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Rassegna ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli
iscritti UIL

 

 

 

 

Anno XI n. 23 del 15 luglio 2013

 

Consultate www.uil.it/immigrazione

Aggiornamento quotidiano sui temi di interesse di cittadini e lavoratori stranieri

 

Verso il superamento del divieto di accesso al lavoro nel pubblico impiego per gli stranieri

Accesso al lavoro nella pubblica amministrazione: verso il superamento del divieto per gli stranieri

E’ stata approvata lo scorso 10 luglio, dalla XIV Commissione Permanente del Senato (Politiche dell’Unione Europea) la Legge Europea 2013 (AS 588). Tra le modifiche, segnaliamo una di forte interesse nel campo dell’immigrazione: verrà garantito l’accesso di cittadini di Paesi Terzi a settori e funzioni del pubblico impiego (esclusi quelli di interesse nazionale). In pratica – su indicazione europea - verrà modificato l’art. 38, comma 1, del Testo Unico del pubblico impiego (dlgs 165/2001) permettendo che anche gli stranieri possano lavorare nella pubblica amministrazione. Infatti, oltre ai cittadini comunitari, lo potranno fare anche: a) loro familiari privi di cittadinanza dell’Unione titolari di permesso di soggiorno permanente; b) rifugiati politici e titolari di protezione sussidiaria; c) cittadini di Paesi Terzi titolari di permesso CE di lungo periodo. E’ un cambio in qualche modo epocale.



 

 

 

 

 

SOMMARIO

 

 

 

 

Appuntamenti pag. 2

 

Legge Europea: immigrati e pubblico impiego pag. 2

 

Cittadinanza prossima, convegno Ital – UIL pag. 3

 

Kyenge: cittadinanza, servono regole UE pag. 4

 

Regolarizzazione: ecco cosa cambia pag. 5

 

Demografia: il boom africano pag. 6

 

Centri di espulsione: una giornata al CIE di Milo (Trapani) pag. 8

Croazia nella UE, in vigore la moratoria pag.11

 

Semplificazione, per tutti ma non per gli immigrati pag. 12

 

Notizie in breve pag. 14

 

 

 

 

 

 

A cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil

Dipartimento Politiche Migratorie

Tel. 064753292- 4744753- Fax: 064744751

E-Mail polterritoriali2@uil.


Dipartimento Politiche

Migratorie: appuntamenti


 

 

 

 

 


(Giuseppe Casucci)

Roma, 12 luglio 2013, CIR, via del Velabro, ore 10

Riunione del Comitato direttivo

(Giuseppe Casucci)

Roma, 15 luglio 2013, sede Parlamento Europeo, ore 09.00

Incontro con la speciale rappresentante OSCE per la lotta al trafficking

(Giuseppe Casucci)

Roma, 15 luglio 2013, sede CNEL, ore 10.00

Riunione ONC Immigrazione: rapporto Immigrati e mercato del lavoro

(Giuseppe Casucci)

Roma, 18 luglio 2013, sede CNEL, ore 10.00

Riunione ONC Immigrazione: rapporto indici di integrazione

(Giuseppe Casucci)


 

 

Legge Europea 2013

 


http://www.immigrazione.biz/img/ico_allegato.gif“Accesso di alcune categorie di stranieri alle pubbliche amministrazioni”

Verso l’abolizione del divieto al lavoro nel pubblico impiego per i cittadini di Paesi Terzi lungo soggiornanti?

Approvata dalla XIV Commissione del Senato, la legge A.S. n. 588


(redazionale) Roma, 11 luglio 2013 – E’ stata approvata ieri, dalla XIV Commissione Permanente del Senato (Politiche dell’Unione Europea) la Legge Europea 2013 (AS 588). Tra le modifiche, segnaliamo una di forte interesse nel campo dell’immigrazione: l’accesso di cittadini di Paesi Terzi a settori e funzioni del pubblico impiego (esclusi quelli di interesse nazionale). In pratica – su indicazione europea - verrà modificato l’art. 38, comma 1, del Testo Unico del pubblico impiego(dlgs 165/2001) permettendo l’accesso a lavori nella pubblica amministrazione, oltre ai cittadini comunitari, anche a: 1) loro familiari privi di cittadinanza dell’Unione titolari di permesso di soggiorno permanente; 2) rifugiati e titolari di protezione sussidiaria; 3) cittadini di Paesi Terzi titolari di permesso CE di lungo periodo.

In realtà moltissime sentenze di tribunali italiani – specie negli ultimi mesi - hanno censurato ripetutamente l’esclusione di cittadini stranieri dai bandi pubblici, non limitandosi di sentenziare a favore dei titolari dell’ex carta di soggiorno, ma dando ragione anche ai titolari di permesso di soggiorno per lavoro (superiore ad un anno). Come ha fatto notare spesso l’ASGI (associazione studi giuridici sull’immigrazione), “la giurisprudenza in questione deve ritenersi regolata dalla Convenzione ILO 143”, ratificata dall’Italia nel 1981, “che stabilisce la parità tra cittadini autoctoni e stranieri nell’accesso al pubblico impiego”, consentendo limitazioni nell’accesso solo “quando ciò sia indispensabile alla tutela dell’interesse nazionale”. L’art. 38 del TU pubblico impiego, commenta ASGI, utilizza la medesima nozione di “interesse nazionale” per limitare l’accesso degli stessi cittadini comunitari, sicché – secondo la citata giurisprudenza - ai lavoratori extracomunitari debbono ormai essere applicate soltanto le limitazioni che valgono anche per i comunitari. Quindi: esclusione dai concorsi per le posizioni di lavoro che comportino esercizio di particolari pubbliche funzioni; libero accesso a tutte le altre posizioni.

Le modifiche approvate dalla XIV Commissione del Senato (e che dovranno ora andare al voto dell’Aula) allargano invece solo ai lungo soggiornanti il diritto di partecipare ai bandi pubblici: da qui la critica di ASGI. Per quanto ci riguarda, il Dipartimento Politiche migratorie della UIL considera l’apertura al pubblico impiego di cittadini stranieri – sia pure con limitazioni- un importante e concreto passo in avanti nella messa al bando delle discriminazioni verso i cittadini e lavoratori non nati nel nostro Paese. Peccato che questi adeguamenti della nostra normativa non avvengano sulla base della libera contrattazione tra le parti sociali, ma ci vengano di fatto imposti dalla legislazione comunitaria e dalle Convenzioni Internazionali. Un motivo in più per riflettere. La UIL lo ha cominciato a fare in un convegno, realizzato lo scorso 28 marzo, e dedicato proprio al tema delle “discriminazioni sul lavoro di cittadini stranieri di Paesi terzi”.

Di seguito il testo delle modifiche in approvazione:

Articolo 8

(Accesso di alcune categorie di stranieri alle pubbliche amministrazioni)

1. All’articolo 38, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, dopo le parole: «Unione europea» sono inserite le seguenti: «e i loro familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente»;

b) dopo il comma 3 è aggiunto il seguente:

«3-bis. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 si applicano ai cittadini di Paesi terzi che siano titolari del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo o che siano titolari dello status di rifugiato ovvero dello status di protezione sussidiaria».

2. All’articolo 25, comma 2, del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, dopo la parola: «rifugiato» sono inserite le seguenti: «e dello status di protezione sussidiaria».


 

Cittadinanza


Seminario Ital – UIL

Cittadinanza prossima

La difficile strada della riforma della legge sulla cittadinanza nel dibattito dei quadri della UIL, Ital e OIM.

