Newsletter periodica d’informazione
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Rassegna ad uso
esclusivamente interno e gratuito, riservata agli
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Anno XI n.7 del 18 febbraio 2013 |
Consultate www.uil.it/immigrazione
Aggiornamento quotidiano sui temi di interesse di cittadini e lavoratori stranieri
Immigrazione, quale modello per una riforma?
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SOMMARIO
Appuntamenti pag. 2
Studio: immigrazione, fine di un ciclo? pag. 2
ACI, stranieri al volante pag. 6
Rifugiati: appello del CIR ai partiti pag. 7
Richiedente asilo si da’ fuoco a Fiumicino pag. 8
Giurisprudenza pag. 9
Foreign Press pag.10
Notizie in breve: pag.11
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A cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil
Dipartimento Politiche Migratorie
Tel. 064753292- 4744753- Fax: 064744751
Dipartimento Politiche
Migratorie: appuntamenti
Roma 19 febbraio, sede Cnel, ore 15.30
Incontro dei sindacati con la delegazione OCSE su integrazione degli immigrati in Italia
(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci)
Roma 20 febbraio, sede Cnel, ore 11.00
Convocazione organismo ONC su immigrazione
(Giuseppe
Casucci)
Roma 13 -15 marzo 2013, Cardinal Hotel Saint Peter Hotel, Via Leone Dehon 71
(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci)
Società
Studio
completo già pubblicato sul sito : www.tonioloricerca.it
L’Italia e l’immigrazione <low cost>, fine di un ciclo?
Da un contributo dell’Istituto Fieri alla comprensione delle dinamiche migratorie in Italia
Dal 2001 al 2011 la popolazione straniera in Italia è passata da 1.380 mila a 4,5 milioni. Nello stesso periodo, i tassi di crescita dell’economia italiana sono rimasti stagnanti per poi subire due cadute recessive. Un’immigrazione massiccia in assenza di una crescita economica consistente è un fenomeno anomalo, con pochi precedenti storici e che non ha eguali nella UE. Le teorie economiche ipotizzano una relazione positiva (e bi-direzionale) tra immigrazione e crescita economica. Il potenziale migrante sceglie un Paese dove l’economia è in crescita ed è più facile trovare lavoro. I Paesi in UE che hanno ricevuto tassi d’ingresso forti di immigrati, nell’ultimo decennio, hanno conosciuto ritmi di crescita del PIL più consistenti dell’Italia.
Come spiegare, dunque, il paradosso italiano di una immigrazione massiccia senza crescita economica?
La nostra demografia (meno nascite e invecchiamento) spiega in parte il fenomeno: forza lavoro in diminuzione e alta domanda di servizi di cura, hanno contribuito al boom migratorio. Ma la demografia non basta a spiegare il paradosso, che ha a che vedere forse anche col nostro particolare modello migratorio: forti risparmi per l’economia, la società e lo Stato, associati però a scarsi benefici.
Relazione biunivoca tra immigrazione e crescita economica.
Migrazione e crescita sono interconnesse. Da un lato una forte economia attrae flussi di migranti, dall’altro questi stessi flussi influenzano l’andamento dell’economia nel Paese di destinazione (e di origine). Un migrante, in genere sceglie un Paese grazie al quale ci sia un differenziale positivo tra prospettive di lavoro e di reddito tra il Paese di destinazione e quello di origine (al netto dei costi di trasferimento). In genere l’immigrazione aumenta l’offerta di lavoro ed influenza la crescita economica nel Paese di destinazione. Questo concetto è ampiamente analizzato nella teoria economica. Secondo la teoria neoclassica, il cosiddetto “immigration surplus” (differenza tra Pil generato dal lavoro degli immigrati e reddito da lavoro distribuito a loro direttamente) è maggiore in caso di lavoro qualificato, per la complementarietà che esiste nella produzione tra lavoro qualificato e capitale. Tale conclusione si rafforza considerando l’aumento di produttività determinato dal capitale umano posseduto dai migranti qualificati. Le analisi economiche più recenti, confermano l’importanza del rapporto tra capitale umano/crescita economica di lungo periodo di un paese. Secondo questa accezione, l’immigrazione avrà un effetto positivo o negativo, a seconda del rapporto tra quota di immigrati qualificati e non qualificati. Se il livello di skill degli immigrati è superiore in media a quello dei nazionali, ci saranno effetti positivi sulla crescita. Viceversa, si avrà una riduzione della stessa , in quanto gli stessi verranno utilizzati in funzione di dumping lavorativo e sociale, trascurando la necessaria innovazione produttiva in funzione di competitività. A questo proposito, secondo gli studiosi, più veloce è il processo di assimilazione degli immigrati, minore sarà l’effetto negativo sulla crescita a lungo periodo. Un’analisi dei forti flussi migratori in Italia e la loro influenza sulla crescita economica, porta il Fieri a confermare che l’Italia è l’unico Paese in Europa in cui la correlazione tra flussi in ingresso e PIL pro capite risulta fortemente negativa.
