Newsletter periodica d’informazione
|
|
Rassegna ad uso
esclusivamente interno e gratuito, riservata agli
|
Anno XI n.18 del 28 maggio 2013 |
Consultate www.uil.it/immigrazione
Aggiornamento quotidiano sui temi di interesse di cittadini e lavoratori stranieri
Stranieri ed impiego pubblico: in arrivo un disegno di legge europea La UIL ne ha discusso in un convegno lo scorso 28 marzo dicendosi pronta all’apertura di un dibattito, dentro e fuori l’Organizzazione, sull’opportunità di chiedere al Legislatore il superamento delle discriminazioni che ancora impediscono ai lavoratori stranieri lungo soggiornanti di accedere a certi settori del pubblico impiego. Se non è il sindacato ad affrontare questi temi – abbiamo detto - cercando soluzioni eque attraverso la contrattazione ed il confronto, il rischio è che l’iniziativa verrà presa dai tribunali italiani o dal Parlamento che dovranno comunque dar seguito ai contenuti delle direttive UE. E’ quello che sta oggi accadendo con l’assegnazione in Commissione al Senato del nel disegno di legge europea 2013 che intende permettere ai lungo soggiornanti di accedere “ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri”.
|
SOMMARIO
Immigrati e Pubblica Amministrazione pag. 2
Crisi ed immigrazione pag. 2
Inclusione sociale pag. 4
Flop del welfare in Scandinavia pag. 5
Il nuovo CCNL del lavoro domestico pag. 6
Immigrati in Germania pag. 7
Notizie in breve pag. 7
Foreign Press pag. 8
|
A cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil
Dipartimento Politiche Migratorie
Tel. 064753292- 4744753- Fax: 064744751
Migratorie: appuntamenti
Bruxelles, 31 maggio 2013
ILO Conference on Promoting the Integration of Migrant Domestic Workers in Europe
(Ivana Veronese)
Roma, 04 giugno 2013, Unioncamere, ore 09.30
CNA - Rapporto annuale sull’impresa etnica
(Giuseppe Casucci)
Roma, 06 giugno 2013, sede del Formez, ore 10.30
Incontro su immigrazione e buone pratiche di accoglienza
(Giuseppe Casucci)
Pordenone, 7 giugno 2013,
Incontro UIL e ITAL su Nuova Cittadinanza
(Guglielmo Loy)
Roma, 16 giugno 2013, Chiesa Santa Maria della Luce, ore 14.30
Acli Colf e Nodi - Lavoro domestico: insieme per un lavoro dignitoso
(Giuseppe Casucci)
Palermo, 18/29 giugno 2013, Fonderie Reali, ore 10.00
EGAM _ Meeting Internazionale Antirazzista sull’Immigrazione
(Giuseppe Casucci)
Il disegno di “Legge europea 2013” apre i posti pubblici ai cittadini stranieri che hanno la carta di soggiorno e ai rifugiati. Il testo, firmato dal governo Monti, ha iniziato in questi giorni il suo iter in Parlamento
(www.stranieriinitalia.it)
Roma – 27 maggio 2013 – Concorsi pubblici aperti agli immigrati che
hanno in tasca la carta di soggiorno. Non potranno diventare magistrati o
militari, che devono essere italiani, ma anche se sono cittadini stranieri non
si potrà impedire loro di fare gli insegnanti, i medici o gli impiegati
statali.
