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Rassegna ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli
iscritti UIL

 

 

 

 

Anno XI n. 25 del 25 luglio 2013

 

Consultate www.uil.it/immigrazione

Aggiornamento quotidiano sui temi di interesse di cittadini e lavoratori stranieri

 

Rebus Mediterraneo: serve una strategia europea

Mediterraneo: una strategia globale per offrire risposte efficaci

Più di un migliaio di migranti a Lampedusa in pochi giorni, tre volte la capacità di accoglienza del Centro di accoglienza, centinaia in arrivo a Siracusa ed in altre città. Se in generale i flussi migratori in arrivo sono in calo, a causa della crisi economica, fa eccezione il Mediterraneo attraverso cui, complice il bel tempo, centinaia di barche di fortuna cariche di migranti, tentano la traversata. Molti di loro non hanno come meta propriamente l’Italia, ma altri Paesi europei. L’Italia è una delle principali porte d’ingresso nell’area Schengen, tra le più soggette alla pressione migratoria di un’Africa in cui metà della popolazione vive con meno di due euro al giorno e che – secondo molti esperti – raddoppierà o triplicherà la propria popolazione in questo secolo. E’ una vera emergenza a cui l’Europa farebbe bene a rispondere con una politica globale adeguata, perché non basterà alzare barricate per fermare la piena in arrivo. Tantomeno se l’Italia, la Spagna o la Grecia dovranno affrontare da sole il problema.



 

 

 

 

 

SOMMARIO

 

 

 

 

Appuntamenti pag. 2

 

Mediterraneo: nuovi sbarchi e vecchi problemi pag. 2

 

Cittadinanza: italiani a 18 anni pag. 4

 

La presenza degli stranieri in Europa pag. 6

 

Torni a casa: ricordati di portare il permesso pag. 6

 

Pubblico Impiego: vietato agli stranieri? pag. 8

 

Minori stranieri: presentata pdl per tutela pag.10

 

Asilo: pubblicato Dublino III pag.11

 

Notizie in breve pag.11

Con questo numero, Focus

sospende le pubblicazioni per

la pausa estiva

Arrivederci a Settembre!

 

 

 

 

 

A cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil

Dipartimento Politiche Migratorie

Tel. 064753292- 4744753- Fax: 064744751

E-Mail polterritoriali2@uil.


Dipartimento Politiche

Migratorie: appuntamenti


 

 

 

 


Roma, 29 luglio 2013, ore 11.00, Ministero del Lavoro, sede di Via Fornovo

Lampedusa, vincono gli eritrei  No alle impronte digitaliIncontro Cgil, Cisl, Uil con il Viceministro Cecilia Guerra, sui temi dell’immigrazione e mercato del lavoro

(Guglielmo Loy)

Roma, 29 luglio 2013, ore 16.00 - Camera dei Deputati, Sala del Seminario

Incontro Cgil, Cisl, Uil con intergruppo

parlamentare su decreto legge n. 76

(Guglielmo Loy)


Mediterraneo


Immigrazione: assalto all’enclave spagnola di Melilla: 30 feriti


Melilla è una città spagnola, situata sulla costa orientale del Marocco. È un porto franco. Il confine terrestre tra Melilla e l'entroterra marocchino è recintato e sorvegliato, allo scopo di contenere l'ingresso di immigranti nell'enclave che, in quanto territorio spagnolo, garantisce ulteriore libero accesso all'area europea. Questo passaggio alla Ue è oggetto continuo di tentativi di ingresso da parte di migranti provenienti dal Marocco. Il 22 luglio, alcune centinaia di immigrati africani hanno preso nuovamente d'assalto la frontiera spagnola di Melilla, causando una trentina di feriti, fra cui tre membri delle forze dell'ordine. Lo ha riferito in un comunicato il Ministero dell'Interno marocchino, precisando che la polizia ha fermato un centinaio di persone. E' frequente il tentativo di assalto da parte di immigrati provenienti dall'Africa subshariana a Melilla, che insieme a Ceuta rappresenta l'unica frontiera terrestre fra l'Africa e l'Europa. Sscondo i dati delle associazioni per i diritti umani, sono fra i 20 mila e i 25 mila i clandestini che si trovano in territorio marocchino nel tentativo di passare la frontiera. (fonte AFP). red-uda/



Repubblica.it: il quotidiano online con tutte le notizie in tempo reale.