Di Angela Scalzo


Roma, 12 luglio 2013 - Si è tenuta lo scorso 10 luglio, presso la sala conferenze ICRCPAL a Roma, il seminario promosso da Ital UIL e dalla UIM “Cittadinanza prossima: donne immigrate a confronto”. L’evento veniva a conclusione di una ventina di iniziative sullo stesso tema, promosse e realizzate dall’Ital e dalla UIL in varie città d’Italia e rappresenta un contributo informativo e culturale che la UIL, attraverso i suoi istituti, intende dare a livello nazionale sul tema - ormai di dibattito pubblico - della riforma della legge sulla cittadinanza. L’iniziativa di Roma è stata moderata dal vicepresidente Ital Alberto Sera, ed ha visto un’ampia partecipazione femminile, sia italiana che immigrata. Con relazioni della ricercatrice sociale Angela Scalzo, l’antropologa Pilar Saravia, la pedagoga Nezha Ouarc, nonché altri importanti contributi venuti da Rossella Giangrazi, segretario Uil di Roma e del Lazio; Maria Grazia Brinchi, presidente di Progetto Donna Centro Studi Lazio. Importante anche le molteplici testimonianze venute da numerose mediatrici culturali straniere. I lavori sono stati conclusi da Guglielmo Loy, Segr. Confederale UIL. Alberto Sera, nell’ambito delle iniziative territoriali che lo vede impegnato sui diritti di cittadinanza, ha presentato, presso la suggestiva sala della biblioteca dell’Istituto Centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio artistico librario, l’innovativo servizio di mediazione linguistico culturale denominato “Diritti immediati”. Un servizio nato nel 2009 con il contributo di alcune mediatrici, di varia nazionalità, che oggi hanno creato un’associazione propria, composta tutta di donne che ha quale obiettivo, non solo l’offerta di servizi, ma la promozione della cultura dei diritti fra la popolazione immigrata e quella autoctona.

Basti pensare alle mille utenze registrate nei suoi 4 anni di attività, ed alle 44 nazionalità rappresentante che rispecchiano la policentricità delle presenze migranti a Roma, con una maggioranza di Filippini, pari al 15% vista la collocazione del servizio nel II° Municipio. Ma anche dei Moldavi con oltre il 13%, l’Ecuadoriani con il suo 11.3%, afferma Piero Bombardieri che ne ha elaborato i dati. Un servizio di eccellenza che può servire da buona prassi a livello nazionale se analizziamo la provenienza dell’utenza che raccoglie ben 62,8% di residenze romane ed oltre il 30,% di provenienze dell’Hinterlan Romano (Morlupo, Campagnano, Fiano, Monterotondo). “Al di la dei risultati importanti già conseguiti dal servizio “diritti immediati”, afferma nella sua relazione Angela Scalzo, sia da punto di vista quantitativo ma soprattutto da quello qualitativo, rappresentato direttamente dalla viva voce delle autrici, a noi interessa la loro autodeterminazione ed il possibile ruolo innovativo che le stesse possono portare avanti, nel tentativo di dimostrare che a partire dai bisogni e dalle relative risposte è possibile promuovere la cultura della diversità arricchente, in un Paese, come il nostro, che partito disorganicamente, in ambito migratorio, ma in maniera qualitativa in molte regioni italiane, fra le quali il Lazio, si è man mano omologato, però, ad una politica tendente al ribasso e spesso anche discriminatoria. Certo non ha aiutato la politica del precedente governo e neanche l’ancora attuale legge Bossi Fini ma oggi è ora di dare una svolta anche culturale , in aggiunta a quella legislativa, alle politiche ed alle offerte educative e formative oltre che dei servizi e, questo convegno va nella giusta direzione. “ …” In ogni caso vorrei ribadire , dice in conclusione la Scalzo, in rappresentanza di SOS Razzismo e del Dipartimento Politiche migratorie della UIL, che il diritto di cittadinanza agli stranieri è gradito alla maggioranza della popolazione italiana. Secondo una ricerca dell’Istat del luglio 2012 “I migranti visti dai cittadini”, il 72,1% degli italiani è favorevole al riconoscimento alla nascita della cittadinanza italiana ai figli di immigrati nati nel nostro Paese. E il 91,4% ritiene giusto che gli immigrati, che ne facciano richiesta, ottengano la cittadinanza italiana dopo un certo numero di anni di residenza regolare nel nostro Paese”. “È italiano chi nasce in Italia da genitori regolarmente residenti da almeno cinque anni, oppure chi arriva qui entro i dieci anni e conclude un ciclo scolastico (scuole elementari, medie o superiori) o un percorso di formazione professionale”. Dice l’ultima proposta del ministro per l’integrazione Kienge. Affermazione, quest’ultima che vede concordi tutte le quattro mediatrici linguistico culturali presenti :Ouarc, Bandong, Voitenco e Yanqui, rispettivamente di provenienza dal Marocco, Filippine, Moldava e Ecuadoriana i quali pensano sia giunto il momento di ampliare anche in Italia lo “ ius soli”, cioè l'acquisizione della cittadinanza italiana per nascita sul territorio e anche il nostro diritto in qualità di donne di prima generazione. “Noi saremo sempre al fianco di che rivendica il giusto diritto ad una cittadinanza attiva, aperta e partecipata”. Mentre Grazia Brinchi , presidente di Progetto donna Lazio, nel suo intervento ha sottolineato l’aspetto legato alle paro opportunita “Nasciamo diversi ma uguali: questo é il principio della Biodiversità su cui l’umanità nel corso dei millenni ha costruito il suo cammino, passando per le varie fasi della sua evoluzione “, dice la Brinchi e le pari opportunità sono nate come strumento per contrastare la rigidità di modelli di vita che mettono in discussione i valori di convivenza, gli stereotipi imposti dalla cultura delle differenze, al fine di consentire la crescita di una società più aperta e perciò più ricca in quanto capace di fare tesoro delle opportunità offerte dalle diversità.”

Ha concluso i lavori Guglielmo Loy, ringraziando l’Ital e la UIM per il diffuso dibattito realizzato nel territorio su di un tema tanto centrale per i processi di integrazione multi etnica nel nostro Paese. Il segretario confederale UIL ha ricordato che la nostra Organizzazione è a favore di uno ius soli temperato, rendendo maggiormente fruibile la cittadinanza per i minori, figli di immigrati residenti in Italia da almeno 5 anni, o che abbiano completato almeno un ciclo scolastico. “Nel 1992 – ha ricordato Loy - gli stranieri residenti registrati risultavano essere 537.062”. E’ l’anno in cui fatta divenne vigente la legge 91 sulla cittadinanza, una legge che necessariamente risentiva del minimo impatto sulla nostra società delle migrazioni. “Oggi, con una presenza di stranieri residenti vicina all’8% della popolazione complessiva e di dieci volte superiore al 1992, la società italiana è certamente molto cambiata rispetto vent’anni fa”. Da allora, cioè, è mutata la composizione e la qualità della società civile, oggi assai lontana da quella chiamata nel 1991 a sottoscrivere il contratto sociale. “Da qui – ha ribadito l’oratore - la necessità e l’urgenza di riscrivere le regole di civile convivenza, basandosi su nuovi parametri e valori di riferimento”. Loy ha riconosciuto che il dibattito sulla cittadinanza in questo Paese è notevolmente maturato: “oggi non c’è più la contrapposizione netta tra destra e sinistra su questo argomento; in Parlamento è stato creato un intergruppo che lavora sulla riforma della cittadinanza, che vede la presenza di quasi tutti gli schieramenti, eccetto la Lega”. “Passi in avanti, dunque, si sono fatti e ci sono maggiori probabilità di arrivare ad un cambio della legislazione, quadro politico permettendo”. “Vorremmo però, ha concluso l’oratore, che la scelta della cittadinanza sia per uno straniero il frutto di una convinzione e di una decisione consapevole, e non l’espediente da utilizzare per aggirare una brutta legge, come quella attuale, la Bossi Fini”. Per fare ciò, la UIL propone permessi di soggiorno di lungo periodo maggiormente fruibili e naturalizzazione in tempi ragionevoli. “E’ tutta la materia, ha concluso il dirigente UIL, che va ripensata, non solo l’aspetto sia pur importante che riguarda i minori nati in Italia”.



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Kyenge: regole uguali per gli immigrati in tutta la Ue

Immigrazione: intervista al Ministro Kyenge


Roma, 9 luglio 2013 - Ministro Cécile Kyenge, il Papa a Lampedusa ha detto a proposito degli immigrati: «I morti in mare sono una spina nel cuore». E ha ammonito: «Mai più». Ecco, partiamo da qui. «Sì. Condivido in pieno le parole del Pontefice. Quello che Papa Francesco ha fatto è un gesto simbolico molto forte».