Dopo un tentativo
sfumato nella scorsa legislatura, l’Italia prova di nuovo a
cancellare il divieto d’accesso dei cittadini stranieri alla pubblica
amministrazione. Lo chiede da tempo l’Ufficio
Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, ma a mettere fretta sono
soprattutto i procedimenti preliminari di infrazione avviati dalla Commissione
europea. Non a caso la novità è contenuta nel disegno di
“legge europea 2013” assegnato mercoledì scorso in Senato alla
“commissione Politiche dell’Unione europea”, che serve proprio ad allineare la
legge italiana alla normativa comunitaria. Un testo in realtà scritto dal
governo Monti, che però camminerà tra i due rami del Parlamento anche adesso
che a palazzo Chigi c’è Enrico Letta. Cosa dice il ddl? Tra le altre cose,
modifica le “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche” (d. lgls.165/2001), secondo le quali, già oggi,
“possono essere cittadini degli Stati membri
dell'Unione europea possono accedere ai posti di lavoro presso le
amministrazioni pubbliche che non implicano esercizio
diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero
non attengono alla tutela dell'interesse nazionale”. Nel disegno di “legge
europea 2013” si allarga questa possibilità “ai loro familiari non aventi la
cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o
del diritto di soggiorno permanente”. Ma anche “ai cittadini di Paesi
terzi che siano titolari del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo
periodo o che siano titolari dello status di rifugiato ovvero dello status di
protezione sussidiaria”. Se verrà approvato così potrebbe far diventare un
(brutto) ricordo concorsi come quello che sta reclutando
maestri e insegnanti per la scuola italiani, rigorosamente chiuso
agli stranieri e già definito
discriminatorio da un tribunale. Ora, però, tocca al Parlamento.
Di Elvio Pasca
Crisi ed immigrazione
Immigrazione, cala anche l’occupazione etnica e gli immigrati se ne vanno.
Il tasso di disoccupazione per gli stranieri è arrivato nel 2012 al 14,1 %, mentre quello di occupazione scende di 6,5 punti. Il lavoro cresce solo nell’area dei servizi alla persona. Attualmente i disoccupati regolari sono oltre 318 mila. Intanto l’Istat avverte: forse ottocentomila stranieri se ne sono già andati.
(redazionale) Roma, 24 maggio
2013 – In un film di appena due anni fa, diretto da Francesco Patierno ed
interpretato da Diego Abatantuono e Valerio Mastrandrea (“Cose dell’altro
mondo”) all’improvviso, nel giro di una notte, succede che tutti gli immigrati
stranieri scompaiono e la popolazione
di una città veneta si ritrova di colpo a dover fare i conti con se stessa e
con le sue proprie contraddizioni di popolo in declino. Cosa fare se da un
giorno all’altro, sparisce il fornaio, il cameriere, il macellaio, l’idraulico,
l’infermiere, la colf e la badante lasciando vacanti lavori che noi italiani
abbiamo da tempo dimenticato come svolgere? Certo, non siamo nella fiction di
“A day without a Mexican”, film a cui Patierno si è ispirato, ma possiamo
certamente dire che, in materia di flussi migratori, sembra cambiata un’epoca e
che probabilmente dovremo rivedere le stime demografiche nel prossimo futuro.
Inoltre, che senza l’apporto della popolazione straniera, quella complessiva è
destina a decrescere, accrescendo nel contempo il declino della nostra Nazione.
Qualche tempo fa l’Istat ha rilevato una discrasia tra i dati del censimento e
quelli risultanti dagli stranieri residenti: una differenza di 800 mila persone
che non è facilmente spiegabile con la supposta “timidezza” dei cittadini stranieri
a rispondere ai dati od alla poca dimestichezza nell’uso dell’informatica. Oggi
è difficile dire quanti stranieri abbiano deciso di andarsene (a casa propria o
in un altro Paese) e quanti tengono duro scommettendo su una improbabile
ripresa economica. Non c’è dubbio, comunque, che 'impatto della crisi stia
avendo forti ricadute anche sui lavoratori stranieri che vivono in Italia.
