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Rassegna ad uso
esclusivamente interno e gratuito, riservata agli
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Anno XI n.6 dell’11 febbraio 2013 |
Consultate www.uil.it/immigrazione
Aggiornamento quotidiano sui temi di interesse di cittadini e lavoratori stranieri
Bye bye, immigrato?
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SOMMARIO
Appuntamenti pag. 2
Gli stranieri se ne vanno? pag. 2
Identikit degli stranieri in Italia pag. 3
Regolarizzazione, metà bocciati? pag. 3
Carta blu: chi può richiederla pag. 5
Resoconto incontro con ETUI a Bruxelles pag. 5
Lavoratori domestici: la tassa sul licenziamento si paga? pag. 6
Emergenza Nordafrica: enti locali al collasso pag. 7
CIR, workshop su apolidia pag. 8
Esteri: la Germania cresce grazie agli immigrati pag. 9
Foreign Press: Immigration reform is not enough pag.10
Notizie in breve: pag.11
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A cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil
Dipartimento Politiche Migratorie
Tel. 064753292- 4744753- Fax: 064744751
Dipartimento Politiche
Migratorie: appuntamenti
Roma 14 febbraio 2013, ore 11, Via del Velabro 5
Comitato direttivo del CIR
(Giuseppe Casucci)
Genova 15 febbraio, ore 10.00
Convegno UIL/ITAL sulla cittadinanza
(Guglielmo Loy)
Roma 19 febbraio, sede Cnel, ore 15.30
Incontro dei sindacati con la delegazione OCSE su integrazione degli immigrati in Italia
(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci)
Roma 13 -15 marzo 2013, Cardinal Hotel Saint Peter Hotel, Via Leone Dehon 71
(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci)
Flussi migratori
Gli stranieri che se ne vanno: oltre 32 mila gli stranieri cancellati dall’anagrafe nel 2011.
Cancellazioni aumentate del 15,9% rispetto al 2010
I
dati riferiscono, rispetto alle dinamiche del fenomeno migratorio in Italia,
una nuova tendenza, fortemente legata alla congiuntura economica critica che
dal 2008 ha colpito l’Italia e il mondo occidentale nel suo complesso. Secondo
gli ultimi dati Istat, infatti, le cancellazioni dall’anagrafe di cittadini
stranieri sono aumentate nel 2011, mentre le iscrizioni sono diminuite. La
Fondazione Moressa si è chiesta chi sono gli stranieri che abbandonano il
territorio italiano verso nuovi lidi. La partenza dell’Italia non si traduce
sempre, ovviamente, nella conclusione dell’esperienza migratoria e, quindi, con
il rientro in patria, ma spesso si concretizza nel proseguimento di questa
esperienza in un altro paese estero, maggiormente indicato per garantire quelle
opportunità e quelle chances di vita da cui la migrazione prende avvio.
Gli stranieri che se ne vanno per macro-aree. Oltre la metàdegli stranieri che lasciano l’Italia per cercare fortuna altrove o al proprio paese di origine sono europei. Il 17,7% ha origini asiatiche e il 12,2% è africano.
Gli stranieri che se ne vanno per cittadinanza. Più di 19 mila cancellazioni sono state richieste da soggetti provenienti da paesi europei, di cui oltre un terzo rumeno. Tra gli asiatici che lasciano l’Italia, il 30,2% è costituito da cinesi e il 19,1% da indiani. Tra gli americani invece, sono soprattutto i brasiliani (21,5%) a tentare altre strade fuori dall’Italia. In generale, sembrano lasciare l’Italia quelle popolazioni provenienti da paesi in via di sviluppo, per cui si può ipotizzare una propensione al rientro nel paese di origine oltre che allo spostamento verso altri paesi terzi.
Variazione percentuale delle cancellazioni tra il 2010 e il 2011. Le cancellazioni a livello nazionale nel 2011 rispetto all’anno precedente sono aumentate del 15,9%. L’incremento di coloro che lasciano il paese riguarda tutte le nazionalità, escluse poche eccezioni in cui si è registrata una diminuzione delle cancellazioni, come per esempio il Bangladesh (-16,95).
Le cause dell’abbandono. Una spiegazione della diffusione della scelta di abbandonare l’Italia da parte di una significativa fetta della popolazione straniera va ricercata sicuramente nell’effetto che la crisi economica ha avuto sulle condizioni occupazionali degli stranieri. Tra il 2008 e il 2011, infatti, il numero di disoccupati stranieri è praticamente raddoppiato, con un incremento di oltre 148 mila unità (+ 91,8%), mentre quello degli italiani è aumentato di 267 mila unità. Tra il 2008 e il 2011 il tasso di disoccupazione degli stranieri è cresciuto di 3,6 punti percentuali, passando dall’8,5% al 12,1%, mentre nello stesso periodo il tasso di disoccupazione degli italiani è passato dal 6,6% all’8,0%.
