Newsletter periodica d’informazione
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Rassegna ad uso
esclusivamente interno e gratuito, riservata agli
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Anno XI n.10 del 12 marzo 2013 |
Consultate www.uil.it/immigrazione
Aggiornamento quotidiano sui temi di interesse di cittadini e lavoratori stranieri
Il Ministero del Welfare conferma: Il decreto è
stato firmato e ora è alla Corte dei conti. I lavoratori stagionali saranno
30mila. Le modalità di presentazione delle domande da parte dei datori di
lavoro saranno sempre online con l’introduzione delle nuove procedure di
silenzio-assenso. Dopo 20 giorni, il datore di lavoro può procedere a
chiamare il lavoratore senza aspettare che lo sportello unico abbia istruito
la pratica. In pratica opera con un’autocertificazione, slavo poi la
possibilità che lo Stato faccia una verifica su eventuali abusi. Introdotta
dallo scorso anno anche la possibilità per i lavoratori stagionali di
lavorare per più imprese nei nove mesi concessi. Nessuna notizia, invece,
sulla possibilità di un decreto flussi per lavoratori stranieri a tempo
indeterminato, che il Welfare praticamente esclude. |
SOMMARIO
Appuntamenti pag. 2
Decreto flussi stagionali pag. 2
L’Italia spende, senza accogliere, 62 milioni l’anno pag. 3
Coordinamento Nazionale Immigrati pag. 5
Neodemos: non solo etnico pag. 7
Dai Territori: regolarizzazione in Puglia pag. 8
Notizie in breve: pag. 9
Foreign Press pag. 10
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A cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil
Dipartimento Politiche Migratorie
Tel. 064753292- 4744753- Fax: 064744751
Dipartimento Politiche
Migratorie: appuntamenti
Roma 12 marzo 2013, Grand Hotel Palatino, via Cavour 213, ore 09.00 – 17.00
Convegno UIL- Ital: “Cittadinanza prossima: diritti, norme e procedure”
(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci)
Roma 13 -15 marzo 2013, Cardinal Hotel Saint Peter Hotel, Via Leone Dehon 71
(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci)
Pisa, 16 marzo 2013, ore 10
Incontro UIL- Ital sul tema della riforma della legge sulla cittadinanza
(Guglielmo Loy)
Roma, 21 marzo 2013, ore 11.00, sede Cnel
Cnel: riunione dell’Organismo Nazionale di Coordinamento per le politiche di integrazione sociale degli stranieri
(Giuseppe Casucci)
Bruxelles, 21 marzo 2013, sede CES
Migration and inclusion working group
(Giuseppe Casucci)
Roma 28 marzo 2013, sede UIL Nazionale
Coordinamento Nazionale Immigrati
(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci)
Foligno, 2 aprile 2013, ore 10
Incontro UIL- Ital sul tema della riforma della legge sulla cittadinanza
(Giuseppe Casucci)
Decreto Flussi
Decreto flussi 2013,
previsti 30 mila lavoratori stagionali.
Natale Forlani, direttore generale Immigrazione del Ministero
del lavoro e politiche sociali, anticipa la bozza di decreto ora all’esame
della Corte dei conti.
Saranno 30 mila i lavoratori stagionali previsti dal decreto
flussi per il 2013. È quanto ha anticipato ieri Natale Forlani, direttore
generale dell’Immigrazione e delle Politiche di integrazione presso il
Ministero del lavoro e delle politiche sociali. “Il decreto è stato firmato e
ora è alla Corte dei conti – ha affermato. – Quando torna, verrà
pubblicato e diventerà operativo, speriamo in tempi immediati. I lavoratori
stagionali saranno 30mila, con beneficio di inventario, finché non viene
approvato il decreto dalla Corte dei conti”.
Le modalità di presentazione delle domande da parte dei datori di lavoro
saranno sempre online con l’introduzione delle nuove procedure di
silenzio-assenso. “Si tratta di una procedura che era già in corso l’anno
scorso – ha spiegato Forlani – ma in termini di informazione non ha
avuto i tempi di implementazione. Ci si augura che quest’anno, almeno 10 mila
su 30 mila domande seguano questo percorso”. La pratica del silenzio-assenso è
stata introdotta lo scorso anno. “L’impresa che chiede un lavoratore che ha già
ricevuto l’autorizzazione in precedenza per lavorare con la stessa impresa –
ha spiegato Forlani - può adottare la procedura di silenzio-assenso. Dopo 20
giorni, il datore di lavoro può procedere a chiamare il lavoratore senza
aspettare che lo sportello unico abbia istruito la pratica. Opera con una
autocertificazione, in pratica, salvo poi verificare gli abusi”. Introdotta lo
scorso anno anche la possibilità per i lavoratori stagionali di lavorare per
più imprese nei nove mesi concessi.
