Newsletter periodica d’informazione
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Rassegna ad uso
esclusivamente interno e gratuito, riservata agli
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Anno XI n. 28 del 25 settembre 2013 |
Consultate www.uil.it/immigrazione
Aggiornamento quotidiano sui temi di interesse di cittadini e lavoratori stranieri
A cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil
Dipartimento Politiche Migratorie
Tel. 064753292- 4744753- Fax: 064744751
Migratorie: appuntamenti
Roma, 26 settembre 2013, ore 17.30, L.go Chigi 19
IOM: Presentazione del rapporto mondiale sulle migrazioni
(Giuseppe Casucci)
Roma, 7 ottobre 2013, ore 10. Biblioteca Pier Paolo Pasolini
SOS Razzismo: Rom Pride 2013
(Giuseppe Casucci, Angela Scalzo)
Scuola
Di Annalisa Pellini, http://www.quotidianamente.net/ del 25 settembre 2013
Nelle prime classi della scuola elementare, la presenza di immigrati rallenta l’apprendimento dei bimbi «nativi », cioè nati in Italia. Non è la tesi di un difensore della razza, ma di Andrea Ichino, economista all’università di Bologna (e fratello del più noto Pietro), frutto di uno studio condotto con Rosario Ballatore e Margherita Fort, che reca il suggestivo titolo «The tower of Babel in the Classrom», la torre di Babele in classe. Dai dati emerge che sostituendo un nativo con un immigrato in seconda elementare, la percentuale di risposte corrette dei nativi, nei testi Invalsi nel periodo 2009-2010, scende del 12% in italiano e del 7% in matematica. In breve: i bambini nati in Italia, nelle prime classi della scuola dell’obbligo apprendono più lentamente la grammatica e a fare i conti se in aula con loro c’è un immigrato. Sono dati che un osservatore spassionato troverà ovvi: a scuola regna la retorica dell’eguaglianza assoluta, che impedisce percorsi d’insegnamento differenziati o corsi supplementari per gli immigrati, perciò si capisce che soprattutto l’apprendimento dell’italiano risulti più lento, se la classe intera deve procedere al passo con gli immigrati. Il fatto è che, prima della pubblicazione dello studio babelico di Ichino, azzardarsi a dire che, nelle prime fasi dell’apprendimento scolastico, la presenza degli immigrati nelle classi può essere un freno, voleva dire andare contro la favoletta dell’immigrato come preziosa «risorsa», che tra l’altro è assai sgradevole per il suo malcelato riferimento allo sfruttamento, poiché semmai saranno uomini, prima che risorse appunto da sfruttare. Lo stesso Ichino nel presentare il suo studio deve mettere mille mani avanti, facendo notare che gli studenti stranieri mediamente sono meno di 2 per classe, e che solo il 6% delle classi ha più del 30% di bimbi immigrati. Poi però parte all’attacco dei dirigenti scolastici che, ipocritamente, da un lato avallano la politica dell’eguaglianza assoluta, dall’altro la tradiscono formando classi in cui gli immigrati sono collocati con i figli delle famiglie meno istruite e abbienti. Cioè classi in partenza di serie B, il che anche può spiegare i rendimenti più bassi nei test Invalsi. Il problema quindi è che non si riconosce la necessità di «disegnare percorsi differenziati di integrazione graduale», come scrive Ichino, e segretamente tutto si aggiusta all’italiana, buttando le «preziose risorse» insieme ai figli dei poveri e dei meno istruiti, onde evitare sommosse nelle classi dei bimbi dell’aristocrazia. Un capolavoro di malafede. Per non essere in malafede anche noi, sottolineiamo che lo studio rileva che il ritardo viene poi colmato in quinta elementare: dunque l’integrazione c’è, solo che è più lenta e si attesta più verso il basso. Sulla questione è intervenuto il presidente del Veneto Luca Zaia, che propone «classi ponte» per i bimbi immigrati che non sanno l’italiano.
Prima Pagina
“Destinazione Italia”: nuove regole su visti
e permessi di soggiorno tra le 50 misure indicate dal Governo per attrarre
investimenti stranieri.
Tra le misure anche la possibilità di ottenere il permesso di
soggiorno di lunga durata senza il corrispondente visto d’ingresso.