In primo piano
Il primo bilancio sull’emersione dei lavoratori stranieri in un report del Ministero dell’Interno. Alto tasso di rigetti. Di Elvio Pasca
(www.stranieriinitalia.it) - Roma – 7
febbraio 2013 – Quasi diecimila lavoratori stranieri hanno tagliato il
traguardo e potranno finalmente mettersi in tasca un permesso di soggiorno,
mentre le famiglie o le imprese che li hanno assunti sono al sicuro dalle
sanzioni. Per altri diecimila, però, la corsa è finita male. È il primo
bilancio della regolarizzazione, a poco meno di quattro mesi dall’invio delle
domande. Al 15 ottobre ne erano arrivate circa cento trentacinquemila, e fino a
ieri poco più di cinquantamila risultavano già “lavorate”, come si legge nel
prospetto compilato dal ministero dell’Interno che pubblichiamo in fondo alla
pagina. Iniziamo dai promossi. In poco meno di diecimila casi, lavoratore e
datore si sono seduti davanti allo Sportello Unico dell’Immigrazione, hanno
firmato il contratto di soggiorno ed è partita la richiesta del permesso. Tutto
bene, quindi: il rapporto di lavoro e il cittadino straniero sono
diventati a tutti gli effetti regolari. Finirà probabilmente così anche per gli
ottomila convocati, e per i quasi ventimila che hanno già avuto il via libera
di Questura e Prefettura e quindi sono il lista d’attesa per la convocazione.
Sono invece un’incognita le seimila pratiche in fase di integrazione: se verrà
presentata la documentazione aggiuntiva richiesta dallo Sportello Unico per
l’Immigrazione, semaforo verde, altrimenti la domanda di emersione sarà
rigettata. Le bocciature del resto, si sono già fatte sentire. Eccome.
Diecimila rigetti su cinquantamila pratiche lavorate sono un tasso decisamente
alto. E, se venisse confermato anche nei prossimi report, limiterebbe
ulteriormente l’efficacia di una regolarizzazione che già molti, in base al
numero di domande presentate, hanno giudicato troppo limitata rispetto al
reale bacino della clandestinità. In questa prima fase, comunque, le
valutazioni sono premature. Anche perché, se si passa dai dati nazionali alla
situazione nelle singole province, gli scenari sono molto variabili. A Roma, il
responsabile dello Sportello Unico sull’Immigrazione Fernando Santoriello
spiega: “Le pratiche già lavorate, oppure lavorabili, perché ci sono già i
pareri di Questura e Direzione Territoriale del Lavoro, sono circa
tremilacinquecento. Millecinquecento le abbiamo chiuse positivamente con la firma
del contratto e la richiesta del permesso, per poco più di un migliaio c’è una
richiesta di integrazione o un parere negativo e per le altre sono partite le
convocazioni”. Rigetti? “Per ora non ne abbiamo fatto ancora nessuno. Di fronte
a un parere negativo, spesso chiediamo un’integrazione o comunque
mandiamo un preavviso di rigetto. I tempi, prima che la domanda venga
definitivamente respinta, sono piuttosto lunghi. È naturale - sottolinea
Santoriello - che le pratiche che non presentano problemi vengano definite
molto più velocemente”.
(http://www.corriere.it/) Milano, 10 febbraio 2013 - Anche i numeri possono tracciare dei volti, dar loro un corpo, collocarli in uno sfondo. Un uomo passa la calce sul muro, arrampicato su un ponteggio a Milano, è arrivato dall’Albania. Un venditore ambulante s’aggira per le strade di Torino, è partito molti anni fa dal Marocco. Un terzo s’alza all’alba per mungere vacche nella Bassa Bresciana, è nato in India. Un profilo di donna, impiegata come badante, vive a Napoli, è ucraina. Oppure una colf, intenta a rifare i letti in un appartamento veneto, probabile che sia moldava. Ci sono i dati della presenza straniera in Italia (4.570.317 al primo gennaio 2011 per l’Istat), le cifre che raccontano di che nazionalità sono (primi i romeni, 968 mila), quanti minori (1.038.275), quanto lavorano e con che stipendio, tutto scritto nell’ultimo Rapporto sull’economia dell’immigrazione della Fondazione Leone Moressa di Venezia, specializzata sul tema. E poi c’è un modo diverso di leggere le tabelle, scomponendole e aggregandole di nuovo per comunità, e tirando fuori per le prime dieci più numerose un identikit dei nuovi abitanti d’Italia. È il lavoro che ha appena concluso Marta Cordini, giovane ricercatrice della Fondazione Moressa, che da questo gioco delle carte d’identità ha capito molte cose. Anche sul desiderio di ottenere la cittadinanza italiana, che resta comunque meta per pochi (0,8 per cento). «Tra le comunità emergono differenze interessanti — spiega Cordini — che derivano non solo da ragioni economiche, ma soprattutto dai tratti culturali, dai progetti migratori, dalle reti etniche». La distribuzione territoriale, per cominciare. I cinesi che prendono casa a Milano, a Firenze, a Prato, ma anche a Treviso e Reggio Emilia. Per ragioni di ricerca del lavoro, certo, che resta la spinta principale: «È il motivo per cui gli immigrati continuano a essere più numerosi al Centro e al Nord e nelle grandi città». Ma rimane fondamentale per orientare i percorsi la presenza di reti di connazionali, meglio ancora se parenti, che hanno già una storia di insediamento nei Comuni italiani. La maggior parte dei tunisini si è stabilita nel Ragusano, per esempio: si spiega con gli storici scambi tra le due coste del Mediterraneo e con gli ultimi sbarchi sull’onda delle primavere arabe. Ma una forte presenza si registra anche a Modena più che a Milano, o a Parma più che a Roma. La comparazione tra gli identikit racconta anche di una disparità tra le retribuzioni. Le comunità arrivate per prime hanno maturato maggiori capacità contrattuali, riescono a far valere meglio i propri diritti. I filippini, invece, per la maggior parte impiegati part time o comunque a orari ridotti in attività domestiche, spesso anche in nero, fanno registrare salari più bassi. Trasversale è, invece, la differenza tra