(Red.)
Emergenza Nord Africa
Consiglio Italiano per i rifugiati: “Emergenza Nord Africa, marcia indietro del Governo”
Roma, 6 marzo 2013 - Chi non è andato via dai centri di accoglienza
dell’Emergenza Nord Africa potrà rimanere per almeno 6 mesi. Questo in parole
povere appare il succo della circolare del Ministero dell’Interno sulla chiusura
dell’Emergenza Umanitaria del Nord Africa datata 1 marzo, ma resa nota solo
oggi. Quindi, diversamente dall’annuncio precedente della chiusura al 28
febbraio, questo sembra essere un sostanziale ripensamento. Non viene detto
così chiaramente nel documento del Ministero dell’Interno, ma facendo una conta
che metta insieme i 7.400 profughi ancora in attesa di essere sentiti dalle
Commissioni Territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale;
i circa 1.100 profughi appartenenti a gruppi vulnerabili; le famiglie con
bambini; un numero stimato di 1.300 persone in attesa di ottenere il permesso
di soggiorno per motivi umanitari e infine quelli che - e dovrebbero essere
pressoché la totalità - attendono il rilascio del titolo di viaggio, si arriva
alla popolazione quasi complessiva dei profughi che risultavano a febbraio
ancora in accoglienza. E per queste categorie l’accoglienza viene prolungata
dalla circolare. Si deve togliere a questi il numero di quelli che con la
buonuscita di 500 € a persona, o in attesa di tale pagamento, sono andati via
dai centri in questi giorni e che magari adesso si sentono ingannati
considerando che quest’ultimo provvedimento del Ministero dell’Interno è
arrivato solo successivamente alla loro partenza. Il CIR si dichiara
soddisfatto che le famiglie, i disabili e anziani, le donne in stato di
gravidanza e le vittime di tortura e violenza grave possano ancora essere
assistiti dallo Stato. Tuttavia ritiene che questa circolare possa creare una
situazione caotica, che d’altronde si sta già verificando in alcune città, a
causa della tardività delle disposizioni e della eterogeneità del trattamento
nelle diverse provincie e regioni. La circolare parlando della prosecuzione
dell’accoglienza indica l’individuazione di “apposite soluzioni” che al momento
non appaiono però fattibili considerando che nel sistema SPRAR non risultano
posti disponibili. “L’esperienza della gestione della cosiddetta Emergenza Nord
Africa deve essere la base per un ripensamento radicale del sistema di
accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati in Italia. Si deve superare l’approccio emergenziale, si
deve costruire un coordinamento centrale e garantire uno standard uniforme e
dignitoso in tutto il territorio nazionale. Altrimenti si rischia di sperperare
fondi pubblici e danneggiare, anziché appoggiare, il percorso di integrazione”
dichiara Christopher Hein, direttore del CIR.
di MARTA RIZZO
Roma, 9 marzo 2013 - Si accoglie, ma non si integra: l'Italia, paese emblematico
nella vicenda delle migrazioni e che storicamente più di ogni altro in Europa
ha cercato accoglienza e integrazione in paesi terzi, non investe quasi nulla
per l'integrazione di chi, oggi, chiede asilo qui. Eppure, il numero dei
rifugiati è davvero esiguo: 58.000 persone, rispetto alle 571.700 circa che
hanno ottenuto protezione in Germania, ad esempio (fonteUNHCR). Il Cir (Consiglio italiano per
i Rifugiati), rivela che non è un problema
legato soltanto alla legge, di per sé inadeguata, ma piuttosto sono i tempi
della burocrazia e dell'organizzazione di un sistema frammentato e disomogeneo
a rendere difficile e inutilmente lungo il percorso dei rifugiati in Italia.
Tempi di accoglienza. Chi arriva qui, generalmente scappa da guerre e
carestie. Le loro destinazioni, oramai note, sono Lampedusa e i Cara (Centri di
accoglienza governativa per i richiedenti asilo), quasi tutti nel nostro
meridione, che per loro comincia a essere il nord del mondo. Nella relatività
del tutto, arriva nei centri dell'isola siciliana o nei Cara, vi resta per
settimane, a volte mesi, in una non vita che distrugge la dignità e che causa
un inule spreco di denaro da parte dello Stato.