Secondo dati del Ministero del Lavoro, tra il 2011 ed il 2012 è aumentato in
misura significativa il numero di disoccupati cittadini di Paesi Terzi, passati
da 264mila (terzo trimestre 2011) a 318mila (terzo trimestre 2012). Va
ricordato che per un immigrato perdere il lavoro ha una doppia negativa
valenza: intanto viene meno una fonte certa d’ingresso (a meno che uno non possa
godere di ammortizzatori sociali), ma soprattutto che perdere il lavoro (e non
trovarne un altro entro un anno) può comportare – alla scadenza dello
stesso – il mancato rinnovo del permesso di soggiorno, cosa che comporta
lo scivolamento in una condizione di clandestinità (ed assenza virtuale di
diritti) o il rischio di espulsione. Ora è sempre l’Istat nel suo “Rapporto
annuale 2013” sulla situazione del Paese, a darci un quadro più dettagliato del
quadro occupazionale dei cittadini stranieri. Nel 2012 l’occupazione etnica
(che conta di 2 milioni 334 mila lavoratori stranieri) è aumentata (+83 mila
rispetto al 2011) ma, a differenza del recente passato, l’incremento è avvenuto
a ritmi dimezzati ed è ascrivibile in oltre otto casi su dieci all’aumento registrato
nei servizi alle famiglie (+73 mila unità, quasi esclusivamente donne). Secondo
l’Istituto, le presenze più consistenti di stranieri si trovano nelle
costruzioni (18,9%) e nei servizi domestici e di cura (76,8% nel 2012, era
67,3% nel 2008). Tra le professioni non qualificate un occupato su tre è
straniero. Il tasso di occupazione degli stranieri scende però dal 2008 di 6,5
punti percentuali contro 1,8 punti degli italiani (dal 67,1% al 60,6% e dal
58,1% al 56,4%, rispettivamente). In particolare, gli uomini stranieri perdono
10,3 punti percentuali contro i 3,5 punti degli italiani. Gli stranieri in
cerca di occupazione sono aumentati del 23,4%. Tra il 2008 e il 2012 il tasso
di disoccupazione degli immigrati è cresciuto di quasi 2 punti in più (dall’8,5%
al 14,1%) rispetto a quello degli italiani (dal 6,6% al 10,3%). In confronto
agli autoctoni, nel 2012 le differenze più elevate sono presenti nel Nord
(14,4% contro 6,4% degli italiani). Le diverse comunità sono state
differentemente colpite dalla crisi: la perdita occupazionale risulta maggiore
per marocchini e albanesi, più inseriti nel settore industriale, mentre
risultano meno colpite le comunità (soprattutto la componente femminile) più
impegnate nei lavori di servizi alle famiglie e di assistenza (filippina,
romena, polacca). Una prospettiva dunque a dir poco grigia anche per i nostri
colleghi non autoctoni, in genere più adattabili ad offrirsi a condizioni
difficili di lavoro, ad occupazioni poco allettanti ed a retribuzioni meno
generose di quelle offerte agli italiani. Un altro elemento allarmante ce lo
fornisce l’ISMU secondo cui nel 2011 sono
arrivati appena 27mila stranieri mentre hanno fatto le valigie per l'estero
50mila italiani. Uno scenario impensabile anche solo in tempi recentissimi: dal
2002 al 2009 ha varcato la frontiera italiana una quota oscillante tra i
350mila e i 500mila migranti l'anno. Le prime avvisaglie di questo fenomeno
erano palesi già nel 2010, quando il saldo tra stranieri che entravano e
stranieri che uscivano dall'Italia era sceso bruscamente a 69mila unità. Ma è
nel 2011 che si registra per la prima volta una crescita zero dell'immigrazione
(+0,5%): al primo gennaio 2012 gli stranieri in Italia erano 5 milioni 430mila
contro i 5 milioni e 403mila rispetto a un anno prima. Secondo l'Ismu questo
non significa che poco a poco gli stranieri smetteranno di venire e
abbandoneranno gradualmente il Belpaese, ma certo è finita l’era della crescita
demografica tumultuosa nella sua componente etnica che ha portato la popolazione