Come spiegare
tutto ciò? Per gli studiosi un primo aspetto riguarda il basso
tasso di utilizzo effettivo dei loro skills (anche a
causa del non riconoscimento dei titoli). Questo non avrebbe permesso
all’immigrazione di svolgere una funzione propulsiva rispetto allo sviluppo
economico dell’Italia. Sappiamo che la forza lavoro straniera è concentrata
nelle occupazioni a minore contenuto professionale, indipendentemente dal
livello di istruzione o dagli skills posseduti. Gli stranieri rappresentano in
media il 16% degli operai, solo l’1% degli impiegati, quadri e dirigenti. Sono
il 5,6% dei lavoratori autonomi, con quote superiori al 12% nelle costruzioni,
mentre sono meno del 2% dei professionisti. Infine l’incidenza dei lavoratori
stranieri supera il 13% nelle costruzioni e nella ristorazione. La quota di
lavoratori stranieri in professioni qualificate in Italia è tra le più basse
d’Europa (con esclusione della sola Grecia) e per di più in calo. Mentre
i lavoratori stranieri sovra-istruiti (più qualificati di quanto richiesto dal
loro lavoro) è da noi estremamente elevato. Questo fenomeno non è solo un
segnale di mancata assimilazione degli stranieri nel mercato del lavoro, ma
anche del fatto che lo stesso non è in grado di assorbire in modo efficiente la
forza lavoro straniera, specie quella qualificata. Questo sotto utilizzo
delle potenzialità professionali (brain waste) ha un impatto negativo sui
lavoratori, ma anche sulla produttività delle imprese. Certo un
utilizzo più efficiente degli skills degli stranieri avrebbe avuto effetti
positivi sulla competitività e sulla crescita. Ma questo non basta a spiegare
l’anomalia di forti flussi d’ingresso in un Paese prima stagnante e poi in
recessione. Secondo il Fieri la risposta va ricercata nel particolare complesso
modello dell’immigrazione italiana, definita “low cost”, dal punto di vista
dell’impatto sul mercato del lavoro, per il sistema delle imprese, sul welfare
e per l’amministrazione pubblica più in generale.
Low cost per i lavoratori nativi
Immigrazione con carattere di complementarietà della manodopera straniera con l’Italiana, con scarsa o nulla concorrenzialità. La presenza degli stranieri non avrebbe avuto effetti negativi sulle retribuzioni dei nativi, né sul piano delle prospettive occupazionali, andando ad occupare fasce basse e dequalificate del Mercato del Lavoro italiano. La presenza straniera ha permesso di trasferire sul mercato alcuni servizi di cura e di coprire la carenza di offerta di welfare pubblico, determinando in ultimo anche una crescita dell’occupazione femminile.
Low cost per le imprese
Il sistema delle imprese ha risparmiato (grazie alla presenza massiccia di lavoratori stranieri), evitando o ritardando investimenti altrimenti necessari ai fini del miglioramento della propria produttività. Secondo alcuni studi sarebbero state proprio le imprese meno efficienti ad impiegare maggiormente manodopera straniera. Il divario salariale medio con gli italiani, secondo alcuni studiosi, sarebbe dovuto alle caratteristiche delle imprese che impiegano gli stranieri, piuttosto che alla nazionalità dei lavoratori stessi. La presenza di stranieri, infine, ha prodotto risparmi che hanno permesso alle imprese di sostenere meglio la competizione internazionale. Questo sarebbe confermato dal fatto che, specie nella prima fase, i lavoratori stranieri si siano concentrati nelle aree del Paese a forte vocazione industriale, specie nelle PME manifatturiere impegnate nell’esportazione. Queste avrebbero evitato, in parte, la delocalizzazione od outsourcing della produzione, mantenendo bassi i costi della forza lavoro. Allo stesso tempo, però, questa strategia avrebbe potenziali implicazioni negative sulla crescita nel lungo periodo e sulla competitività del Paese.
Per quanto riguarda l’imprenditoria etnica, la concorrenzialità con quella italiana è stata finora limitata: Secondo dati Infocamere le imprese straniere rappresentano circa il 10% del totale delle imprese attive, hanno avuto una crescita nell’ultimo lustro del 40%, a fronte di una riduzione dell’imprenditoria italiana del 6%. Tuttavia gli imprenditori stranieri tendono a concentrarsi in attività a basso contenuto tecnologico e innovativo e particolarmente in settori tradizionali. Sono l11% delle imprese nelle costruzioni, il 10% nella manifattura a bassa tecnologia e l’8,6% nel servizi. Mentre la loro presenza nella manifattura ad alta tecnologia non supera il 3% del totale.