Lei è il ministro per l’Integrazione. L’integrazione presuppone l’accoglienza, ma anche l’accoglienza ha delle regole. Perciò le chiedo subito: non pensa che l’immigrazione vada in qualche modo disciplinata? «Mettere la sicurezza al primo posto nell’affrontare le tematiche dell’immigrazione presuppone un modo di affrontare il fenomeno migratorio lontano dal modo in cui lo intendo io. Il fenomeno migratorio lo si può considerare da diversi punti di vista. Quello che io prediligo è l’approccio inclusivo e accogliente. A questo proposito, la visita del Papa è stata un gesto fondamentale. Certo, privilegiare l’aspetto dell’accoglienza, come faccio io, non significa fare una politica priva di regole e soprattutto di regole condivise. Ma bisogna partire dal fatto che una persona che arriva non necessariamente è un delinquente». A che punto è la sua legge sulla cittadinanza? Qual è il modello di immigrazione che lei sta disegnando per l’Italia?
«La legge non è la “mia” legge, ma è un percorso che si sta facendo tra diverse forze politiche. In Parlamento ci si confronterà per arrivare a una proposta condivisa tra le quasi venti proposte in materia che sono già state presentate. Questo sarà il terreno di partenza per elaborare una proposta di legge». C’è un denominatore comune tra le proposte dei vari gruppi politici?
«Il tema che risalta un po’ di più è quello della residenza: la tendenza a uno “ius soli temperato”, se vogliamo chiamarlo così». Sarà questa la via italiana alla nuova cittadinanza?
«No, in questo momento non c’è ancora un modello ufficiale uscito dalla Commissione Affari costituzionali». Ma che significa “ius soli temperato”?
«Significa che servirà innanzitutto un certo numero di anni di residenza dei genitori sul territorio. Da lì si potrà cominciare a valutare se i figli potranno prendere subito la cittadinanza o dopo alcuni anni. E’ chiaro che questa proposta deve uscire da un percorso di valutazione della Camera. In questo momento la Commissione Affari costituzionali sta prendendo in esame tutte le proposte arrivate fino ad oggi». Ministro, lei domani (oggi, n.d.r.) sarà a Bruxelles per un’audizione alla Commissione Libertà civili del Parlamento europeo. Che cosa dirà?
«Cercherò di verificare la possibilità di affrontare il problema dell’immigrazione a livello europeo, di trovare regole condivise anche a livello europeo. D’altronde se una persona prende la cittadinanza in Francia, quella persona ha la cittadinanza europea, quindi forse sarebbe il caso di cominciare a ragionare tutti insieme per darsi delle regole comuni».
Qual è la sua idea sui campi rom?
«Sui rom esiste un tavolo europeo, con regole adottate da tutti i Paesi. Per quanto riguarda l’Italia, noi seguiamo quattro punti: istruzione, lavoro, welfare e casa. Cerchiamo di vedere come applicare queste linee-guida sul nostro territorio. Ma è una politica che non ho creato io, l’ho già trovata qui. Io cerco di dare solo una certa continuità a queste idee».
Concludendo, è ottimista per l’approvazione in tempi brevi di una legge sulla cittadinanza?
«Sono soddisfatta per aver sollevato un dibattito così ampio a livello nazionale. E’ già un risultato perché fino a pochi mesi fa neppure se ne parlava».


 

 

 


Regolarizzazione, ecco cosa cambia in base al decreto lavoro

Circolare congiunta interno lavoro (prot. N. 4417 dello scorso 10 luglio 2013)


Roma, 12 luglio 2013 - In una nuova circolare congiunta Interno Lavoro (prot. N. 4417 dello scorso 10 luglio), i due ministeri forniscono ulteriori chiarimenti relativi ad alcuni aspetti della procedura e applicazione del DL 28 giugno 2013 n. 76 "Primi interventi urgenti per la promozione dell'occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti". Interviene, innanzitutto, sulle cosiddette “black list”, nelle quali erano finiti i datori di lavoro che in passato avevano presentato domande per i flussi di ingresso o per la regolarizzazione ma poi  non avevano poi portato a termine l’assunzione. Finora, chi si trovava in questa situazione, veniva automaticamente bocciato con un parere negativo dalle Direzioni Territoriali del Lavoro. La circolare invita ora a chiedere spiegazioni al datore di lavoro per questi comportamenti e a “valutare caso per caso” le sue giustificazioni.  Queste andranno “considerate in base ai principi di ragionevolezza e buona fede”,  le Direzioni territoriali del lavoro (DTL) le “rivaluteranno opportunamente” e potranno, eventualmente, anche modificare un parere precedentemente espresso.

Vengono poi recepite le novità introdotte recentemente dal Decreto Lavoro (dl 76/2013).

Se la domanda viene bocciata per “cause imputabili esclusivamente al datore di lavoro”, i contributi sono stati pagati e c’è la prova di presenza in Italia dal 2011, al lavoratore  va rilasciato un permesso per attesa occupazione della durata di un anno. La regola vale anche per domande bocciate negli scorsi mesi, quindi ora gli Sportelli Unici dovranno riconvocare i lavoratori, un passaggio che non sembra facilissimo, considerato che tanti potrebbero aver fatto perdere le loro tracce. Sempre sulla base di quel decreto legge, anche se il rapporto di lavoro è finito prima della convocazione allo Sportello Unico per l’Immigrazione, il lavoratore potrà ottenere un permesso per attesa occupazione. E se quando andrà in Questura a lasciare le impronte digitali avrà trovato un nuovo lavoro, presentando una copia della comunicazione d’assunzione “potrà ottenere direttamente un permesso di soggiorno per lavoro subordinato”. Diventa poi più elastica la valutazione del reddito per chi ha chiesto di regolarizzare dei lavoratori domestici.  Se bisogna far valere i “redditi congiunti di più familiari” e la DTL ha espresso un parere positivo con riserva per la difficoltà di verificarli, lo Sportello Unico potrà controllare la documentazione presentata successivamente, ed eventualmente sciogliere la riserva. Inoltre, nel caso di assunzione di più domestici, non va effettuata “un’automatica moltiplicazione del reddito (es. 20 mila euro per un domestico, 40 mila per due domestici, ecc.), ma la DTL dovrà valutare caso per caso la situazione reddituale complessiva del datore”. Per la regolarizzazione di una o più badanti, caso in cui non è prevista una soglia di reddito per l’assunzione, il bisogno di assistenza può essere documentato sia con un “provvedimento di riconoscimento dell’invalidità civile”,  sia con un’attestazione rilasciata dal medico di famiglia iscritto al Servizio sanitario nazionale. In mancanza di questa certificazione, scatta la valutazione del reddito del datore di lavoro. Infine, via un altro ostacolo. “La mancanza di idoneità alloggiativa – spiega la circolare - non può essere ostativa alla procedura di regolarizzazione”. Questa va richiesta, “ma non può essere considerata da sola quale motivazione di un rigetto”. Insomma se ci sono tutti gli altri requisiti, ma il lavoratore vive in una casa troppo piccola, non c’è motivo di negargli il permesso di soggiorno. Scarica la circolare:

Circolare congiunta Interno/Lavoro prot. nr. 4417 del 10.07.2013. Oggetto: Emersione dal lavoro irregolare D. Lgs. 109/2012. Chiarimenti su taluni aspetti della procedura e applicazione del DL 28 giugno 2013 n. 76 "Primi interventi urgenti per la promozione dell'occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti".


 

Demografia

 


Popolazione mondiale, Asia + 40% ed Africa verso il triplo prima del 2050

Africa a 3,2 miliardi di abitanti, mentre Europa e Italia perderanno quote di popolazione autoctona.