Lampedusa, vincono gli eritrei 
No alle impronte digitali

di VALERIA BRIGIDA


LAMPEDUSA – 21 luglio 2013 - Prima la protesta, poi la vittoria. Niente impronte digitali, come chiedevano i circa 200 immigrati, quasi tutti eritrei, che ieri sono usciti dal Centro di accoglienza per far sentire la loro voce. E' questo l'esito di una giornata di trattative, speranze e paure. Fino all'esultanza finale.  Saranno trasferiti tutti, in piccoli gruppi, verso altre località italiane e senza prendere le impronte digitali. "Zeinagebriel nella mia lingua significa Arcangelo Gabriele. Ma tu puoi chiamarmi Zeina”. Zeina ha ventisei anni e aspetta paziente seduto all’ombra di piazza Garibaldi. Insieme a lui ci sono circa altri duecento ragazzi del Corno d’Africa. Si tratta degli eritrei, etiopi e somali – tra cui molti minori – arrivati nelle ultime settimane qui a Lampedusa. Per due ore va avanti la trattativa. Da una parte, Giusi Nicolini come rappresentante delle istituzioni italiane, e il parroco Don Stefano Nastasi. Dall’altra, i portavoce della protesta eritrea. In mezzo, a mediare via telefono, Don Mosé Zerai, sacerdote eritreo e direttore dell’agenzia Habeshia, punto di riferimento per la maggior parte dei migranti che attraversano il Mediterraneo. Zeina è stanco. Fa caldo. Ma aspetta. Ieri è scappato insieme ai suoi connazionali dal centro di primo soccorso e accoglienza di Lampedusa che, in modo pacifico e compatto, hanno sfilato per l’isola, spiazzando forze dell’ordine e turisti. Hanno passato la notte dormendo nella piazza. E stamattina presto, hanno iniziato a pregare con il volto rivolto verso la facciata della chiesa, mentre i primi fedeli lampedusani iniziavano ad affluire per la messa domenicale. “Noi protestiamo per un motivo molto semplice – spiega Zeina – ci rifiutiamo di rilasciare le nostre impronte digitali. Non vogliamo essere identificati in Italia perché, se lo facciamo, poi siamo costretti a chiedere asilo qui”. Questo, infatti, è quanto stabilisce il regolamento di Dublino, secondo il quale l’asilo politico può esser richiesto nel primo paese dell’Unione Europea in cui si viene identificati. Ma perché queste persone non vogliono rimanere in Italia? “Abbiamo amici e parenti sparsi nelle città italiane: ci dicono di guardare a questo paese solo come a una terra di transito, perché qui c’è troppa povertà e i diritti non vengono garantiti, né per gli italiani né per noi stranieri. Per questo motivo noi non vogliamo rimanere qui. Vogliamo essere liberi di continuare il nostro viaggio verso i paesi del nord Europa. Vogliamo chiedere asilo nei paesi che sono veramente in grado di accoglierci. Se rimarremo qui, che futuro avremo? Finiremo a vivere per strada!” Zeina è arrivato a Lampedusa lo scorso 8 luglio. Proprio il giorno successivo alla visita di Papa Francesco. Con lui, sul gommone partito dalla Libia, c’erano anche altre novantaquattro persone, tra cui quattro bambini di circa tre anni e trentaquattro donne, di cui quattro incinte. “Eravamo ancora in alto mare quando la Guardia Costiera è arrivata e ci ha fatti salire a bordo. Hanno preso solo le nostre vite mentre il gommone lo hanno rotto e lasciato lì”. Appena arrivati sulla banchina di Lampedusa hanno ricevuto un po’ di acqua. “Subito dopo, ci hanno portati tutti al centro di accoglienza” spiega Zeina, continuando “senza fare distinzione tra malati e minori. Con noi c’era anche una donna diabetica e un mio caro amico di sedici anni con la tubercolosi”. Nel centro sono rimasti più di dieci giorni. Intanto gli arrivi via mare non si sono mai fermati, mentre i trasferimenti da Lampedusa al resto d’Italia diventano sempre più lenti e sporadici. Attualmente nel centro di Lampedusa ci sarebbero più di settecento persone. Tra questi, un numero significativo di minori. “Siamo rimasti nel centro più di dieci giorni. Qui abbiamo dormito sul terriccio, sotto gli alberi, su lenzuola improvvisate a letti. I malati e i bambini stavano sempre peggio. Ma niente, non li trasferivano. Dicevano: se ci date le impronte digitali vi trasferiamo in un posto migliore di questo”. Alcuni parenti di Zeina vivono come rifugiati in Svezia e gli raccontano che lì l’accoglienza è fatta di percorsi scolastici e abitativi dignitosi e che, dopo qualche anno, i rifugiati riescono a sentirsi membri della società a tutti gli effetti. “Io non voglio stare in Italia perché, se anche gli italiani non hanno lavoro, come posso sperare di averlo io? Provate a capirci! Abbiamo bisogno di umanità!” Intorno alle cinque del pomeriggio il sole è ancora alto. All’improvviso, dal retro della chiesa escono i portavoce eritrei, il sindaco Giusi Nicolini e i funzionari della polizia a cui da ventiquattro ore è stata affidata la mediazione con la piazza. Tutti i manifestanti si siedono sul sagrato. Zeina si unisce a loro. In silenzio, ascoltano i loro portavoce che, in tigrino (la lingua parlata in Etiopia), fanno il resoconto della mediazione. Passano pochi minuti ed esplodono in un lungo applauso. Sono felici. Chiedono di fare una foto con il sindaco Nicolini. I manifestanti si alzano e iniziano a pulire la piazza che hanno occupato fino a quel momento. Zeina si avvicina: “Abbiamo vinto! Ci trasferiranno tutti, in piccoli gruppi, verso altre località italiane e senza prendere le impronte digitali”. L’accordo raggiunto prevede il rientro immediato e volontario dei migranti nel centro di accoglienza dell’isola. In cambio, le autorità italiane si sono impegnate a non identificarli attraverso la rilevazione delle impronte digitali. “Lo so, potrebbero non mantenere la promessa” dice Zeina. Poi sorride e aggiunge: “Ma io voglio fidarmi”.



Lampedusa, un fine settimana drammatico per il Centro di accoglienza
Save the children: “Hanno superato quota 800 i migranti nel Cpsa che ha una capienza di soli 250 posti”. Struttura al collasso.


Lampedusa, 20 luglio 2013 - Sabato 20 luglio la situazione nel Centro di accoglienza di Lampedusa è tornata a toccare i picchi più drammatici. Secondo una denuncia di Save the children gli ospiti “hanno superato quota 800” per una struttura che ha una capienza di soli 250 posti. “Precisamente – scrive la Onlus – sono 838 persone, tra cui 142 donne e 127 minori. Tra questi ultimi, 33 sono con uno o entrambi i genitori, mentre tutti gli altri sono approdati in Italia da soli. Si tratta prevalentemente di adolescenti, ma vi sono anche 42 ragazzi più piccoli, di 14-15 anni. Il più piccolo in assoluto, non accompagnato, viene dalla Somalia e ha solo 11 anni. Sono di provenienza diversa (Eritrea, Somalia, Gambia, Etiopia, Ghana, Siria, Nigeria, Guinea Bissau, Bangladesh, Algeria). Tra loro, anche cinque ragazze sole, la più piccola di 15 anni”.
Nella denuncia, l’associazione precisa che “la condizione di precarietà e di sovraffollamento si fa sempre più difficile, non sono garantiti per i minori spazi di accoglienza dedicati e, in molti casi, i minori rischiano di essere coinvolti nelle conflittualità che sempre più frequentemente si verificano all’interno del Centro. Molti ragazzi sono costretti a dormire all’aperto per terra, senza brandine. Le condizioni igienico-sanitarie sono molto precarie con un numero di bagni e di docce del tutto insufficiente rispetto alle presenze”. L’organizzazione chiede di procedere al trasferimento immediato di tutti i minori soli presenti sull’isola di Lampedusa in comunità di accoglienza sul territorio nazionale. Il paradosso è che queste strutture esistono e sono disponibili, ma i ragazzi non possono accedervi e restano bloccati sull’isola in una specie di limbo burocratico.


