15 gennaio 2013

L'immigrato se ne va
la Repubblica, 15-01-2013
JENNER MELETTI

Ci sono mille storie di paura, in via Pisa e nelle altre strade dei quartieri Pio X e Santa Bona. Paura di non farcela, di tornare a casa la sera e ancora una volta dire alla moglie e ai figli che «non c' è nulla di nuovo, il lavoro non si trova». C' è un rumore diverso da prima, dentro tanti appartamenti. Non ci sono più cucina, sala con la tv, camere dei grandi e dei piccoli... Adesso, in ogni stanza e'e una famiglia diversa, e a volte si litiga per l'uso della cucina o della lavatrice. Appartamenti solo per donne e bambini accanto ad appartamenti solo per uomini. La crisi che pesa sulle famiglie italiane riesce a distruggere quelle famiglie straniere che erano arrivate qui per cercare Lamerica e l'avevano trovata. «Fra pochi giorni—dice Quasime, senegalese—io vado in Francia. Lavoravo come saldatore e da un anno non ho pùü una busta paga. Lascio qui la mia famiglia, moglie e tre bambini, ma per spendere meno l'ho messa con le mogli e i figli di due mie amici del Senegal».
"C'è anche chi ha fatto una scelta diversa —continua Quasime—la famiglia torna in Africa e gli uomini restano qui, uno o due per stan- za, cosi con cento euro al mese riescono apagarsi l'affitto».
La crisi fa tornare indietro l'orologio di trent'anni. «Tornano a riempirsi — raccontano Ahmadou Tounkara, maliano,e don Davide Schiavon, operatore e direttore della Caritas di Treviso— anche le case coloniche abbandonate. Come negli anni '90, quando arrivò la prima grande immigrazione e non c' era un rudere vuoto. Gli uomini che restano qui da soli cercano di sopravvivere lavorando in nero in campagna o nell'edilizia, come allora. Questa è una crisi che spacca dentro e toglie le forze, perche travolge anche chi aveva assaggiato il benessere. Colpisce uomini che, arrivati dall'Africa o dall'Asia, avevano costruito qui le loro famiglie. In questa terra erano nati il oro figli. Operai ma anche imprenditori, con il mutuo per pagarsi la casa e con progetti precisi: restare qui in Italia per sempre e tornare in Marocco o Bangladesh solo in vacanza, per salutare i parenti e fare vedere a tutti che la loro impresa era riuscita».
Per la prima volta, nell'anno che si è appena chiuso, al centro di ascolto della Caritas la richiesta di un lavoro ha superato quella di un aiuto, in viveri per mangiare o soldi per pagare una bolletta o un affitto. «Sono uomini e donne che si vergognano, quasi chiedessero l'elemosma. Chiedono anche consigli, su come comportarsi con i figli, che si sentono italiani e adesso ascoltano il loro papa che dice: torniamo in Ghana».
Storie tutte diverse e tutte piene di angoscia. «I miei figli — dice Amidou del Burkina Faso — sono ormai grandi. Quando ho detto che dovevano tornare a casa, mi hanno detto che non sono pacchi. Gli unici soldi adesso li porta mia figlia grande che ha trovato lavoro part time in un ristorante, gli altri due figli vanno a scuola. Io mi sto informando per andare in Germania, là le fabbriche sono ancora aperte». «La mia famiglia l'ho mandata in Senegal — racconta Ousmane— e io vivo in un appartamento con altri cinque messi male come me. Mi vergogno perche, a fine mese, non riesco a mandare un soldo a casa, ma in quest'ultimo mese ho lavorato come imbianchino solo quattro giorni».
