11 gennaio 2013

Immigrazione: 29 migranti su mercantile
Operazione guardia di finanza. Nave in porto Reggio Calabria
(ANSA) - REGGIO CALABRIA, 11 GEN - Un mercantile battente bandiera panamense con 29 immigrati a bordo, di cui non e' stata ancora accertata la nazionalita', e' stato fermato al largo di Capo Spartivento da unita' del reparto aeronavale della guardia di finanza e scortato nel porto di Reggio Calabria. A bordo ci sono 9 membri di equipaggio la cui posizione e' al vaglio degli investigatori. I finanzieri hanno notato il mercantile fermo, forse in procinto di fare sbarcare gli immigrati, e l'hanno abbordato.



Denuncia di Save the Children, continuano gli arrivi di minori a Lampedusa.
300 minori dalla Libia negli ultimi tre mesi, strutture inadeguate. Preoccupazione per la fine dell’Emergenza Nord Africa.
Immigrazioneoggi, 11-01-2013
“Negli ultimi 100 giorni sono oltre 300 i minori libici migranti arrivati a Lampedusa. Attualmente sono 36 i minori non accompagnati (26 eritrei, 1 somalo, 2 del Gambia, 2 della Guinea e 5 del Mali) con un’età compresa tra i 15 ed i 17 anni presso il Cspa. Anche se le condizioni di accoglienza sono migliorate, la maggior parte dei minori non accompagnati non ha ancora un posto letto”.
Lo comunica una nota di Save the Children, che ha espresso la sua preoccupazione per la decisione del Governo di sospendere l’Emergenza Nord Africa affidata alla Protezione civile.
“I minori migranti che arrivano a Lampedusa dalla Libia o dal Nord Africa si lasciano alle spalle esperienze drammatiche e hanno assoluto bisogno di assistenza e protezione”, ha dichiarato Raffaela Milano, direttore dei programmi Italia-Europa di Save the Children. “Per tutta risposta – aggiunge – li facciamo stare giorni e giorni in un centro di prima accoglienza dove la capienza massima è 250 persone ma ne sono state ospitate, anche di recente, fino a mille, in condizioni igieniche molto precarie e a stretto contatto con adulti, in situazione di pericolosa promiscuità”. “In più, dal primo gennaio – ha sottolineato – da quando cioè è entrata in vigore l’ordinanza che sancisce la chiusura dell’emergenza umanitaria, non siamo più neanche in grado di garantire a questi ragazzi l’adeguata accoglienza nelle strutture che, per legge, dovrebbero ospitarli e proteggerli sulla terraferma”.



Migranti: volevamo braccia, sono arrivati uomini
Il Fatto Quotidiano, 11-01-2013
Erika Farris
“Volevamo braccia” è il recente video-documentario prodotto dal movimento Alcamo Bene Comune per denunciare le condizioni di lavoro dei braccianti stranieri nella vendemmia alcamese, in provincia di Trapani. Un piccolo spaccato del Paese. Una singola storia per raccontarne molte altre.
A settembre la città si popola di migranti. Alle cinque del mattino il raduno in Piazza Pittore Renda. Oltre duecento persone in attesa che un furgoncino si fermi per offrirgli una giornata di lavoro.
Alle sette la vigna è già in fermento e la raccolta dell’uva procede sino alle quattro del pomeriggio, o forse anche più tardi. Nove o dieci ore di campagna per una paga che varia dai 35 alle 45 Euro. Poi il ritorno in piazza, un pasto offerto dalla Caritas e una notte arrangiata all’aperto per i malcapitati senza alloggio. Gli altri anni venivano allestiti degli spazi con servizi igienici e letti per l’accoglienza dei braccianti settembrini, ma il 2012 è stato più duro del solito.
