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Rassegna ad uso
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Anno XI n.4 del 23 gennaio 2013 |
Consultate www.uil.it/immigrazione
Aggiornamento quotidiano sui temi di interesse di cittadini e lavoratori stranieri
La Convenzione ILO 189 entra in vigore in Italia
Ginevra, 22 gennaio 2013 - Una delegazione del Governo italiano, rappresentato dall’Ambasciatrice Laura Mirachian - capo della Rappresentanza italiana permanente presso le Organizzazioni Internazionali in Ginevra - si è recata oggi presso il quartier generale di ILO (International Labour Organization) a Ginevra per depositare gli strumenti di ratifica della Convenzione ILO n. 189 e Raccomandazione n. 201 sui diritti dei lavoratori domestici. I documenti recapitati dal Governo Italiano sono stati consegnati al Direttore Generale di ILO Guy Rider. In questo modo l’iter di ratifica può dirsi ufficialmente concluso. Secondo le norme ILO, la Convenzione entrerà fattivamente in vigore il 5 settembre 2013.
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SOMMARIO
Appuntamenti pag. 2
L’Italia deposita all’ILO la ratifica della Convenzione n. 189 sui diritti dei lavoratori domestici pag. 2
Diritti ai migranti Tosi stoppa Zaccariotto pag. 3
Istat: stranieri più che triplicati in 10 anni pag. 4
Giurisprudenza: rimpatri volontari pag. 6
ASGI, discriminazioni: illegittimo discriminare i giovani stranieri dal servizio civile: pag. 7
La Consulta boccia la Calabria e Bolzano pag. 8
Scuola, iscrizioni online: esclusi i figli degli irregolari pag. 9
Notizie in breve: pag.10
The Economist: Jumping off the fence pag.11
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A cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil
Dipartimento Politiche Migratorie
Tel. 064753292- 4744753- Fax: 064744751
Dipartimento Politiche Migratorie: appuntamenti
(Giuseppe Casucci)
Roma 30 gennaio 2013, ore 11.00, sede CNEL
Riunione Organismo su immigrazione ONC
(Giuseppe Casucci)
Roma 02 febbraio 2013, ore 11.30, presso Regione Lazio
Unione Forense: presentazione del rapporto “conflittualità locali e cittadini stranieri nel Lazio”
(Giuseppe Casucci)
Roma 07 febbraio 2013, ore 10.00, sede ILO – Rome
Incontro: “promuovere l’integrazione dei lavoratori domestici in Europa”.
(Ivana Veronese, Giuseppe Casucci)
Lavoro domestico
Il Governo italiano deposita all’ILO gli strumenti di
ratifica della Convenzione ILO sul lavoro domestico
Completata la procedura legale prevista dalle norme ILO. Ora dovranno passare 12 mesi prima che le norme della Convenzione entrino in vigore in Italia. Un ringraziamento va al Governo Italiano per la rapidità e la qualità della procedura di ratifica, ma anche al gruppo di lavoro italiano di ILO, che ha pienamente collaborato con i sindacati nella loro azione di lobbying verso l’Esecutivo, con l’obiettivo che il nostro Paese fosse il primo in Europa ad adottare la Convenzione sul lavoro domestico.
Roma, 22 gennaio 2013 – Una delegazione del Governo italiano, rappresentato dall’Ambasciatrice Laura Mirachian - capo della Rappresentanza italiana permanente presso le Organizzazioni Internazionali in Ginevra - si è recata stamane presso il quartier generale di ILO (International Labour Organization) per depositare gli strumenti di ratifica della Domestic Workers Convention, 2011 (No. 189) e Raccomandazione n. 201 sui diritti dei lavoratori domestici. I documenti portati dal Governo Italiano sono stati consegnati al Direttore Generale di ILO Guy Rider. In questo modo l’iter di ratifica può dirsi ufficialmente concluso. La ratifica della Convenzione era stata firmata dal Governo Italiano lo scorso 18 dicembre (giornata internazionale del migrante), durante un convegno promosso da Cgil,Cisl, Uil presso la sede ILO italiana a Roma, convegno cui aveva partecipato lo stesso Ministro del Lavoro Elsa Fornero. Secondo l’art. 21 della Convenzione, essa entrerà fattivamente in vigore 12 mesi dopo la seconda ratifica da parte di uno Stato membro di ILO: dunque il 5 settembre 2013. La ratifica è il risultato di una campagna di successo da parte dei sindacati italiani e la loro azione di lobbying nei confronti dell’Esecutivo del loro Paese per una rapida ratifica della Convenzione. La campagna fa parte della più ampia mobilitazione internazionale promossa da ITUC – chiamata “12 by 12” (12 ratifiche entro il 2012) che ha visto la mobilitazione dei sindacati europei e internazionali a favore di una piena approvazione della Convenzione sul lavoro domestico in tutti gli Stati membri dell'ILO. L'Italia è il 4° paese ad aver presentato formalmente all’ILO gli strumenti di ratifica ed è anche il primo Paese in Europa. L’Italia è anche tra i primi tre maggiori Paesi con presenza di lavoratrici domestiche (88% donne e 80% migranti), con circa 900 mila lavoratrici regolari e – secondo stime – altre 600 mila irregolari. Grazie a questa convenzione, i lavoratori domestici ora hanno gli stessi diritti di tutti gli altri lavoratori, compreso il diritto al salario minimo, l'accesso alla sicurezza sociale, il tempo massimo di lavoro e periodi di riposo obbligatori. I lavoratori domestici possono ora difendere i propri diritti collettivamente. Sebbene la legislazione italiana ed il contratto collettivo di lavoro forniscano già un quadro giuridico adeguato per i lavoratori domestici italiani, solo la metà di essi sono coperti dalla previdenza sociale e il 40% di loro lavora in una situazione irregolarità. La ratifica darà nuovo impulso per ottenere condizioni di lavoro dignitose per tutti i lavoratori domestici. Sarà di beneficio primario per le donne e gli immigrati. Questa ratifica è ancora più significativa in quanto ha avuto luogo nella Giornata Internazionale dei Migranti. La maggior parte dei