Nascono le trafile, come un tempo per gli emigrati italiani. «Mio cugino — dice Abdelkabir, marocchino — ha trovato lavoro in Francia, come cameriere. Sta cercando un posto anche per me. Non ce la faccio più a tornare a casa senza aver guadagnato nulla. I miei figli non fanno nemmeno più domande. Mi guardano, capiscono e sono sempre più tristi». «E pensare — dice Abdallah Kherzraji, marocchino, vice presidente della Consulta regionale per l'immigrazione — che a noi marocchini la fantasia non manca. Visto che in ltalia il commercio è in crisi, tanti si sono organizzati per andare a fare i venditori in Marocco. Ogni settimana, al martedi, ve- nerdi e sabato partono da Genova, in nave, dai 200 ai 500 furgoni carichi di merce comprata in Italia. Vanno a vendere là dove il Pil nel 2012 è salito dei 3,8%. Insomma, ci si arrangia. Ma molti sono quelli che hanno perso illavoro in fabbrica, o hanno chiuso la pic- cola azienda, che tornano a casa prima di finire i risparmi di una vita o cercano un futuro all'estero. In Francia, Germania, Olanda e Belgio c'è ancora un welfare robusto. C'è un aiuto serio per trovare la casa e il lavoro. Per un anno, in attesa di una sistemazione, puoi contare su un contributo di 200 euro al mese per ogni bambino. Insomma, chi ha due o tre figli riceve quasi un salario».
Abdallah Khezraji, arrivato in Italia nel 1989, ha fatto l'operaio e l'imprenditore e oggi è mediatore culturale e leader dei 90.421 stranieri presenti in provincia di Treviso. C'è però chi svolge la stessa attività ed è costretto comunque a una nuova emigrazione. «Faccio anch'io il mediatore culturale — racconta Hamadi Ben Mansour, tunisino con cittadinanza italiana e presidente di El Medina, associazione impegnata a Mantova nella mediazione socio culturale —ma non riesco più a mantenere la famiglia. Dovrò andarmene anch'io, come tanti miei amici. Io credo che queste partenze siano una per dita per la città che sentiamo come nostra. Sono già tornati in Tunisia o Marocco l'autotrasportatore che aveva anche dipendenti italiani, il commerciante di auto, l'amico che aveva tre macellerie (anche lui con dipendenti italiani) e tanti altri imprenditori e operai. Il ministero del Lavoro tunisino ha appena dichiarato che servono 120.000 operai, nelle nuove imprese. Chi potesse investire 50.000euro, nel mio Paese, potrebbe aprire una piccola fabbrica e sarebbe un signore. Ma dopo 22 anni in Italia io non ho risparmi. Sono già stato in Belgio, Olanda e Germania a cercare qualcosa da fare. Lascerò Mantova con ramaro in bocca,è una città che mi ha dato tanto».
«Già dal 2004 — racconta don Giovanni Sandonà, responsabile regionale della Caritas in Veneto — a Vicenza organizziamo i rimpatri "mutuati", cioè condivisi. Donne con figli ma anche uomini in situazione di esclusione sociale grave, come alcolisti, dipendenti da droghe. Con la collaborazione dei Comuni riusciamo a preparare un progetto vero, che permetta un futuro nella terra di origine. Gli immigrati sono stati i primi a essere colpiti dalla crisi e anche oggi stanno pagando più di tutti».
Uomini e donne che camminano sul filo del rasoio. «A Bologna— racconta Roberto Morgantini,che per anni ha guidato l'ufficio stranieri della Cgil e ora è vice presidente di Piazza Grande, associazione dei senza físsa dimora — tante famiglie si sono spezzate. Mohamed ha mandato la sua famiglia in Marocco, dopo avere perso il suo lavoro da metal meccanico, ed è partito per la Francia. Se troverà un salario e una casa, richiamerà moglie e figli. Adamin, dei Bangladesh, ha perso l'appartamento perché senza lavoro non riusciva più a pagare l'affitto. Ha messo i bambini in un istituto di suore e lui vaga per la città a cercare qualcosa da fare. Come Piazza Grande, abbiamo "adottato" una di queste famiglie disperate, l'abbiamo chiamata "famiglia K". Vogliamo raccogliere 6.000 euro —per ora ne abbiamo la metà — per pagarle un anno di affitto. Adesso vivono in un dormitorio pubblico, alle 8 dei mattino debbono uscire. Non vogliono tornare nel loro Paese, il Pakistan, perche là non hanno più nessun legame. Quelli che, dopo il permesso di soggiorno, hanno conquistato la "Carta di lunga durata", sono partiti per la Francia, la Germania, l'Inghilterra. Non cercano l'Eldorado, il salario è simile a quello che avevano in Italia. Ma là almeno il lavoro si trova».