le paghe di uomini e donne. Vale per gli italiani come per gli stranieri, «un po’ più lieve tra i cinesi, che spesso hanno attività commerciali a conduzione familiare — continua Cordini —, raggiunge punte molto alte tra i marocchini, con una differenza anche di 380 euro al mese». Le donne provenienti dall’ex blocco sovietico, in particolare, «soffrono di sotto inquadramento: svolgono mansioni inadeguate al titolo di studio, che spesso è superiore a quello dei connazionali maschi». Sono laureate, ma lavorano come domestiche o portinaie. A volte, arrivate in Italia, cercano di riscattarsi, frequentano corsi di specializzazione, conquistano diplomi da operatrice sanitaria, per esempio. Così, se il 37,5 per cento delle romene è impiegato nella cura alle persone, si scopre che l’11,2 lo fa in maniera qualificata. Magra consolazione per le lavoratrici: la crisi ha colpito di più gli uomini, e tra questi soprattutto est-europei e africani, perché ha bersagliato maggiormente il settore delle costruzioni e della manifattura, risparmiando, in parte, il lavoro domestico. Tenuto conto che la disoccupazione tra gli stranieri ha registrato nel complesso un incremento di quattro punti: dall’8 al 12-13 per cento. Il desiderio di diventare cittadini italiani è un altro tratto che descrive il profilo dei nuovi abitanti: la comunità più numerosa è quella romena, ma in cima alla lista di chi ha chiesto e ottenuto la cittadinanza ci sono i marocchini (6.952 nel 2010) e gli albanesi (5.628). Perché sono arrivati da più tempo in Italia, e quindi hanno raggiunto per primi i requisiti per presentare la domanda (innanzitutto i dieci anni di residenza). E anche perché sono più motivati a diventare cittadini europei e a conquistare mobilità all’interno delle frontiere dell’Unione, rispetto a chi viene dalla Romania che dal 2007 è nella Ue. Ancora, più spesso presentano i documenti i sudamericani (i peruviani sono quarti, seguiti dai brasiliani) perché in alcuni casi riescono a risalire ad avi italiani e a beneficiare dello ius sanguinis (italiano chi è discendente di italiani). Per le seconde generazioni, invece, qualunque formula di ius soli (italiano chi nasce in Italia) venga introdotta nel nostro ordinamento, già si segnalano delle diversità interessanti. A fare più bambini sono ancora marocchini, tunisini e indiani. Pochi, invece, i figli per le ucraine, le moldave e le polacche. «Perché i modelli migratori sono diversi», spiega la ricercatrice. Africani e asiatici chiamano spesso in Italia mogli e bimbi con i ricongiungimenti e si insediano qui con tutta la famiglia. Le donne dell’Est arrivano spesso da sole, in età più matura, mariti e figli rimasti in patria, anni e anni di fatica e di soldi accumulati con l’idea poi di tornare indietro. Tra la crisi e i nuovi modelli culturali, però, asiatiche e africane stanno cominciando a fare meno bambini, e in stagioni sempre più avanzate, come le italiane. Alla fine, in tempi lunghi, i profili sono destinati a sovrapporsi.
Direttive UE
(da: http://www.immigrazione.biz/),
7 febbraio 2013. Un documento spiega quali categorie di lavoratori possono
usufruirne e la procedura da seguire - Con le modifiche apportate al Testo unico
dell'Immigrazione, è stata introdotto anche il rilascio della Carta Blu che
permette ai lavoratori
extracomunitari altamente specializzati di far ingresso in Italia senza richiedere alcun nulla osta,
oppure, quando è richiesto, viene comunque rilasciatoal di fuori delle quote periodicamente stabilite con il decreto flussi. Si tratta degli ingressi “fuori
quota”, che permettono l'ingresso in qualsiasi periodo dell'anno senza
rispettare nessun “click-day”, per i quali non
esiste dunque alcun tetto numerico ad eccezione degli ingressi per tirocini
formativi, per sport professionale e dilettantistico e per volontariato. Vi
sono inoltre altri casi in cui il nulla osta non viene addirittura chiesto e si
parla di dirigenti in distacco, professori universitari, lavoratori
specializzati distaccati in Italia, lavoratori marittimi, tirocinanti e
giornalisti. In questo caso la procedura prevede direttamente, o previa
comunicazione allo Sportello Unico, la richiesta del visto di ingresso alle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane
all'estero.
Ecco le categorie di lavoratori che possono
ricorrere a tale canale di ingresso agevolato:
- Lavoratori altamente qualificati – Carta
blu Ue (art. 27 quater)
- Dirigenti o personale altamente specializzato
distaccato in Italia (art. 27, lett. A);
- Professori universitari destinati a svolgere
in Italia un incarico accademico (art. 27, lett. C)
- Traduttori ed interpreti (art. 27, lett. D)
- Collaboratori familiari in casi specifici
(art. 27, lett. E)
- Tirocinanti e lavoratori distaccati per
addestramento professionale (art. 27, lett. F)
- Lavoratori specializzati distaccati in Italia
(art. 27, lett. G)
- Lavoratori marittimi (art. 27, lett. H)
- Lavoratori trasferiti nell’ambito di un
contratto di appalto (art. 27, lett. I)
- Lavoratori occupati presso circhi o spettacoli
viaggianti all’estero; personale artistico e tecnico per spettacoli lirici,
teatrali, concertistici o di balletto; ballerini, artisti e musicisti da
impiegare presso locali di intrattenimento o presso enti teatrali o
cinematografici o imprese radiofoniche o televisive, nell’ambito di
manifestazioni culturali o folcloristiche (art. 27, lett. L-M-N-O)
- Lavoratori sportivi professionisti (art. 27,
lett. P)
- Giornalisti (art. 27, lett. Q)
- Lavoratori stranieri che, secondo le norme di
accordi internazionali in vigore per l’Italia, devono svolgere in Italia
attività di ricerca o un lavoro occasionale nell’ambito di programmi di scambi
di giovani o di mobilità di giovani oppure collocati “alla pari” (art. 27,
lett. R)
- Infermieri professionali (art. 27, lett.