lavoratori domestici sono migranti e donne, spesso esposti a malsane condizioni di lavoro o a condizioni di irregolarità, in Europa come altrove. Recentemente, anche la Confederazione europea dei sindacati (CES) si è congratulata con il Governo italiano per essere il primo Paese UE a ratificare la Convenzione ILO n. 189 “lavoro dignitoso per le lavoratrici ed i lavoratori domestici”. Per la CES “la ratifica della Convenzione ILO in tutti gli Stati membri, dovrebbe essere un primo passo per ripristinare la dignità del lavoro domestico e migliorare concretamente le condizioni di vita e di lavoro”. La CES ha esortato tutti gli Stati membri dell'UE a non tardare a seguire l'esempio italiano. Nel trasmettere lo strumento di ratifica, l'ambasciatore Mirachian, ha dichiarato: "Sono lieta che il mio Paese sia stato tra i primi a ratificare questo trattato, una pietra miliare che stabilisce norme standard per la tutela dei lavoratori domestici in tutto il mondo. Confido che altri Paesi seguiranno il nostro esempio, dato che la presente Convenzione offre protezione a milioni di lavoratori domestici che sono, per la maggior parte, donne e ragazze. La sollecita ratifica italiana dimostra, inoltre, il forte impegno italiano a supporto dei principi dell'ILO e dei suoi valori, vale a dire la garanzia di un lavoro dignitoso ". Nel ricevere lo strumento di ratifica della Convenzione n ° 189 da parte italiana, il direttore generale, Mr. Guy Ryder, ha dichiarato: "Con la redazione e l'adozione di norme internazionali in materia di lavoro domestico nel 2011, l'OIL intende dare risposta al deficit di lavoro dignitoso che riguarda uno dei più vulnerabili gruppo di lavoratori. Con la ratifica della Convenzione No. 189 di oggi, l'Italia assume la guida nello sforzo globale di lotta contro lo sfruttamento, le disuguaglianze e le discriminazioni subite da tanto tempo dai lavoratori domestici. Vi è chiaramente un crescente entusiasmo per la rapida e completa ratifica della presente Convenzione e sono sicuro che molti altri paesi seguiranno presto l'esempio di Italia".
Discriminazioni
La presidente della Provincia di Venezia apre ai vescovi. Il segretario del partito: «Linea personale»
(http://corrieredelveneto.corriere.it)
Venezia, 21 gennaio 2013 - — La lettera inviata al Gazzettino è
di qualche giorno fa, ma la polemica è fresca, fresca. Perché la posizione
assunta dalla presidente della Provincia Francesca Zaccariotto in materia di
cittadinanza ai minori figli degli immigrati non è sfuggita venerdì mattina
all'opposizione a Ca' Corner che ha deciso di cogliere al balzo l'apertura
della leader leghista per presentare una mozione per il riconoscimento della
cittadinanza onoraria ai figli degli stranieri. «Potremmo cominciare a
regolarizzare i bambini le cui famiglie puntano a un futuro nel nostro paese»,
aveva scritto Zaccariotto in netta contrapposizione con la linea ufficiale
della Lega (e infatti non si sono fatte attendere le prese di distanza dei
segretari locali del Carroccio) sollevando l'attenzione anche del livello
regionale, tanto che ieri sulla vicenda è intervenuto anche il segretario
nathional Flavio Tosi. «La linea della Lega Nord è chiara e si basa sul
riconoscimento dello ius sanguinis», spiega il leader veneto del Carroccio.
Cioè si è cittadini italiani se si è figli di altri cittadini italiani. «Come
accade in tutta Europa», aggiunge Tosi, ricordando che lo ius soli (il diritto
di acquisire la cittadinanza per il semplice fatto di nascere su un dato territorio)
esiste solo negli Stati Uniti che, in effetti, hanno una tradizione diversa in
materia di immigrazione rispetto al vecchio continente.
D'altra parte i minorenni figli di stranieri regolari hanno già diritto a restare in Italia e, a sentire Tosi, non è così difficile ottenere la cittadinanza compiuti i 18 anni. «Ne firmo decine ogni mese di queste richieste, è quasi un atto automatico», conferma il sindaco di Verona. «Rispetto la posizione di Francesca Zaccariotto — continua Tosi — ma la sua è una posizione del tutto personale ed è sbagliata da un punto di vista amministrativo». Per il segretario del Carroccio il motivo per cui non si può e non si deve concedere la cittadinanza ai figli degli stranieri al momento della nascita è semplice: «Nel caso in cui i genitori debbano lasciare l'Italia perché non sono più in regola dovrebbero lasciare qui i figli minorenni cittadini italiani». Oppure la soluzione sarebbe un'altra. E questa soluzione ovviamente fa a cazzotti con la posizione assunta dalla Lega in tutti questi anni. «Il rischio è che, in virtù del fatto che i figli sono italiani, anche i genitori lo diventino automaticamente e dunque saremmo di fronte a una sanatoria», conclude Tosi rimarcando di nuovo che la posizione della presidente della Provincia «è in contrasto con le linee del partito». «Fa scandalo la mia posizione sui bambini? — risponde Zaccariotto — Come mamma, come persona, come amministratrice e come politico non vedo come potrei essere contro i diritti dei bambini. La mia apertura però è stata strumentalizzata dalla minoranza consiliare in Provincia che, approfittando della campagna elettorale ha deciso di presentare una mozione sulla cittadinzna non per affrontare un problema complesso che richiede responsabilità politica, ma per mettere in difficoltà la mia persona all'interno della Lega». La riflessione affrontata dalla presidente della Provincia di Venezia seguiva la posizione adottata dai vescovi del Triveneto che aprivano alla solidarietà e alla cittadinanza agli stranieri e ruotava attorno al fatto che «non ci sono i mezzi né gli strumenti per poter garantire la sicurezza dei cittadini di fronte agli immigrati che delinquono, ma non per questo è giusto che la responsabilità degli adulti ricada sui minori».