Storie di dolore in quello che era il ricco Nord. «Il dramma più pesante — dice Gianmarco Marzocchini della Caritas di Reggio Emilia — è quello dei bambini e ragazzi che vengono tolti dalle scuole per andare nei Paesi dei genitori, che spesso non hanno mai visto». «Io ho mandato mio figlio di 8 anni —racconta AdnanC., albanese — a Scutari, con mia moglie. Da quando è là vuole sempre stare solo.E ha smesso di parlare».



L'immigrato se ne va
la Repubblica, 15-01-2013
VLADIMIRO POLCHI
Abdellah e Khalid hanno comprato un piccolo autolavaggio a Rabat. Tre anni fa lavoravano a Torino in un' azienda di riciclaggio di pneumatici, per 25 euro al giorno. Con la crisi, il loro salario si è dimezzato e hanno preferito tornare in Marocco. Abdellah e Khalid sono i pionieri di un incessante movimento sotterraneo: la "fuga" degli immigrati dal nostro Paese. Qualche numero per capire: oltre 32mila stranieri si sono cancellati dall' anagrafe l'anno scorso. Altri 800mila sono sfuggiti al censimento 2011. Sono i nomadi del lavoro: migranti che fanno a ritroso il viaggio che li ha portati in Italia.        
Il caso ha spinto il Financial Times qualche giorno fa a titolare: «Gli immigrati abbandonano l'ltalia colpita dalla recessione». Tra le testimonianze, quella di Sonia Fen, ristoratrice a Roma: «Moltissimi cinesi stanno tornando a casa». Il fenomeno in verità non è nuovo e coinvolge buona parte del Vecchio continente.
Già nel giugno 2009, secondo il sito web Maghrebia.com, nelle strade del Marocco si notavano sempre più auto con targhe europee e nei primi mesi del 2009 gli arrivi in aereo di marocchini erano aumentati del 38%. Quanto alle rimesse, secondo il direttore del Tesoro, Zouhair Chorfi, già nel 2008 c'era stata una flessione del 2% e nel marzo 2009 del 15%.
La novità, tutta italiana, è che dal confronto tra i primi risultati del 15° Censimento della popolazione (4.029.145 migranti nel 2011) e la fonte anagrafica, oltre 800mila stranieri risulterebbero non più residenti nel nostro Paese. Dove sono finiti? «Attenzione — risponde Franco Pittau, coordinatore del dossier Caritas/Migrantes — sussistono forti perplessità nell'accettare che gli immigrati    siano diminuiti quasi di un milione, si è invece propensi a ritenere che le operazioni censuarie non abbiano raggiunto l'intera popolazione straniera presente sul territorio, sia per motivi logistici (basti pensare a chi vive in località remote), che psicologici (la reticenza degli immigrati alloggiati in ambienti disagiati e sovraffollati) o ambientali (preferenza dell'anonimato in un contesto di crisi economica, con rischio di disoccupazione e conseguente permanenza non autorizzata)». Non è tutto: «Molti immigrati  -prosegue Pittau— pur avendo perso il lavoro e di riflesso il permesso di soggiorno sono rimasti in Italia irregolarmente, sfuggendo quindi all'ultima rilevazione censuaria». Insomma cautela sui dati dei Censimento, più affidabile è rifarsi ai dati anagrafici.