 

 

 


CIE. I poliziotti: "Sono bombe a orologeria. Troppi 18 mesi"

Da Stranieri in Italia

Il sindacato di Polizia Siulp: "Sono lager per gli immigrati e per gli agenti. Governo riduca il tempo massimo di permanenza"


Roma - 23 luglio 2013 - “Le violenze verificatesi presso i CIE di Modena e di Pian del Lago, seguono, secondo un’annunciata cronologia, quelle avvenute presso i centri di Gorizia, Crotone e Catania, accrescendo il già pesantissimo bilancio in termini di danni alle strutture e di lesioni personali per gli appartenenti alle forze dell’ordine e agli stessi immigrati ospiti dei centri. Detti accadimenti avvalorano la tesi sostenuta, da sempre, dal SIULP e cioè che i CIE (Centri di identificazione ed espulsione) siano vere e proprie bombe ad orologeria”. Lo dice Felice Romano, segretario generale del sindacato di polizia Siulp. Romano sottolinea quanto sia "inutile, improduttivo ed eccessivamente oneroso" il trattenimento degli immigrati fino a 18 mesi all’interno dei C.I.E. E invita il Governo “a ricondurre entro limiti più ragionevoli il tempo di permanenza massimo degli stranieri con una iniziativa legislativa in linea con l’esigenza di permettere la definizione dei procedimenti di identificazione nel rispetto della dignità degli immigrati e del diritto all’integrità fisica dei servitori dello Stato lasciati soli a fronteggiare vandalismi e devastazioni che danneggiano l’immagine del nostro Paese ed incrinano il rapporto di fiducia dei cittadini nello Stato e nelle Istituzioni”. Pertanto, aggiunge il segretario del Siulp, nell’esprimere “solidarietà a tutti gli operatori di Polizia che assolvono al gravoso compito di contrastare le rivolte che caratterizzano ormai ciclicamente la vita e la gestione di questi ambigui e pericolosi “lager” per immigrati e poliziotti, sarebbe auspicabile che quella stessa solerzia utilizzata per affrontare questioni che sottendono interessi di rilevanza economica e politica si materializzasse anche rispetto a questioni, in ordine alle quali, ormai, solo il Santo Pontefice fa sentire la propria voce". “A Papa Francesco”, conclude Romano “oltre al nostro ringraziamento per la sua presenza presso il Centro di accoglienza di Lampedusa, rivolgiamo il nostro rispettoso appello affinché non ci faccia mai mancare il proprio sostegno e conforto in questa difficile difesa della vita e della dignità dei cittadini del mondo”.


Cittadinanza


Italiani a 18 anni. La lettera del Comune arriverà prima

Chi è nato e cresciuto in Italia verrà informato “nei sei mesi precedenti” il diciottesimo compleanno. È una delle novità della conversione in legge del “decreto del fare”


Roma - 23 luglio 2013 – I ragazzi e le ragazze nati e cresciuti in Italia saranno informati per tempo dai Comuni di residenza che possono diventare italiani appena spengono diciotto candeline. La lettera ai neomaggiorenni è una novità introdotta dall’articolo 33 cosiddetto “decreto del fare” (DL 69/2013), in corso di conversione in legge alla Camera dei Deputati. Il testo del governo, voluto dalla ministra dell’integrazione Cècile Kyenge e attualmente in vigore, prevede però genericamente che arrivi “al compimento del diciottesimo anno di età”. Ora un emendamento presentato dal Movimento 5 Stelle e approvato in Commissione specifica che gli Ufficiali di Stato Civile sono tenuti a informare i potenziali nuovi cittadini “nel corso dei sei mesi precedenti il compimento del diciottesimo anno di età”. Un anticipo importante, se si considera che chi vuole diventare italiano deve fare una dichiarazione in Comune entro il compimento dei 19 anni.

Rimangono invariate le altre importanti novità introdotte dal decreto. Se la lettera non arriva, si può presentare la dichiarazione anche dopo i 19 anni. Inoltre, a chi vuole diventare italiano “non sono imputabili eventuali inadempimenti riconducibili ai genitori o agli uffici della  Pubblica Amministrazione” e quindi  “può dimostrare il possesso dei requisiti con ogni idonea documentazione”. Qui i dettagli.

Stamattina il governo ha posto la fiducia sul testo approvato in Commissione. Vuol dire che non ci sarà spazio per altre modifiche. Forse è meglio: la Lega Nord, ad esempio, aveva proposto di abolire l’articolo 33  e di introdurne un altro che rendeva obbligatorio un “esame di naturalizzazione”.

Elvio Pasca, Stranieri in Italia



AgoraVox Italia

Ius soli: stranieri e cittadinanza

Riflessioni su Agora Vox Italia in ordine al dibattito di riforma della legge 91/92


Ad aprire il dibattito sullo ius soli ci aveva già pensato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel novembre del 2011, incoraggiando il governo ad affrontare la questione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati stranieri.

A due anni di distanza è la presidente della Camera, Laura Boldrini, che dalla Calabria riapre un dibattito che molti sperano venga discusso in parlamento. Anche il Ministro per l’integrazione Cécile Kyenge, protagonista e vittima di una battuta non certo galante da parte di un leghista della prima ora qual è Calderoli, che tra l’altro ricopre il ruolo di vicepresidente del Senato, invita al dibattito e al confronto tra tutte le parti sull’argomento delucidandoci sulle varie forme che lo ius soli assume nei diversi paesi che lo contemplano nel loro diritto.

Cosa è lo ius soli? “Lo ius soli fa riferimento alla nascita sul “suolo”, sul territorio dello Stato, e si contrappone, nel novero dei mezzi di acquisto del diritto di cittadinanza”, come si legge nel sito del Ministero degli interni, “allo ius sanguinis, (disciplinato dalla L. 91/1992, ndr) imperniato invece sull’elemento della discendenza o della filiazione. Per i paesi che applicano lo ius soli è cittadino originario chi nasce sul territorio dello Stato, indipendentemente dalla cittadinanza posseduta dai genitori”.