Anche Hedi Mahmudi sa cosa significa un mese di vendemmia ad Alcamo. Lui non compare nel video, ma ogni mattina, alle cinque, anche lui scende in piazza e spera in una giornata di lavoro. Hedi è nato 31 anni fa in Tunisia e dal settembre del 2004 vive in Italia. “Sono arrivato sopra un barcone con circa 250 ragazzi – spiega. Ho pagato 1500 Dinar (circa 733 Euro, ndr) di risparmi miei e di mio padre. Soldi che non spenderei mai più così. Li avrei potuti usare per fare qualcosa nel mio Paese, invece mi sono imbarcato nell’avventura più spaventosa della mia vita. Siamo partiti alle quattro del mattino e siamo arrivati a Pantelleria alle otto di sera, senza mangiare né bere, mentre il mare agitato buttava acqua nel barcone e la gente pregava Allah pensando alla morte. Giunti a destinazione un volo ci ha accompagnati al Centro accoglienza di Crotone, ma dopo quattro giorni sono scappato perché avevo paura di essere rimandato in Tunisia”.
Il primo treno per Milano e circa sei mesi in Lombardia, poi un breve periodo tra Palermo e dintorni siciliani con arrivo finale ad Alcamo: la cittadina che da circa quattro anni è divenuta la sua nuova casa, fra lavori da bracciante in campagna a operaio in cava. Dal 2007 i documenti di Hedi sono in regola. Un permesso di soggiorno che ha già rinnovato tre volte, perché i contratti di lavoro sono sempre a breve termine.
Con i soldi guadagnati paga i 180 euro di affitto del piccolo appartamento in cui vive assieme al suo cane. Quando può, manda qualcosa anche alla sua famiglia. Lui è il più grande dei sei figli che i suoi genitori hanno lasciato. Hedi sente soprattutto la responsabilità della sorellina di dieci anni e dell’altra di ventitré, affetta da una malattia che le impedisce di essere autosufficiente.
Hedi ha molti amici ad Alcamo, e vivere in Italia gli piace. “Qui mi sento libero – racconta. In Tunisia non potevo neanche bere una birra in pubblico. Adesso però, dopo Ben Ali, le cose sono cambiate. Ad esempio, uomini e donne sono uguali e c’è più libertà su tutto. Io purtroppo non ci torno da oltre due anni. Non c’ero neppure quando è morto mio padre e ancora ne soffro”. Hedi comincia a ripensare alla Tunisia. “Magari andrò a lavorare con mio fratello nella campagna di famiglia – pensa – e magari un giorno anche io riuscirò a godermi la vita”.



Torino: un corso di formazione linguistica per imprenditori immigrati.
Al via il 18 febbraio al Centro Culturale il corso “Lingua Italiana per fare impresa”.
Immigrazioneoggi, 11-01-2013
“Lingua Italiana per fare impresa” è il titolo del corso di formazione che prenderà il via il prossimo 18 febbraio al Centro Culturale di Torino. Si tratta di un percorso d’aggiornamento linguistico di cinquanta ore rivolto a cittadini stranieri che intendono avviare autonomamente un’attività imprenditoriale. L’iniziativa è organizzata in collaborazione con la Società Dante Alighieri con l’obiettivo di aiutare ad acquisire padronanza dei termini burocratici utilizzati nel disbrigo di pratiche amministrative per mettersi in proprio utilizzando moduli e documenti concreti, utili alle esigenze degli iscritti.
Le lezioni, tenute da docenti di italiano e da esperti, forniranno a chi già dispone di una buona competenza in lingua italiana strumenti linguistici mirati alle esigenze professionali e offriranno le prime informazioni tecniche e le indicazioni sui servizi utili per avviare un’attività autonoma.
Il corso si articola in venti lezioni di 2 ore e 30 minuti ciascuna, dalle 18 alle 20.30, il lunedì e il giovedì dal 18 febbraio al 2 maggio. Sono inoltre previsti incontri con l’Unione industriale, il Cna e la Camera di commercio di Torino e momenti dedicati alla presentazione di casi di successo di chi ha avviato una propria attività e progetti di associazioni di categoria.
Il costo per la frequenza al corso è di 70 euro. Al termine del corso verrà rilasciato un attestato di frequenza.