Nel 2011, secondo la stima Istat, si sono cancellati dalle anagrafi italiane poco meno di 33mila stranieri. Ma anche questo e un dato parziale: molti    immigrati quando decidono di chiudere l'esperienza migratoria in Italia, non effettuano la cancellazione anagrafica dal comune di residenza. Un ultima fonte: si può sapere qualcosa di più delle "partenze nascoste" solo attraverso lo studio dei permessi di soggiorno scaduti e non più rinnovati a distanza di un anno. L'archivio del ministero dell'Interno fornisce indicazioni precise del fenomeno. Ebbene, i permessi di soggiorno validi al 31.12.2010 e scaduti a distanza di un anno sono risultati ben 262.688.
Insomma il fenomeno dei "viaggi di ritorno" è senz'altro in corso, ma sui numeri nessuna certezza. Una spia della possibile "fuga" dei migranti dall'Italia può venire anche dalla lettura delle rimesse: nel 2012, dopo cinque anni consecutivi di crescita, sono diminuiti per la prima volta i soldi spediti all'estero dagli stranieri presenti in Italia, da 7,4 a 6,8 miliardi di euro, con una flessione dell'8%. «Molti immigrati stanno lasciando in questi mesi il nostro Paese a causa della crisi economica — conferma il direttore della Fondazione Migrantes della Cei, monsignor Giancarlo Perego — prima arrivavano da noi dalla Spagna, oggi dall'Italia vanno in altri Paesi».
È quanto accaduto a Mohamed Haddon, marocchino, in Italia dal 1989, muratore a Perugia, integratissimo con la sua famiglia di quattro figli e la moglie Fatima Zennir. Nel febbraio 2012, Mohamed (che nel frattempo aveva preso la cittadinanza italiana) è dovuto emigrare nuovamente, per colpa della crisi, Destinazione: Bruxelles. «L'idea che questi ragazzi e i loro genitori, innamorati dell'Italia, siano stati costretti a partire — dicono oggi i loro amici italiani—fa veramente male».
Ma chi sono i migranti che lasciano l'Italia? La Fondazione Leone Moressa traccia per Repubblica l'identíkit: oltre la metà è europeo, il 17% ha origini asiatiche e il 12,2% è africano. Più di 19mila cancellazioni dall'anagrafe sono infatti state richieste da persone provenienti da Paesi europei, di cui oltre un terzo romeno. Tra gli asiatici che lasciano l'Italia, il 30,2% è costituito da cinesi e il 19,1% da indiani. Tra gli americani invece sono soprattutto i brasiliani (21,5%) a tentare altre strade fuori dal nostro Paese. In ge-nerale, sembrano lasciare l'Italia quelle popolazioni provenienti da Paesi in via di sviluppo, per i quali si può ipotizzare una propensione al rientro in patria, oltre che alo spostamento verso altri Paesi. Stando sempre alla fondazione Moressa, le cancellazioni a livello nazionale nel 2011 sono aumentate dei 15,9% rispetto all'anno precedente. L'incremento di coloro che lasciano l'Italia ri- guarda tutte le nazionalità, escluse poche eccezioni in cui si è registrata una diminuzione delle cancellazioni: come nel caso dei migranti dal Bangladesh (-16,9%).