straniera a quintuplicare tra il 2000 ed il 2012. Se all’azzeramento dei
flussi in ingresso aggiungiamo la possibile diaspora della componente straniera
che con tanta fatica si era integrata nel Belpaese, il quadro risultante
dovrebbe suscitare più di un allarme al nostro Esecutivo. Anche se le
performance dei governi nel primo decennio del secolo si sono particolarmente
distinte per incapacità di “governance” del fenomeno migratorio. Non dobbiamo
infatti dimenticare che la nostra popolazione di 60 milioni di persone, è in
realtà composta di 55 milioni di italiani e 5 milioni di stranieri. Con un
tasso di fertilità di soli 1,42 figli per donna (contro 2,07 figli delle donne
straniere) siamo un popolo destinato al declino, perché la ricchezza di una
nazione si basa soprattutto sulle risorse umane di cui può contare. Senza quei
400 mila stranieri entrati ogni anno, saremmo già scesi a 55 milioni e meno. Il
gap demografico, inoltre, produce buchi nel mercato del lavoro di alcune
centinaia di migliaia di posti l’anno, senza contare il deficit di expertise
che ci può causare la fuoriuscita di migliaia di persone che hanno lavorato e
si sono formate accanto a noi e che ora andranno ad offrire altrove la propria
professionalità (assieme, tra l’altro, a molti dei nostri figli). Secondo molti
indicatori, malgrado la crisi il gap demografico continuerà a produrre la
necessità di nuovi ingressi dall’estero. Potremmo però trovarci di fronte ad un
nuovo paradosso: per molti anni l’immigrazione è cresciuta malgrado la stagnazione
e l’assenza di crescita economica. Una immigrazione che qualcuno ha chiamato
low cost” che è andata gradualmente a riempire quelle sacche occupazionali
lasciate libere dagli italiani. Oggi, all’apice della crisi occupazionale,
osserviamo ad un’inversione di rotta, con l’azzeramento degli ingressi etnici e
la diaspora di stranieri residenti che abbandonano la nave. Una fuoriuscita che
potrebbe continuare malgrado il costante gap demografico, e le cui conseguenze
e danni sono per ora difficilmente quantificabili. C’è n’è abbastanza,
crediamo, per rilanciare una profonda riflessione su quanto stia accadendo nel
mercato del lavoro e quanto accade in materia di immigrazione. Forse le
risposte da dare sono complessivamente alla società ed al mondo del lavoro
italiano. Non dimentichiamo però che il segmento etnico è pari al 10,2% del
mondo del lavoro e produce l’11% del PIL: possiamo veramente permetterci di
farne a meno?
Di Giuseppe Casucci
Inclusione sociale
(www.intopic.it) Ospite da Fazio in un’ultima puntata allungata di ‘Che tempo che fa’ Roberto Saviano parla del suo libro Zero Zero Zero e non perde occasione per farci riflettere. L’argomento della serata è il razzismo. Lo scrittore campano parla della necessità di introdurre il prima possibile lo ‘ius soli’ di come i terribili vincoli non permettano ai ragazzi figli di immigrati, che in Italia sono quasi un milione, amici dei nostri figli, dei nostri fratelli, ragazzi che vivono con noi tutti i giorni, rischino di tornare in un paese che nemmeno conoscono. Sono nati qui, sono italiani, mangiano come noi, parlano la nostra lingua… dove dovrebbero andare? Fuori dall’Italia si sentono stranieri, sono stranieri. Saviano porta in studio tre ragazzi: Raami, nato a Biella nel 1987 da genitori egiziani. I suoi vivono in Italia da 23 anni, ha due sorelle ma è l’unico della sua famiglia a non avere ancora il permesso di soggiorno nonostante ne abbia fatta richiesta nel 2007 e, come lui stesso ha ricordato, il ministero è obbligato a rispondere entro 730 giorni. “Dovessi essere rispedito in Egitto sarei arrestato come disertore in quanto non ho prestato servizio militare,” dice il ragazzo che ha paura di esser mandato via da casa.