Padova - Barricati all’interno del Centro di accoglienza: ora i rifugiati prendono parola
Dopo tre giorni dalla rivolta della "Casa Colori" la conferenza stampa presso la sede dell’Associazione Razzismo Stop
Melting Pot Europa, 11-01-2013
Se ne è parlato per tre giorni consecutivi dopo che per un anno e mezzo sulla loro presenza in città era calato il silenzio. Nessuno sembrava voler ascoltare eppure per molto tempo i rifugiati ospiitati a Padova, insieme all’Associazione Razzismo Stop, avevano dato vita a presidi, iniziative, manifestazione, sit-in, per chiedere a gran voce un futuro degno dopo il 31 dicembre 2012.
Già alla fine di dicembre il Comune di Padova era stato "assediato" da un presidio di rifugiati ricevuti poi in delegazione dall’Assessore ai Servizi Sociali. All’orizzonte c’era la data del 31 dicembre con la conseguente fine del dichiarato stato di emergenza e quindi del finanziamento al piano di accoglienza. Nei corridoi già circolava la voce di una proroga fino al 28 febbraio ma ma contemporaneamente si faceva strada l’idea di una situazione difficilmente recuperabile.
Dal giugno 2011 in città, infatti, molti di loro avevano ricevuto solo un pasto ed un letto, in pochi avevano potuto usufruire di corsi alfabetizzazione e sempre per pochi si era affacciata la possibilità di un inserimento lavorativo.
Così, nonostante la proroga decisa dal Governo, lo scorso lunedì 7 gennaio, dopo un acceso confronto con i responsabili di uno dei centri di accoglienza, i rifugiati ospitati alla Casa Colori si sono barricati al suo interno ed hanno danneggiato la struttura facendo scattare l’allarme che ha fatto arrivare sul posto le forze dell’ordine.
Chiedevano che fossero mantenute le promesse fatte, come per esempio il pagamento delle spese per ottenere il titolo di viaggio (costoso per i titolari della protezione sussidiaria) e che fosse data una buona uscita in denaro a chi volesse lasciare il centro per raggiungere un’altra città.
Dopo tre giorni di dibattito intorno alla vicenda hanno finalmente preso la parola loro, i protagonisti di quella "rivolta", che nella sede dell’Associazione Razzismo Stop hanno convocato una conferenza stampa per raccontare le loro ragioni.
Vogliono che i soldi intascati dagli enti gestori vengano messi a disposizione di chi (pochi per la verità) vuole andarsene e che per gli altri, quelli che rimarranno a Padova e su cui pende ora la spada di damocle del 28 febbbraio, vengano investiti in progetti veri, in grado di offrire loro una opportunità.
Certo, perché ciò che è mancato finora è stata l’opportunità di poterci provare, ingabbiati dalla mancanza di un permesso di soggiorno, abbandonati nell’inadeguatezza dei progetti messi in campo, silenziati dalla retorica dell’accoglienza che li vorrebbe grati per un pasto ed un letto dopo che per oltre un anno e mezzo, proprio per loro, Comune ed enti hanno ricevuto 46 euro al giorno per ogni persona ospitata.
Dopo le proteste è iniziato il carosello delle autorità e delle dichiarazioni dei politici. I vertici della Questura, che assicurano massima attenzione, cercano intanto di farsi dare i nomi dei responsabili mentre già, così annunciano, 10 denunce sono pronte.
Su questo i rifugiati sono chiari: "ciò che abbiamo fatto lo abbiamo fatto tutti insieme".
Pochi giorni fa a Crotone il Tribunale ha assolto tre cittadini marocchini per legittima difesa contro le accuse di danneggiamento e resistenza aggravata per una rivolta all’interno di un CIE.
Quando ci sono in gioco i diritti fondamentali della persona umana la rivolta è giusta: ribellarsi è una legittima difesa. Questo in sostanza il tenore della sentenza. Luca Bertolino, dell’Associazione Razzismo Stop, ha richiamato proprio il provvedimento del giudice di Crotone perché troppo spesso si parla di legalità e si discute su alcuni avvenimenti senza raccontare però perché avvengono. Un anno e mezzo di abbandono fuori da ogni cornice di accoglienza come previsto dalle direttive Europee è certamente una grave violazione subita da queste persone.
