Immigrazione,
cala anche lĠoccupazione etnica e gli immigrati se ne vanno.
Il
tasso di disoccupazione per gli stranieri arrivato nel 2012 al 14,1 %, mentre
quello di occupazione scende di 6,5 punti. Il lavoro cresce solo nellĠarea dei
servizi alla persona.
Attualmente
i disoccupati regolari ufficiali sono oltre quota 318 mila.
Intanto
lĠIstat avverte: forse ottocentomila stranieri se ne sono gi andati.
(redazionale) Roma, 24 maggio 2013 – In un film di appena
due anni fa, diretto da Francesco Patierno ed interpretato da Diego Abatantuono
e Valerio Mastrandrea (ÒCose dellĠaltro mondoÓ) allĠimprovviso, nel giro di una
notte, succede che tutti gli immigrati stranieri scompaiono e la popolazione di
una citt veneta si ritrova di colpo a dover fare i conti con se stessa e con
le sue proprie contraddizioni di popolo in declino. Cosa fare se da un giorno
allĠaltro, sparisce il fornaio, il cameriere, il macellaio, lĠidraulico,
lĠinfermiere, la colf e la badante lasciando vacanti lavori che noi italiani
abbiamo da tempo dimenticato come svolgere?
Certo, non siamo nella fiction di ÒA day without a MexicanÓ,
film a cui Patierno si ispirato, ma possiamo certamente dire che, in materia
di flussi migratori, sembra cambiata unĠepoca e che probabilmente dovremo rivedere
le stime demografiche nel prossimo futuro. Inoltre, che senza lĠapporto della
popolazione straniera, quella complessiva destina a decrescere, accrescendo
nel contempo il declino della nostra Nazione.
Qualche tempo fa lĠIstat ha rilevato una discrasia tra i dati
del censimento e quelli risultanti dagli stranieri residenti: una differenza di
800 mila persone che non facilmente spiegabile con la supposta ÒtimidezzaÓ
dei cittadini stranieri a rispondere ai dati od alla poca dimestichezza nellĠuso
dellĠinformatica.
Oggi difficile dire quanti stranieri abbiano deciso di
andarsene (a casa propria o in un altro Paese) e quanti tengono duro
scommettendo su una improbabile ripresa economica.
Non cĠ dubbio, comunque, che 'impatto della crisi stia avendo
forti ricadute anche sui lavoratori stranieri che vivono in Italia. Secondo
dati del Ministero del Lavoro, tra il 2011 ed il 2012 aumentato in misura
significativa il numero di disoccupati cittadini di Paesi Terzi, passati da
264mila (terzo trimestre 2011) a 318mila (terzo trimestre 2012).
Va ricordato che per un immigrato perdere il lavoro ha una
doppia negativa valenza: intanto viene meno una fonte certa dĠingresso (a meno
che uno non possa godere di ammortizzatori sociali), ma soprattutto che perdere
il lavoro (e non trovarne un altro entro un anno) pu comportare – alla
scadenza dello stesso – il mancato rinnovo del permesso di soggiorno,
cosa che comporta lo scivolamento in una condizione di clandestinit (ed
assenza virtuale di diritti) o il rischio di espulsione.
Ora sempre lĠIstat nel suo ÒRapporto annuale 2013Ó sulla
situazione del Paese, a darci un quadro pi dettagliato del quadro
occupazionale dei cittadini stranieri. Nel 2012 lĠoccupazione etnica (che conta
di 2 milioni 334 mila lavoratori stranieri) aumentata (+83 mila rispetto al 2011) ma, a
differenza del recente passato, lĠincremento avvenuto a ritmi dimezzati ed
ascrivibile in oltre otto casi su dieci allĠaumento registrato nei servizi alle
famiglie (+73 mila unit, quasi esclusivamente donne). Secondo lĠIstituto, le
presenze pi consistenti di stranieri si trovano nelle costruzioni (18,9%) e
nei servizi domestici e di cura (76,8% nel 2012, era 67,3% nel 2008).
Tra le professioni non qualificate un occupato su tre
straniero. Il tasso di occupazione degli stranieri scende per dal 2008 di 6,5
punti percentuali contro 1,8 punti degli italiani (dal 67,1% al 60,6% e dal
58,1% al 56,4%, rispettivamente). In particolare, gli uomini stranieri perdono
10,3 punti percentuali contro i 3,5 punti degli italiani. Gli stranieri in
cerca di occupazione sono aumentati del 23,4%. Tra il 2008 e il 2012 il tasso
di disoccupazione degli immigrati cresciuto di quasi 2 punti in pi
(dallĠ8,5% al 14,1%) rispetto a quello degli italiani (dal 6,6% al 10,3%).