R-bis)
- Volontari internazionali (art. 27
bis)Ricercatori (art. 27 ter)
- Docenti di scuole e università straniere
operanti in Italia (l. n. 103/2002).
Integrazione migranti ha prodotto un documento in cui vengono analizzate tutte le categorie di
lavoratori che rientrano in quelle descritte, la procedura per la richiesta e
dell'eventuale nulla osta all'ingresso.
Sindacato
Roma,
8 febbraio 2013. Si è svolto, lo scorso 5 febbraio a Bruxelles, presso la sede
internazionale della CES, la riunione organizzativa del corso di formazione
ETUI riguardante le “politiche europee in materia di immigrazione ed il loro
impatto sulle condizioni di lavoro ed integrazione dei migranti”. Il corso verrà
realizzato a Roma presso il Cardinal St. Peter Hotel, tra il 13 ed il 15 marzo
2013. Alla riunione erano presenti Valerica Romanescu ed Eva Berger di ETUI,
Eyup Ozer, ufficio internazionale del sindacato DISK della Turchia, nonché
Giuseppe Casucci in rappresentanza della UIL. Alla nostra Organizzazione è
stato dato l’incarico di collaborare nell’organizzazione logistica dell’evento,
nonché nel definire il contenuto dei programmi formativi dello stesso. La Uil
fornirà un proprio dirigente con il ruolo di esperto/formatore e tutor nonché
almeno un altro esperto in materia di legislazione internazionale e sulle
normative migratorie UE e italiane. La Uil parteciperà al corso, inoltre, con
almeno 4 quadri immigrati ed italiani, in una tre giorni che si realizzerà nel
suddetto hotel. I costi sono interamente a carico della ETUI, essendo un
progetto cofinanziato dalla Unione Europea. Le lingue utilizzate nel corso
saranno: italiano, inglese e turco.
Obiettivi dell’evento:
- Comparare
la differente situazione nei vari Paesi membri dell’Unione, in termini di
contributo dei migranti alle economie nazionali;
- Analizzare le politiche dei sindacati europei in materia di migrazione per
lavoro;
- Descrivere le nuove normative europee in materia di lavoratori migranti, valutandone
l’impatto del processo di attuazione nei diversi paesi;
- Sviluppare proposte di cooperazione sindacale per quanto riguarda i
lavoratori migranti
Per quanto riguarda i contenuti, le giornate contempleranno i seguenti moduli:
1. I
contenuti dei migranti alle economie locali;
2. Le proposte della CES ed il suo Action Plan on migration;
3. Il quadro giuridico europeo sulle condizioni d'ingresso per i cittadini di
paesi terzi;
4. L'impatto della legislazione dell'UE in materia di condizioni di lavoro e
l'integrazione dei lavoratori migranti nei diversi paesi;
5. La cooperazione sindacale nella UE sull’immigrazione. Casi di studio;
6. Politiche migratorie sindacali comuni a livello di UE.
Tra gli invitati esterni, Luca Visentini Segretario Confederale CES e Marco Cilento della CES. Guglielmo Loy aprirà i lavori della prima giornata del corso, il 13 marzo 2013.
A cura del Dipartimento Politiche Migratorie UIL
Società
In arrivo il chiarimento del Ministero del Lavoro. Salverebbe le famiglie da un salasso che può arrivare a 1450 euro
Roma, 7 febbraio 2013. Quando interrompono un rapporto con una colf, una badante o una babysitter, i datori di lavoro domestico non devono versare anche il nuovo “contributo per il licenziamento”. Quella gabella, introdotta dal primo gennaio scorso dalla Legge Fornero per finanziare l’Assicurazione Sociale per l’Impiego, colpisce solo le imprese.
Manca ancora un comunicato ufficiale di via Fornovo (è atteso per oggi), ma sarebbe questa l’interpretazione data dai tecnici dei ministeri del lavoro al comma 31 dell’articolo 2 della legge 92/2012. Oppure la modifica che si vuole introdurre. Quello norma prevede infatti che chi licenzia un lavoratore assunto a tempo indeterminato deve pagare all’Inps anche una “somma pari al 41 per cento del massimale mensile di ASpI per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni”.
Non facendo distinzioni tra datori di lavoro, a prima vista colpisce anche i datori di lavoro domestico. Come ha denunciato l’Assindatcolf, anche in casi di licenziamento per giusta causa, e indipendentemente dalle ore previste dal contratto, dovrebbero sborsare fino a 1450 euro. È una “tagliola” che rischia di favorire il lavoro nero in un settore dove già imperversa il sommerso, hanno commentato i sindacati.