Cosa succede nei Cara. La legge prevede che l'accoglienza del rifugiato nei
Cara non superi i 35 giorni, tempi brevi, dunque. La verità è che chi arriva nei Cara vi può rimanere anche un
anno. Senza essere né veramente accolto, né tantomeno integrato. I Cara sono,
infatti, strutture originariamente dedicate ad altre funzioni: da ex
edifici industriali a ex aree aeroportuali militari, attrezzati nella maggior
parte dei casi con container e prefabbricati, per lo più lontani dai centri
urbani e difficilmente raggiungibili. Qui, le condizioni di accoglienza sono
minime: stanzoni dormitorio che ospitano un numero elevato di richiedenti
asilo; pochi spazi comuni; servizi igienici insufficienti; servizi alla persona
limitati. La legge scritta prevede che siano garantiti assistenza sanitaria,
mediazione culturale, orientamento sociale e legale. Nella realtà, a causa del
numero degli utenti rispetto ai posti e alle risorse disponibili, poco di ciò
accade davvero.
L'esempio indecente di Crotone. È di questi giorni la drammatica notizia di un
giovane uomo eritreo di 32 anni che, titolare di protezione sussidiaria in
Italia e arrivato nel nostro paese 4 anni fa, in attesa del rinnovo del suo
permesso di soggiorno e spinto dalla disperata condizione, si è tolto la vita a
Crotone, nel centro di Sant'Anna. "Nel corso degli anni abbiamo visto
standard di accoglienza vari, ma che in comune hanno una cosa: sono bassissimi
- spiega Christopher Hein, direttore del CIR - Solo per fare un esempio, a
Crotone, nel centro di Sant'Anna, i pasti sono così scandalosi che vengono
gettati, piuttosto che mangiati, dai richiedenti asilo. Sempre a Crotone, che
dovrebbe prevedere meno di 900 posti, si arriva facilmente e quasi sempre a
1.200-1.300 ospiti. Per non parlare delle difficoltà di collegamento che
isolano i richiedenti asilo da qualsiasi centro abitato e che li costringono a
ciondolare tutto il giorno in questi centri senza alcuna meta."
I costi dell'accoglienza nei Cara. I Cara costano tra i 34 e i 36 euro procapite al
giorno e non facilitano l'integrazione. Al momento, esistono in Italia poche
strutture: Bari Palese, Area aeroportuale con 744 posti ; Brindisi,
Restinco con 128 posti; Caltanissetta, Contrada Pian del Lago che dispone di 96
posti; Crotone, località Sant'Anna con 875 posti; Foggia, Borgo
Mezzanone che può accogliere 856 persone; Gorizia, Gradisca d'Isonzo
con 138 posti; Roma, Castelnuovo di Porto con 650 posti; Trapani, Salina Grande
con 260 posti. Per un totale di 3.747 posti. A questi devono essere aggiunti i
1.300 posti del Cara di Mineo (Ct), per un totale di 5.000 posti e circa 62
milioni di euro circa di investimento annuo. E ancora, i 1.170 posti dei Centri
di Prima Accoglienza - CPSA, che garantiscono standard ancora più bassi di
quelli garantiti dai Cara, concepiti solo per una prima assistenza e
identificazione delle necessità dei migranti.
E dopo i Cara? Una volta trascorsi mesi di vuoto e sospensione, il
rifugiato esce dal CARA con un permesso di soggiorno in mano, pieno di diritti
formali e senza possibilità. E si trova spesso a vivere nella più piena
marginalità sociale. L'attesa per entrare in un centro di accoglienza di un
comune, se esiste, è spesso lunga e le possibilità di entrare nello Sprar
(Sistema di Protezione per richiedenti asilo e rifugiati) è ancor più esigua.
Basti pensare che nei fatti, i tempi di attesa per entrare a Roma, in un centro
di accoglienza, non sono variati dal 2011 al 2013 nonostante le domande d'asilo
siano drasticamente diminuite: dal 10.121 richieste d'asilo nei primi 9 mesi
del 2012 rispetto alle 37.350 dei 12 mesi del 2011 (dati Eurostat).
I costi per un'insperata integrazione
nello Sprar. Il
Sistema di Protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar, appunto) costa
anch'esso circa 35 euro procapite al giorno e dovrebbe facilitare l'inserimento
del rifugiato nel tessuto sociale. Ma nei fatti , per l'anno in corso sono
previsti soltanto 3.700 posti, a fronte dei 58.000 rifugiati. La spese per
questo sistema è di circa 47 milioni con i quali, oltre all'accoglienza
materiale, sono compresi corsi di lingua italiana, formazione e tirocini,
ovvero servizi per l'integrazione. Il problema è la lunga l'attesa per
entrare nello Sprar, molti rifugiati non hanno alcuna possibilità di accedere a
questa seconda tipologia di accoglienza, che è l'unica che cerca realmente di
facilitare l'integrazione.