In confronto agli autoctoni, nel 2012 le differenze pi elevate
sono presenti nel Nord (14,4% contro 6,4% degli italiani). Le diverse comunit
sono state differentemente colpite dalla crisi: la perdita occupazionale
risulta maggiore per marocchini e albanesi, pi inseriti nel settore
industriale, mentre risultano meno colpite le comunit (soprattutto la
componente femminile) pi impegnate nei lavori di servizi alle famiglie e di
assistenza (filippina, romena, polacca).
Una prospettiva dunque a dir poco grigia anche per i nostri
colleghi non autoctoni, in genere pi adattabili ad offrirsi a condizioni
difficili di lavoro, ad occupazioni poco allettanti ed a retribuzioni meno
generose di quelle offerte agli italiani.
Un altro elemento allarmante ce lo fornisce lĠISMU secondo cui nel 2011 sono arrivati appena 27mila stranieri mentre hanno fatto le
valigie per l'estero 50mila italiani. Uno scenario impensabile anche solo in
tempi recentissimi: dal 2002 al 2009 ha varcato la frontiera italiana una quota
oscillante tra i 350mila e i 500mila migranti l'anno.
Le prime avvisaglie di questo fenomeno erano
palesi gi nel 2010, quando il saldo tra stranieri che entravano e stranieri
che uscivano dall'Italia era sceso bruscamente a 69mila unit. Ma nel 2011 che
si registra per la prima volta una crescita zero dell'immigrazione (+0,5%): al
primo gennaio 2012 gli stranieri in Italia erano 5 milioni 430mila contro i 5
milioni e 403mila rispetto a un anno prima. Secondo l'Ismu questo non significa
che poco a poco gli stranieri smetteranno di venire e abbandoneranno
gradualmente il Belpaese, ma certo finita lĠera della crescita demografica
tumultuosa nella sua componente etnica che ha portato la popolazione straniera
a quintuplicare tra il 2000 ed il 2012.
Se allĠazzeramento dei flussi in ingresso aggiungiamo la
possibile diaspora della componente straniera che con tanta fatica si era
integrata nel Belpaese, il quadro risultante dovrebbe suscitare pi di un
allarme al nostro Esecutivo. Anche se le performance dei governi nel primo
decennio del secolo si sono particolarmente distinte
per incapacit di governance del fenomeno migratorio.
Non dobbiamo infatti dimenticare che la nostra popolazione di 60
milioni di persone, in realt composta di 55 milioni di italiani e 5 milioni
di stranieri. Con un tasso di fertilit
di soli 1,42 figli per donna (contro 2,07 figli delle donne straniere)
siamo un popolo destinato al declino, perch la ricchezza di una nazione si
basa soprattutto sulle risorse umane di cui pu contare. Senza quei 400 mila
stranieri entrati ogni anno, saremmo gi scesi a 55 milioni e meno.
Il gap demografico, inoltre, produce buchi nel mercato del lavoro di alcune centinaia di
migliaia di posti lĠanno, senza contare il deficit di expertise che ci pu
causare la fuoriuscita di migliaia di persone che hanno lavorato e si sono
formate accanto a noi e che ora andranno ad offrire altrove la propria
professionalit (assieme, tra lĠaltro, a molti dei nostri figli).
Secondo molti indicatori, malgrado la crisi il gap demografico
continuer a produrre la necessit di nuovi ingressi dallĠestero. Potremmo per
trovarci di fronte ad un nuovo paradosso: per molti anni lĠimmigrazione
cresciuta malgrado la stagnazione e lĠassenza di crescita economica. Una
immigrazione che qualcuno ha chiamato low costÓ che andata gradualmente a
riempire quelle sacche occupazionali lasciate libere dagli italiani. Oggi,
allĠapice della crisi occupazionale, osserviamo ad unĠinversione di rotta, con
lĠazzeramento degli ingressi etnici e la diaspora di stranieri residenti che
abbandonano la nave. Una fuoriuscita che potrebbe continuare malgrado il
costante gap demografico, e le cui conseguenze e danni sono per ora
difficilmente quantificabili.
CĠ nĠ abbastanza, crediamo, per rilanciare una profonda
riflessione su quanto stia accadendo nel mercato del lavoro e quanto accade in
materia di immigrazione. Forse le risposte da dare sono complessivamente alla
societ ed al mondo del lavoro italiano. Non dimentichiamo per che il segmento
etnico pari al 10,2% del mondo del lavoro e produce lĠ11% del PIL: possiamo
veramente permetterci di farne a meno?
Di Giuseppe Casucci