Fino a stamattina, anche l’Inps accreditava quell'interpretazione, “perché non sia così, bisogna cambiare la legge” commentavano gli esperti dell’Istituto. A quanto pare, però, il confronto intavolato nei giorni scorsi dalla Federazione italiana datori di lavoro domestico con il ministro del Lavoro ha dato i suoi frutti e dagli uffici di Fornero è in arrivo un chiarimento che salverà le famiglie dalla nuova tassa. Teresa Benvenuto, segretario nazionale di Assindatcolf, ci spera: “Confidiamo che sia questa la strada scelta, ma attendiamo un comunicato ufficiale”.
Rifugiati
“Grande incertezza e mancato coordinamento nel passaggio di competenze alle Prefetture”. Regioni, Province e Comuni approvano un ordine del giorno in Conferenza Unificata
Roma –
8 febbraio 2013 - Sbloccare i fondi per l’accoglienza dei minori soli
(che vanno presi in carico dal mistero dell’Interno) e degli adulti
dell’Emergenza Nordafrica, prevedendo anche una deroga alla scadenza del 28
febbraio per i soggetti più vulnerabili. Rendere operativi i tavoli
regionali,accompagnare chi esce dall’accoglienza finchè non diventa autonomo.
Sono le richieste consegnate ieri al governo da Regioni e Province autonome,
Associazione Nazionale dei Comuni Italiani e Unione delle province italiane,
contenute in un ordine del giorno approvato ieri dalal conferenza Unificata.
Ecco il testo integrale:
"Il
31 dicembre 2012 si è chiusa la fase di gestione emergenziale dell’Emergenza
Nord Africa, che è passata dalla gestione della Protezione Civile a quella ordinaria
delle Prefetture. Questo passaggio si è verificato in condizioni di grande
incertezza e di mancato coordinamento in merito alle procedure, alle risorse,
alla governance dei processi. Riteniamo fondamentale che questo Governo, prima
della chiusura del suo mandato, definisca dei punti fermi dai quali l’azione
del prossimo Governo possa ripartire con chiarezza e celerità.
La situazione sui territori è al collasso. Rispetto alla situazione dei minori
non accompagnati, aspettiamo ancora il rimborso per spese che i Comuni hanno
responsabilmente sostenuto nei mesi scorsi sulla base di un accordo preciso con
il Governo, che avrebbe dovuto coprirle con risorse proprie, trattandosi di
competenze dello Stato centrale. I ritardi nell’erogazione si sommano all’incertezza
sulle risorse future per far fronte all’accoglienza dei minori ancora in carico
e fino al compimento del diciottesimo anno di età, mettendo a repentaglio la
tenuta del bilancio di molte amministrazioni. Pensiamo alle grandi città, ma
anche e soprattutto a piccoli comuni, che rischiano di andare in dissesto
finanziario. Non solo. In termini di procedure, è allarmante verificare come
sui territori, in particolare nelle regioni di primo arrivo come la Sicilia, si
sia ripristinata pienamente la pericolosa consuetudine per la quale il
collocamento dei minori avviene, da parte dell’autorità di polizia,
direttamente presso le strutture di accoglienza, senza il previo accordo e
autorizzazione con il Comune territorialmente competente. Sono sempre più
numerose le lettere con cui i Comuni, nella maggior parte di piccole
dimensioni, ci comunicano con allarme il rischio di dissesto finanziario dovuto
a questa situazione. Altrettanto preoccupante è la situazione rispetto ai
cittadini stranieri adulti, ancora in accoglienza fino al 28 febbraio, rispetto
ai quali rimane del tutto incerto e rallentato il percorso di avvio
all’autonomia ancora una volta a causa della mancata concessione, da parte
delle autorità centrali, degli strumenti necessari e concordati per procedere
nella strada delle dimissioni. Non sappiamo cosa accadrà a marzo, poiché se da
un lato non sono stati messi in campo interventi efficaci di sistema per
accompagnare all’integrazione, dall’altro non ci sono certezze in merito alla
prosecuzione dell’accoglienza, con particolare riguardo alle persone
vulnerabili.
Un aspetto ulteriore è poi quello dei minori non accompagnati richiedenti asilo rispetto ai quali, nonostante la norma ponga chiaramente in capo al Ministero dell’Interno la responsabilità, non ci sono certezze di sorta in merito alla copertura dei costi di presa in carico prima dell’entrata nel circuito SPRAR.
Va
salvaguardato il principio costituzionale che richiede che non possano essere
attribuiti compiti agli Enti locali senza garantirne la copertura. Ne va
altrimenti a repentaglio la tenuta complessiva dei servizi, dei bilanci e della
coesione sui territori.
Infine, non si può non evidenziare come, anche con riferimento alla governance
territoriale, nonostante l’impegno assunto in più sedi di attivare e mantenere
come snodo principale di coordinamento i Tavoli regionali coordinati dalle
Prefetture dei comuni capoluogo di provincia , in molti territori tali Tavoli
stentino a diventare pienamente operativi, creando serie difficoltà tanto nella
gestione ordinaria quanto nella programmazione futura.