Low cost per il welfare
Il welfare italiano si è avvantaggiato notevolmente dalla presenza degli immigrati. Tutti gli studi concordano nel contraddire i luoghi comuni, e testimoniano la minore dipendenza degli stranieri dal welfare locale rispetto agli italiani. Secondo dati IDOS (2009) gli immigrati hanno un’incidenza complessivamente positiva sul bilancio dello Stato: 12,5 miliardi di € in entrate fiscali a fronte di uscite non superiori ai 10,5 mld di €. In particolare il gap è visibile sul fronte previdenziale dove i contributi nel 2009 sono stati pari a 7,5 mld di € a fronte di uscite per prestazioni previdenziali che non hanno superato 1,5 miliardi di €. Ancora più importante è il fatto che la presenza degli stranieri ha contribuito a colmare inadeguatezze strutturali dell’attuale sistema di welfare. Gli immigrati, infatti, sono produttori di servizi di cura e di assistenza, più che consumatori. Asti dire che l’80% dei lavoratori domestici iscritti all’INPS (circa 800 mila) sono di nazionalità non italiana.
Low cost per l’Amministrazione
Complessivamente, l’accesso e l’inserimento dei lavoratori immigrati e delle loro famiglie nel nostro Paese, sono stati gestiti attraverso scarse risorse, perlomeno in relazione all’entità del fenomeno, e con un approccio quasi sempre emergenziale, nonché scoordinato tra gli enti pubblici preposti.
La programmazione dei flussi annuali d’ingresso è avvenuta su di una base conoscitiva approssimativa ed inadeguata, e le scelte finali sul numero e sulla provenienza sono state di natura più politica (umori dell’opinione pubblica, spesso manipolata) che tecnica (valutazione della domanda effettiva di lavoro). Lo strumento del decreto flussi ha finito per mostrare la sua inadeguatezza, senza che si riuscissero ad individuare e mettere in atto i necessari rimedi. Non si è riusciti a superare il limite strutturale rappresentato dalla subordinazione dell’ingresso alla pre -esistenza di una specifica offerta nominativa di lavoro in Italia. Una precondizione che, alla luce delle caratteristiche del mercato del lavoro italiano, è risultata da subito irrealistica. Fallita anche la cooperazione bilaterale con alcuni Paesi d’origine dei migranti. Tutto questo ha determinato le ben note storture del sistema di ammissione per lavoro. In mancanza di adeguate strutture e meccanismi di accompagnamento, l’incontro tra domanda – offerta avviene in maniera informale già sul territorio italiano, ed i decreti flussi sono serviti (a poco) a regolarizzare persone già presenti sul territorio italiano e senza permesso. Va anche aggiunto che le stesse procedure amministrative per il rilascio e rinnovo dei permessi di soggiorno hanno a lungo mostrato livelli di efficienza bassissimi, a fronte di costi crescenti per gli immigrati.
Low cost, low benefits (I): competitività del sistema
Il corollario di un modello di immigrazione low cost è quello di una immigrazione, allo stesso tempo, low benefit, per l’economia e per la società italiana. I forti risparmi finanziari, sociali e politici hanno anche significato la rinuncia a potenziali benefici in termini di maggior competitività del sistema economico, di maggiori entrate fiscali derivanti da un più efficiente utilizzo della manodopera straniera, di efficienza della macchina amministrativa e burocratica che gestisce il fenomeno migratorio.
Il vantaggio
per imprese, e a volte per interi settori economici, dell’utilizzo di una forza
lavoro straniera, meno qualificata, più “malleabile” e spesso in nero, ha
significato a volte il riuscire al non soccombere di fronte alla competizione
internazionale. Allo stesso tempo, questo “vantaggio” ha permesso di ritardare
necessari investimenti, pubblici e privati, in miglioramenti della produttività
del lavoro, in innovazione e ricerca, in attività economiche ad alta intensità
di capitale umano e tecnologico, con evidenti cadute sulla competitività
complessiva dell’economia italiana. D’altro canto il sotto utilizzo degli
stranieri ha comportato danni per loro, rischi di dumping sociale, benefici
limitati nel tempo per le imprese, e minori ingressi fiscali per lo Stato. Uno
spreco di risorse che ha significato uno spreco dell’impatto positivo che essi
avrebbero potuto avere sull’economia e sulla società italiana.
Low cost, low benefits (II): redditività del progetto migratorio
Diverse analisi recenti mostrano come anche il progetto migratorio di chi ha scelto di vivere e lavorare nel nostro Paese, abbia avuto finora una bassa redditività. Malgrado gli sforzi di integrazione, continua ad esistere (e a persistere) un gap di natura salariale e sociale tra immigrati e italiani. Alcuni studiosi evidenziano che, a differenza di quanto accaduto nei paesi europei a più lunga tradizione migratoria, in Italia la segregazione degli immigrati nei gradini più bassi della scala sociale non è dovuta a basso livello di istruzione, ma che al contrario la penalizzazione del mercato del lavoro è tanto più forte quanto più elevato è il livello di istruzione. Il conflitto possibile tra nativi e non, dunque, si è realizzato sul piano dei titoli di studio e questo la dice lunga su quanto potrebbe accadere in termini di conflitto tra le seconde generazioni (che hanno studiato qui) ed il resto dei loro coetanei italiani.