La frammentata politica d'integrazione. A differenza di quanto previsto in altri Paesi
europei, la normativa italiana non istituisce un programma nazionale di
integrazione a favore dei titolari di protezione internazionale. In assenza di
un quadro nazionale unitario delle politiche di integrazione, la gestione di
interventi, mirati a sostegno dei richiedenti asilo e dei titolari di
protezione internazionale, è affidata alle singole comunità locali, mentre
quella dello Sprar è gestita dalle regioni. Finanziamenti specifici complementari
a tale fondo sono quelli previsti dalla quota dell'Otto per mille dell'Imposta
sul Reddito delle Persone Fisiche (IRPEF) e dal Fondo Europeo per i Rifugiati
(FER). Ma nel 2011, e anche nel 2012, i fondi dell'8 per mille sono stati
sottratti all'integrazione dei rifugiati e dati alla protezione civile per
acquisto dei canader, mentre i progetti del Fondo Europeo Rifugiati finanziati,
si concretizzano in soli 6.992.321 euro. In questi costi non sono conteggiati
quelli per i centri e i progetti finanziati dai comuni, dalle Province e dalle
Regioni al di fuori della rete Sprar, di cui non esiste mappatura ufficiale, né
possibilità di monitorare ciò che si spende.
Proposte del Cir per l'integrazione. Il Cir avanza proposte nell'ambito dell'accoglienza
del rifugiato, con alcuni punti che riguardano la necessita di attuare norme
nell'intero territorio nazionale, per la tutela della dignità del rifugiato e
si concentra sul rispetto dei tempi, previsti dalla legge, di accoglienza nei
Cara. Quindi, il Cir intende monitorare l'accesso a tutti i rifugiati nello
Sprar che, evidentemente, deve essere fortemente ampliato. Ma il principale
problema individuato dal Cir riguarda più specificatamente l'integrazione.
"Il CIR propone e si impegna a lavorare su alcuni punti fondamentali
riguardo l'integrazione di chi chiede asilo nel nostro paese - dice ancora
Christopher Hein - Crediamo sia ormai indispensabile inserire un programma
nazionale d'integrazione per i rifugiati che armonizzi progetti territoriali,
servizi offerti e diritti effettivamente goduti dalle persone. Allo stato
attuale, infatti, il percorso dei rifugiati in Italia è eccessivamente
incerto".
"Un futuro legato più alla fortuna
che alla legge". "Il
programma nazionale, quindi, dovrebbe essere articolato su tutto il territorio
e prevedere una diretta corrispondenza tra il fabbisogno territoriale e
l'offerta dei relativi servizi". Il CIR propone anche: l'istituzione di un
fondo economico dedicato all'integrazione: Il programma di integrazione nazionale
per i rifugiati dovrebbe infatti essere inserito in una norma che
contestualmente istituisca un fondo dedicato nel quale far confluire i diversi
strumenti economici, anche comunitari, oggi esistenti. Garanzie e dignità per
il rifugiato: L'accesso ai servizi sviluppati all'interno del programma
nazionale di integrazione dovrebbe essere concesso sin dal primo momento della
formalizzazione della richiesta d'asilo ed essere garantito a titolari di
protezione internazionale e umanitaria.