Alla luce di ciò Regioni, Province e Comuni richiedono con urgenza al Governo:
1. lo sblocco delle
risorse già assegnate al Ministero del Lavoro e Politiche Sociali per la
copertura dei costi di accoglienza dei minori nel 2012 e inspiegabilmente non
ancora resi disponibili dal Ministero delle Finanze, nonché la destinazione
delle eventuali economie per sostenere i costi dell’accoglienza dei minori
anche dopo il 31 dicembre 2012, in analogia con quanto fatto per gli adulti;
2. lo sblocco delle risorse già assegnate alla Protezione Civile per dare compimento alla copertura dei costi dell’accoglienza dei cittadini stranieri per l’anno 2012 e la prosecuzione dell’accoglienza dopo il 28 febbraio, con particolare riferimento alle persone più vulnerabili, nonché una chiarezza nella definizione degli strumenti per accompagnamento all’autonomia;
3. piena assunzione di responsabilità da parte del Ministero dell’Interno in merito all’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati richiedenti asilo;
4. rilancio dell’operatività dei Tavoli regionali.
5. Possibilità di rendicontare, da parte dei gestori delle strutture di accoglienza, le eventuali risorse necessarie per l’autonomia dei migranti, anche in deroga ai 250 euro previsti come “contributo straordinario per l’uscita” previsto dal manuale operativo del progetto S.P.R.A.R." (www.stranieriinitalia.it)
Consiglio Italiano
per i rifugiati
Roma, Workshop su Apolidia
Presentato rapporto finale del progetto “In the Sun”, ricerca sul fenomeno dell’apolidia tra le comunità rom che vivono in Italia
7 Febbraio
2013- Il progetto “In the Sun”- finanziato dalla Open Society Foundations e
realizzato dal CIR- si è posto l’obiettivo di indagare il fenomeno dell’
apolidia tra le persone rom presenti In Italia e indicare possibili soluzioni.
Per presentare il rapporto finale del progetto e discutere i risultati e le
raccomandazioni emersi, il CIR e
l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziali (UNAR) - con il supporto della Open Society Foundations- hanno
organizzato oggi a Roma, presso
la Sala Monumentale dell’UNAR, un Workshop tra esperti e istituzioni dedicato
all’apolidia. I lavori – moderati da Maria
De Donato, Responsabile
Settore Legale CIR sono
iniziati alla luce di alcuni
dati: nel mondo 12 milioni di persone sono apolidi, 600.000 in Europa e in
Italia si parla di circa 840 persone riconosciute apolidi ma il dato è
sicuramente sottostimato e non rispecchia la realtà visto che non ci sono
statisticheufficiali a livello nazionale. Héléna Behr, Sezione
Protezione, UNHCR Italia – ha riportato le tre linee guida elaborate
dall’UNHCR per fornire una definizione di apolidia, indicare possibili
procedure per il riconoscimento dello status di apolidi ed evidenziare la
necessità di concedere un diritto a permanere sul territorio durante la
procedura, perché non siano soggetti a decreti di espulsione o detenzione. Se
l’Italia si colloca tra i pochi paesi che hanno un meccanismo per garantire la
protezione degli apolidi – come sottolineato nell’intervento di Gábor Gyulai,Coordinatore
del programma d'asilo del COMITATO HELSINKI UNGHERESE e Presidente della RETE
EUROPEA SULL'APOLIDIA (ENS) – molti sono ancora i punti critici del
sistema: quadro normativo poco chiaro, procedura farraginosa e lunga, mancanza
di uno status provvisorio per i richiedenti.
In Italia vi sono infatti due procedimenti per il riconoscimento dello status di apolidia:
1-la via amministrativa – il Ministero degli Interni certifica l’apolidia dietro presentazione di alcuni documenti (tra cui permesso di soggiorno, residenza anagrafica), procedura che può durare molti anni e di non facile accesso vista l’impossibilità di molti apolidi di reperire la documentazione richiesta;
2-la via giudiziaria – l’autorità competente per certificare lo status di apolide in questo caso è l’autorità giudiziaria. Non c’è ancora una regolamentazione organica sulla materia, recentemente la cassazione ha dichiarato che le controversie relative allo stato di apolide devo essere discusse nel procedimento di cognizione ordinaria. .
Nell’intervento di Paolo Farci, Avvocato in Firenze è stato così sottolineto come l’”apolidia è un fatto politico più che un problema giuridico”, perché è lo Stato che definisce la procedura da adottare per il riconoscimento della cittadinanza e che sta commettendo un vero e proprio “apolicidio”. Per coloro che intraprendono la via giudiziaria il problema è il livello di garanzie nelle more del procedimento e di fatto si crea “una discriminazione tra i richiedenti asilo e i richiedenti apolidia” - come ha evidenziato Costanza Hermanin, Program officer di OPEN SOCIETY FOUNDATIONS. Nel suo intervento Massimo Converso, Presidente di OPERA NOMADI, ha sottolineato l’importanza di un’indagine conoscitiva approfondita sul fenomeno e ha dichiarato che lo stato di clandestinità in cui vivono migliaia di rom e sinti in Italia va interrotto.