Il Comune di Padova, continua Bertolino, con la decisione di dare una buona uscita ai soli rifugiati ospitati nelle sue strutture, nella speranza di liberarsi del problema, si è comportato come una semplice cooperativa venendo meno al suo ruolo.
Nelle prossime settimane torneremo a mobiliterci insieme ai rifugiati perché le loro legittime richieste vengano realizzate.
da Il Mattino di Padova dell’11 gennaio 2013
«Mangiare e dormire: questa non è vita»
I rifugiati chiedono soldi per andarsene e un lavoro per chi vuole restare: «Non vogliamo andare a rubare»
Ieri mattina in Prefettura si è tenuto il Comitato per l’ordine e la sicurezza convocato dopo la rivolta dei rifugiati che lunedì scorso hanno devastato la Casa a colori di via del Commissariato. Oltre al Prefetto Ennio Mario Sodano e il questore Vincenzo Montemagno, c’erano i comandanti di carabinieri, guardia di finanza e vigili del fuoco, oltre agli enti gestori dell’emergenza profughi e i sindaci dei comuni ospitanti. Il caso della sommossa alla Casa a colori ha inevitabilmente alzato la tensione e la parola d’ordine è smorzare toni di proteste e rimostranze. Le richieste dei profughi sono legittime, bisogna fare i conti con i tempi della burocrazia, come ha spiegato il questore, per ottenere permessi di soggiorno e titoli di viaggio che per legge sono contingentati. Ma per Padova risolvere la questione è una priorità. Per questo motivo è stato anche deciso di costituire un fondo per finanziare le buonuscite, cioè per poter garantire ai profughi che desiderano andarsene in altre parti d’Italia o altri Paesi, una somma adeguata per affrontare il viaggio. di Elena Livieri Legittima difesa. Oggetto: la dignità umana. I profughi non sfuggono alle loro responsabilità dopo la rivolta di cui sono stati protagonisti lunedì pomeriggio quando hanno messo a soqquadro la Casa a colori, la struttura di accoglienza di via del Commissariato che li ospita. La Digos sta conducendo le indagini e alcuni di loro, una dozzina forse, rischiano la denuncia per danneggiamenti. «In una città in cui la parola legalità viene recitata come un mantra» ha sottolineato Luca Bertolino di Razzismo Stop, «noi diciamo che queste persone si sono ribellate per legittima difesa perché dopo un anno e mezzo di parcheggio ancora non hanno alcuna prospettiva. Il Comune di Padova ha lasciato che arrivasse la fine di dicembre senza fare nulla, ora bisogna trovare le vie di uscita perché la prossima scadenza è vicina. «Non dieci responsabili», hanno sottolineato i profughi riuniti nella sede di Razzismo Stop, «siamo tutti colpevoli di quello che è successo perché tutti vogliamo un futuro». L’italiano è incerto, i grandi occhi scuri sono benevoli, in tre si fanno avanti: «Non possiamo continuare a non fare niente, è un anno e mezzo che le nostre vite sono sospese» dice Ahmed che in Libia era arrivato dalla Costa d’Avorio, «lunedì ci siamo arrabbiati perché un mese fa avevamo chiesto informazioni sui permessi di soggiorno e i titoli di viaggio e ci era stato detto che dopo alcune riunioni si avrebbero avuto risposte. E invece ci siamo sentiti dire ancora una volta che non si sa niente». È esplosa l’esasperazione. Perché dopo quasi venti mesi è tempo che l’accoglienza si tramuti in prospettiva di vita. «Non è stata una scelta venire in Italia» aggiunge Emanuel, del Camerun, «stavamo lavorando in Libia, lontano dai nostri Paesi e dalle nostre famiglie e poi lì è scoppiata la guerra. Siamo stanchi dei rinvii, vogliamo la possibilità di tornare a essere persone, non possiamo solo dormire e mangiare». Kone Mohamed, ivoriano, vive con altri otto rifugiati in un alloggio di vicolo Aspetti: «Da quando il governo ha ridotto il contributo abbiamo un panino e una bottiglia d’acqua al giorno, a tutti i cittadini padovani chiediamo con umiltà aiuto, ma solo per avere un lavoro, non vogliamo andare a rubare. Cosa possiamo fare se l’emergenza finisce e non abbiamo documenti?». Nella sala messa a disposizione da Razzismo Stop, dove di solito si tengono i corsi di italiano, si mescolano odori di paesi lontani e di vite ai margini, i volti scolpiti nell’ebano sono di ragazzi arrabbiati ma innocui: c’è tanta forza da ribaltare il mondo chiusa fra quattro pareti, vigore delle braccia e volontà degli animi che non si vogliono rassegnare all’assistenzialismo.
