated. Shopkeepers around Plateia Amerikis, where some immigrants run small businesses, are not convinced. “Racist violence is on the rise, and many people are in need of protection,” says Javed Aslam, a Pakistani community leader. Few immigrants trust the police any more.