«Il problema a monte è quello del rispetto delle regole fin da subito —
continua Zaccariotto — che richiede un lungo percorso di inserimento
positivo nella comunità da parte degli immigrati, cosa che oggi avviene spesso
senza presidi». Un esempio delle difficoltà di gestione del fenomeno è fornito
dalla vicenda dei migranti dalla Libia, in seguito alla cosiddetta «Primavera
araba». Accolti temporaneamente due anni fa (su richiesta dell'allora ministro
degli Interni Roberto Maroni che ha applicato la legislazione europea) gli
stranieri sono ancora in Italia perché non ci sono risorse per permettere il
ritorno in patria sulla base degli accordi internazionali. «Questi sono i
problemi concreti da affrontare da amministratori e questa è la governance del
territorio — conclude Zaccariotto — Fa specie che aver posto una
questione così ampia, così importante, che riconosce la difficoltà e la
ciclicità del problema dell'immigrazione, venga ancora una volta utilizzata in
modo strumentale».
Al.A.
Società
(AGI) - Roma, 22 gennaio 2013 - In dieci anni la popolazione straniera
residente in Italia é più che triplicata. Il dato - riportato dall'edizione
2013 di "Noi Italia" dell'Istat - emerge dall'ultimo censimento,
secondo cui nell'ultimo decennio il saldo naturale della popolazione straniera
- fortemente positivo - ha parzialmente compensato il saldo naturale negativo
della popolazione italiana. Al 1 gennaio 2012 gli stranieri non comunitari
regolarmente presenti in Italia sono poco più di 3 milioni e 600 mila, circa
100 mila in più rispetto all'anno precedente. Tra il 2010 e il 2011 i
flussi di nuovi ingressi verso il nostro Paese hanno però subito un brusco
rallentamento: i permessi rilasciati durante il 2011 sono 361.690, quasi il 40%
in meno dell'anno precedente.
Negli ultimi vent'anni aumentano i permessi di soggiorno per motivi
familiari, passando dal 12,8% al 31,1% del totale. Cresce anche la quota
di minori non comunitari presenti in Italia, dal 21,5% del 2011 al 23,9% nel
2012. Tale quota é più elevata nel Nord che nel Mezzogiorno (rispettivamente
25,4% e 19,2%). Gli stranieri 15-64enni residenti in Italia presentano livelli
di istruzione simili a quelli della popolazione italiana: circa la metà e' in
possesso al più della licenza media (49,9%, a fronte del 45,3% degli italiani),
il 40,9% ha un diploma di scuola superiore e il 9,2% una laurea. Le
forze di lavoro straniere rappresentano il 10,2% del totale. Il tasso di
occupazione degli stranieri é più elevato di quello degli italiani (66,2% a
fronte del 60,7%), come anche il tasso di disoccupazione (rispettivamente 12,1%
e 8,0%). Il tasso di inattività della popolazione straniera e', invece,
inferiore di quasi dieci punti percentuali a quello della popolazione italiana
(29,1% contro 38,6%). (AGI) .
Lavoro nero
di Riccardo Noury, http://www.corriere.it/
Venti, quando va bene 30 euro per una giornata di lavoro:
paga oraria media, 3.75 euro che, nel caso di turni di lavoro superiori alle
dieci ore, scende sotto i tre euro all’ora. Sempre che i soldi te li diano
tutti. A “Sunny”, un lavoratore migrante dell’India, non è andata così:
“Lavoro 9 -10 ore al giorno dal lunedì al sabato, poi cinque ore la domenica mattina, per 3 euro l’ora. Il datore di lavoro mi dovrebbe pagare 600-700 euro al mese. Negli ultimi sette mesi, però, mi ha dato solo 100 euro al mese per le spese. Non ho un contratto con il datore di lavoro, quindi non posso andare via perché perderei il denaro. Non posso andare alla polizia perché non ho documenti. La mia sola opzione è aspettare di essere pagato”.
E a un certo punto, i datori di lavoro scompaiono, come nel caso di “Baba”, un lavoratore migrante del Ghana:
“A volte ci si mette d’accordo per 25-30 euro, ma alla fine della giornata ti danno 15-20 euro. A me è successo tre o quattro volte. Due volte mi è successo che il datore di lavoro mi ha detto di tornare il giorno dopo per essere pagato a lavoro finito; ma il giorno dopo non era più sul posto di lavoro e non è tornato. Non sono stato pagato per niente”.
A questo punto, qualcuno di voi starà pensando: “Non gli sta bene? Tornassero a casa loro”, “Il lavoro agli italiani!”, “Qui c’è la crisi, che venite a fare!”.