da Il Mattino di Padova dell’8 gennaio 2013
Profughi esasperati «Dateci i soldi»
Distrutta la struttura di via del Commissario, volontari in fuga
Vogliono soldi, documenti, un futuro. Dopo venti mesi trascorsi in città con vitto, alloggio e diaria da due euro e mezzo al giorno hanno deciso che no, questa non può essere una prospettiva di vita. E così ieri pomeriggio poco più di novanta profughi africani reduci dalla guerra in Libia hanno scatenato una rivolta alla Casa a Colori di via del Commissario rinchiudendo in uno stanzino il presidente, il direttore e due collaboratori della cooperativa che opera all’interno. Hanno sfasciato tutto, hanno infranto le finestre, gli arredamenti, le fotocopiatrici e hanno sbarrato i cancelli con i cassonetti della spazzatura. Un’ora e mezza di pericolo e tensione, con la polizia intervenuta in assetto anti sommossa. Evidentemente la soluzione voluta dall’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni, a distanza di quasi due anni, non è più sostenibile. Almeno per quanto visto ieri qui a Padova. La rivolta La premessa è la seguente: dal 31 dicembre lo Stato non eroga più il contributo di 46 euro a persona che consentiva alla cooperativa di pagare vitto, alloggio e diaria ai rifugiati. I circa 90 profughi ospitati si sono trovati di fronte al blocco improvviso delle risorse. Come se non bastasse alcuni connazionali sono stati aiutati economicamente dal Comune di Padova: una disparità di trattamento che ieri ha fatto scoppiare la rivolta alla Casa a Colori, struttura di proprietà dei padri dehoniani gestita dalla cooperativa Città Solare, una ramificazione della Fondazione La Casa di Antonio Conte. «Oggi dopo pranzo ci siamo riuniti con 40 di loro» racconta Carlo Pizzati, direttore della cooperativa che gestisce la struttura, «c’erano anche il presidente Maurizio Trabuio e due collaboratori. Loro vogliono principalmente due cose: soldi e documenti. Ma non appena gli abbiamo spiegato che risorse non ne abbiamo, hanno perso il controllo. Ci hanno rinchiuso nello stanzino in cui eravamo riuniti e hanno iniziato a sfasciare tutta l’area adibita ad uffici. Abbiamo temuto il peggio». Oltre ai 40 immigrati riuniti con i vertici della cooperativa ce n’erano altri 50 all’esterno. Sono saliti dalle scale rompendo le finestre tra un piano e l’altro, i vetri degli estintori di sicurezza e persino la centrale informatica che tiene i computer in rete. Qualcuno dei “sequestrati” è riuscito a telefonare al 113 lanciando l’allarme ma quando le volanti della questura sono arrivate in via del Commissario hanno trovato il cancello d’ingresso chiuso con una catena e sbarrato con i cassonetti della spazzatura. In pochi minuti la strada è stata inibita al traffico, sono arrivati gli agenti della Celere, i carabinieri, gli uomini della Digos. Il funzionario Stefano Fonsi è salito al piano superiore ed è stato quasi accerchiato da profughi inferociti. La situazione è tornata alla normalità dopo circa un’ora e mezza. Lo sfogo «Ci sono danni per quasi 200 mila euro» ipotizza sconsolato il presidente Maurizio Trabuio che ieri è corso a chiedere aiuto al questore Vincenzo Montemagno ottenendo così una riunione tecnica urgente che si terrà questa mattina in prefettura. «Vogliono permesso di soggiorno, carta d’identità, titolo di viaggio o passaporto, codice fiscale, tessera sanitaria e denaro per andare via dall’Italia» continua Trabuio, «si sono inferociti quando hanno saputo che alcuni connazionali hanno avuto contributi anche di mille euro da enti pubblici come il Comune di Padova. Quella è la loro cifra di partenza: vogliono mille euro a testa ma noi non ce la possiamo fare». La voce dei profughi «Ci hanno promesso tante cose che non fanno» protesta Ahmed Conati, portavoce dei profughi, «siamo qua da 20 mesi e ci danno solo da mangiare e da dormire. Ci sono ancora tanti di noi che non hanno il permesso di soggiorno. Abbiamo bisogno di soldi per andare via». Sono organizzati, sono in contatto tra loro, sono giunti da Schiavonia, da Casa Valentini Terrani all’Arcella e ora hanno deciso di lottare tutti insieme per avere ciò che vogliono. Ieri sera nessuno dei dipendenti della cooperativa è rimasto a svolgere il turno di notte. Risultato: nella Casa a Colori sono rimasti solo i profughi in rivolta.