Sindacato
Coordinamento Nazionale Immigrati
<Discriminazioni nell’accesso o nell’ambito del lavoro, di cittadini di Paesi terzi>
Roma, 28 marzo 2013 – Sala Bruno Buozzi, ore 09 – 14.00
Sono molti e frequenti i casi in cui Tribunali della Repubblica sentenziano contro la natura discriminatoria di comportamenti tenuti da amministrazioni pubbliche o da aziende municipalizzate nella esclusione da concorsi e bandi di cittadini privi della cittadinanza italiana. Sono anche molti i casi di discriminazioni nell’accesso al lavoro privato o nei percorsi di carriera o, semplicemente nel godimento di diritti, come ad esempio quelli previdenziali. Secondo molte sentenze, sbarramenti nell’accesso al lavoro o discriminazioni nell’ambito dello stesso, violano normative interne ed internazionali. Il Dipartimento Politiche Migratorie della UIL suggerisce la necessità di un dibattito all’interno della nostra Organizzazione sulla scelta o meno di chiedere l’abolizione anche formale degli sbarramenti che ancora impediscono ai lavoratori stranieri lungo soggiornanti di accedere a certi settori del mercato del lavoro (pubblico o para pubblico). Pensiamo anche che un diritto inalienabile della persona - indipendentemente dal proprio status- sia quello di godere delle stesse opportunità degli altri nei percorsi di carriera professionale o nella fruizione di diritti, come ad esempio quello previdenziale. Sappiamo che dentro il sindacato, anche nell’ambito della nostra Organizzazione, ci sono pareri discordanti in materia. Molti, ad esempio, pensano che la grave situazione di crisi economica renda inopportuna l’apertura di spazi nell’accesso al lavoro per gli stranieri, anche perché questo potrebbe pregiudicare le poche chances lavorative rimaste ai cittadini italiani. Le normative internazionali, europee e italiane, però, vietano esplicitamente ogni forma di sbarramento professionale interno alle aziende, motivato da ragioni etniche, linguistiche, religiose o di provenienza geografica. Il rischio è dunque che, il sindacato non affronta questi temi e non cerca soluzioni attraverso la contrattazione ed il confronto, corra il rischio di vedersi imporre decisioni dall'alto: dai tribunali italiani o dal Parlamento che dovrà comunque dar seguito ai contenuti delle direttive, pena il pagamento di pesanti sanzioni europee. Per questo motivo, abbiamo pensato utile ed opportuno convocare il Coordinamento Nazionale Immigrati, per una giornata di riflessione, sul tema: <discriminazioni nell’accesso o nell’ambito del lavoro, di cittadini di Paesi terzi> La riunione si terrà a Roma, giovedì 28 marzo 2013, presso la UIL Nazionale, alla sala Bruno Buozzi (6° piano), a partire dalle ore 09.00 e fino le ore 14.00. Saranno presenti al dibattito, nella prima parte della mattinata, alcuni esperti che ci potranno dare indicazioni ed informazioni utili alla riflessione: in questo senso abbiamo chiesto l’apporto di ASGI, Unar e del MIUR, nonché della consulta Legale di Ital. Consideriamo importante la presenza, oltre che dal territorio, di dirigenti delle categorie, specie quelle direttamente interessare. E quanto anche al fine di sviluppare un dibattito franco sul tema delle discriminazioni (o dei limiti) nell’accesso o nell’ambito del lavoro, per i lavoratori provenienti da Paesi Terzi. L’intento non è quello di dividerci su questo tema, ma piuttosto di aprire una fase di confronto e di circolazione delle idee capaci di darci adeguati strumenti per affrontare il problema nel presente e nel prossimo futuro.
Guglielmo Loy,
Segretario Confederale UIL
Le politiche migratorie della UE ed il loro impatto sulle condizioni di lavoro ed integrazione dei lavoratori migranti
Cardinal ST Peter Hotel, 13 – 15 marzo 2013
L’European Trade Union Institute (ETUI education), ovvero l’istituto di formazione sindacale della CES, organizza in collaborazione con la nostra Confederazione, un corso di formazione per quadri sindacali che si terrà a Roma dal 13 al 15 marzo p.v. Il corso vedrà la presenza di circa 30 quadri sindacali provenienti da tutta Europa. Presente anche una delegazione del sindacato Disk della Turchia. Il tema di confronto ed approfondimento riguarda le politiche migratorie che la UE ha sviluppato in materia di immigrazione – attraverso le sue direttive – nonché l’impatto che queste norme hanno sulle condizioni di lavoro e quelle di integrazione dei lavoratori migranti. Per la UIL saranno presenti 4 quadri: Felicitè Ngo Tonye della UILTUCS Lombardia, Alice Mocci della UILA Nazionale, Miranda Ukleba della UILTEMP Nazionale e Jamal Banoir della UIL di Prato. Giuseppe Casucci del Dipartimento Nazionale Politiche Migratorie UIL, collaborerà come tutor durante la tre giorni dei lavori, assieme alla collaborazione dell’Ital Nazionale.
Incontri nazionali Ital su immigrazione
Il Patronato Ital in collaborazione con la UIL realizzerà due importanti convegni nazionali in materia di immigrazione. Il primo si svolgerà il prossimo 11 marzo, presso la sala Bruno Buozzi della UIL Nazionale (6° piano), a partire dalle ore 15 e fino alle 18, ed avrà come tema: “annullare lo svantaggio: Incrocio domanda e offerta di lavoro per persone con particolare svantaggio sociale ed economico”. Il secondo si terrà il 12 marzo presso il Grand Hotel Palatino (via Cavour 213), a partire dalle ore 09 e fino alle 17.00. Tema di questa giornata: “Cittadinanza prossima: diritti, norme e procedure”. Entrambe le giornate saranno concluse dal Segretario Confederale UIL Guglielmo Loy.