Il punto è che l’agricoltura italiana dipende fortemente dalla manodopera straniera migrante. Secondo il Dossier statistico Immigrazione 2011 della Caritas/Migrantes, nel 2010 i migranti regolari hanno svolto il 23.6 per cento delle giornate lavorative totali in agricoltura nel nostro paese. Le statistiche ufficiali, tuttavia, non tengono conto del lavoro dei migranti irregolari e dei migranti “lavoratori non dichiarati”, cioè i braccianti regolari il cui datore di lavoro non ha dichiarato il rapporto di lavoro alle autorità, per evitare di pagare tasse e contributi previdenziali.
Allo sfruttamento del lavoro dei migranti nel settore dell’agricoltura in Italia, molto diffuso nel centro-sud, è dedicato un rapporto pubblicato oggi da Amnesty International in occasione della Giornata internazionale dei migranti.
I lavoratori migranti ricevono paghe inferiori di circa il 40 per cento rispetto al salario minimo. Le vittime dello sfruttamento del lavoro sono migranti africani e asiatici e, in alcuni casi, cittadini dell’Unione europea (soprattutto bulgari e rumeni) e cittadini di paesi dell’Europa orientale che non fanno parte dell’Unione europea (tra cui gli albanesi). La ricerca di Amnesty International si è concentrata in particolare nella provincia di Latina e nel Casertano. Secondo il contratto provinciale concluso tra sindacati e organizzazioni di imprenditori agricoli, i lavoratori agricoli dell’area di Latina dovrebbero lavorare 6.5 ore al giorno, sei giorni alla settimana, per un salario orario lordo di 8.26 euro (tra 5.60 e 6.60 euro al netto delle tasse). Quando Amnesty International ha visitato l’area di Latina, nel giugno 2012, molti lavoratori agricoli indiani lavoravano 9-10 ore al giorno dal lunedì al sabato, poi mezza giornata la domenica mattina, per circa 3-3.50 l’ora. Alcuni lavoratori, tutti con permessi di soggiorno validi, hanno dichiarato di lavorare sei giorni alla settimana per 4-5 euro l’ora. Solo uno dei 25 lavoratori migranti intervistati da Amnesty International ha affermato di essere pagato 8 euro l’ora. L’area di Caserta ospita ufficialmente circa 23.000 cittadini stranieri (compresi cittadini dell’Unione europea), il 2.5 per cento della popolazione. La percentuale reale, compresi i migranti irregolari, è probabilmente molto più alta. Ad esempio, la popolazione straniera di Castel Volturno è ufficialmente di 2900 persone su un totale di 23.000 abitanti; in realtà, le stime raggiungono le 7000 persone. La paga minima per un lavoratore agricolo nell’area di Caserta, contrattata fra le parti sociali, è di 39.91 euro lordi per 6.5 ore di lavoro (5.70 euro l’ora). Tuttavia all’alba sulle rotonde, ossia in quegli uffici di collocamento illegali dove ilcaporalato la fa da padrone il potere contrattuale dei lavoratori migranti è praticamente inesistente, la paga standard per una giornata di lavoro (dalle 8 alle 10 ore) è di 20-30 euro, cioè non più di 3.75 euro l’ora. Il rapporto di Amnesty International descrive i principi della politica migratoria italiana, fissati dal Testo unico sull’immigrazione del 1998 e dalla legge Bossi-Fini del 2002. Il primo è il controllo dei flussi d’ingresso. Il numero di lavoratori migranti ammessi nel paese ogni anno è fisso e definito in un decreto governativo (il cosiddetto “decreto flussi”), che stabilisce quote per tipi diversi di lavoratori. Il secondo principio è la subordinazione del rilascio del permesso di soggiorno all’esistenza di un “contratto di soggiorno” scritto, depositato dal datore di lavoro allo Sportello unico per l’immigrazione, col quale egli s’impegna a garantire un alloggio adeguato e a pagare le spese del viaggio di ritorno al lavoratore migrante che intende assumere. Una volta verificato che nessun lavoratore italiano o comunitario è interessato al lavoro, lo Sportello unico per l’immigrazione rilascia il “nulla osta al lavoro”, sulla base del quale i nostri Consolati rilasciano il visto d’ingresso che, in Italia, dev’essere convertito in permesso di soggiorno.
Nella pratica, il sistema non funziona. Intanto, le quote d’ingresso stabilite dal governo italiano rimangono regolarmente al di sotto la domanda reale di lavoro migrante. Nel 2011 i datori di lavoro hanno presentato circa 400.000 domande per lavoro subordinato, quasi quattro volte il numero di posti disponibili secondo la quota stabilita per quell’anno (98.080). C’è poi, immancabile, la “burocrazia”: poiché per il rilascio del “nulla osta” possono occorrere anche nove mesi, l’idea che i datori di lavoro in Italia reclutino lavoratori migranti quando essi si trovano ancora nel paese d’origine – quando possono reclutare migranti che si trovano già in Italia, sebbene in posizione irregolare – è semplicemente irrealistica, specialmente per i lavori poco qualificati, come quelli tipicamente svolti da lavoratori migranti, stagionali e non, in agricoltura e nel turismo. Ma, in questo caso, anche laddove il datore di lavoro fosse disponibile a concludere un “contratto di soggiorno”, la legge impedisce il rilascio di permessi di soggiorno per lavoro subordinato o stagionale a lavoratori migranti che si trovino già in Italia irregolarmente.
In sintesi, i datori di lavoro tendono a, perché non possono fare altrimenti o, soprattutto, lo trovano conveniente, impiegare migranti irregolari. Questi non hanno altra scelta se non lavorare nell’economia informale.