L’Italia ha da poco oltrepassato i 60 milioni di abitanti, anche grazie ai 4,3 milioni di stranieri presenti sul territorio. L’integrazione degli stranieri, sebbene le enormi difficoltà che si presentano, è soprattutto visibile negli asili e nelle scuole italiane, dove si è verificato un forte incremento della presenza di figli di stranieri tra i i banchi di scuola.

Secondo uno studio della fondazione Leone Moressa, oggi sarebbero quasi 80 mila i figli di genitori stranieri che avrebbero la cittadinanza italiana se venisse applicato loro lo ius soli (studio basato su dati del 2011, ndr), infatti “nel 2011 sono nati quasi 80.000 bambini da genitori stranieri. Il 14,50%, quindi dei nuovi cittadini italiani, sarebbero stati figli di genitori stranieri.

Dal 2002 la quota di bambini nati in Italia è aumentata, così come l’incidenza dei nati stranieri sui nati totali,che è passata dal 6,20% del 2002 al 14,50% del 201. I minori stranieri, considerando anche coloro che non sono nati in Italia, stanno diventando di anno in anno una componente sempre più importante della popolazione e la loro incidenza sul totale dei minori si aggira intorno al 10%, ovvero quasi 7 punti percentuali in più rispetto al 2002. Se consideriamo le seconde generazioni, vale a dire coloro che sono nati in Italia, tali giovani stranieri possono essere stimati in circa 730.000 unità andando a comporre oltre il 70% della popolazione minore straniera complessiva”.

Nel mondo, lo ius soli puro, senza restizioni, viene applicato da 30 stati, quasi tutti situati nel continente americano. Per quanto riguarda l'Europa, invece, Francia, Germania, Regno Unito, Gracia, Olanda, Irlanda e Spagna hanno una legislazione non univoca sulla cittadinanza, basata sostanzialmente sia sul iussanguinis sia sul ius soli, quest’ultimo temperato da requisiti più o meno forti a seconda delle nazioni che si vogliono prendere in esame (per un approfondimento clicca qui).

A rigor del vero, anche in Italia è presente una qualche forma di applicazione dello ius soli, che però si limita a riconoscere la cittadinanza italiana ai figli di ignoti e agli apolidi. Quindi una esigua minoranza, se non rara, potrebbe, ad oggi, avere accesso alla cittadinanza se non possiede i requisiti principali dello iussanguinis: specie se consideriamo i dati testé indicati che dipingono un quadro variopinto e multiculturale della nuova generazione italiana.

Intanto è in esame in Commissione affari costituzionali una proposta di legge presentata il 14 giugno 2013, targata Movimento Cinque Stelle, recante alcune modifiche all’attuale legislazione vigente in materia di cittadinanza, la L.91/92, che aprirebbe la strada ad un utilizzo temperato dello ius soli.

Il dibatto in Italia, si sa, è lento a nascere, specie per questioni così delicate come la cittadinanza e l’immigrazione, due concetti che possono convivere o possono scontrarsi a seconda che si attui una buona politica sull’integrazione e per l’integrazione. E questo dello ius soli è destinato certamente a divenire un dibattito che potrà coinvolgere tutti gli italiani e non, perché si dovrà mettere a nudo l’identità italiana scopriremo se essa abbia una pelle coriacea o non sia nient’altro che una cristalliera fragile sulla quale mostrare i nostri vizi e le nostre virtù, la nostra cultura.

E già un politilogo di un metallo raro e pregiato quale è Giovanni Sartori, punzecchia e consiglia alla ministra Kyenge, dalle colonne del Corriere della Sera, di rivedere le sue idee di immigrazione, integrazione e cittadinanza. Che il dibattito abbia inizio.


 

Viaggi


Ritorni a casa per l'estate? Ricordati di portare il permesso di soggiorno!

Solo chi ha un documento valido può spostarsi liberamente tra l’Italia il proprio Paese o all’interno dell’area Schengen. Deve rimanere in italia chi attende la regolarizzazione


Roma –  22 luglio 2013 - Molti immigrati approfitteranno delle ferie estive per tornare in patria, altri programmeranno comunque un viaggio fuori dall'Italia. Tutti farebbero bene a controllare il loro permesso di soggiorno prima di fare le valigie, per non rischiare, finita la vacanza, di non poter più rientrare. Innanzitutto, chi ha un permesso valido può tornare in patria e quindi rientrare in Italia quando vuole, l’importante è che porti con sé il permesso. Può poi spostarsi per turismo, senza chiedere visti, in tutti i Paesi Schengen: Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Austria, Grecia, Danimarca, Finlandia, Svezia, Islanda, Norvegia, Slovenia, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Malta e Svizzera. Se invece sceglie un Paese non Schengen, deve verificare se in base agli accordi  con il proprio Paese d’origine ha bisogno di un visto per visitarlo. Per chi invece attende il rinnovo del permesso di soggiorno, il viaggio di andata o di ritorno tra l’Italia e il proprio Paese d’origine non deve prevedere il passaggio o scali in un Paese Schengen. Bisogna portare con sé il passaporto, il permesso scaduto e la ricevuta dell'ufficio postale (cedolino) da esibire alla polizia di frontiera. Chi attende il primo permesso di soggiorno per lavoro o ricongiungimento familiare può viaggiare nell’Area Schengen solo se ha un visto di ingresso del tipo “Schengen uniforme” valido per tutta la durata del viaggio, altrimenti può solo viaggiare tra l’Italia e il suo Paese d’origine senza tappe europee. In ogni caso, insieme a cedolino e passaporto, dovrà esibire il visto rilasciato dal consolato che specifica il motivo del soggiorno in Italia. Dovrà invece rimanere qui chi attende la regolarizzazione, perché la ricevuta della domanda non è un documento valido per rientrare in Italia. Prima di essere liberi di viaggiare verso il proprio Paese d’origine, questi lavoratori dovranno quindi attendere la convocazione allo Sportello Unico per la firma del contratto di soggiorno e la domanda di rilascio del permesso. EP, http://www.stranieriinitalia.it/