Roma, 8 Luglio 2013 - A volte la demografia può essere ingannevole e le simulazioni sui trend demografici possono assomigliare al gioco del lotto. Questo perché le previsioni degli esperti sono necessariamente basate su di un insieme di supposizioni e di variabili che ipotizzano – allo stesso tempo - futuri paralleli o alternativi completamente diversi. Eppure le previsioni venute dal World Population Prospects 2012 sono davvero impressionanti e gravide di pesanti conseguenze se i gap demografici, ma anche sociali continueranno ad essere così grandi tra Nord e Sud del Mondo. Prendiamo i dati mondiali: secondo l’organismo delle Nazioni Unite, la popolazione crescerà tra oggi ed il 2050 da 7 a 11 miliardi di persone. Ci sono aree, però, destinate alla stasi demografica o addirittura ad una decrescita (ad esempio l’Europa). Altre – come Asia ed Africa – destinate a crescite esponenziali. E per noi che siamo una delle porte sul Mediterraneo, questo ci dovrebbe preoccupare perché crescita di popolazione in Africa, significa quasi automaticamente maggior pressione migratoria. Il messaggio che viene dalle previsioni di WPP è dunque preoccupante, specie in una fase di forte crisi economica come l’attuale. Il rapporto rivela che la popolazione delle regioni sviluppate rimarrà sostanzialmente invariata a circa 1,3 miliardi di persone da qui al 2050. Al contrario, i 49 paesi meno sviluppati sono proiettati a raddoppiare la loro popolazione attuale passando da circa 900 milioni di persone a 1.8 miliardi a metà secolo.

Rispetto alle precedenti valutazioni sulle tendenze della popolazione mondiale, la nuova popolazione totale prevista è superiore, soprattutto per via dei nuovi dati aggiornati ottenuti sui livelli di fertilità di alcuni paesi principalmente nel continente africano e in Asia. Per esempio, in 15 paesi ad alta fertilità dell'Africa sub-sahariana, il numero medio stimato di figli per donna è rettificato in aumento di oltre il 5 per cento. L'India afferma il rapporto è destinata a diventare il più grande paese al mondo per numero di abitanti, sorpassando la Cina intorno al 2028. Nel frattempo, si prevede che la popolazione della Nigeria supererà quella degli Stati Uniti entro il 2050.

imagesPer quanto concerne la popolazione europea, il rapporto prevede invece un calo del 14 per cento , cosa che rende più dura la sfida del Vecchio Continente di fornire un welfare adeguato, mantenendo nel contempo l’equilibrio economico dei propri conti. E questo a causa di un rapido invecchiamento della popolazione.

Osservando i dati forniti nel documento e la tabella inerente le proiezioni per paese sul totale della popolazione partendo dall’anno 2000 al 2050, possiamo notare che le previsioni per l’Italia registrano dei trend  al ribasso (nel 2010 – 60.509.000 abitanti; nel 2025 – 61.335.000; nel 2050 – 55.997.000), tutto ciò dovuto a un basso livello di fertilità che porta la popolazione ad invecchiare. Nel complesso, nei prossimi anni l'aspettativa di vita è prevista in aumento nei paesi sviluppati e in quelli in via di sviluppo. A livello globale, si prevede di raggiungere mediamente i 76 anni nel periodo 2045-2050 e di 82 anni nel 2095-2100. Entro la fine del secolo, infine, le persone nei paesi sviluppati potrebbero vivere in media circa 89 anni, a fronte di circa 81 anni nelle regioni in via di sviluppo. I dati del rapporto si basano su una revisione completa dei dati demografici disponibili di 233 paesi e aree del mondo, inclusi i vari censimenti della popolazione del 2010. Secondo il World Population Prospects a crescere demograficamente sarà soprattutto l'Africa Orientale. Alcuni esempi: Uganda e Tanzania potrebbero superare i 200 milioni di abitanti entro la fine del secolo, il Kenya potrebbe arrivare a contare 160 milioni di persone.  Si tratta di crescite dirompenti se si considera che, per esempio,l'Uganda di oggi ha circa 28 milioni di abitanti. Se realmente superasse i duecento milioni entro fine secolo sarebbe il paese con il tasso di crescita demografico più alto a livello mondiale. Non deve ingannare l'arco di tempo considerato, cioè la metà del secolo in corso. E' vero che mancano 37 anni. Ma il problema non sono le cifre finali, bensì la tendenza, cioè quanto significativi sono gli incrementi in tempi che interessano la politica e la società oggi. Un esempio sempre riferito ai dati diffusi dal World Population Prospects che dice che in Kenya la popolazione è destinata a crescere di circa un milione di abitanti all'anno, cioè circa tremila persone in più al giorno. Sempre secondo il W.P. Prospects più della metà della crescita della popolazione da qui al 2050 si verificherà in Africa dove potrebbe passare dagli attuali oltre un miliardo di persone a 3,2 miliardi nel 2050. Questo potrebbe tradursi in un movimento migratorio di almeno un miliardo di persone, solo nel Vecchio Continente. Si tratta di tendenze, come detto. E non bisogna fidarsi molto Le tendenze mutano, sono influenzate da eventi, politiche interne, malattie, fattori climatici, guerre, e molte altre variabili. Quello che conta è il tasso di fertilità che per l’Africa è attualmente 4,88 figli per donna, in Europa è 1,54 ed in Italia è solo 1,39.


 

 

 

Mediterraneo

 


Mare Nostrum: più di 8 mila migranti approdati in Italia e a Malta nel corso del 2013
Appello dell’Unhcr ai pescherecci e ai comandati delle navi: “restino vigili e adempiano al proprio dovere di soccorrere le imbarcazioni in pericolo”.


Sono circa 8.400 i migranti e i richiedenti asilo che nei primi 6 mesi dell’anno sono approdati sulle coste italiane e maltesi. Sono le stime dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) secondo cui la maggioranza, 7.800, è arrivata in Italia e circa 600 a Malta.
L’Unhcr ha anche registrato la morte di circa 40 persone che cercavano di attraversare il Mediterraneo nel tratto compreso tra il Nord Africa e l’Italia. La cifra si basa sulle interviste raccolte tra coloro che hanno raggiunto l’Europa via mare.
Per quanto riguarda i rifugiati, si tratta soprattutto di persone partite dal Nord Africa, in particolare dalla Libia (circa 6.700). Gli altri 1.700 hanno invece attraversato il mare da Grecia e Turchia per sbarcare in Puglia e Calabria. I principali luoghi d’origine di questi migranti e richiedenti asilo sono i Paesi dell’Africa sub-sahariana – in particolare Somalia ed Eritrea – ma anche Egitto, Pakistan e Siria. Numeri più limitati di persone provengono anche da Gambia, Mali e Afghanistan. Il Mediterraneo è uno dei tratti di mare più percorsi del mondo e costituisce una pericolosa frontiera marittima per i migranti e richiedenti asilo diretti verso i Paesi dell’Europa meridionale. Alla luce di tali rischi l’Unhcr reitera la propria esortazione a tutte le imbarcazioni in navigazione affinché restino costantemente allerta sulla presenza di migranti e rifugiati che hanno bisogno di essere soccorsi. L’Agenzia inoltre rinnova il proprio appello a tutti i comandanti di nave in navigazione nel Mediterraneo affinché restino vigili e adempiano al proprio dovere di soccorrere le imbarcazioni in pericolo. In base al diritto internazionale ed europeo gli Stati devono garantire che le persone intercettate o soccorse in mare che chiedono asilo abbiano accesso al territorio e a una procedura d’asilo, nell’ambito della quale le loro necessità o richieste di protezione internazionale possano essere esaminate. Nel corso dell’intero 2012 erano circa 15mila i migranti e richiedenti asilo che avevano raggiunto via mare le coste italiane (13.200) e maltesi (1.800). (Red.)