Ecco aperta, allora, la strada al mercato parallelo dei permessi, allosfruttamento e all’invisibilità. La condizione di migrante irregolare, come noto, in Italia è un reato dal luglio 2009. Ciò significa che i migranti irregolari che vogliano denunciare abusi, compreso lo sfruttamento lavorativo, rischiano non solo di perdere il lavoro ma di essere accusati del reato di “ingresso e soggiorno illegale” (su cui oggi il Segretario generale dell’Onu prende una posizione molto netta), detenuti ed espulsi.
Si chiede “Jean-Baptiste”, un lavoratore migrante del Burkina Faso:
“Quando il datore di lavoro non paga, che cosa puoi fare per avere il denaro? Senza documenti, come puoi andare alla polizia? Senza documenti, sei espulso. Ma non hai fatto niente di male…”.
Le autorità italiane possono dare una risposta?
PS: i nomi delle persone intervistate da Amnesty International sono stati alterati per ragioni di sicurezza.
Giurisprudenza
Immigrazione : i rimpatri volontari comportano l’esclusione della espulsione e del divieto di reingresso.
Circolare del Ministero dell’Interno n. 448, del 7 gennaio 2013
Roma,
18 gennaio 2013 - In una recente circolare del Ministero dell’Interno (la n.
448 del 7 gennaio 2013), il Viminale ha risposto ad una richiesta di
chiarimenti, pervenuta da parte della Questura di Milano, in relazione alla procedura
di accesso al programma di rientro volontario assistito, ed in particolare alle
modalità di attuazione delle disposizioni
contenute nell'articolo 14 ter, del novellato decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (1), relativamente all'eventuale divieto di rientro sul
territorio dello Stato da
prevedere nei casi in specie. La circolare, nella sostanza, chiarisce che non
c’è bisogno di un’espulsione per accedere ai programmi di rimpatrio assistito.
E per gli irregolari che decidono di tornare nel proprio Paese utilizzando
questo canale, non è previsto il divieto di reingresso in Italia. Questo è
dunque l’orientamento della direzione immigrazione e polizia delle frontiere
del ministero dell’Interno. Una posizione comunque che dovrà essere confermata
dal parere della direzione dei servizi civili per l’Immigrazione e l’asilo. La
circolare ricorda che per gli stranieri ammessi ai programmi di rimpatrio
assistito vengono sospesi respingimento, l’espulsione o il foglio di via.
Sottolinea però anche che, quando parla di questi programmi, il testo unico per
l’Immigrazione non fa nessun rimando alle norme sulle espulsioni “e non
subordina l’accesso ai programmi di rimpatrio assistito alla preliminare
adozione di un provvedimento di espulsione a cura del Prefetto”. La legge vuole
insomma “incentivare l’esodo volontario dello straniero irregolarmente presente
nel territorio nazionale” e il rimpatrio assistito è uno degli strumenti per
realizzare questo obiettivo. Per lo stesso motivo, non scattano l’espulsione e
il divieto di reingresso per i clandestini pizzicati dalla Polizia alla
frontiera mentre cercano di lasciare l’Italia
Scarica la circolare: http://www.immigrazione.biz/circolare.php?id=765
(http://www.immigrazione.biz,
4/1/13) Come stabilito dalla Convenzione dei diritti dell'uomo, bisogna
salvaguardare la vita privata e familiare -
Con la sentenza n. 31956/05 del 4 dicembre 2012, la Corte Europea dei Diritti
dell'Uomo spera di aver concluso il calvario di una donna di origine rom, che era stata espulsa dall'Italia senza giustificato motivo. La
ricorrente, madre di cinque figli minorenni e sposata con un titolare di
permesso di soggiorno, ha infatti proposto ricorso denunciando le violazioni
degli articoli 8 e 34 della Convezione Europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle libertà fondamentali che riguardano il "Diritto al
rispetto della vita privata e familiare".
All'epoca dei fatti, la donna, cittadina della
Bosnia-Erzegovina, era appena arriva in Italia e si era insidiata in un campo Rom nella capitale. Nel 1991 si sposa con
un suo concittadino e dall'unione nascono cinque figli. Tutta la famiglia vive
nel campo nomadi "Castel Romano", a Roma. Nel 1996 la ricorrente
ottenne un permesso di soggiorno in quanto cittadina della ex Jugoslavia per motivi straordinari di carattere
umanitario. Questo permesso fu revocato il 9 ottobre 1997 per ragioni che non
sono note. L'anno dopo chiede alla Questura il rilascio di un permesso ma la richiesta fu rigettata in quanto la ricorrente aveva commesso
dei reati. Nel 2002 il consolato generale della Bosnia-Erzegovina a
Milano le rilasciò un passaporto valido fino al 24 settembre 2007 e nel 2005, a
seguito di un controllo, il Prefetto di Teramo ne ordinò l'espulsione coattiva in quanto risiedeva irregolarmente sul
territorio italiano. Proponendo ricorso al Giudice di Pace, lo stesso ha
rigettato la richiesta considerando che il decreto contestato era stato emesso
conformemente alla legge, constatando anche che a carico della ricorrente
pendevano numerosi procedimenti
penali. "Quanto alla necessità di mantenere l'unità familiare, il giudice
rilevò che il permesso di soggiorno del marito della ricorrente era scaduto nel
2004, che non era stata fornita alcuna prova della scolarizzazione dei figli
della coppia né dell'inserimento sociale della famiglia e che, comunque, il diritto di
mantenere l'unità familiare era
riconosciuto agli stranieri titolari di un regolare permesso di soggiorno,
secondo l'articolo 28 del decreto
legislativo n. 286/98". Quindi
la donna ha deciso di ricorrere alla giustizia europea, mentre nel 2005 veniva
trasferita definitivamente a Sarajevo.