Immigrati e lavoro


La presenza degli stranieri in Europa

Da Terzo Rapporto annuale: gli immigrati ed il mercato del lavoro in Italia. A cura della Direzione Generale dell’Immigrazione e delle Politiche di Integrazione, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali


Le Nazioni Unite hanno stimato per il 2011 una presenza di migranti nel mondo pari a circa il 3% della popolazione totale. L’Europa è la destinazione principale verso cui si orienta circa un terzo dei migranti (32,6%), mentre il 28% interessa l’Asia ed il 23% l’America settentrionale. Il fenomeno delle migrazioni ha assunto negli ultimi 20 anni una dimensione crescente ed è destinato ad aumentare anche con l’acuirsi della crisi economica internazionale. A partire dagli anni duemila, infatti, la pressione migratoria ha progressivamente assunto un connotato “sociale” legato all’aggravarsi delle condizioni di vita nei paesi di origine. La crescita dei movimenti migratori diretti in Europa è il risultato della combinazione di diverse tipologie di flussi che, soprattutto negli ultimi anni, sono meno legati alla domanda di lavoro insoddisfatta dalla forza lavoro nazionale e sempre più conseguenti alle pressioni migratorie dovute a condizioni di povertà o ad esodi generati da conflitti. Inoltre ai flussi migratori extracomunitari si aggiungono quelli intracomunitari,

aumentati significativamente nell’ultimo decennio, nell’ambito dello spazio di libera circolazione europea, con spostamenti anche consistenti da paesi di nuovo ingresso nell’UE. La popolazione straniera presente nella UE, al 1°gennaio 2012, ammonta a circa 34 milioni, il 7% della popolazione residente. La grande maggioranza degli stranieri (circa il 72,4%) si distribuisce in 5 Paesi, alcuni di lunga tradizione di accoglienza, come Germania (20,3%), Gran Bretagna (13,1%) e Francia (10,6%) e altri, come Spagna (15,2%) e Italia (13,2%), con una storia più recente di immigrazione. Ma sono proprio Spagna ed Italia i paesi che fanno registrare la crescita più significativa. Fatto cento il numero di stranieri presente nel 2002, a dieci anni di distanza l’aumento è superiore ai 250 punti percentuali per la Spagna e ai 211 per l’Italia, a testimonianza di una crescita tumultuosa della popolazione straniera. Assai diverso appare l’andamento della presenza straniera in Germania e in Francia. Nel primo caso si registra, nel

decennio, un leggero aumento del 1,3% rispetto al 2002 mentre in Francia la crescita in 10 anni è poco meno del 20%.

Il mercato del lavoro degli stranieri in Europa

La difficile fase economica condiziona significativamente l’andamento del mercato del lavoro europeo anche se, tra i vari paesi dell’Unione, si registrano performance molto diverse. Tra il 2008 ed il 2012, a fronte di un calo dell’1,6% del tasso di occupazione medio dei 27 paesi UE (64,2%), la Germania fa registrare una crescita del 2,7% raggiungendo quota 72,8%, mentre in Spagna il tasso di occupazione si riduce, dal 2008, di circa 9 punti percentuali attestandosi nel 2012 al 55,5%. Ed è all’interno di questo ipotetico spazio europeo, rappresentato appunto dagli scenari occupazionali opposti di Spagna e Germania, che si colloca il rapporto con il mercato del lavoro europeo della componente straniera. In questo senso, il dato più preoccupante riguarda la crescita della disoccupazione. Complessivamente nell’Unione Europea il tasso di disoccupazione della componente straniera della forza lavoro nel 2012 è pari al 17,8%, 5,6 punti percentuali in più rispetto al 2008. In Spagna nel corso del 2012, più di un terzo della popolazione straniera attiva è disoccupato e il tasso cresce a un ritmo elevatissimo, se si considera che rispetto al 2008 è aumentato di quasi 20 punti percentuali attestandosi al 36,1%, la quota decisamente più alta di tutta l’Unione Europea. Anche in Francia la disoccupazione straniera ha raggiunto un livello decisamente preoccupante (19,3%) in crescita rispetto al 2008 del 5,2%. In Germania, invece, proprio in virtù di una crescita dell’occupazione, la percentuale di stranieri in cerca di lavoro sulla popolazione attiva diminuisce dall’inizio della crisi di oltre 4 punti percentuali, segnalando, quindi, condizioni di continua valorizzazione della forza lavoro straniera. In Italia il tasso di disoccupazione della popolazione straniera è pari al 14,1%, un valore inferiore alla media europea, ma in forte crescita dall’inizio della crisi nel 2008 (+5,6%) e con un incremento di quasi 2 punti percentuali rispetto al 2011. In Italia, come si vedrà nelle pagine seguenti, la crescita della disoccupazione straniera dipende dalla composizione di più fattori: la crescita della popolazione straniera stabilmente residente, la crescita della componente di lavoratori di nazionalità UE ed ovviamente la crescita dei lavoratori stranieri extracomunitari che hanno perso il posto di lavoro. Ma al di là delle specificità che caratterizzano le diverse realtà nazionali è indubbio che la disoccupazione straniera rappresenta per l’Europa una delle questioni chiave nei prossimi anni.