Manconi: “19 mila morti nel Mediterraneo dal 1988”


"Nel corso del 2011, ogni giorno 5/6 migranti provenienti dall'Africa hanno perso la vita nel mare Mediterraneo, nel tentativo di raggiungere le coste dell'Italia e dell'Europa". E' quanto afferma il senatore del Partito Democratico Luigi Manconi, presidente della Commissione speciale per la tutela dei diritti umani a Palazzo Madama. "Lunedi' prossimo Papa Francesco si rechera' nell'isola di Lampedusa- sottolinea Manconi- e, tra l'altro, lancera' in mare una corona di fiori in memoria di quanti sono morti in quelle acque. Il pontefice fara', dunque, quel gesto che le autorita' politiche e istituzionali italiane non hanno ritenuto opportuno fare. Il mare Mediterraneo, nel corso degli ultimi venticinque anni, ha inghiottito migliaia di cadaveri: uomini, donne e bambini che, partendo dalle coste africane, cercavano un'opportunita' di vita nel nostro continente. Queste le cifre crudeli, stimate per difetto, sulla base di dati parziali e di fonti internazionali, da A Buon diritto Onlus - di un'autentica strage". "Dal 1988 sono circa 19mila, piu' di due al giorno, le persone disperse- conclude il presidente della Commissione Diritti Umani- o il cui corpo e' stato ritrovato privo di vita. Nel corso del 2011, le vittime sono state oltre duemila. Nel 2012 circa 500 . Nei primi mesi del 2013 poco meno di 200. E i mesi estivi annunciano altre tragedie".


 

 

 

 

Centri di espulsione


Cie di Milo, “uno zoo per esseri umani”

Il racconto della visita al Centro di identificazione ed espulsione in provincia di Trapani di una delegazione internazionale. “Gli stranieri reclusi sono disperati e non sognano altro che di scappare da quella che è solo una prigione” - http://www.redattoresociale.it/


Milo, Trapani, 29 giugno 2013 - “A vederlo potrebbe sembrare uno zoo ad alta sicurezza, costruito per contenere bestie feroci e tenerle ben lontane dai pacifici visitatori. Eppure, dentro le gabbie non vi sono fiere (e sarebbe comunque crudele tenerle lì), ma esseri umani la cui unica ‘colpa’ è di essere entrati nel Belpaese senza autorizzazione”. E’ l’incipit del resoconto sul Cie di Milo (Trapani) visitato nei giorni scorsi da una delegazione composta da esponenti di Egam, una rete internazionale antirazzista, da diversi mediatori culturali, da alcuni sindacalisti e da due parlamentari: Davide Faraone del Pd e Erasmo Palazzotto di Sel. Ecco il racconto di tre membri della delegazione: Giuseppe Casucci, coordinatore nazionale del Dipartimento politiche migratorie della Uil; Piero Soldini, responsabile nazionale immigrazione della Cgil e Angela Scalzo, segretario generale Sos Razzismo Italia. "Siamo arrivati a Milo con un autobus verso le 10.30 del mattino, provenienti da Palermo. La burocrazia ci ha bloccato a lungo prima di poter entrare. Inizia un tira e molla tra i funzionari: quanta libertà di movimento ci può essere concessa? Chi controlla i visitatori che parlano altre lingue? Quanto ci si può avvicinare? La presenza dei parlamentari, comunque, fa gioco e dopo un po’ ci lasciano entrare”. All’interno della struttura, prosegue il racconto, “sorgono altre quattro aree abitate dai reclusi e pesantemente recintate e guardate a vista notte e giorno. Aree tra di loro separate, isolate dietro cancelli in acciaio alti almeno quattro metri e divise da larghe vie incessantemente pattugliate da militari. Al di fuori, oltre ai sistemi di vigilanza elettronica, militari bardati in equipaggiamento antisommossa, ci guardano circospetti mentre mostriamo il desiderio di avvicinarci alle cancellate per parlare con chi sta dietro le sbarre. Sono sempre pronti alla bisogna, anche perché i 102 stranieri reclusi sono davvero disperati e non sognano altro che di scappare da quella che – senza dubbio – è solo una prigione. Loro si sentono reclusi, anche se i funzionari – con un eufemismo davvero fuori luogo – li definiscono ‘ospiti’”. “La nostra delegazione è stata divisa in due tronconi separati e avviata lungo i percorsi interni alle aree recintate. Ogni tentativo di avvicinarsi alle cancellate, dove è già presente l’altro troncone della nostra delegazione, viene negato e veniamo invitati un po’ sbrigativamente a spostarci per ‘ragioni di sicurezza’. E’ questo un leit motiv, che verrà utilizzato da guardie, militari e funzionari per tutta la durata della visita. Mentre il nostro gruppo sfila tra gli spazi che separano le quattro enormi gabbie, da dietro le inferriate volti in prevalenza scuri si affacciano a guardarci, le braccia e le mani protese verso di noi, mentre ci gridano e tentano di raccontare la loro sfortunata traversia individuale. Hanno solo quelle occasioni (la visita di delegazioni ufficiali) per tentare di far filtrare la propria storia. Vogliono poter parlare con noi: raccontare il proprio individuale percorso di migrazione, comunicare nomi e numeri di cellulare propri, di parenti, della famiglia in patria; vogliono denunciare le dure condizioni di detenzione, chiedere aiuto. Ma non è così facile: i funzionari che ci accompagnano sono restii a farci avvicinare: l’imperativo naturalmente, la loro parola magica rimane la nostra ‘incolumità personale’ da garantire. Ma da dietro quelle gabbie non vediamo volti ostili, ma solo esseri umani che lanciano una disperata richiesta di aiuto”. “Tra i funzionari e vigilanti, alcuni appaiono nervosi e si mostrano poco propensi al dialogo. Altri, invece, mostrano gentilezza e un po’ di compassione per le persone recluse. In particolare, ci è sembrata apprezzabile la disponibilità delle assistenti sociali, pronte a mostrarci le schede di alcuni reclusi, correggendo il loro racconto, ma anche raccontando la loro storia e indicando per alcuni la possibilità di soluzioni positive”. “Superati alcuni sbarramenti, entriamo nell’area più interna al centro. Al di là delle cancellate, si intravvedono grandi strutture metalliche – dall’apparenza magazzini - che presumibilmente contengono gli alloggi dove i reclusi vivono confinati. Non ci è permesso di entrare all’interno ed anche la richiesta che una piccola delegazione degli ‘ospiti’ possa uscire a parlare, viene sbrigativamente rifiutata. Alle nostre rimostranze, la risposta è sempre la stessa: ‘sappiamo noi come gestire la sicurezza delle persone in questo luogo’. Il  funzionario che accompagna la delegazione su questo è categorico. Non siamo dunque in grado di testimoniare sulla  qualità degli ambienti dove gli immigrati vivono e ci dobbiamo basare solo su quanto raccontato da alcuni di loro. Molte di quelle persone sono condannate a rimanere lì confinate, anche fino a 18 mesi ed a restare nella prigione di Milo – o in altri simili centri - come detenuti, senza aver commesso alcun reato tranne quello di immigrazione irregolare, abominio giuridico inventato nel 2009 dal governo di centrodestra”. 


 

 


Cie di Milo, i reclusi: “Qui dentro si soffoca”

Una delegazione internazionale visita il Centro di identificazione ed espulsione in provincia di Trapani e raccoglie le testimonianze. Un funzionario: "Non è colpa nostra se sono trattati come carcerati” - http://www.redattoresociale.it/