Il panorama, infatti, non è molto diverso se invece di guardare alla redditività della formazione acquisita dagli immigrati nei propri Paesi d’origine, si sposta l’attenzione sulla formazione scolastica dei loro figli. Il divario (a sfavore degli stranieri) nei tassi di promozione tra alunni italiani e stranieri è crescente per ordine di scuola, raggiungendo il 14% nella scuola secondaria (dati 2008). Più elevato tra gli stranieri anche il tasso di drop out scolastico.
Segnali di indebolimento del modello
Questo modello di immigrazione “low cost”, che associa scarsi costi a scarsi benefici per il sistema, appare sempre più instabile e precario. La crisi economica in corso, con le sue conseguenze di natura sempre più strutturale, spingono ad esiti ancora non del tutto prevedibili: o ad una maggiore marginalizzazione e precarizzazione della presenza di origine immigrata nella società italiana, o a quote sempre più consistenti di cittadini stranieri orientati a fare altre scelte non necessariamente da noi. L’esito del processo è ancora incerto: in assenza di un’assunzione di responsabilità e di interventi decisi e coerenti da parte delle istituzioni e delle principali organizzazioni sociali ed economiche, è certo che la convenienza per molti immigrati a rimanere ed il beneficio della loro presenza per la crescita economica sono destinate a peggiorare. Malgrado ciò Fieri nega che si sia in presenza di un contro esodo da parte degli immigrati, anche se alcuni segnali negativi cominciano a manifestarsi. Nel 2011, infatti , secondo Ismu a fronte di soli 27 mila stranieri entrati in Italia per lavoro, 50 mila giovani italiani sarebbero emigrati all’estero. Tuttavia, l’assenza di un monitoraggio efficace delle entrate e delle uscite, l’assenza del decreto flussi, e la forte presenza di immigrazione irregolare, rende quasi impossibile un quadro chiaro della dinamica ingressi –egressi per lavoro.
Segnali di concorrenza
immigrati – nativi sul mercato del lavoro
Figura 1: Occupazione straniera per professione (2011) – in percentuale. Fonte Istat
Per molti anni si è assistito ad una sostanziale complementarietà tra lavoratori italiani e stranieri. Come documentato, gli stranieri sono principalmente occupati in professioni a bassa qualifica: nel 2009 oltre il 70% svolgeva attività non qualificate oppure faceva l’operaio e l’artigiano, rispetto al 32% degli italiani. In particolare, tra i lavoratori non qualificati, gli immigrati pesano per un terzo. Fino al 2007, i dati confermano l’ipotesi di una sostituzione tra nativi ed immigrati nelle professioni a più bassa qualifica e contestuale spostamento degli italiani verso professioni più qualificate. Tra il 2007 ed il 2011 gli occupati non qualificati sono aumentati di oltre 300 mila unità, solamente grazie all’apporto degli stranieri, mentre gli italiani si ridotti di 10 mila unità. Tuttavia, nel 2009 il modello sembra mostrare alcuni segnali di trasformazione. In primo luogo lo spostamento di italiani verso professioni più qualificate subisce una battuta d’arresto a causa della crisi economica che colpisce proprio le maggiori professionalità. Tra il 2007 ed il 2011, infatti, l’occupazione dei nativi in questa categoria si riduce di 880 mila unità. Anche la presenza dei nativi tra le mansioni più basse subisce un’ulteriore accelerazione, a fronte di una sostanziale tenuta dell’occupazione straniera, segno evidente di dumping lavorativo e sociale. Infine, a partire dal 2010, si registra una crescita degli occupati nativi nelle professioni non qualificate (circa 50 mila tra 2010 e 2011), a fronte di una prima riduzione di 36 mila stranieri nelle basse professioni. Questi sintomi non ci consentono di concludere che la complementarietà tra italiani ed immigrati stia venendo meno, tuttavia il peggioramento del quadro occupazionale sta forse modificando le dinamiche tra i due gruppi.
Costi crescenti per il welfare
Se per anni il contributo dell’immigrazione al welfare nazionale è stato positivo (più contributi che costi), la situazione potrebbe cambiare. La crisi e la disoccupazione, che colpisce anche gli immigrati, sta facendo aumentare la loro dipendenza dal welfare pubblico: il numero di beneficiari di indennità di mobilità con cittadinanza extra UE è aumentato del 61,4% dal 2009 al 2011, a fronte di un aumento per gli italiani del 28,8% (dati Ministero del Lavoro 2012). Inoltre nel futuro il loro peso nei costi della previdenza è naturalmente destinato ad aumentare, come anche nei servizi di cura in quanto utenti. Se dunque per anni il contributo dell’immigrazione ha fatto da contrappeso al gap demografico, questo vantaggio è destinato gradualmente a diminuire, con costi crescenti per il sistema di welfare nazionale. Tra il 2009 ed il 2011 il numero di pensioni di invalidità e vecchiaia erogate a extra UE è aumentato del 39,38%.