Valentino si presenta con uno splendido accento romano. Nato all’ospedale San Camillo di Roma nel 1987, figlio di genitori nigeriani arrivati in Italia sei anni prima di metterlo al mondo. Quando i suoi genitori decidono di trasferirsi negli Stati Uniti lui decide di rimanere nel suo paese, l’Italia. “Mentre i miei compagni pensavano al calcetto io pensavo ad alzarmi alle sei per fare la fila per il permesso di soggiorno.” Infine parla Anastasio. I suoi genitori vengono dalle Mauritius ma lui è nato a Parma 23 anni fa. Ha vissuto con un soggiorno di permesso rinnovabile ogni due anni ma terminate le scuole superiori, essendo disoccupato, ha vissuto un anno da clandestino, senza possibilità di iscriversi all’università o di intraprendere il suo sogno di entrare nell’esercito italiano. Cittadino solo da due anni “Sono uno straniero che parla italiano per gli italiani ed un immigrato che parla italiano per gli immigrati come me.”
RABBIA NEI GHETTI
Era l'Eldorado dei migranti. Ma l'ospitalità del Nord Europa ha fallito. La Danimarca ha già ridotto le accoglienze. E in Svezia l'estrema destra sovvenziona chi fa ritorno a casa. Altri scontri a Stoccolma.
Di Cinzia Franceschini, http://www.lettera43.it/
Venerdì, 24 Maggio 2013
Quando
nel 2006 il ministro danese per l'Immigrazione e l'integrazione, Rikke
Hvilshoj, annunciò che il suo Paese avrebbe presto adottato nuove regole in
materia di accoglienza, bastò un numero a far capire che l'ospitalità
nordeuropea sarebbe stata rivoluzionata.
«Se l'immigrazione dai Paesi del terzo mondo venisse bloccata, quel 75% di
tagli indispensabili alla sopravvivenza del nostro welfare state non sarebbero
più necessari», disse infatti il politico, segnando uno spartiacque.
La Danimarca mise a punto allora una delle politiche migratorie più restrittive
in Europa, riducendo della metà i ricongiungimenti e accogliendo non più di 2
mila rifugiati l'anno.
IMMIGRAZIONE BOOM IN SVEZIA. Oggi
la Svezia, sconvolta dai riot nelle
periferie di Stoccolma, si trova nella stessa situazione
della Danimarca di 7 anni fa.
Lo Stato scandinavo s'interroga sul futuro delle sue politiche di
accoglienza. Da una parte c'è l'altissimo numero di richiedenti asilo, 44
mila richieste nel 2012 che dovrebbero alzarsi fino a 50 mila nel 2013.
In genere ne vengono accolte poco meno della metà, un numero comunque alto per
un Paese di 9 milioni di abitanti e con uno stato sociale allargato come quello
della Svezia.
LA RABBIA DEI QUARTIERI GHETTO. Dall'altra ci sono i segni evidenti
delle fallite politiche di integrazione.
Ne sono un esempio i quartieri-ghetto di Rosengård, a Malmö, e quelli della
periferia di Stoccolma, dove da cinque notti ragazzi tra i 15 e i 19 anni incendiano le automobili e
lanciano pietre contro la polizia, sfogando la rabbia di
chi, dicono, è stato dimenticato dalla politica.
FLOP DELLE POLITICHE D'IMMIGRAZIONE. L'immigrazione, lo sostengono anche i
sondaggi, sta diventando uno dei temi più importanti per i cittadini svedesi.
I massicci flussi migratori, composti in maggior parte da rifugiati politici
dei fronti nordafricani, dalla Somalia, dall'Afghanistan e, di recente, dalla
Siria, non sono stati accompagnati da adeguate politiche di
integrazione. Sussidi, casa, servizi sanitari e istruzione sono
appannaggio di tutti (da luglio anche ai figli di immigrati
irregolari). Ma diventare a tutti gli effetti un membro della società
resta difficile.