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Immigrazione e lavoro 
Rapporto 2013, il "modello Italia"

Il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha presentato il gterzo rapporto annuale: "Gli immigrati nel mercato del lavoro in Italia". Ne emergbe una situazione con poche luci e molte ombre

di SALVATORE GIUFFRIDA


Immigrazione e lavoro  Rapporto 2013, il "modello Italia"ROMA - Piaccia o no, l'immigrazione è un fenomeno irreversibile e la società italiana sta diventando sempre più multietnica. È quanto si evince leggendo il nuovoRapporto sull'Immigrazione 2013 del ministero del Lavoro che, complici le battute di Calderoli e compagni sul ministro Kyenge, assume un sapore particolare. Anche perché l'Italia - assieme alla Spagna - è la nazione europea che negli ultimi dieci anni ha registrato la crescita più significativa di popolazione straniera, con un incremento dal 2002 del 211%: notevole, se paragonato al +20% della Francia e all'1,3% della Germania. E che stiamo andando inesorabilmente verso una società multietnica lo dimostra il fatto che anche nell'ultimo anno il numero di stranieri è cresciuto rispetto al 2011, passando da +195% a 211%. 
Crisi e disoccupazione.
 Il rischio, tuttavia, è di diventare una società multietnica sempre più disoccupata: non siamo ai livelli spagnoli, ma bisogna intervenire con politiche ad hoc. E subito: nell'Ue il tasso di disoccupazione degli stranieri è del 17,8%, in Italia del 14,1% ma dal 2008 (5,6%) cresce a un ritmo di 2 punti percentuali: nel Belpaese gli stranieri in età attiva sono quasi 4 milioni di cui 1,2 provenienti dall'Ue e 2,7 extraUe; circa 2 milioni e 330mila hanno una occupazione, di cui la maggior parte nei servizi (+6%). Ma la crisi ha colpito duro: diminuiscono gli stranieri occupati nell'industria (-2,6) e soprattutto nel settore edile (-3,1) mentre i lavoratori stranieri non qualificati sono il 34% (+5% rispetto al 2008) e i "qualificati" solo il 5,9 (-3,3% rispetto a 4 anni fa); ma soprattutto, gli stranieri in cerca di lavoro sono 382mila (erano 162mila nel 2008), di cui 193mila donne e 190mila uomini. Un dato da non sottovalutare: aumentano gli uomini costretti a rimanere in casa. Si stravolge così il concetto di famiglia, si destabilizzano intere comunità e le conseguenze si vedono sulle seconde generazioni. 

A pieno titolo nella forza lavoro italiana. Non solo: quasi la metà dei cittadini extracomunitari ha un permesso di soggiorno a tempo indeterminato, cioè fanno parte a pieno titolo della forza lavoro italiana e di una nazione passata da un'economia in grado di offrire un'occupazione a un paese che ha fame di lavoro. Ma è sulla crescita demografica che i dati del ministero sono impietosi: se nel 2003 gli stranieri erano 1,5 milioni, ora hanno superato la soglia dei 4 milioni e sono il 7,9% della popolazione totale. Insomma, senza immigrati l'Italia sarebbe un paese di anziani: nei prossimi anni i figli degli stranieri nati in Italia rappresenteranno il 20% della forza lavoro nazionale. Un dato che deve far riflettere, specie ora che si parla di ius soli e diritti di cittadinanza.
Le prospettive. Storicamente, l'Italia non ha una tradizione multietnica. Non è un paese con un passato coloniale come Francia o Gran Bretagna. In dieci anni ha dovuto affrontare un fenomeno nuovo e dirompente dal punto di vista sociale, economico e (non da ultimo) istituzionale. Forse anche per questo il ministero ha parlato di un "modello italiano", come di un sistema che, nonostante tutto, sta reggendo. Ma se la disoccupazione tra gli stranieri aumenta, sale anche l'allarme sull'integrazione sociale. Lo dicono le parti sociali: il presidente Anolf Cisl di  Roma, Nando Bussi, punta il dito sulla crisi, che "tuttora condiziona il mercato del lavoro. Gli immigrati hanno difficoltà a trovare un'occupazione dato che gli italiani sono tornati a riscoprire molti mestieri umili generalmente svolti da immigrati. 
Il rimpatrio. Così molti tornano in patria togliendo forza lavoro al mercato italiano, altri perdono il permesso di soggiorno e diventano fantasmi". Gianluca Luciano, editor Stranieriinitalia, portale web su immigrazione e diritti, chiede interventi ad hoc: "servono politiche di supporto e reimpiego. Va migliorato l'incontro tra domanda e offerta e prosciugata l'area del sommerso, anche con meccanismi di regolarizzazione permanente e individuale. Con i "decreti flussi" funziona così: i lavoratori non arrivano dall'estero, ma sono già qui irregolarmente e si sfrutta quel meccanismo per regolarizzarli. Insomma, basta ipocrisie".



Pubblico impiego: accesso vietato agli stranieri

di Lavoce.info | 23 luglio 2013

La piena integrazione della popolazione immigrata non passa solo per la riforma delle norme sulla cittadinanza. Altrettanto importante è la questione dell’apertura dei concorsi per il pubblico impiego. La legge europea 2013, il Parlamento e le resistenze di parti della burocrazia ministeriale. 


Cittadinanza e pubblico impiego

Negli ultimi mesi si è discusso molto della possibilità di riformare la legge sulla cittadinanza. In una riforma che renda più agevole l’acquisto della cittadinanza per gli stranieri che siano nati in Italia o che vi abbiano compiuto buona parte del loro percorso scolastico molti vedono lo strumento principale per favorire la piena integrazione della popolazione immigrata e della cosiddetta “seconda generazione”. Paradossalmente, pochissima attenzione è stata dedicata, però, a un altro elemento da cui dipende il successo del processo di integrazione: l’apertura dei concorsi per il pubblico impiego agli stranieri. Su questo punto si sta giocando una partita importante, ma senza pubblico.
La questione del possibile accesso dei cittadini stranieri al pubblico impiego è importante per almeno due ragioni. La prima è che i cittadini italiani hanno tutto l’interesse a che la pubblica amministrazione, in quanto datore di lavoro, possa fruire di una concorrenza allargata sul versante dell’offerta di lavoro, avendo così modo di selezionare al meglio i propri dipendenti: ciò che i lavoratori nazionali perdono per il venir meno di una barriera protezionistica, lo recuperano largamente come utenti di servizi pubblici migliori. La seconda ragione è che avere a che fare, nella nostra vita quotidiana, con insegnanti, impiegati comunali o medici ospedalieri stranieri contribuirebbe a far superare lo stereotipo dell’immigrato destinato irrimediabilmente ai livelli più bassi della scala sociale e permetterebbe di attrarre o trattenere in Italia immigrazione altamente qualificata (si pensi, in particolare, agli studenti stranieri che conseguono nelle nostre università, con notevole onere per la collettività, laurea, master o dottorato di ricerca).