Solo nel 2011, poteva rientrare
in Italia ed ottenere il così sperato permesso
di soggiorno per motivi familiari, concedendo alla stessa anche un risarcimento di 15mila euro per i danni morali e
2mila euro per le spese varie.
Vedi la sentenza n. 31956/05 del 4 dicembre 2012 Corte
Europea dei Diritti dell'Uomo
ASGI: Disattese le decisioni dei giudici di Milano che hanno considerato illegittimo e discriminatorio il requisito della cittadinanza italiana
E’ stato pubblicato fa il bando straordinario del 14 gennaio 2013 per 350 posti per lo svolgimento del servizio civile nelle zone colpite dal terremoto del maggio scorso. Nel bando è nuovamente inserito il requisito della cittadinanza italiana accompagnata dalla precisazione che, secondo un parere dell’Avvocatura Generale reso in data 24.7.2012, tale requisito non sarebbe in contrasto con i principi comunitari in quanto conforme “all’art. 3, comma 1 del D. lgs. 5 aprile 2002, n.77, essendo quest’ultima norma in vigore ed efficace, non in contrasto con i principi comunitari e non manifestamente contrastante con i parametri costituzionali”. Il Ministero, pur evidentemente consapevole della questione, finge dunque di ignorare completamente che il 6 dicembre 2012 la Corte d’Appello di Milano ha confermato l’ordinanza di primo grado che aveva dichiarato discriminatorio il requisito della cittadinanza italiana proprio perché in contrasto affermando che proprio alla luce “dei principi comunitari e dei parametri costituzionali” la norma invocata dal Ministero non può ritenersi una norma di esclusione degli stranieri. L’ASGI esprime sconcerto per questa scelta del Ministero di reiterare un comportamento illegittimo e discriminatorio, già accertato come tale, in pieno contrasto con il principio di legalità e di buona amministrazione affermato dall’art. 97 Cost. e invita il Ministero a modificare immediatamente il bando consentendo la partecipazione ai giovani stranieri che, proprio per il loro legame con il nostro territorio e la nostra collettività, intendano dare il loro contributo di solidarietà.
Invita altresì gli enti che, in base al decreto, sono i soggetti deputati a effettuare la selezione dei candidati, a accogliere anche le domande di stranieri, nel pieno rispetto delle pronunce dei Giudici di Milano. Per approfondire
Bocciata la legge della Regione Calabria
Roma, 19 gennaio 2013 - La Consulta dichiara costituzionalmente illegittima la legge della Regione Calabria del 20 dicembre 2011 in materia di Fondo per la non autosufficienza ''nella parte in cui stabilisce che i cittadini extracomunitari, per beneficiare degli interventi previsti dalla medesima legge, devono essere in possesso di 'regolare carta di soggiorno”. La Corte, in una sentenza depositata ieri, ritiene infatti la norma in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione perché ''la limitazione del novero dei fruitori delle provvidenze'' e' da ritenersi ''irragionevole e lesiva del principio di eguaglianza''. Il riferimento presente nella legge alla <carta di soggiorno>, inoltre, risulta poi ''inattuale'', osserva la Consulta, in quanto sostituita dal ''permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo '' la cui ''condizione preliminare di ottenimento e' il possesso, da almeno 5 anni, di un permesso di soggiorno in corso di validità ''. Nella legge, dunque, ''e' stato introdotto un elemento di distinzione arbitrario, non essendovi alcuna ragionevole correlazione tra la condizione di accesso dei cittadini extracomunitari alle prestazioni assistenziali in questione e le situazioni di bisogno o disagio, riferibili direttamente alla persona in quanto tale, che costituiscono il presupposto di fruibilità di una provvidenza sociale''.
Infatti, si legge ancora nella sentenza, ''non e' possibile presumere in modo aprioristico che stranieri non autosufficienti, titolari di un permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo versino in stato di bisogno o disagio maggiore rispetto agli stranieri che, sebbene anch'essi regolarmente presenti nel territorio nazionale, non possano vantare analogo titolo legittimante''.
(ANSA) - ROMA, 18 GEN - Chiedere che i cittadini extracomunitari siano residenti in maniera stabile da un periodo di tempo "predeterminato e significativo" nel territorio regionale o provinciale per poter accedere alle prestazioni di assistenza sociale è costituzionalmente illegittimo. Lo stabilisce la sentenza n. 2/2013 della Corte Costituzionale, depositata oggi, che censura la legge della Provincia autonoma di Bolzano n.12/2011 sull'integrazione degli stranieri, di cui il governo ha impugnato nel gennaio scorso numerosi articoli. La norma stabiliva, tra l'altro, che per l'accesso alle prestazioni di assistenza sociale aventi "natura economica", è richiesto ai cittadini extra Ue "un periodo minimo di cinque anni di ininterrotta residenza e dimora stabile in provincia di Bolzano". Ma la Consulta ha stabilito che questo viola l'art. 3 della Costituzione producendo una "disparità di trattamento". Perché se la residenza in sé può essere un requisito "non irragionevole" - argomenta la Corte - diverso è stabilire un arco temporale predeterminato al di sotto del quale l'accesso ai servizi è negato. La legge prevedeva i cinque anni minimi di residenza ininterrotta anche per concedere agli extracomunitari l'accesso alle "agevolazioni per la frequenza di una scuola fuori della provincia di Bolzano", e alle "prestazioni di natura economica per il diritto allo studio universitario". Disposizioni anch'essere giudicate incostituzionali dalla Corte (art. 3 e 34). Una censura riguarda anche i cittadini dell'Unione europea: la legge prevedeva infatti norme per l'incentivazione della conoscenza delle lingue, disponendo che i cittadini Ue che abbiano assolto l'obbligo scolastico, possono usufruire delle sovvenzioni previste per l'apprendimento delle lingue straniere solo se residenti ininterrottamente per un anno nella Provincia di Bolzano. Ma la Consulta ha stabilito che questa disposizione viola l'art. 3 della Costituzione perché "il canone di selezione previsto per diversificare l'accesso alle prestazioni risulta, anche in questo caso, incompatibile con i principi di ragionevolezza e di uguaglianza, dato che la mera durata della residenza non può essere ritenuta una circostanza idonea a differenziare in modo ragionevole le posizioni dei potenziali interessati alla provvidenza in questione".