Milo, Trapani, 29 giugno 2013 - “’Niente aria condizionata, qui dentro si soffoca’; ‘niente televisione: qui ci tengono isolati’; ‘niente lavoro e la mia famiglia muore di fame’; ‘gli avvocati che vengono non servono a niente’”. Sono le grida degli immigrati trattenuti nel Cie di Milo (Trapani), visitato nei giorni scorsi da una delegazione internazionale (vedi lancio precedente).Ecco il racconto di tre membri della delegazione: Giuseppe Casucci, coordinatore nazionale del Dipartimento politiche migratorie della Uil; Piero Soldini, responsabile nazionale immigrazione della Cgil e Angela Scalzo, segretario generale Sos Razzismo Italia. “Dopo aver girato intorno ad una delle strutture, ci viene finalmente permesso di avvicinarci ad una cancellata. Subito, decine di reclusi si avvicinano per parlarci. Si tratta, in maggioranza, di immigrati africani (alcuni tunisini e marocchini, anche se non mancano quelli di provenienza sub – sahariana). Ci sono anche altre minori provenienze”. “Samir (lo chiameremo così per tutelarne l’identità) ha 21 anni ed è serbo di origine. Dietro le sbarre appare un ragazzo magro e slanciato dai capelli castano scuri ed un volto curato. E’ arrivato in Italia con i genitori nel 1992, quando aveva sei mesi e la famiglia era dovuta scappare dalla guerra. Non si sa se per ignoranza o trascuratezza, i genitori non lo hanno mai regolarizzato in Italia e lui è vissuto privo di permesso di soggiorno per oltre un ventennio. Ha frequentato le scuole da migrante irregolare. Quando è stato fermato dalla polizia, non ha saputo spiegare la completa assenza di documenti ed è stato rinchiuso nel Cie, in attesa di accertamenti, o di possibile espulsione. ‘Ma espulsione verso dove?’ ci chiede sconsolato: ‘in Serbia io non conosco nessuno, e parlo a malapena un po’ di serbo imparato da mia madre’. “Ci racconta che ha altri fratelli, loro sì sistemati: anzi con la cittadinanza italiana. Alla nostra domanda sul perché loro sì e lui no, ci dà una versione confusa di litigi tra i genitori e di assenza di dialogo con il padre. La storia sembra inverosimile o quanto meno illogica. Più tardi, però, l’assistente ci conferma il succo del racconto. E’ una giovane di circa 30 anni, che lavora tutti i giorni presso il Cie per dare assistenza e consigli alle persone lì trattenute. Precisa, incidentalmente, di non ricevere lo stipendio da almeno 3 mesi ma di non poter abbandonare persone tanto sfortunate. ‘Il racconto, per quanto inverosimile – precisa – risulta vero. Quest’uomo sta da vent’anni in Italia senza  permesso’. Aggiunge che Samir non risulta aver mai commesso reati e che per questo motivo, gli è stato consigliato di fare domanda di protezione umanitaria. L’assistente è molto ottimista e crede che la Commissione gli darà presto un permesso, in modo che il giovane possa uscire: poi avrà un anno di tempo per cercarsi un lavoro”. “Più complicata la storia di Kamal. Lui è un uomo sulla quarantina, marocchino. Ha folti capelli ricci  e neri come i due baffoni color ebano. Stava per sposarsi con una italiana, ci racconta ed avevano già fissato l’appuntamento al comune. Ma non ci è mai arrivato in quanto la polizia l’ha arrestato per immigrazione irregolare. Lui infatti era arrivato, via mare, su uno dei viaggi della fortuna. Per imbarcarsi ha fatto un debito con gli scafisti ed è  la sua famiglia a dover rispondere, se lui non paga. Ha lavorato in nero nelle campagne, spesso 12 ore di fatica per 20 o 25  euro. Poi ha conosciuto una donna siciliana ed ha convissuto per anni con lei. Dice di aver avuto un primo permesso di soggiorno e che le cose stavano per sistemarsi. Ma il permesso era scaduto e lui è andato in questura per rinnovarlo e presentarsi al matrimonio con i documenti in regola. ‘Ho fatto male ad andare alla polizia per chiedere’, ci racconta ancora stupito. ‘Perché arrestarmi se stavo per sposarmi?’. Secondo le informazioni delle assistenti sociali, comunque, l’accusa è che il matrimonio fosse solo un falso espediente per procurarsi un permesso”. “Poi è il turno di Ahmed (anche questo nome di fantasia). Si fa largo tra gli altri cercando di raggiungerci. E’ tunisino e non è tra quelli che ha attraversato il Mediterraneo ai tempi della primavera araba. Lui è arrivato via mare cinque anni fa. In Sicilia convive con un’italiana da alcuni anni. Ha 29 anni, pelle abbronzata e cappelli nero ebano. Era riuscito a regolarizzarsi e viveva di lavori saltuari: un po’ facendo il manovale in edilizia, un po’ in agricoltura nella raccolta delle arance. Un anno fa gli scade il permesso: presenta domanda di rinnovo, ma dopo alcuni mesi arriva un rifiuto. Non è chiara la motivazione e lui si rivolge ad un avvocato per fare ricorso. Un giorno però, la poca fortuna rimastagli lo abbandona: viene fermato da una pattuglia della polizia. In tasca ha solo la ricevuta del permesso rifiutato. Ce n’è abbastanza per farlo rinchiudere a  Milo. ‘Ma, il ricorso?’, gli chiediamo perplessi. E lui: ‘l’avvocato mi ha detto che il ricorso non blocca la procedura di espulsione’. ‘E poi, aggiunge quasi rassegnato, la convivenza con un’italiana non conta nulla ai fini della legge’. Drammatica anche la testimonianza di Laachir. Lui è nato in Marocco, è mussulmano e appare molto scoraggiato: ha scontato dieci anni di carcere per aver ucciso un connazionale durante una lite. Appena terminata la pena, è stato prelevato e portato al Cie di Milo: obiettivo dell’Italia è di liberarsi di lui. ‘Non è giusto, si lamenta: io ho pagato il mio debito con lo Stato italiano. Perché non darmi un’altra possibilità?’. ‘Cosa ti succederà in patria?’ gli chiediamo. ‘La famiglia dell’uomo che ho ucciso, aspetta solo il mio ritorno per farmela pagare’. ‘Lì il sangue si paga con il sangue’, aggiunge. Lo ha detto alle autorità, ma questo non è servito a fermare la procedura di espulsione”. “L’ultima persona con cui siamo riusciti a parlare è Hamdilash. Dice di essere sposato con una donna italiana ma di essere poi stato arrestato ed aver scontato due anni di carcere a Castelvetrana. Finita la pena è stato portato a Milo, in attesa di espulsione. La cosa ci appare inverosimile e cerchiamo di approfondire, ma proprio in quel momento tre reclusi nell’area dirimpetto al cancello in cui stiamo, decidono di dare avvio ad una protesta. Si arrampicano con agilità è scavalcano l’inferriata alta quasi quattro metri. Vendono subito isolati da un gruppo di militari in tenuta anti sommossa. Noi veniamo allontanati sbrigativamente, ma gridiamo ai funzionari di non fare del male a quelle persone. Mentre veniamo spintonati verso l’uscita, ripetiamo ai responsabili che avremmo denunciato ogni forma di violenza ai reclusi”. "Più tardi, a due di loro viene permesso di raggiungerci nell’androne vicino all’uscita. Non hanno subito violenza, per fortuna. Chiedono di avere il supporto di avvocati delle associazioni, non quelli forniti dal Cie. Il funzionario lo rassicura che potranno avere il supporto legale che desiderano, ma che non dipende da lui se sono rinchiusi in quel posto, senza aver commesso reati. ‘Dipende dal giudice – ripete suadente al detenuto – davanti ai molti testimoni: ‘se lui me lo ordina, io ti faccio uscire anche subito’. ‘Non è colpa nostra se sono trattati come carcerati – dice poi rivolgendoci a noi’. Ma allora di chi è la colpa per tante violazioni dei diritti della persona?”. Uno di loro si avvicina e chiede sorridendo: ‘ma perché siete venuti? A fare cosa?’. Cerchiamo di spiegare che ci preme sapere come vengono trattati. Lui sorride ancora e risponde: ‘potete pure dire la verità. E’ come una gita no?’. Alle nostre proteste si gira per andarsene, ma ha un ultimo commento: ‘non dovete prendervela: non siete i primi che vengono qui, e non sarete gli ultimi. Ma per noi cambia qualcosa?’. E’ una domanda a cui nessuno di noi aveva risposta”.