Ricorsi in tribunale

Il problema è che in Italia non è mai stato del tutto chiaro se lo straniero possa accedere ai concorsi pubblici o no. Fino a qualche anno fa la cosa sembrava pacificamente esclusa. L’articolo 51 della Costituzione stabilisce che “Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici”, e questo era stato interpretato come una riserva di quegli uffici ai cittadini nazionali. Questa interpretazione trovava sostegno nell’articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 487/1994, che include la cittadinanza italiana tra i requisiti generali per l’accesso agli impieghi civili delle pubbliche amministrazioni. A questi argomenti, letti come volontà del legislatore di tutelare i fini pubblici, che nel cittadino si suppongono più strettamente legati ai fini personali, si erano appoggiati, per negare ogni possibilità di accesso, una sentenza della Corte di cassazione (n. 24170/2006) e un parere del dipartimento della Funzione pubblica (n. 196/2004). Già a quel tempo, per dire la verità, queste posizioni apparivano inconciliabili con una norma (oggi, articolo 38 del decreto legislativo 165/2001) che l’Italia aveva dovuto varare per conformarsi alla normativa comunitaria e che dispone che i cittadini dell’Unione europea possono accedere ai posti pubblici che non implichino esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri e non attengano alla tutela dell’interesse nazionale. La disposizione rendeva evidente come la tesi di un pubblico impiego riservato al cittadino italiano fosse diventata insostenibile, se non per un novero ristretto di posti (quelli, appunto, che comportano esercizio di pubblici poteri o coinvolgono l’interesse nazionale). Da allora, poi, diverse norme sono state varate, in attuazione di direttive comunitarie, che prevedono esplicitamente l’accesso al pubblico impiego, a parità con il cittadino dell’Unione europea, per diverse categorie di stranieri (non comunitari): familiari stranieri di cittadini comunitari (art. 19 co. 1 Dlgs 30/2007), rifugiati (art. 25 co. 2 Dlgs 251/2007) e loro familiari (art. 22 co. 2 Dlgs 251/2007), titolari di permesso di soggiorno Ce per soggiornanti di lungo periodo (art. 9 co. 12 lettera b Dlgs 286/1998), titolari di Carta Blu UE (art. 27-quater co. 14 Dlgs 286/1998). Le pubbliche amministrazioni, all’atto di emanare un bando di concorso, quand’anche tengano a mente queste categorie, continuano a considerarle come eccezioni a una generale preclusione ancora vigente. Agli stranieri che non rientrino in queste eccezioni non resta così che impugnare davanti al giudice il bando di concorso, chiedendo che ne venga riconosciuto il carattere discriminatorio.
Da anni ormai i giudici danno, in modo pressoché univoco, ragione al ricorrente e condannano l’amministrazione a modificare il bando di concorso. L’argomento a sostegno di questo orientamento ormai consolidato si basa su due elementi. Il primo è che l’Italia ha ratificato nel 1981 la Convenzione Oil 143/1975. La convenzione afferma il principio di parità di opportunità e di trattamento in materia di occupazione e di professione tra lavoratori stranieri legalmente soggiornanti e lavoratori nazionali (art. 10). Gli Stati che la ratificano si obbligano ad abrogare qualsiasi disposizione legislativa e modificare qualsiasi disposizione o prassi amministrativa incompatibili con questo principio (art. 12). Non possono poi imporre ai lavoratori stranieri restrizioni nell’accesso all’occupazione (in particolare, ai posti di lavoro pubblici), salvo che questo si renda necessario nell’interesse dello Stato (art. 14). Il secondo elemento è dato dalla constatazione che le disposizioni citate, che consentono l’accesso al pubblico impiego a determinate categorie di stranieri, riguardano soggetti che, di per sé, non offrono alcuna particolare garanzia di fedeltà alla Repubblica. Può trattarsi infatti di persone appena arrivate in Italia (si pensi al rifugiato) o addirittura arrivate illegalmente (il clandestino che abbia poi sposato in Italia un cittadino dell’Unione europea). Se lo Stato e la sua legge non vedono motivi per vietare l’accesso al pubblico impiego a queste persone, su che base dovrebbero vietarlo – poniamo – allo straniero che abbia appena conseguito un dottorato di ricerca alla Bocconi? Questo stesso orientamento è stato benedetto dalla Corte costituzionale (ordinanza n. 139/2011), che ha allo stesso tempo preso le distanze da quello, restrittivo, della Cassazione.

L’occasione della legge europea

Quale partita si sta giocando in proposito? Il disegno di legge europea 2013 (la legge con cui l’Italia adegua la propria normativa agli obblighi comunitari) include, tra le categorie di stranieri esplicitamente ammesse al pubblico impiego, il destinatario di protezione sussidiaria (parificandolo così al rifugiato). Se lo facesse modificando solo il testo del Dlgs 251/2007, la situazione descritta fin qui resterebbe sostanzialmente inalterata; le tesi sostenute dai giudici, anzi, risulterebbero rafforzate dall’inclusione di un’ulteriore categoria del tutto priva di una connotazione di fedeltà alla Repubblica. Viene però introdotto, con tecnica legislativa censurabile, un nuovo comma nell’art. 38 Dlgs 165/2001, nella forma seguente: “Le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 (quelle, cioè, che prevedono l’accesso al pubblico impiego dei cittadini dell’Unione europea, ndr) si applicano ai cittadini di paesi terzi che siano titolari del permesso di soggiorno Ce per soggiornanti di lungo periodo o che siano titolari dello status di rifugiato ovvero dello status di protezione sussidiaria”. A prima vista si tratta solo di una inutile ripetizione, neanche completa, di disposizioni contenute in altre leggi. Il rischio, però, è che questa ripetizione venga interpretata come un intervento del legislatore mirato a escludere tutte le categorie non esplicitamente citate. Naturalmente, un’interpretazione di questo genere resterebbe in contrasto con gli obblighi posti dalla Convenzione Oil 143/1975 e, quindi, con l’articolo 117 comma 1 della Costituzione; ma le amministrazioni pubbliche si sentirebbero legittimate a mantenere, nei bandi di concorso, le restrizioni basate sulla cittadinanza, e il diritto di accesso dovrebbe essere fatto valere, per molto tempo ancora, a seguito di azione giudiziaria e a titolo individuale.
C’è qualcuno dall’altra parte del campo, qualcuno che cerchi di far dire finalmente alla legge, in modo esplicito, quello che la giurisprudenza vi coglie in filigrana alla luce del dettato costituzionale? Al Senato, c’è stato un debole tentativo di emendare questo testo pasticciato, ma si è infranto contro la resistenza di pezzi di burocrazia ministeriale che preferiscono continuare a perdere in giudizio piuttosto che adattarsi a un paese che cambia. Alla Camera qualche parlamentare ci riproverà, nella distrazione della massa. Con maggior successo? Dipende molto da quanto i ministri competenti (Lavoro, Integrazione, Funzione pubblica) sapranno cogliere l’importanza della questione.