I controlli non sono obbligatori e “la mancanza di requisiti igienico sanitari non preclude la fissazione della residenza”. Il Consiglio di Stato ferma i sindaci anti-immigrati
Roma
– 21 gennaio 2013 - Anche chi vive in un garage, in una soffitta o in un
sottoscala può iscriversi all’anagrafe e quindi prendere la residenza in un
Comune. I sindaci non possono opporsi solo perché l’alloggio non è idoneo. È un
parere reso dal Consiglio di Stato al ministero dell’Interno, che qualche giorno fa
ha informato tutte le prefetture. Interpreta l’articolo della legge
sulla sicurezza 94/2009 (varata in piena era leghista), secondo la quale
“l’iscrizione e la richiesta di variazione anagrafica possono dar luogo alla
verifica, da parte dei competenti uffici comunali, delle condizioni
igienico-sanitarie dell’immobile in cui il richiedente intende fissare la
propria residenza”. Molti sindaci, soprattutto nel Nord Italia e soprattutto
del Carroccio, l’avevano vista come l’occasione per mettere i bastoni tra le
ruote agli immigrati. C’erano amministrazioni che bloccavano l’iscrizione
all’anagrafe fino alla verifica dei requisiti igienico-sanitari, altre che
chiedevano, insieme alla domanda, documenti che provassero l’abitabilità o
l’idoneità alloggiativa. E molte di queste, particolare non da poco,
riservavano questo trattamento solo ai cittadini stranieri. Ora il Consiglio di
Stato ha ribadito che “l’iscrizione all’anagrafe o nei registri della
popolazione residente costituisce un diritto ed un dovere di ogni cittadino
italiano e straniero regolarmente soggiornante sul territorio nazionale”. La
legge sulla sicurezza ha introdotto “una facoltà” e non “un obbligo” di
controllo, e comunque “la mancanza di requisiti igienico sanitari non preclude,
in linea di principio, la fissazione della residenza anagrafica nel luogo
inidoneo”. Bocciata la richiesta di documentazione originale sull’idoneità
alloggiativa, che invece va autocertificata. Il semaforo rosso scatta
anche per i controlli limitati agli immigrati, “perché violerebbero il
principio di uguaglianza di cui all’articolo 3 della Costituzione”, mentre ci
possono essere criteri generali sulla base dei quali attivare dei controlli
(“esistenza di situazioni sociali di rischio; notorio degrado di alcuni
quartieri ecc.”) ma “senza alcun riguardo alla cittadinanza italiana o
straniera”. Le amministrazioni comunali rimangono naturalmente libere di
verificare se un alloggio è idoneo o no e, in quest’ultimo caso, possono risanarlo
o sgomberarlo. Ma questo tipo di attività, con l’iscrizione all’anagrafe, non
c’entra nulla.
Circolare del ministero dell’Interno e parere del consiglio di Stato
EP
Discriminazioni
Continuano le iscrizioni online alle scuole dell’obbligo e continuano i problemi. Il server è spesso bloccato, la confusione è molta. Il servizio di assistenza di Rete Studenti, il Pronto Soccorso Studentesco, è sempre attivo e a disposizione, ma questo non basta. Tra i campi obbligatori da compilare per i genitori c’è anche il codice fiscale, il che escluderebbe tutti i figli degli immigrati privi di permesso di soggiorno. Il testo unico sull’immigrazione è molto chiaro e spiega che i minori stranieri sono soggetti all’obbligo scolastico. Dice Daniele Lanni, portavoce nazionale della Rete degli Studenti Medi: “E’ inammissibile. L’iscrizione deve essere possibile anche per i figli di immigrati privi di permesso di soggiorno, come ci spiega l’articolo 38 del testo unico immigrazione, e il Ministero deve provvedere a modificare i campi di iscrizione immediatamente”. Continua Lanni: “E’ incredibile che le famiglie e gli studenti quest’anno debbano affrontare mille difficoltà per iscrivere i propri figli a scuola. Il server è sempre bloccato, ci sono mille problemi. L’esperimento delle iscrizioni online sembra proprio un bel fallimento. Il servizio di assistenza che abbiamo messo a disposizione è intasato dalle richieste di aiuto, noi continuiamo ad essere a disposizione, contattandoci alla mail soccorso studentesco@gmail.com, sul nostro sito internet www.retedeglistudenti.it o al numero 3457181789.” Conclude Lanni: “Chiediamo che venga risolta immediatamente questa situazione riguardante gli studenti figli di immigrati privi di permesso di soggiorno e chiediamo che il termine delle iscrizioni venga prorogato vista l’infinità di problemi che si stanno verificando.”
Notizie in breve
Ratificata ufficialmente dall’Italia la Convenzione
sul lavoro dignitoso per le lavoratrici ed i lavoratori domestici.