 

 

Croazia nella UE


Regime transitorio per i lavoratori Croati: la decisione del Governo non ferma il lavoro nero

Dichiarazione di Guglielmo Loy, Segr. Confederale UIL


Il Governo, con una circolare diffusa oggi, ha stabilito un regime transitorio di due anni che impedirà ai lavoratori croati di lavorare in Italia in molti settori (tranne il lavoro domestico, stagionale e lavoro qualificato). Va ricordato che, con l’ingresso in Unione Europea della Croazia lo scorso 1° luglio, i cittadini di questo Paese potranno circolare liberamente anche in Italia. Purtroppo, l’esperienza dell’ingresso in UE di Romania e Bulgaria nel 2004, ci ha dimostrato che le moratorie servono solo da alibi a molti datori di lavoro per continuare a praticare condizioni di lavoro irregolare. Attualmente in Italia risiedono oltre 22 mila croati, il 60% dei quali soggiornanti di lungo periodo per i quali le misure restrittive non varranno. Per gli altri 10 mila, concentrati soprattutto in Veneto e Friuli Venezia Giulia, la differenza con gli altri sarà solo quella di non poter emergere da una condizione che è spesso di irregolarità lavorativa. Con questa misura, a parere della UIL, non si sta facendo alcun favore agli italiani disoccupati. Si rischia invece di perpetuare una situazione di dumping sociale e concorrenza sleale tra lavoratori. Roma, 3 luglio 2013


 

Lavoro etnico


Lavoro, le 18 banche dati che rendono la vita difficile agli immigrati

di Massimo Lo Re e Cristiano Santori, http://www.corriere.it/


Una gestione dei flussi migratori più aderente ai bisogni reali del mercato del lavoro. Rodolfo Giorgetti, responsabile dell’area Immigrazione di Italia Lavoro, ha sottolineato (nell’ambito del festival di Montepulciano) le criticità che sono alla base del sistema di regolarizzazione degli immigrati:  “Confuso, contraddittorio, incoerente, poco comprensibile. Così lo percepiscono gli stranieri che vogliono lavorare e integrarsi nel nostro Paese”. Paradigma di questa situazione è la giungla delle banche dati e dei sistemi informativi che governano il fenomeno. Sono 18 e non comunicano tra di loro. A ciò si aggiunge la problematica relativa alle 27 tipologie di permessi di soggiorno attualmente previste dalle normative in materia.Una governance così confusa ha determinato nel 2012 un numero di permessi di soggiorno richiesti (1.628) enormemente inferiore non solo alle domande presentate (57.992) ma anche ai nulla osta concessi (7.636), a fronte di una quota di 35 mila ingressi stabilita dal decreto flussi. “Con queste criticità in fase di regolarizzazione si perpetuano le differenze tra italiani e immigrati nel mercato del lavoro – sottolinea Maria Cecilia Guerra, viceministro del Lavoro – il reddito degli immigrati è 2/3 di quello italiano a parità di mansione. I laureati guadagnano solo l’8% in più rispetto a chi ha la licenza elementare, mentre tra gli italiani la percentuale è del 75%. Serve innovazione istituzionale – conclude Guerra – ad esempio mettendo in rete i tanti progetti di accoglienza che vanno sistematizzati. Ma occorrerebbe maggiore sostegno e solidarietà dagli altri paesi europei, per gestire meglio situazioni difficili come l’emergenza Nord Africa“.Ma la gestione dei flussi migratori non si risolve tutta nella complessità e criticità dei vari sistemi informativi. Marco Del Panta Ridolfi, vice direttore generale per le questioni migratorie ed i visti al ministero degli Esteri, ricorda alcune iniziative in corso tese a favorire una maggiore integrazione degli immigrati: “Dal 2008 Save the Children, insieme ad OIM, UNHCR e Croce Rossa, è partner del Progetto Praesidium, coordinato dal ministero dell’Interno-Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione e finalizzato al potenziamento delle capacità delle autorità italiane nella gestione dei flussi migratori misti che interessano l’Italia meridionale.

Questo progetto, insieme con la proposta di dimezzare le commissioni sulle rimesse degli immigrati e a quella che prevede iniziative sul fronte della mitigazione degli effetti delle migrazioni sui paesi di provenienza, costituiscono le tre best practice che la Farnesina ha intenzione di portare in seno alle Nazioni Unite”.


 

 

 

 

 

 

 

Immigrazione vs. burocrazia


Autocertificazioni. Gli immigrati possono (ancora) aspettare

Autocertificazioni. Gli immigrati possono (ancora) aspettareSlitta al 2014 la possibilità di rilasciare dichiarazioni sostituive anche per permessi di soggiorno e altre pratiche dell'immigrazione. Le banche date non comunicano, tutti in fila negli uffici pubblici


Roma – 9 luglio 2013 – Niente da fare. Lo Stato italiano non riesce proprio ad evitare agli immigrati code spesso infinite tra gli uffici pubblici alla ricerca di questo o di quel certificato. Quello che è in parte riuscito a fare per gli italiani, non sa farlo gli stranieri. Eppure, le intenzioni sembravano buone.

Andiamo con ordine. Dal primo gennaio 2012, più di un anno mezzo fa, gli uffici pubblici non possono richiedere o rilasciare certificati, da utilizzare nei rapporti con la Pubblica Amministrazione, che contengano dati già in possesso di altri uffici pubblici. Devono quindi accettare le autocertificazioni, dal momento che possono verificare da soli quello che ogni cittadino sta dichiarando. Questa regola generale, però, non vale per “le speciali disposizioni contenute nelle leggi e nei regolamenti concernenti la disciplina dell’immigrazione e la condizione dello straniero”.

Significa, per esempio, che uno studente straniero non può autocertificare che ha superato gli esami dell’anno per rinnovare un permesso di soggiorno per studio, ma deve fornire alla Questura un certificato dell’università. Allo stesso modo, un disoccupato che cerca un permesso per attesa occupazione dovrà munirsi di un certificato di iscrizione al Centro per l’Impiego. Nella primavera del 2012, convertendo in legge il decreto sulle semplificazioni del governo Monti, il Parlamento aveva eliminato l’eccezione prevista per i cittadini stranieri. In pratica, sarebbe stato possibile usare l’autocertificazione anche per i permessi di soggiorno e altre pratiche relative all’immigrazione. La nuova norma doveva entrare in vigore il 1 gennaio 2013, in modo da dare alla Pubblica Amministrazione il tempo necessario per collegare le varie banche dati (ad esempio quelle delle Università e dei Centri per l’Impiego) con le Questure e le Prefetture. Siamo arrivati al luglio 2013. Cosa è cambiato? Nulla. Poichè le banche dati ancora non comunicavano, lo scorso dicembre la legge di Stabilità ha spostato quel termine dal 1 gennaio al 30 giugno 2013.  Infine, qualche giorno fa, è saltato anche questo appuntamento: come spiega una circolare del ministero dell’Interno, un decreto del governo lo fa fatto slittare ulteriormente di altri sei mesi, al 31 dicembre 2013. Se ne riparla, insomma, a Capodanno e pochi sono pronti a scommettere che sarà la volta buona. L’addio ai certificati, per gli immigrati, può ancora aspettare.

Elvio Pasca, www.stranieriinitalia.it


Comunità Straniere in Italia


Rapporto sui tunisini in Italia

Ad inizio 2012 i residenti registrati erano 116.651. A questi vanno aggiunti i 25 mila tunisini arrivati in seguito alla “primavera araba”


Roma, 8 luglio 2013 - Su 3,5 milioni di immigranti non comunitari regolarmente soggiornanti in Italia al 1° gennaio 2011, circa 1 milione proviene dal continente africano, in grande prevalenza dalla regione dell’Africa settentrionale (760.673). I cittadini della Tunisia rappresentano il 3,3% del totale degli immigrati non comunitari e la loro incidenza sale al 16% dei cittadini provenienti dall’Africa settentrionale. Anche in relazione alla prossimità geografica, la comunità tunisina si è resa protagonista di un significativo processo migratorio verso lItalia, che dai primi anni Novanta ha assunto crescente rilevanza. Già a partire dagli anni 70 lItalia registrò la presenza significativa di cittadini tunisini addetti al settore della pesca a Mazara del Vallo. Il loro ambito di insediamento si estese, allora, anche nel settore agricolo di altre zone del ragusano e del Sud. Negli ultimi decenni la migrazione tunisina è stata caratterizzata dalla crescita tendenziale delle presenze e dalla concentrazione prevalente in tre regioni (Emilia Romagna, Lombardia, Sicilia), nonostante la comunità continui ad addensarsi sulla Sicilia costiera (ragusano). Nel corso degli ultimi 20 anni, infatti, il numero complessivo di immigrati di origine tunisina è aumentato di circa 6 volte. Ancora più accelerato, sia pure con un andamento meno lineare, è stato lincremento delle presenze complessive dei cittadini non comunitari di origine africana, specialmente nord-africani.Le principali caratteristiche socio-demografiche della comunità tunisina in Italia sono di seguito evidenziate:

Þ A gennaio del 2011 la comunità tunisina si colloca come ottava nella graduatoria delle nazionalità più numerose in Italia (116.651 presenze, pari al 3,3% del totale dei cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti in Italia).