Società
Non solo etnico: un nuovo sguardo all’imprenditoria degli
immigrati
Alessandro Arrighetti* & Daniela Bolzani** & Andrea Lasagni***
Pubblicato il 20/02/2013 su Neodemos.it
A fronte di un netto calo del tasso di natalità delle imprese fondate da italiani, il numero di imprese “etniche” è in costante crescita. Oggi gli imprenditori immigrati sono in grado di fornire nuove tipologie di servizi e di estendere la varietà dei prodotti disponibili, anche sui mercati a cui accedono gli autoctoni. Ma non è solo questo: negli anni più recenti l’imprenditoria immigrata ha assunto in Italia un ruolo sempre più rilevante come fattore di consolidamento dei processi di integrazione socio-economica degli stranieri nel nostro paese. Dai risultati ottenuti in un recente studio[1] emerge, infatti, che l’impresa etnica contribuisce a rafforzare la coesione sociale, perché diviene un vero e proprio luogo di scambio e di interazione sociale e non solo economica.
Nuove strutture organizzative
per le imprese etniche
Lo sguardo sull’imprenditoria immigrata oggi è cambiato rispetto al passato. Le imprese etniche sono, infatti, più diversificate ed eterogenee di quanto comunemente si pensi. Tradizionalmente, infatti, venivano messe in evidenza le differenze tra imprenditori “nativi” e imprenditori immigrati (diverse motivazioni, differenti risorse disponibili, distanza nelle esperienze e nella cultura, ecc.), e le imprese etniche sono state spesso rappresentate come intrinsecamente “fragili”, per la discriminazione della società ospitante o perché esse operano in mercati protetti basati su stretti rapporti co-etnici.
Ma il fenomeno è più complesso. I nuovi modelli tendono a sottolineare l’eterogeneità delle soluzioni organizzative e produttive adottate dalle imprese etniche, all’immagine semplificata dell’impresa gestita da immigrati che ottiene un supporto essenziale dalle risorse fisiche, conoscitive e finanziarie specifiche della propria comunità di origine, si va sostituendo una visione in cui sono presenti numerosi modelli organizzativi e molteplici strategie di business.
Quali strategie, competenze e comportamenti per le imprese etniche?
Nel complesso, dal nostro lavoro[2] emerge una rappresentazione dell’imprenditorialità immigrata più composita di quanto non appaia negli studi precedenti. Innanzitutto, l’impresa etnica non utilizza in modo esclusivo risorse della comunità di origine, ma appare in grado di accedere alle opportunità fornite dai mercati principali e dalla comunità autoctona (tabella 1).
Come accade per gli imprenditori italiani, la spinta alla costituzione dell’impresa è collegata al desiderio di autonomia e di indipendenza personale ed è sostenuta dal desiderio di autorealizzazione professionale e di valorizzazione delle proprie competenze e attitudini. Inoltre, le motivazioni che vedono la scelta imprenditoriale come ripiego (rispetto ad un lavoro dipendente) o come reazione alla condizione svantaggiata di immigrato sono presenti, ma non prevalenti. Poi, le scelte imprenditoriali sembrano meno condizionate dai legami con la comunità di origine rispetto a quanto previsto nella letteratura. In sintesi, una parte delle imprese analizzate appare coerente con i modelli tradizionali che legano fortemente l’impresa etnica al network sociale di appartenenza dell’imprenditore che l’ha fondata, mentre una quota relativamente ampia di imprese etniche, invece, non trova corrispondenze in questo quadro concettuale.