LA PIAGA DELLA DISOCCUPAZIONE. «In Svezia avere un lavoro è tutto»,
ha detto il ministro dell’Immigrazione Tobias Billström.
Avere un impiego significa infatti contribuire al benessere della società, a
quello stato sociale cui, secondo un'opinione sempre più diffusa, gli immigrati
attingono senza dare nulla in cambio.
A Rosengård, però, solo il 38% delle persone è occupato. A Husby, il quartiere
di Stoccolma dove sono i riot sono cominciati, il 30% dei giovani non lavora e
non va nemmeno a scuola.
L'immigrazione
non è però un problema solo della Svezia.
La Norvegia, come la Danimarca ai tempi delle vignette satiriche su Maometto,
fatica a integrare quei lavoratori e rifugiati di religione islamica (il 3,2%
della popolazione sui poco più di 5 milioni di abitanti) che vivono sul suo
territorio.
IL SILENZIO DEI MEDIA. Ole
Jorgen Anfindsen, ricercatore universitario e collaboratore del blog della
destra antislamica Fjordman, intervistato per il primo anniversario dalla
strage di Utoya ha dichiarato: «Non ho risposte facili al tema della difficile
integrazione degli islamici nella nostra società. Ma anche se i media non ne
parlano volentieri, in Norvegia ci sono problemi reali con l'immigrazione
islamica».
Per esempio «molti cittadini non vedono di buon occhio la presenza di religioni
diverse da quelle della nostra cultura e, mentre molte delle persone che
arrivano qui sono gente per bene che pensa solo a lavorare e a inserirsi nella
società, una parte finisce a ingrossare le fila della criminalità».
CONSENSI ALL'ESTREMA DESTRA. Qui,
come in Svezia e, da poco, in Finlandia, il partito di estrema destra catalizza
un buon numero di consensi (nel 2009 si è aggiudicato 41 seggi su 169 in
parlamento), ma la manodopera straniera, qualsiasi sia la sua origine, è
fondamentale per mantenere in piedi l'economia.
Le soluzioni proposte dai partiti per non sono univoche.
SOLDI A CHI RIENTRA IN PATRIA. A dicembre del 2012 in Svezia i
centristi avevano suggerito di liberalizzare l'immigrazione, sostenendo che il
Paese avesse bisogno di persone che occupassero posizioni meno qualificate, ma
altrettanto necessarie all'economia. La proposta era stata liquidata in
malo modo da stampa e opinioni pubblica.
Oggi la politica migratoria che sembra raccogliere il maggior numero di
consensi sembra essere quella del partito di estrema destra,
Sverigedemokraterna. Meno immigrazione e più sostegno a chi, non riuscendo a
integrarsi in Svezia, preferisce tornare nello Stato di origine, al quale viene
pagato il biglietto per rientrare.
Ma per sapere se anche il giro di boa della Svezia possa portare a destra,
bisogna aspettare le elezioni del 2014.
Lavoro domestico
(da http://www.colfebadantionline.it/)
Roma – 23 maggio
2013 – Dopo l’intesa raggiunta all’inizio di aprile, ha preso finalmente
forma il nuovo contratto collettivo nazionale del lavoro domestico. Martedì
scorso associazioni dei datori di lavoro e sindacati hanno sottoscritto il testo che
recepisce le modifiche concordate in quasi due anni di trattativa.