Il
progetto In The sun è stato
quindi illustrato dai tre relatori: Daniela
Di Rado,Responsabile progetto, per
il CIR Luca Cefisi, Ricercatore
per il CIR e Silvia Doria,Dottore
di Ricerca in Sistemi Sociali e Organizzazione, Analisi delle Politiche
Pubbliche Dipartimento di Scienze Sociali, UNIVERSITA’ SAPIENZA DI ROMA. Partendo
da una breve analisi storica dell’apolidia, Luca Cefisi ha messo in evidenza
che si tratta di un fenomeno antico, che siamo alla terza generazione di
persone che vivono in Italia da 20/30 anni che qui hanno costruito famiglie e
hanno perso legami con i paesi di provenienza. Un fenomeno che affonda le
radici nella dissoluzione della ex Jugoslavia e che si contraddistingue per due
aspetti: l’emarginazione sociale, culturale e l’emarginazione giuridica,
l’assenza di diritti, di accesso alla legge. La dimensione d’illegalità che ne
deriva deve essere guardata senza moralismi, ma come un risultato reale di un
“meccanismo perverso”. Daniela Di Rado, ha quindi esposto i principali
risultati emersi dalla ricerca: il gap tra leggi sulla cittadinanza dei
principali paesi di provenienza (Serbia, Macedonia, Bosnia-Erzegovina…) e
prassi percorribili; diritti che si perdono nelle more dei procedimenti, a
farne le spese sono spesso i minori. A Silvia Doria, è stata quindi affidata la
spiegazione sulla metodologia scelta e i principali risultati quali -
quantitativi evidenziati. (si rimanda all’abstract del report allegato). Le
“testimonianze dal campo” di Dijana
Pavlovic, FEDERAZIONE
ROM E SINTI INSIEME,Veljo Ahmetovic e Samantha Ahmetovic, OPERA NOMADI
hanno aggiunto al dibattito un importante contributo, quello di chi lavora e
vive quotidianamente a diretto contatto con le falle del sistema e le sue
conseguenze umane. Ha chiuso i lavori Riccardo
Compagnucci, Prefetto,
Vice Capo Vicario, Dipartimento per le Libertà Civili e l'Immigrazione del
MINISTERO DELL’INTERNO con un intervento che dapprima ha confermato “la somma
di cose che non funzionano, un misto tra ignoranza, indifferenza incapacità” e
poi ha avanzato possibili soluzioni perché è una “questione da risolvere senza
se e senza ma” . “Se ognuno uscisse dai suoi panni e vedesse la realtà
dell’apolidia per quella che è… quanta anomalia e assurdità!” – ha
aggiunto Compagnucci. “L’unica via è la via normativa – ha dichiarato il
prefetto – portando in Parlamento o un intervento specifico sull’apolidia
o una clausola nella modifica della legge sulla cittadinanza.” Dobbiamo
nella pratica ragionare analogamente a quanto avviene per la procedura per lo
status di rifugiato, affidando ad una commissione la responsabilità di valutare
la richiesta. Mentre i tempi per una modifica della normativa maturano intanto
si procederà a proporre temporanee soluzioni amministrative. Dal confronto
tutte le organizzazioni coinvolte, gli esperti e le istituzioni sembrano
uscite più rafforzate nel loro impegno, perché nessuno abbia più a dire
“non mi resta che una speranza, che quando morirò potrò avere un certificato di
morte per provare che sono davvero esistito”. Ringraziamo UNAR per
l’ospitalità e il supporto organizzativo, i relatori intervenuti e i
numerosi partecipanti che contribuiscono a mantenere accesa l’attenzione sul
tema.
-Read the abstract of the research “In the sun” - Research on Roma Stateless People in Italy
- Scheda sul progetto “In the Sun”
La versione definitiva del rapporto sarà a breve disponibile.
Esteri
Lo affermano recenti studi. L’ondata migratoria dei cosiddetti ospiti-lavoratori è iniziata 60 anni fa e ora non solo sono insostituibili, ma se ne auspicano di più.
Torino, 7 febbraio 2013 - 7,1 milioni di persone vivono in Germania
senza passaporto tedesco e 8,6 milioni presentano un cosiddetto “background
migratorio”, secondo un’analisi sul mercato del lavoro condotta dall’Agenzia
del lavoro tedesca. In totale, 15,7 milioni di persone con una storia di
immigrazione alle spalle vivono in Germania, cioè circa il 19% della
popolazione tedesca. Due giornalisti tedeschi, Pitt von Bebenburg e Matthias
Thieme, hanno esaminato l’importanza dell’immigrazione per la Germania
ipotizzando uno scenario senza immigrati e pubblicando i risultati dei loro
studi nel libro Germania senza stranieri. “Non ci sarebbe nessun aspetto della
vita che non ne verrebbe toccato”, afferma von Bebenburg. “Avrebbe l’impatto
più drammatico nelle aree altamente popolate della Germania occidentale”.
Francoforte, ad esempio, perderebbe un intero quartiere. 3,4 milioni di
stranieri lavorano in tutti i settori economici del mercato tedesco, a
cominciare da quello gastronomico che ha la più alta percentuale di lavoratori
stranieri con il suo 20%. Tuttavia, l’importanza dell’immigrazione in Germania
va al di là delle statistiche sul mercato del lavoro. “L’immigrazione
contribuisce anche in termini di competenze interculturali”, sostiene Ayse
Demir, esponente della comunità turca in Germania. La diversità multiculturale
è diventata parte della vita di tutti i giorni e l’ 1,8 milioni di matrimoni
tra tedeschi e non tedeschi lo dimostra. Numeri, tra l’altro, in costante
aumento. Uno studio dell’Istituto tedesco di ricerca economica documenta che
più del 20% degli immigrati sono lavoratori altamente qualificati e personale
manageriale. Sempre più dottori, ingegneri e periti informatici giungono in
Germania da Spagna, Portogallo e Grecia, a causa della crisi nell’eurozona.