Western Union: meno soldi alle famiglie d’origine, è crisi anche per gli immigrati in Italia
Dopo 5 anni di crescita, calano le rimesse degli stranieri nel nostro Paese. È quanto emerge dai dati della Banca d’Italia elaborati da un'analisi dell'azienda di money transfer. Ma la ripresa potrebbe arrivare già entro quest'anno
Panorama, 11-01-2013
Roberto Catania
La crisi colpisce tutti, anche gli immigrati. La conferma arriva, seppur in maniera indiretta, dai dati rilasciati dalla Banca d’Italia sul mercato del money transfer. Nel 2012, rileva la nostra Banca Centrale sulla base di un proiezione calcolata sui primi 9 mesi dell’anno, l’ammontare complessivo dei trasferimenti di denaro degli stranieri che vivono nel nostro Paese verso i paesi di origine è stato di circa 6,8 miliardi di euro, in diminuzione di circa l’8% rispetto al 2011.
È la prima volta, che si registra un dato negativo negli ultimi 5 anni, un passivo che si spiega naturalmente con la diminuzione dell’occupazione fra gli immigrati nella Penisola. Che nel biennio 2010-2011, ci dice l’Ocse, è stata di circa il 3,3%, quasi il triplo rispetto all’1,2% dei “nativi locali”. Trascurabile, invece, l’influenza del decreto Salva Italia del Governo Monti che come noto ha introdotto la limitazione dell’uso dei contanti a 1000 euro per ragioni di tracciabilità: "Prima della manovra, solo il 2% delle transazioni superava la soglia dei 1000 euro", spiega Gabriel Sorbo, Regional Director di Western Union, società che anche in Italia è punto di riferimento per molti immigrati che trasferiscono somme di denaro verso i propri Paesi d’origine.
Quanto al futuro, le previsioni per il 2013 della Banca Mondiale parlano di una possibile ripresa delle rimesse in Italia come negli altri Paesi Europei. “Nonostante il calo nel 2012”, continua Sorbo,”il money transfer rimane molto popolare in Italia.
Merito di una forte presenza di immigrati (6 milioni, secondo l’Istat), che di fatto consente al nostro Paese di piazzarsi al secondo posto (secondo solo alla Francia) fra i 27 dell’Unione Europea per valore delle rimesse: 7,4 miliardi di euro (fonte Eurostat), pari a quasi il 20% del totale nel Vecchio Continente.  
A livello globale, a beneficiare dei flussi di denaro sono soprattutto i Paesi in via di sviluppo: l’India, innanzitutto, che nel 2012 (dati Banca Mondiale) ha ricevuto 53,6 miliardi di euro dai suoi connazionali all'estero, seguita dalla Cina (50,5 miliardi), dalle Filippine (18,4 miliardi), dal Messico (18,4 miliardi) e dalla Nigeria (16,1 miliardi). Ma è il Tagikistan il Paese che dipende maggiormente dai flussi benefici del money transfer: nel 2011 quasi la metà del suo prodotto interno lordo (il 47% per esattezza) è arrivato infatti dal denaro spedito dall’estero.

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