Organizzazione e impresa etnica: l’ipotesi di “ibridismo culturale”
Il nostro lavoro sulle strutture
organizzative dell’impresa etnica evidenzia che, all’aumentare della
complessità organizzativa e al variare delle strategie adottate, cresce anche
l’apertura dell’impresa a soggetti (clienti, fornitori, soci, dipendenti)
provenienti da comunità diverse da quelle di origine dell’imprenditore. Si è
scelto di utilizzare il concetto di ‘ibridismo culturale’ per descrivere le
imprese gestite da soci di diverse nazionalità o in cui lavorano dipendenti
provenienti da paesi differenti. Il risultato è che le imprese connotate da
ibridismo culturale non sembrano mostrare strategie e comportamenti
riconducibili alla fragilità e alla marginalità. Le imprese con connotazioni
“ibride” risultano caratterizzate da un orientamento molto marcato verso i
mercati principali e da una offerta di prodotti e servizi
non-etnici ad una popolazione di consumatori in prevalenza non
co-etnica. Tali imprese, inoltre, dopo la fase di start up, hanno ricevuto un
supporto esplicito da amici e conoscenti italiani e da consulenti e
professionisti. Inoltre, le imprese “ibride” sono capaci di cogliere i vantaggi
delle forme di associazionismo imprenditoriale (tabella 2). Si tratta, quindi,
di figure esterne alla comunità di origine e derivanti da legami sociali e
contatti sviluppati in Italia nel corso del tempo. Infine, le interviste presso
le imprese “ibride” hanno permesso di evidenziare una migliore conoscenza della
lingua italiana rispetto alle altre imprese gestite da immigrati. In
conclusione, possiamo affermare che l’impresa etnica sta diventando non
soltanto una importante entità economica, ma anche un nuovo fulcro di scambio e
di integrazione tra individui appartenenti a diverse comunità e depositari di
relazioni e conoscenze molteplici e stratificate. In questo senso, l’impresa
etnica deve essere considerata un fattore importante per la coesione sociale
nel nostro paese.
[1] A. Arrighetti, D. Bolzani e A. Lasagni (2012), “Imprese etniche: competenze, strategie e mercati”, Working Paper del Dipartimento di Economia, Università degli Studi di Parma, disponibile in formato PDF al seguente indirizzo: http://econpapers.repec.org/paper/pardipeco/2012-ep08.htm.
[2] Agli inizi del 2012 sono state realizzate oltre 130 interviste ad imprenditori immigrati attivi nelle province di Parma e Bologna.
* Università di Parma
** Università di Bologna
*** Università di Parma
Dai Territori
Regolarizzazione, la situazione in Puglia
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Carissimi,
ho letto con molto interesse l'articolo di FOCUS n°6 dal titolo : REGOLARIZZAZIONE: DIECIMILA PROMOSSI, DIECIMILA BOCCIATI. E' scontato che il nostro Beppe ci aggiorni e ci offre una panoramica su quello che avviene nel mondo dell'immigrazione. E' però altrettanto vero che noi dovremmo offrire a Lui ed a tutti noi la visione di quanto accade nelle nostre realtà e ciò per offrire al Dipartimento nazionale elementi utili per gli "incontri romani" in tema di immigrazione. Inizio io (Bari) questo carrellata di opinioni:
procedura che è inconcepibile nei tempi: siamo a quattro mesi (a marzo arrivano i contributi da pagare del 2013) ed è inconcepibile che non si siano ancora concluse le procedure iniziate a settembre ed i mesi
sono purtroppo 7; in un periodo in cui ci sono tagli alla spesa si spediscono due lettere, poi altre due, poi altre due e poi, come per alcuni casi (di cui di seguito), due lettere di rigetto e tutto ciò in barba all'accordo con il ministero dell'interno ed il Patronato ITAL-UIL;
regolarizzazione di COSA: anziani che, in questi sette mesi muoiono (il 10% delle nostre domande) ed il subentro lo si deve contrattare con i figli per evitare di aver sprecato i 1.000 € e la prima trance di contributi e molti di voi sanno anche chi li ha materialmente versati; condivido con voi solo tre casi per evidenziare che alla prossima tornata, come Uil, si potrebbe far tesoro dell'esperienza:
1) sig. Ricci, dal mod. 730, € 85.000.000,00 domanda che ancor deve concludersi perché inizialmente il SUI aveva letto male il reddito, seconda lettera di rigetto perché aveva già due dipendenti di cui una comunitaria (siamo ancora alle integrazioni e note a chiarimento);
2) sig. De Giglio, domanda EM SUB, la procedura dava la possibilità, per azienda di nuova costituzione, di inserire il reddito presunto: la domanda è stata rigettata perché la DTL si attiene alla circolare interministeriale, abbiamo attivato il ricorso al TAR;
3) sig. Diana, agente di commercio, modello Unico 140.000, la DTL, sempre per la circolare interministeriale, rigetta l'istanza perché il reddito individuale è inesistente;
Non mi dilungo sulla confusione dei redditi per le aziende agricole e sulle comunicazioni della durata mensile/annuale: UNA REGOLARIZZAZIONE FORZATA E PILOTATA.
In attesa di leggervi per sapere da voi come sta andando ed eventualmente aiutarmi a risolvere casi per non ricorrere al TAR, invio un cordialissimo saluto.