Le cause dell'abbandono? «Una spiegazione — sostengono alla Fondazione Moressa — va ricercata sicuramente nell'effetto che la crisi eco- nomica ha avuto sulle condizioni occupazionali degli stranieri. Tra il 2008 e il 2011, infatti, il numero di disoccupati immigrati è praticamente raddoppiato, con un incremento di oltre 148 mila unità (+91,8%), mentre quello degli italiani è aumentato di 267mila»



Traffico di migranti dal Corno d'Africa. due insospettabili fra i 55 arrestati
Maxi-operazione di polizia e Guardia di finanza contro due organizzazioni criminali somale. Arrestati anche un mediatore culturale dell'ambasciata italiana a Nairobi e un collaboratore del World Food Program
la Repubblica, 15-01-2013

ROMA - Maxi operazione di Polizia e Gdf - coordinata dalle procure distrettuali di Catania e Firenze e dalla Dna - contro due organizzazioni criminali somale accusate di traffico di esseri umani: 55 gli arresti in esecuzione. In manette un mediatore culturale dell'Ambasciata italiana di Nairobi e un collaboratore del World Food Program. Gli arrestati sono accusati, a vario titolo, di favoreggiamento aggravato dell'immigrazione clandestina di cittadini provenienti dall'area del Corno d'Africa e diretti, attraverso il territorio italiano, verso il Nord Europa, oltre che di contraffazione di documenti, esercizio abusivo dell'attività finanziaria, riciclaggio ed altri reati.
Secondo le indagini coordinate dalla Direzione nazionale antimafia, il cartello criminale, composto da cellule operative radicate in Italia, in Kenya e in Libia, conduceva i migranti verso Malta e la Grecia per poi convogliarli in Italia presso alcune basi logistiche individuate a Roma, Milano, Torino, Firenze, Prato, Bergamo, Cuneo e Napoli, considerate città strategiche per la loro vicinanza agli aeroporti che collegano, anche con voli low cost, le principali capitali europee.
I migranti venivano quindi muniti di falsi documenti e avviati verso paesi del Nord Europa, in particolare Olanda, Francia, Danimarca, Regno Unito e, soprattutto, Norvegia, Svezia e Finlandia. In alcuni di questi Paesi sono state individuate altre cellule operative dell'organizzazione.
Tra gli arrestati, anche Hussein Mohamed Abdurahman, soprannominato 'Banje', mediatore culturale presso
l'Ambasciata italiana di Nairobi (l'Italia non ha rappresentanze in Somalia), considerato il punto di riferimento per l'ottenimento, illecito, dei visti d'ingresso in territorio italiano e Mohamed Sheik Ali Bashir, collaboratore del Wfp.
Altre 23 persone accusate di aver agevolato le attività illecite dell'organizzazione sono state denunciate a piede libero, mentre nelle prossime ore saranno eseguiti numerosi sequestri preventivi di attività economiche, conti correnti, agenzie di 'money transfer' ed altri beni riconducibili alla stessa organizzazione criminale, il cui giro d'affari è stato stimato dagli inquirenti in circa 25 milioni di euro l'anno.



Denuncia delle Autoscuole: in aumento le patenti di guida false per gli immigrati.
Per il sindacato dei gestori Confarca, l’abolizione dell’esame in lingua ha aumentato l’illegalità.
Immigrazioneoggi, 15-01-2013
Un danno per le autoscuole e un serio problema di legalità per l’Italia. Questo ha comportato l’abolizione dell’esame in lingua per il conseguimento della patente di guida da parte degli immigrati. A denunciarlo è stato Pino Russo, presidente della Confederazione autoscuole riunite e consulenti automobilistici (Confarca).
Secondo Russo, infatti, a rendere difficile la vita ai titolari di autoscuole, oltre all’aumento di costi derivanti dalla direttiva europea sugli esami di guida che entrerà in vigore il prossimo 19 gennaio, è stata anche la norma che di fatto ha vietato di far sostenere agli immigrati l’esame per la patente nella propria lingua. “Ora – dice Russo – sono previste solo tre lingue, cioè inglese, francese e italiano, e questo taglia fuori molti cittadini stranieri”. Oltretutto, spiega ancora Russo, “in certe zone ad alta densità di presenza straniera i titolari di autoscuole si erano organizzati con insegnanti in madrelingua cinese o altro e questo aveva portato molta clientela”. Il danno, dice Russo, “non è stato solo economico, ma anche di legalità perché la conseguenza del giro di vite sulla lingua è che ora girano molte patenti false”.

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