Costi crescenti per l’Amministrazione
Malgrado il Governo abbia scelto negli ultimi due anni di non
emanare decreti flussi relativi agli ingressi per lavoro a tempo indeterminato,
questo ha avuto scarso impatto sui flussi in entrata. Secondo dati OCSE, nel 2010
si sono registrati 424.500 nuovi ingressi, mentre i primi mesi del 2011 ha
visto l’ingresso di altri 331 mila extra UE. Negli ultimi due anni è comunque
cambiato l’atteggiamento dell’Amministrazione orientata ad un blocco
sostanziale di flussi indiscriminati , accompagnato da un investimento in
politiche attive di riqualificazione delle persone straniere e di origine
straniera che hanno perso il lavoro a causa della crisi. In questo piano
programmatico, una certa enfasi è posta sulla necessità di adeguare, in maniera
più efficace, la gestione dei flussi migratori agli effettivi bisogni interni
di manodopera ed alle capacità di assorbimento dei contesti locali. Nello
stesso tempo si insiste sull’importanza della formazione pre-partenza
(linguistica, civica e professionale), attraverso il rilancio della
cooperazione con i Paesi d’origine. Per rendere realistici questi obiettivi,
però, sarebbero necessari nuovi investimenti finalizzati ad un profondo
rinnovamento degli strumenti di analisi previsionale del mercato del lavoro
– da una parte – e verso una rinnovata (e più efficiente)
cooperazione con i Paesi d’origine dei migranti. Il blocco dei flussi (che
contenevano quote privilegiate per i Paesi che cooperavano con l’Italia) e
l’azzeramento sostanziale dei fondi per la cooperazione, rischiano comunque di
vanificare qualsiasi buona intenzione dell’Esecutivo.
Scarica: http://www.uil.it/immigrazione/ricerca-Fieri2013.pdf
Roma, 16 febbraio 2013 - Gli stranieri non risentono della crisi dell'auto: sono ormai più di 3 milioni i veicoli intestati ad immigrati nel nostro Paese, con un incremento del 34% negli ultimi 15 mesi. Sono quindi aumentati gli incidenti stradali che coinvolgono uno straniero, fino a sfiorare i 90 sinistri al giorno con 141 feriti e piu' di 1,4 morti, per un costo sociale che supera i 4,2 miliardi di euro annui, pari al 14% del totale (oltre 30 miliardi di euro). Gli immigrati che registrano più incidenti sono i rumeni (4.753 sinistri), seguiti da albanesi (3.504), marocchini (3.142), cinesi (1.215), moldavi (735), tunisini (700), peruviani (678), egiziani (675), serbi (607) ed ecuadoregni (586). Sono i dati forniti dall'Aci. Numeri che hanno spinto l'ACI ad estendere agli stranieri il proprio impegno per l'educazione alla sicurezza stradale, offrendo 3.000 corsi di guida sicura (mille all'anno per tre anni) nel Centro ACI-SARA di Vallelunga, alle porte di Roma, ad altrettanti immigrati che divengono così Ambasciatori di Sicurezza Stradale. L'attività e' partita a settembre e in sei mesi ha raggiunto già 1.500 persone. Un corso di guida sicura riduce di un terzo la probabilità di incidente, come attesta l'esperienza austriaca dove l'incidentalità dei giovani si e' ridotta del 33% con l'obbligo di un corso di guida sicura entro tre anni dal conseguimento della patente. Ciò significa che questa iniziativa dell'ACI diminuisce di 1,4 milioni di euro il costo degli incidenti stradali per la società. Se fosse estesa a tutti gli stranieri che guidano in Italia, il risparmio sarebbe di 1,5 miliardi di euro. "Queste cifre dimostrano i risultati conseguibili con tre semplici interventi normativi - dichiara il presidente dell'ACI, Angelo Sticchi Damiani - che possono attuarsi subito e senza costi per lo Stato: istituire l'obbligo di un corso di guida sicura per gli stranieri che convertono la patente in Italia; prevedere un corso di guida sicura per tutti i neopatentati; riconoscere la guida sicura tra le attività finanziate con il 50% dei proventi delle multe che la legge assegna alla sicurezza stradale, in modo da consentire agli automobilisti di beneficiare in prima persona dei soldi versati con le sanzioni. Tre mosse che generano vantaggi per tutti, senza costi per le casse pubbliche". "I benefici della nostra azione sono evidenti anche fuori dalle strade - afferma il segretario generale dell'ACI, Ascanio Rozera - con una potente accelerazione del processo di integrazione sociale degli stranieri nel Paese. Forte dei risultati conseguiti nel 2012 grazie anche alla collaborazione delle ambasciate, delle comunità internazionali e della Polizia Stradale, e al sostegno economico di Sara Assicurazioni, ACI sta pianificando le prossime tappe per il biennio 2013-2014. L'iniziativa e' patrocinata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal Ministero degli Affari Esteri, dal Ministro per la Cooperazione internazionale e l'integrazione, e dal Ministro per gli Affari regionali, il turismo e lo sport". Gli istruttori del Centro di guida sicura ACI-SARA di Vallelunga hanno riscontrato un netto miglioramento delle capacità degli allievi stranieri, con una crescita della consapevolezza dei rischi sulla strada e la correzione delle cattive abitudini al volante. I temi che hanno suscitato più interesse sono stati la giusta velocità in curva oltre al corretto utilizzo dei freni e del sistema ABS.