Oltre agli aumenti dei minimi retributivi (che scatteranno in tre rate, all’inizio del 2014, del 2015 e del 2016), ci sono diverse novità per colf, badanti e babysitter e per tutte le famiglie che si avvalgono del loro lavoro. Sono previsti ad esempio il raddoppio dei termini di preavviso per licenziare le neomamme, la convalida obbligatoria delle dimissioni, permessi retribuiti per frequentare i corsi di italiano e congedi matrimoniali fruibili fino a un anno di distanza dal matrimonio. Per i tre sindacati di settore Filcams – Cgil, Fisascat – Cisl e Uiltucs – UIL, il protocollo d’intesa siglato lo scorso 21 maggio è da considerarsi solo una ipotesi di contratto sulla quale i sindacati stanno avviando una consultazione a livello territoriale che andrà avanti fino al 15 giugno. Non ci si aspetta comunque che il testo venga ulteriormente modificato. Dopo le consultazioni, sindacati e associazioni dei datori firmeranno definitivamente il contratto al ministero del Lavoro, forse alla presenza del ministro. Il testo entrerà in vigore dal 1 luglio 2013 e scadrà alla fine del 2016. “Gli aumenti previsti dall'intesa – hanno spiegato qualche tempo fa in una nota congiunta dei sindacati - vanno nella direzione di un recupero del potere d'acquisto come calcolato attraverso gli indici ISTAT. Il Contratto nazionale del lavoro domestico prevede infatti un meccanismo di adeguamento annuale delle retribuzioni minime che garantisce almeno il recupero dell’ 80% dell'inflazione : l'obiettivo era dunque quello di recuperare il 20% drenato di anno in anno”. Per quanto riguarda la tutela della maternità, l’accordo interviene sul tempo di preavviso in caso di licenziamento. Viene raddoppiato nel caso in cui “il datore di lavoro intimi il licenziamento prima del trentunesimo giorno successivo al termine del congedo di maternità”. Significa, ad esempio, che in questi casi le neomamme con almeno cinque anni di esperienza e occupate per almeno venticinque ore settimanali avranno diritto a un preavviso di due mesi, o a un’indennità pari alla retribuzione di quel periodo. Tra le proposte messe sul tavolo dai sindacati c’era anche il divieto di licenziamento per un intero anno dopo il parto (tutela che copre tutte le altre lavoratrici in Italia), ma questo è il massimo che i datori hanno concesso. Il recepimento legislativo della Convenzione Internazionale ILO n.189 sul lavoro domestico dignitoso, che l’Italia ha già ratificato e che equipara il lavoro domestico a tutti gli altri lavori, potrebbe comunque, in un futuro prossimo, portare delle novità su questo fronte. “Pur in una stagione difficile – è stato il commento delle organizzazioni sindacali - il rinnovo di un contratto nazionale che coinvolge oltre 2 milioni di lavoratrici e lavoratori è un segnale importante di responsabilità delle Parti Sociali, che ci auguriamo venga colto dal futuro Governo con l'obiettivo di valorizzare sempre più questa professione, così nascosta ma sempre più importante in una stagione di progressiva riduzione del welfare pubblico”.
Il 43% di loro ha laurea o equivalente, contro il 26% dei locali
BERLINO,
25 maggio 2013 - Gli immigrati in Germania sono sempre piu' qualificati, e ora
sono anche piu' qualificati dei tedeschi. Lo rivela uno studio della fondazione
Bertelsmann, secondo cui il 43% dei nuovi arrivati tra i 15 e i 65 anni può
contare su un diploma di laurea o un equivalente titolo di formazione tecnica o
professionale. Tra i tedeschi la percentuale per la stessa fascia d'età è
invece del 26%.
Secondo lo studio la situazione e' cambiata radicalmente negli ultimi dieci
anni: nel 2000 la percentuale di laureati o equivalenti tra gli immigrati era
del 23%. Da allora la quota e' salita lentamente, ma costantemente. La ricerca
mette anche in evidenza come sia cambiato il tipo di immigrazione: mentre in
precedenza erano grandi e improvvisi cambiamenti geopolitici a provocare ondate
migratorie - come la caduta della cortina di ferro o la guerra nella
ex-Jugoslavia -, oggi la migrazione dipende in larghissima parte
dall'allargamento progressivo dell'Ue a est e dalla crisi economica nell'Europa
del sud. La nuova struttura dell'immigrazione in Germania abbatte molti vecchi
clichè. Lo studio sottolinea come lo stato sociale tedesco non risenta dei
nuovi arrivi, che anzi contribuiscono alle casse pensionistiche, sanitarie e
per la disoccupazione. Non corrisponde al vero nemmeno il luogo comune
sull'abbassamento degli stipendi dovuti alla maggiore offerta: senza
immigrazione il potenziale di occupati scenderebbe da 45 a 27 milioni di
persone entro il 2050. Troppo pochi per la Germania. Nel 2012 secondo le
statistiche ufficiali in Germania sono immigrate oltre un milione di persone.