Leopoldo Saracino
Ital-Uil Puglia
C.so De Gasperi,270 - (70125) Bari
080.5648991/5648982
Notizie in breve
08 marzo 2013 Gli studenti scrivono ai
neoparlamentari per inserire tra le priorità la cittadinanza alle seconde
generazioni.
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08 marzo 2013 Festa
della donna: mimose sull’Altare della Patria depositate da giovani ragazze
nate in Italia ma senza cittadinanza accompagnate dai sindaci.
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08 marzo 2013 Nasce
a Matera l’Osservatorio provinciale per l’immigrazione.
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18 dicembre 2012 10:37Concorsi pubblici e cittadini extra-Ue. Discriminatoria l'esclusione. Tribunale MilanoIl Tribunale di Milano, con ordinanza emessa nel procedimento n. 5301/2012 e depositata lo scorso 19 novembre, ha sancito un importante principio in tema di discriminazione lavorativa fra cittadini italiani [...] |
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29 novembre 2012 9:46Immigrazione. Nuovo decreto flussi per lavoratori non stagionaliLontano dai clamori della stampa *, è stato in questi giorni pubblicato un nuovo decreto flussi di ingresso per lavoro non stagionale, le cui domande potranno essere presentate dalle ore 9 del 7 dicembre [...] |
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Alba Dorata, documentario choc: "Pronti a fare saponette degli immigrati" (video) 23 ore fa: Blitz ROMA - "Immigrati? Sono pronto a metterli nei forni. Magari li possiamo trasformare in saponette. A patto di non usarle. Potrebbero portare ad uno sfogo cutaneo". Queste le parole choc di Alexandros Plomeratis, esponente di Alba Dorata, durante un...
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Foreign Press
March 06, 2013, Time Magazine
For years, immigration policy has focused almost exclusively on
enforcement and deportations. Now there’s hope of a new, inclusive road to
citizenship. The reforms being debated in Washington are particularly
critical for the care workers who look after our children, parents, and
grandparents. By 2020, one in six Americans
will be over the age of 65, and America is at least one million workers short
of filling the need for home-based elder care. Caretakers for the elderly, as
well as nannies and housekeepers, are vital to our lives and our economy and
must be prioritized in the process for citizenship.
(MORE: The Invisible World of Nannies, Housekeepers and Caretakers)
Direct care workers are already relegated to the unseen corners of our law and economy, but never more so for those who are undocumented immigrants. According to a new report by the Institute for Women’s Policy Research and the Caring Across Generations campaign, while the care industry as a whole is plagued by substandard wages and lack of labor law protections, care workers without legal status are even more likely to receive extremely low pay and suffer exploitation, harassment and abuse at work. In my work organizing domestic workers, I have been touched by the love and care that so many immigrants bring to families across the United States — stories of home-care workers from Jamaica trading ackee and saltfish recipes with Jewish retirees making matzoh balls; stories of new mothers grateful for the skilled experience and tutelage of nannies who have seen it all before. But I have also heard horror story after horror story — nannies being paid less than $3 an hour; housekeepers having to handle raw sewage; elder care aides being fired without notice and not paid overdue back wages. That the immigrant workers who care for our families so lovingly and skillfully can be treated so badly should give pause to anyone who has a heart — and everyone charged with policy reform.
(MORE: TIME cover story: Not Legal, Not Leaving)
Unfortunately, the current options for becoming legal aren’t available to care workers— temporary work visas are available only for farm workers and science and engineering professionals. And within the current permanent residency application system, only 140,000 permanent employment visas are allowed each year — most are given to the family members of other admitted workers. It is far fewer than the United States needs to meet the demand for the current care workforce, let alone other industries.
To truly address the needs of our modern American economy and workforce, immigration reform must create a direct road to citizenship for care workers currently in the United States and establish a program for care workers who will come in the future. Like proposals for STEM workers, care workers should have the ability to come under temporary provisional status with the opportunity to apply for legal permanent residency after five years. And to prevent future abuse of immigrant care workers, the status must allow for job mobility and provide equal worker protections, so that workers pursuing citizenship aren’t subject to the exploitation of sponsoring employers. This will reduce abuse in the industry as a whole and raise wages and working conditions for all care workers, including citizens — a step in the right direction for everyone.
(MORE: Do Immigrants ‘Drain’ Society?)
Looking forward, our nation’s care industry needs to be ready — not with a legal and moral patchwork in the economic shadows, but with a robust industry prepared for the next aging wave. Every eight seconds, someone turns 65 in America today. That means every eight seconds, we have another reason to revamp the care industry for the sake of immigrant workers, our economy and all of us.
VIDEO: Ai-jen Poo Discusses the Domestic Worker