Rifugiati
Appello del CIR ai partiti: Riformare il Diritto di Asilo
Roma, 14 febbraio 2013 - Il Consiglio Italiano per i Rifugiati ha inviato oggi un appello a tutte le formazioni politiche presenti in campagna elettorale chiedendo una profonda riforma del sistema del diritto di asilo e dell’accoglienza dei rifugiati in Italia. Una nuova politica, ritiene il Presidente del CIR Savino Pezzotta, è necessaria tanto per uscire da una perenne emergenza e precarietà nella quale vivono richiedenti asilo e rifugiati in Italia, quanto per rispettare gli obblighi internazionali stabiliti dall’UE nel sistema comune europeo di asilo. La riforma dovrà consistere nei seguenti 6 punti:
- Una Legge Organica o un Testo Unico della legislazione in materia di rifugiati con esplicito riferimento all’Articolo 10 della Costituzione, che includa il recepimento delle nuove Direttive UE in materia di accoglienza , di qualifiche per la protezione internazionale e di procedura di asilo, nonché norme sul ricongiungimento familiare;
- Garantire l’accesso alla protezione tanto presso le frontiere quanto in forma sperimentale in Paesi terzi presso le rappresentanze diplomatiche per aprire canali di arrivo sicuri, legali e protetti alle persone bisognose di protezione internazionale. L’Italia dovrebbe, inoltre, aderire al Programma Comune Europeo di Re- insediamento di rifugiati;
- Garantire un unico e coerente sistema di accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati dalla prima presa in carico verso l’integrazione di chi ha ottenuto uno status di protezione. Tale sistema dovrà avere una cabina di regia centrale e rafforzare ulteriormente il coinvolgimento delle Regioni, degli Enti Locali e delle organizzazioni del privato sociale;
- Istituire un programma nazionale di integrazione al quale confluiscano in modo organico anche i vari fondi europei;
- Promuovere programmi realistici di rimpatrio volontario assistito e di reintegrazione nei Paesi di origine e assicurare capillare informazione su tali programmi;
- Riformare la gestione complessiva di tutti gli aspetti attinenti alla vita del rifugiato anche valutando l'ipotesi di costituire un’Agenzia seguendo il modello di alcuni altri Stati europei
Un ivoriano si cosparge di benzina il fumo avvolge parte del Terminal 3 . Attimi di paura tra i passeggeri
Roma, 14 febbraio 2013 - Disperato dal dover ritornare in
patria, non vedendo alternative dopo che la sua domanda di asilo era stata
rifiuta, un 19enne della Costa d’Avorio, stamani si è cosparso di benzina e si
è dato fuoco all’ aeroporto di Fiumicino. Ma per bloccare l’iter amministrativo
dell’espulsione dall’Italia avrebbe potuto presentare una nuova domanda per
richiedere l’asilo politico e nel frattempo essere detenuto al Cie di Ponte
Galeria. Forse lo ignorava, forse è stato mal consigliato, forse non voleva
stare in una cella ed è stato travolto dalla disperazione. Ora è ricoverato
all’ospedale Sant’Eugenio di Roma in gravi condizioni, ma non corre pericolo di
vita. Anche un agente che ha tentato di fermarlo è rimasto ustionato ad un
braccio. Il giovane arriva in Italia e chiede asilo politico, ma il 23
gennaio scorso gli viene notificato il diniego della Commissione italiana.
Aveva 15 giorni di tempo per presentare ricorso contro questa decisione, ma il
giovane decide di lasciare l’Italia ed andare in Olanda. Quando la polizia
olandese lo ferma ad Amsterdam, in base al «Regolamento Dublino» viene rinviato
nel paese in cui ha chiesto asilo. E ieri il 19enne viene portato a Fiumicino
con l’obbligo di ripresentarsi stamani agli uffici della Polizia di Frontiera
per l’attuazione del decreto di espulsione. E l’ivoriano stamani si è
presentato in quegli uffici che si trovano nel Terminal 3, settore partenze,
poco dopo le 10. Qui ha mostrato agli agenti di turno il decreto di espulsione
emesso dalla Questura di Roma. Improvvisamente ha estratto da un borsone una
tanica di benzina e ha cominciato a versarsi addosso il liquido infiammabile,
cercando di darsi fuoco con un accendino. Gli agenti hanno tentato di fermarlo,
ma l’uomo si è divincolato: è uscito dalla stanza e, tornando sui suoi passi,
ha acceso il liquido infiammabile a ridosso della parete esterna di un piccolo
ufficio dell’Alitalia.