Non succedeva dal 1995
Notizie in Breve
Cittadinanza: Giovanardi (Pdl)
deposita un testo a Palazzo Madama per concederla ai minori nati in Italia
all’iscrizione alla scuola dell’obbligo.
|
Minori stranieri accolti
temporaneamente in programmi di solidarietà: un vademecum del Ministero del
lavoro e delle politiche sociali.
|
Il dramma della morte dei migranti.
|
Roma: nasce QuestaèRoma, il
movimento dei “nuovi romani”.
|
“Parlez-vous global?”: la
multiculturalità arriva sui banchi delle scuole superiori.
|
Foreign Press
May 25th 2013, 14:22 by K.L. | STOCKHOLM
HUNDREDS of cars set on fire, a school in flames and angry youths hurling stones at the police. This is not the banlieue in France but suburbs in supposedly peaceful Sweden. Six nights of arson and violence in Stockholm’s poorer suburbs, where a majority of residents are immigrants, have shaken the Nordic country and created international headlines.
For much of this year, discrimination of immigrants and racism have been hotly debated in a country where 14% of its 9.6m people are foreign born. Now the riots could make immigration and integration the pivotal debate in Swedish politics.
On the night of May 24th cars were set ablaze in several Stockholm suburbs but fewer incidents were reported compared to previous nights. Instead, unrest spread to other towns, including Örebro, 160 kilometres west of Stockholm, where masked youths threw stones at the police and damaged a police station.
The riots, which started in the suburb of Husby, are not as violent and widespread as those in Paris in 2005 and in London in 2011. But the quickly spreading rioting has shaken local residents and politicians, putting a spotlight on what many see as a long-time failure of society to integrate immigrants.
In suburbs like Husby unemployment is more than double the country’s average, income much lower and residents complain of being neglected by politicians. Although Sweden is still one of the world’s most equal countries, recent reports by the OECD, a think tank, show income inequality is on the rise.
Many say anger over a fatal police shooting of a 69-year old Husby resident this month triggered the unrest. Others claim the rioters are trouble-makers just looking for an excuse to fight. Some of the young men arrested during the riots have criminal records.
Fredrik Reinfeldt, the prime minister, has condemned the violence but offered no new solutions for the suburbs. Immigration and integration are highly sensitive issues in Swedish politics. There is broad popular support for helping refugees. In 2012, 44 000 asylum were accepted from countries like Syria, Afghanistan and Somalia, making Sweden of the world’s most welcoming countries for asylum seekers. Earlier this year there a public outcry erupted when it was revealed that police tried to track illegal immigrants by randomly asking foreign looking people to show their ID-cards.
Even so, resentment against immigrants is growing. Sweden Democrats, an anti-immigration party, which shocked the political establishment by winning 5.7% of the vote in the 2010 election (and for the first time getting seats in parliament), has steadily gained ground. It was Sweden’s third most popular party in a May poll by Demoskop, a research institute.
Sweden Democrats blame the riots on what they say is an “irresponsible immigration policy creating deep cracks in the Swedish society”. Jimmie Åkesson, the party leader, has called for a parliamentary debate on the unrest and mocks those who believe in dialogue and more resources to the suburbs. “These cracks will not be fixed by more youth centres or by police grilling sausages with teenagers”, he writes on the party’s website, saying less immigration is the only solution. National and local elections next year will reveal what voters think of his advocacy of pulling up the drawbridge.
(Photo credit: AFP)