Nonostante ciò, l’esperto di immigrazione Klaus Bade, che ha guidato il
Consiglio di esperti delle fondazioni tedesche sull’integrazione e la migrazione,
sostiene che non mancano risentimenti e diffidenze verso alcune categorie di
immigrati, come i Rom, che rischia “di distorcere la visione verso romeni e
bulgari”, nonostante siano molti i lavoratori altamente qualificati che
provengono da questi Paesi. Anche i musulmani costituiscono una eccezione:
studi mostrano come sia cresciuto un sentimento anti-islamico giustificato con
il fatto che possono essere fonte di fondamentalismo.
In generale, tuttavia, emerge un quadro positivo
nella percezione dell’immigrazione in Germania: secondo l’ Istituto tedesco di
ricerca economica di Colonia, sia i tedeschi che la popolazione immigrata hanno
opinioni simili circa il tema dell’immigrazione. Il 60% di entrambi i gruppi
concorda che più lavoratori qualificati dovrebbero giungere in Germania e il
70% di entrambi i gruppi vuole fare di più per incoraggiare l’integrazione.
(Samantha Falciatori)
Fonte: www.immigrazioneoggi.it
Feb 1st 2013, 15:15 by T.N. | LOS ANGELES
IF NOVEMBER'S presidential election, in which some exit polls
had Mitt Romney winning just 27% of the Latino vote, was a wake-up
call to
Republicans, the sleep must have been deep indeed. For months it had been clear
to anyone with half an eye on the polls that the Republicans were tanking among
Latinos. In August, Mr Romney emerged 39 percentage points behind Barack Obama
in thefirst of 11 weekly
tracking polls carried out by Latino Decisions. (Those, of course, turned out
to be the good days.) Whether or not Mr Romney's fondness for "self-deportation" was to
blame, the Republican pre-election spin that a focus on jobs and growth would
be enough to win around Latino voters is not only risible in retrospect, it was
obviously wrong at the time.
OK, election campaigns do funny things to people's brains. At least the Republicans are on board now. After all, as Reagan is once supposed to have said, Latinos are natural Republicans. They just don't know it yet. Ditch the crazy rhetoric, silence the wingnuts and take at least partial ownership of immigration reform, and the shared values of Republicans and Latinos—aspiration, pro-enterprise, social conservatism—should emerge clearly enough to help satisfy Reagan's formula. (If it's good enough for Susana Martinez...)
This is certainly how John McCain is selling the proposals put forward by his "Gang of eight" senators. His home state of Arizona, where the Latino population grew by almost half between 2000 and 2010, is one that many Democratic strategists see as ripe for competition in 2016. (The state has backed the Republican candidate in every presidential election bar one since 1948.) Elsewhere in the mountain west Latino votes have already helped shift the 20 electoral-college votes of Nevada, Colorado and New Mexico, all of them once reliably red states, into the Democratic column in the last two elections. Mr McCain acknowledges the danger. But because of "small business, less regulation, big service in the military, pro-life, all these reasons," he argues, Republicans should be able to attract enough Latino support to keep the demographic tide at bay.
Mr McCain's commitment to sorting out America's broken immigration system is not in doubt. And the Republican tin-ear to immigration concerns certainly helps explain Mr Romney's dismal performance among Latinos. But it's worth unpacking Mr McCain's claim. Perhaps the most common element of the "natural Republican" argument for Latinos is the cultural-conservative one. It doesn't stack up well. Support for same-sex marriage is now stronger among Latinos than other ethnic groups. If support for second-amendment rights counts as a conservative value, there is scant consolation for Republicans: last year just 29% of Latino voters told a Pew poll that gun "rights" were more important than gun "control". Mr McCain is right about abortion, an issue on which Latinos are marginally more conservative than blacks or whites. But it's not a priority for many voters. And as with other Americans, younger Latinos are considerably more liberal on all these issues than their older counterparts.
What about Mr McCain's "less regulation"? Well, leaving aside the Dodd-Frank Act, which happens not to make an appearance among the top priorities of any voters, Latino or otherwise, one of the heftiest pieces of regulation produced in the first Obama term was the Affordable Care Act. And, as Mr Romney turned out to be aware, it's a hit with Latinos. OK, so what about all that business-stifling red tape the Democrats are so fond of? Well, there sure are a lot of Latino small-business owners. Some should be receptive to a Republican message that emphasises entrepreneurial vim and freedom. But we haven't heard much of that from the GOP lately. (Marco Rubio's convention speech in Tampa was an honourable exception.)
This is partly because the party's energies have been dedicated to keeping a lid on spending and shrinking the size of government. And while these may be worthy goals, they do not appear to fly with many Latinos. Immediately before November's election just 12% said spending cuts were the best way to reduce America's fiscal deficit. Neither is trimming the deficit is a priority. Indeed, many Latino voters appear to be moving in the opposite direction from today's Republicans: in 2011 Gary Segura of Latino Decisions reported that 82% of Latinos wanted a more active government, next to 59% of non-Hispanic whites. Education may present an opportunity for Republicans. Latinos are among the worst victims of the terrible public schools in many parts of the United States, and the lock that teachers' unions often have over state Democratic parties leaves an opening for the GOP. The Republicans will also be helped by a saner message on immigration, voter-friendly Latino faces like Mr Rubio's and, if they can craft it, a 21st-century version of the American dream. But against these potential bright spots are the demographic trends: the Latino share of the electorate grew from 9.7% in 2008 to 12.5% last year and will continue to rise quickly. Most of these new voters will surely continue to back Democratic candidates, even if the Republicans can eat away at the gap.
(Photo credit: AFP)
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