Sentendo le grida è intervenuta con un estintore una funzionaria della Dogana dell’aeroporto, Tiziana Guarna: «Li ho salvati? Me ne sono resa conto solo dopo, lì per lì ho pensato soltanto ad agire. Ho sentito delle grida provenire dall’ ufficio vicino e ho visto prima il poliziotto e ho spento il fuoco. Poi mi sono accorta dell’altro, ormai steso a terra. C’era chi mi urlava: “Spegnilo, Spegnilo, ho scaricato l’estintore sul suo corpo”». A Fiumicino è scattato l’allarme con attimi di paura da parte dei passeggeri, anche per il fumo che si era propagato in tutto quel settore del Terminal 3. È intervenuta una ambulanza del Pronto Soccorso aeroportuale. Alcuni infermieri hanno adagiato l’uomo su una barella, lo hanno protetto con una coperta e poi, aprendosi un varco tra la folla di passeggeri che si era nel frattempo radunata, lo hanno caricato su una ambulanza che lo ha trasportato all’ospedale Sant’Eugenio di Roma. Nello stesso ospedale è ricoverato l’agente della Polaria, in codice giallo: ha riportato ustioni al braccio destro. L’intero settore del Terminal 3 è stato interdetto ai passeggeri per consentire i rilievi della Scientifica e poi riaperto alle 11.30. Per Christopher Hein direttore del Consiglio Italiano rifiugiati (Cir), che critica fortemente il «regolamento di Dublino», questo gesto «ci chiede di aprire gli occhi davanti alla disperazioni di richiedenti asilo e rifugiati». Per il presidente della Croce Rossa Italiana Francesco Rocca, è «l’accoglienza e l’inserimento dei migranti nel nostro tessuto sociale, è una delle più importanti sfide umanitarie per il nostro Paese». Un gesto «estremo - ha detto il responsabile immigrazione dell’Arci Filippo Miraglia - che dovrebbe far riflettere tutti su cosa può significare per una persona veder distrutti tutti i sogni di futuro a causa di un pezzo di carta che, con la freddezza del linguaggio burocratico, dispone l’allontanamento dal paese in cui si era deciso di tentare l’avventura della vita».
Giurisprudenza
Stranieri. Carta di soggiorno per il coniuge omosessuale di cittadino italiano
Articolo di Emmanuela Bertucci, Aduc - Immigrazione
Con la circolare n. 8996 del 2012 il Ministero dell'Interno
conferma alle Questure la possibilità di rilasciare la carta di soggiorno per
familiare di cittadino UE anche nel caso di coniugi dello stesso sesso. La
circolare si apre negando che la legislazione italiana riconosca questa
possibilità, poiché in Italia non e' consentito il matrimonio fra coppie dello
stesso sesso. Se e' vera la seconda affermazione, non altrettanto si può dire
per la prima. Il d.lgs. 30 del 2007, infatti – e così anche la Direttiva
2004/38/CE – quando definisce i familiari che hanno diritto di ingresso e
soggiorno si limita a citare soltanto il “coniuge”, e non il “coniuge considerato
tale secondo l'ordinamento del Paese ospitante”; successivamente poi
riconoscendo pari diritto di ingresso e soggiorno al partner che abbia
contratto con il cittadino dell'Unione un'unione registrata specifica -solo per
questo secondo caso- che tale diritto e' riconosciuto solo se la legislazione
dello stato membro ospitante equipara l'unione registrata al matrimonio.
I due casi sono dunque disciplinati in maniera
differente: ha diritto di ingresso e soggiorno il coniuge che sia tale per il
Paese di provenienza o per il Paese ospitante; diversamente, ha diritto di
ingresso e soggiorno il partner che abbia contratto una unione registrata solo
nel caso in cui la legislazione dello Stato membro ospitante equipara l'unione
registrata al matrimonio. Di questa norma le Questure hanno sinora dato una
interpretazione restrittiva e abnorme, applicando la limitazione della seconda
ipotesi anche alla prima, e quindi escludendo il diritto di ingresso e
soggiorno del coniuge dello stesso sesso poiché il Paese “ospitante”, l'Italia,
non consente il matrimonio fra persone dello stesso sesso, e non secondo il
Paese da cui il coniuge o la coppia proviene. La giurisprudenza ha invece
interpretato diversamente la norma e finalmente il Ministero dell'Interno ha
recepito tale orientamento, appunto con la circolare in commento. Una recente
sentenza del Tribunale di Reggio Emilia (del 13 febbraio 2012) ha annullato
infatti il diniego di rilascio di Carta di soggiorno per familiari di cittadini
UE ad un cittadino uruguayano sposato in Spagna con cittadino italiano, emesso
dalla Questura di Reggio Emilia, e riconosciuto il diritto ad ottenere il
permesso di soggiorno per motivi di famiglia ad un cittadino straniero sposato
con cittadino italiano in un Paese dell'UE. Sulla definizione di coniuge si era
pronunciata la Corte di Cassazione (sentenza n. 1328 del 2011), specificando
che “coniuge” all'art. 2 del d.lgs. 30 del 2007 deve intendersi rispetto
all'ordinamento in cui il matrimonio e' stato contratto. Di conseguenza, se il
matrimonio e' stato contratto in Spagna occorrerà includere nella definizione
di coniuge anche quello dello stesso sesso, benché in Italia ciò non sia
consentito. Ancor prima la Corte
Costituzionale, con la sentenza n. 138 del 2010 seppur abbia ritenuto legittima
l'attuale normativa italiana che non consente alle coppie dello stesso sesso di
sposarsi, ha in ogni caso posto le basi per l'evoluzione della giurisprudenza e
dell'ordinamento stesso affermando che all'unione omosessuale spetta il diritto
fondamentale di vivere liberamente la vita di coppia e che il diritto
all'unita' familiare, che si esprime nella garanzia della convivenza del nucleo
familiare, costituisce espressione di un diritto fondamentale della persona
umana.