di Sergio Briguglio, fisico, ricercatore ENEA ed esperto di politica dell’immigrazione


 

Protezione Internazionale


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Minori stranieri, ecco la proposta di legge per la tutela


Martedì 23 luglio 2013 - Roma - Il primo passo lo farà Save the Children che, giovedì 25 giugno, alle 13.00, presso la Sala Stampa del Parlamento a Palazzo Montecitorio, presenta la prima proposta per un Disegno di Legge organico per la Protezione e la Tutela dei Minori Stranieri non Accompagnati in Italia. Si tratta di una iniziativa che per la prima volta vuole modificare nel suo complesso questa materia, e nasce da un’esperienza specifica pluriennale sul tema in oggetto maturata nel nostro Paese da Save the Children. Il flusso di arrivo di minori stranieri soli, senza adulti di riferimento, in Italia è costante, e la loro accoglienza viene affrontata ormai da troppi anni solo in termini di emergenza, senza poter contare su un sistema nazionale organizzato, con un continuo rimpallo di competenze e responsabilità tra istituzioni locali e nazionali e tra gli stessi ministeri. I minori stranieri non accompagnati rappresentano un gruppo particolarmente a rischio, hanno alle spalle viaggi che talvolta sono durati anni, arrivano in Italia spesso dopo aver vissuto violenze di ogni tipo, talvolta caricati da debiti di viaggio da restituire. Nonostante l’impegno di tanti, sia all’interno delle istituzioni che nelle reti associative e di volontariato, ancora oggi nel nostro Paese i loro diritti essenziali non sono rispettati, come il diritto al riconoscimento della minore età o quello ad un’accoglienza decorosa, il diritto alla nomina di un tutore o la possibilità di essere ascoltati nelle scelte che li riguardano. La proposta per un Disegno di Legge organico di Save the Children, condivisa con alcuni esperti in materia, punta a superare le principali criticità del contesto normativo e operativo attuale, ha già raccolto una forte adesione trasversale tra esponenti dei principali gruppi politici presenti alla Camera, e il sostegno diretto di alcuni parlamentari, che saranno presenti e interverranno in occasione della presentazione ufficiale. Alla presentazione interverranno Claudio Tesauro, Presidente di Save the Children Italia, e Valerio Neri, Direttore Generale dell’Organizzazione.
di V.R.
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at: http://www.comunicareilsociale.com/2013/07/23/minori-stranieri-ecco-la-proposta-di-legge-per-la-tutela/?utm_source=dlvr.it&utm_medium=twitter#sthash.JKU67bcb.dpuf 


Pubblicato il nuovo regolamento Dublino III


Che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide - Il nuovo regolamento "Dublino III" che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, è stato pubblicato sulla gazzetta ufficiale dell'unione europea n. L 180/31 del 29 giugno 2013.
Detto Regolamento tra non molto andrà ad apportare una serie di modifiche sostanziali al vecchio Regolamento (CE) 343 del 18 febbraio 2003:
- quando sussiste un rischio notevole di fuga, gli Stati membri possono trattenere l’interessato al fine di assicurare le procedure di trasferimento;
- per la tutela del richiedente prima del trasferimento è stato inserito lo scambio dei dati personali, compresi i dati sensibili sul suo stato di salute;
- è stata modificata la definizione di familiare;
- introdotto l’effetto sospensivo del ricorso e i termini per la procedura di ripresa in carico
Regolamenti abrogati: 
Regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio 
Regolamento (CE) n. 1560/2003 della Commissione, unicamente l’articolo 11, paragrafo 1, e gli articoli 13, 14 e 17

Regolamento (UE) n. 604/2013 del 26 giugno 2013 Parlamento Europeo e del Consiglio (G.U. dell'Unione europea n. L 180/31 del 29.6.2013)


 

 

 

 

 

 

 

 

Notizie in Breve


news in 50 lingue

25 luglio 2013

Sit in dei Radicali al Viminale a difesa dei referendum, anche quello per l’abolizione dei reato di immigrazione clandestina.
“A 20 giorni dall’inizio della raccolta firme in molti Comuni ancora mancano pubblici ufficiali per la convalida”.

 

24 luglio 2013
Un manifesto interreligioso sull’accoglienza degli stranieri e sul contrasto alla xenofobia.
16 impegni assunti dai responsabili delle comunità di fede che riconoscono il dovere delle loro rispettive tradizioni religiose di accogliere lo straniero.

23 luglio 2013
Denuncia del sindacato di Polizia: “i Cie sono bombe a orologeria”.
Troppi 18 mesi di permanenza massima, il Governo “introduca limiti più ragionevoli”.

 

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23 luglio 2013
La Germania apre le liste per “professionisti di fascia intermedia” extra Ue.
Si cercano elettricisti, infermieri, personale per assistenza alla persona.

24 luglio 2013
Immigrazione: 199 sbarcano a Siracusa

ANSA.it-

Immigrazione: 199 sbarcano a Siracusa (ANSA) - SIRACUSA, 23 LUG - Un barcone con 199 migranti, tra i quali 17 bambini e 19 donne, ...

 

24 luglio 2013
Unioncamere: diminuisce la richiesta di lavoratori stranieri.
Stime del Sistema informativo Excelsior per il 2013: richiesta di assunzioni di lavoratori stranieri in calo dal 15% al 9%.