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Scuola: le iscrizioni on-line escludono i minori
figli di genitori privi di permesso perché senza codice fiscale.
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Elezioni: il decalogo dei diritti umani proposto da
Amnesty International ai candidati.
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Grecia: preoccupante escalation di violenze e abusi a
sfondo razzista contro migranti e stranieri, denuncia Amnesty International.
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Francia: nel 2012 il record di espulsioni, oltre 36
mila.
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La moglie di Steve Jobs promuove un progetto a favore
dei giovani clandestini in Usa.
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Esteri
Jan 19th 2013 |From the print edition
NO
FENCE may be high enough to reassure the fiercest immigration opponents, Barack
Obama once suggested, while visiting the Texan border city of El Paso. America
boasts more than 20,000 border agents—twice as many as in
2004—equipped with everything from tunnel-spotting radar to drones.
Interceptions from Mexico are at a 40-year low. Deportations from America are
at record highs. Yet conventional political rhetoric, notably but not
exclusively on the right, demands “securing the border” before any talk of
fixing an immigration system that is manifestly faulty. Perhaps a moat would
convince sceptics, Mr Obama mused. Maybe “alligators in the moat”.
Alligator-advocates have not disappeared. Under George W. Bush, they twice thwarted comprehensive immigration reform. Their clout helps explain why in his first term Mr Obama promised, but never attempted to deliver, big reforms. (Though the Democrats ran Congress for Mr Obama’s first two years, no broad immigration plan can pass without bipartisan backing). That conventional rhetoric is at last shifting. Ambitious leaders on left and right are ready to discuss the folly of rules that allow students to acquire valued skills at American colleges and then send them packing after graduation, or—at the other end of the economy—starve farms of labour so that crops rot in the fields. Rising stars of both parties are addressing the human disaster of the roughly 11m migrants already in America without the right to work, skewing lawful labour markets and risking exploitation. Suddenly, hopes of a leap forward on immigration are rising. In part that is because lots of fences have been built, at staggering financial and human cost. Something else is going on, though. Fixing immigration is becoming a competition.
Mr Obama, galvanised by his second and last inauguration on January 21st, is poised for a big announcement on the subject. A Republican senator from Florida, Marco Rubio, this month unveiled bold plans to “modernise” immigration. Many assume that Mr Rubio is motivated by visions of oath-taking on the Capitol terrace in 2017, as the first Hispanic president.
Mr Rubio would offer undocumented migrants already in America permanent resolution of their status. That is brave. During recent Republican presidential primaries, those who talked of permanent residency for illegal arrivals were attacked for advocating “amnesty”. Mr Rubio does not even make tougher borders a precondition for action; he is said to believe that fewer would seek to break the law if the law were fixed.
Paul Ryan, another 40-something Republican star and former vice-presidential candidate, swiftly endorsed Mr Rubio’s initiative. America’s future depends on immigration that works, says Mr Ryan, back in his old role as chairman of the budget committee of the House of Representatives. He could have added that the Republicans’ future does too. His running-mate Mitt Romney won just 27% of Hispanics, the country’s fastest-growing voter block, after talking tough on immigration to win the presidential primary (Mr Romney wanted laws of such ferocity that illegals would “self-deport” in despair). On the same day, the ambitious Democratic mayor of Los Angeles, Antonio Villaraigosa, declared the time ripe for his own immigration proposals.
Fights loom, within as well as between parties. Mr Rubio hints that his plan could eventually lead to citizenship—after criminal-record checks, English tests, fines, the payment of back taxes and so on. Even Republicans ready to woo Hispanics are unsure they want millions added to voter rolls overnight. Democrats, keener on Hispanics voting, will insist on a path to citizenship.
Such brazen jostling for advantage is new in the rather hair-shirted field of immigration reform. Several contests are under way: between Mr Obama and Mr Rubio (two sons of immigrants, proud of their only-in-America life stories); between a raft of high-flyers with White House ambitions; and between the parties, for Latino votes. Even trade unions, not always enthused by increased competition, have swung behind immigration reform in recent years, wooing Hispanic recruits in their own existential contest with irrelevance. Step back, and Americans are being called to a competition with globalisation itself. The White House calls fixing immigration a vital step if the country is to “out-innovate, out-educate, and outbuild the rest of the world”.
They are already here, so make them productive citizens
All this flowing of competitive juices is welcome, because worthier approaches did not work. Revisit Mr Bush’s 2006 televised address, pleading for his plan to secure the border, get tough on employers of undocumented workers and offer millions living in the shadows a path to citizenship—and it looks quite defensive. Mr Bush may have been drawing on the business-minded, freedom-loving traditions of his beloved Texas. But at a time when migrants and their allies were rallying in American cities and anti-migrant vigilantes were forming posses, Mr Bush mostly spoke of controls on those who “sneak across our border”. The upbeat bit was tucked away at the end, praising America as a “melting-pot” where diligent newcomers can fulfil dreams. In Mr Bush’s words: “America can be a lawful society and a welcoming society at the same time.” Though he was right, that sounded like an appeal to the nation’s generosity, not its self-interest.
Today’s debate is thoroughly self-interested. Mr Obama, Mr Rubio and the rest are making a case for grabbing the world’s brightest and best for America, and giving migrants new rights to educate themselves, start businesses and pay taxes. They think that case can be a vote-winner in a country that is changing fast. The contest is on. It may yet fall into the political equivalent of a ’gator-filled moat. Immigration angst runs deep. But bet on the contest continuing: America’s competitive streak runs deeper.
Economist.com/blogs/lexington