Si tratta sicuramente di un passo avanti, che
evita ulteriori contenziosi ma che ancora non risolve, situazioni a questa
“affini”. Se infatti la circolare nel suo titolo si riferisce alle “unioni” fra
persone dello stesso sesso (riferendosi quindi sia ai matrimoni che alle unioni
civili registrate), nulla disciplina rispetto alle convivenze di fatto nel caso
in cui il partner nel proprio Paese non abbia accesso al matrimonio ne' alle
unioni registrate, prospettando dunque profili di violazione del diritto alla
non discriminazione sulla base dell'orientamento sessuale nonchè del diritto
all'unita' familiare, diritti garantiti sia dalla Costituzione italiana che
dalle norme internazionali (Art. 21 della Carta UE, artt. 8 e 14 della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali).
Qui il link alla
Circolare
Foreign Press
ROME — Instead of following international
standards on how to treat asylum seekers and unaccompanied migrant children who
arrive illegally from Greece, the Italian authorities have been summarily returning them,
according to a report by Human Rights Watch scheduled to be published Tuesday. Officials in
several ports along Italy’s Adriatic coast routinely
return stowaways on ferries from Greece within hours, without adequately
considering requests for asylum or, in the case of children, admitting them to
determine their best interests, the report said. Human Rights Watch said its
findings were based on interviews with government officials, social workers and
29 men and boys who had been returned to Greece, which the organization said
reflected broader practices in Italy. Officials at the Italian Interior
Ministry said Monday that they could not respond immediately to the assertions
in the report, which was shown to reporters before publication. The report said
it was difficult to determine how many migrants were affected. In the southern
Italian port of Bari, almost 900 migrants trying to enter Italy were
intercepted from January 2011 to June 2012, and just 12 were allowed to remain,
the report said; broadly similar figures were cited for Venice in 2010 and most
of 2011. Considering “that people are detected and returned also from Ancona
and Brindisi, it’s safe to assume we’re talking about several thousand people a
year,” Judith Sunderland, senior Western Europe researcher at Human Rights
Watch, wrote in an e-mail. Criticism of Italy’s practice of returning
intercepted migrants to Greece is “unfortunately nothing new — it’s been
going on for years,” said Christopher Hein, director of the Italian Refugee
Council. Mr. Hein said the arrival of more youths from Afghanistan, Syria and
other troubled countries “makes it more alarming.” Recounting the harrowing
details of illegal journeys into Italy — traveling in refrigerated food
trucks or between axles underneath cars and buses — the report offered a
stark reminder of what migrants risk in their attempts to reach European Union
countries in search of a better life. Many do not make it alive. Of the 29
people interviewed by Human Rights Watch, 13 were minors when they were
returned to Greece; the youngest was 13, the group said. None were given access
to legal counsel or social services, as required by the Convention on the Rights of the Child,
the report said. Federico Fossi, a spokesman for the United Nations
commissioner for refugees in Italy, called the assistance services for migrants
arriving in Italian ports on the Adriatic Sea “discontinuous and inadequate.”
The Human Rights Watch report noted that the “generally adverse conditions in
Greece” meant that many of those who were returned would attempt the journey to
Italy “again and again.” The report said that the nongovernmental
organizations, interpreters and human rights lawyers who try to assist arriving
migrants often do not get access to them when they are detained in Italian
ports, leaving many migrants unaware of their rights. Instead, stowaway asylum
seekers and minors discovered by Italian border officials are put on commercial
ferries, where they are frequently kept in makeshift holding pens, for the
return voyage to Greece, the report said. Economic troubles and rising
xenophobia there have made the situation “dire,” according to the report.
Amnesty International said in December that Greece was unable to provide “even
the most basic requirements of safety and shelter” to asylum seekers and
migrants. Under European Union rules, asylum seekers generally must stay in the
country in which they first entered Europe, and can be sent back there if they
try to go elsewhere, but Greece is an exception: when the European Court of
Human Rights found in 2011 that Greece lacked an effective asylum determination
system, many members of the union stopped returning asylum seekers there. Italy
has not suspended transfers to Greece, but the Italian government claims that
it assesses return cases individually. The Human Rights Watch report questioned
that claim, saying that stowaways on ferries rarely get a review. Mr. Hein of
the Italian Refugee Council said that some migrants who hope to reach Northern
Europe and are caught entering Italy prefer to be sent back to Greece for
another try, rather than apply for asylum in Italy, where they would then have
to stay.
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