Þ La comunità tunisina è insediata prevalentemente nel Nord Italia (63%, percentuale leggermente inferiore a quella riscontrata per il complesso dei cittadini non comunitari). Particolarmente significativa è la presenza nel Sud Italia, dove risiede 1 immigrato tunisino su 5. Le prime tre regioni di destinazione sono: lEmilia Romagna (24%), la Lombardia (21%) e la Sicilia (14%).

Þ La comunità tunisina presenta una polarizzazione di genere più accentuata nel confronto con il complesso dei cittadini non comunitari, con il 65% di presenza maschile.

Þ Dal punto di vista anagrafico letà media dei cittadini tunisini titolari di permesso di soggiorno è di 29,2 anni e risulta inferiore a quella riferita alla popolazione complessiva di origine non comunitaria, pari a 31,7 anni.

Þ I minori di origine tunisina sono 33.568, pari al 28,8% del totale della comunità.

Þ Nellanno scolastico 2011-2012 risultano iscritti 18.674 studenti di origine tunisina: il 40% di essi frequenta la scuola primaria.

Þ Più della metà dei cittadini tunisini è titolare di un permesso per soggiornanti di lungo periodo (56,4%) -in linea con la quota relativa ai cittadini di origine nordafricana (54%), e a differenza di quanto avviene per il complesso dei cittadini non comunitari, titolari prevalentemente di permessi di soggiorno a scadenza (54,7%).

Þ Nel corso dellultimo anno, 1.215 migranti di origine tunisina hanno acquisito la cittadinanza italiana: il 70% di essi per naturalizzazione, il restante 30% per matrimonio. Le due percentuali risultano, invece, pressoché paritetiche per il complesso dei cittadini stranieri non comunitari.

Per quanto concerne la condizione occupazionale:

Þ La comunità tunisina si colloca all11° posto per numero di occupati tra i cittadini non comunitari.

Þ Il 60,5% della popolazione tunisina (di 15 anni e oltre) è occupata: un valore di oltre dieci punti percentuali più alto rispetto agli altri Paesi dellAfrica settentrionale.

Þ Nel 2011, i lavoratori tunisini con un rapporto di lavoro dipendente sono quasi 34mila; molto importante per la comunità, ed in particolare per la componente maschile, il peso del lavoro autonomo: quasi 12mila sono i titolari di imprese individuali, il 4% del totale degli imprenditori non comunitari.

Þ Il tasso di disoccupazione della popolazione tunisina è pari all11,5%, quasi la metà di quello relativo ai cittadini provenienti dagli altri Paesi dellAfrica settentrionale (19,3%) e di poco inferiore a quello relativo al totale dei non comunitari (12%).

Þ Il 41% dei lavoratori tunisini è impiegato nellindustria (di cui il 24% nelle costruzioni) e il 40% nei servizi; il 19% è occupato nel settore dellagricoltura, caccia e pesca.

Þ La distribuzione per genere degli occupati rileva una forte prevalenza della presenza maschile (88%), quasi 17 punti percentuali in più rispetto al totale dei cittadini non comunitari.

Þ Oltre il 50% dei lavoratori tunisini dispone di un titolo di istruzione secondaria di primo grado; per il complesso dei cittadini non comunitari il livello di istruzione è mediamente più alto.

Þ Poco più della metà dei lavoratori tunisini percepisce un reddito mensile inferiore ai 1.000 euro, in linea con la percentuale riscontrata per il totale dei cittadini non comunitari.

Þ Nel corso del 2011, sono stati attivati oltre 28mila rapporti di lavoro per lavoratori di origine tunisina e nello stesso periodo, i rapporti di lavoro cessati, riguardanti lavoratori tunisini, è pari a 30.208, quasi il 7% in più rispetto alle attivazioni.

Per quanto riguarda, invece, il sistema di welfare:

Þ Nel corso del 2010, il numero di beneficiari di trattamenti di integrazione salariale ordinaria con cittadinanza tunisina è 4.198, mentre i beneficiari della straordinaria raggiungono le 1.111 unità. Essi rappresentano rispettivamente il 4% e il 2% del totale dei beneficiari di origine non comunitaria.

Þ Nel 2011, i beneficiari, con cittadinanza tunisina, dellindennità di mobilità sono 428, quasi tutti uomini (402). Lincidenza sul totale dei beneficiari non comunitari è il 3,5%.

Þ Per lanno 2011, il numero dei beneficiari con cittadinanza tunisina di disoccupazione ordinaria non agricola è pari a 5.403 unità, il 3,7% sul totale dei Paesi non comunitari.

Þ Per lanno 2010, i beneficiari di indennità di disoccupazione agricola con cittadinanza tunisina, sono 6.086, dei quali 5.620 di genere maschile, pari al 13% del totale dei non comunitari.

Þ Per lanno 2010, i beneficiari di indennità di disoccupazione a requisiti ridotti con cittadinanza tunisina, sono 2.436, prevalentemente di genere maschile, pari al 6,4% del totale dei non comunitari.

Le statistiche relative ai cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti includono tutti gli stranieri di Stati terzi rispetto allUnione europea che risultano in possesso di un valido documento di soggiorno (permesso di soggiorno o permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo) nonché i minori di età inferiore ai 14 anni che risultano iscritti sul permesso di un adulto. Non tutti i cittadini stranieri regolarmente soggiornanti rientrano nel conteggio dei residenti in Italia. La fonte statistica prescelta comprende pertanto anche i cittadini stranieri che per qualunque motivo non abbiano ancora ottenuto la residenza in Italia.

Tabella 1 - Cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti per singolo Paese di cittadinanza (primi 20 Paesi) e genere (v.a. e val. %). Dati al 1° gennaio 2011

 

PAESI DI CITTADINANZA

Totale

% Paese su totale

Marocco

501.610

14,2

Albania

483.219

13,7

Cina,Rep.Popolare

274.417

7,8

Ucraina

218.099

6,2

Moldova

142.583

4,0

India

142.565

4,0

Filippine

136.597

3,9

Tunisia

116.651

3,3

Egitto

110.171

3,1

Bangladesh

103.285

2,9

Peru'

101.711

2,9


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Notizie in Breve


news in 50 lingue

Asilo: per il premier Letta “il bisogno di sottrarsi a persecuzioni e conflitti è sacrosanto”. Nel 2014 previsti 8 mila posti di accoglienza in più.
Ieri il question time alla Camera: “da papa Francesco è arrivato un gesto straordinario e un messaggio che dobbiamo recepire con il massimo impegno”.

 

Nel 2012 diminuiscono gli infortuni mortali sul lavoro, nel 14% dei casi riguardano immigrati.
Sono state 790 le morti bianche, 112 erano stranieri.

Visti d’ingresso: nel 2012 cresciuti del 9%, per lavoro e famiglia solo 7 ogni 100.
Presentato l’Annuario statistico del Ministero degli esteri. Tre quarti degli arrivi sono per turismo provenienti da Russia e Cina.

 

Lasciare l’Italia a causa della crisi economica. Chi sono i “nuovi migranti europei”?
Un sondaggio on line, coordinato dal Global Governance Programme dell’Istituto universitario europeo di Firenze con la partecipazione di altre tre università europee, cerca di capirlo.

 

Messina: nasce un network tra operatori per l’inclusione sociale dei Rom.
L’iniziativa è promossa nell’ambito del progetto Com.In.Rom - Accrescere le competenze degli operatori sul fenomeno Rom.