Roma,
23 settembre 2013 - “Destinazione Italia” è un complesso di misure con le quali
il Governo intende riformare fisco, lavoro, giustizia civile, ricerca ed altri
ambiti per sviluppare una politica di promozione internazionale del Paese ed
attrarre investimenti stranieri. Il programma, presentato il 19 settembre, sarà
sottoposto per tre settimane ad una consultazione pubblica e subito dopo
tradotto in norme di legge. Numerose le proposte che mirano a facilitare
l’ingresso ed il soggiorno in Italia degli stranieri in grado di apportare un
contributo alla crescita del Paese. Sul fronte formazione e ricerca scientifica
sarà favorito l’ingresso di insegnanti stranieri per percorsi di visiting di breve e
medio termine, sia nelle scuole che nelle università; verranno promossi
percorsi formativi di livello post-secondario e universitario, concepiti come
prodotti nazionali capaci di competere sul mercato globale della formazione,
rivolti principalmente a stranieri interessati ad acquisire una competenza e
professionalità legate al Made in Italy e al patrimonio storico, artistico,
culturale e scientifico più caratteristico del nostro Paese. Per attrarre
cervelli stranieri e semplificare la vita agli studenti stranieri in Italia
sono previsti: la trasformazione da annuale a triennale del Decreto
interministeriale che fissa le quote d’ingresso per tirocini e corsi di
formazione professionale; l’abolizione del sistema di quote per gli studenti universitari
stranieri, che attualmente prevede l’approvazione di un apposito Decreto
flussi; come già previsto dal Decreto Istruzione, viene allineata la durata del
permesso di soggiorno degli studenti stranieri a quella del loro corso di studi
o di formazione, anche pluriennale, nel rispetto della disciplina vigente sulle
certificazioni degli studi e dei corsi formative e fatta salva la verifica
annuale di profitto; sarà concesso un periodo transitorio per lo straniero che
termina gli studi in Italia per cercare un lavoro o avviare un’attività (es. da
6 a 12 mesi).
Per incentivare l’afflusso di investitori ed imprenditori il Governo prevede le
seguenti tipologie di visto d’ingresso: - visto “start up” per chi sceglie di
costituire una start-up innovativa in
Italia e assicura un piano di impresa e una disponibilità minima di fondi da
stabilirsi (venture capital, angel investors, fondi propri dell’investitore
ecc);
- visto per chi effettua un investimento significativo in un business italiano
che sostiene o accresce i livelli di impiego. Saranno definiti criteri di
valutazione consistenti in una soglia minima di investimento (es. 500.000 euro)
o di numero di posti di lavoro generati;
- visto per chi effettua una donazione filantropica rilevante in un settore di
interesse per l’economia italiana (cultura, turismo, recupero di beni
culturali, scienza, ecc). Sul fronte della semplificazione delle procedure di
rilascio del nulla osta da parte dello Sportello unico immigrazione verrà
introdotto il principio del silenzio-assenso oltre determinati termini, sarà
data pronta attuazione della direttiva Ue sulla Blue Card e sarà rafforzata la
capacità delle nostre rappresentanze diplomatico consolari di erogare visti,
soprattutto turistici con la piena attuazione dell’art. 41 bis del “Decreto
sviluppo 2012” che prevede la ri-assegnazione annuale di parte dei proventi dal
rilascio dei visti (c.d. percezioni consolari) al Ministero degli affari esteri
per il potenziamento dei servizi consolari.
Ultima proposta del documento, certamente la più interessante, è svincolare il
rilascio di alcune tipologie di permesso di soggiorno dal visto d’ingresso, con
la previsione di due opzioni:
1) richiesta del visto di lunga durata (tipo D) prima dell’ingresso in Italia,
senza obbligo di successiva richiesta di permesso di soggiorno, eventualmente
sostituito da una più semplice “dichiarazione di presenza” presso le Questure;
2) ingresso in esenzione da visto di lunga durata (ma con visto d’affari o
turistico, qualora si tratti di nazionalità soggetta a visto) e
regolarizzazione sul territorio con rilascio del permesso di soggiorno dopo
l’ingresso. (R.M.)
No al razzismo
Il testo sottoscritto dai rappresentanti di diciassette paesi. "La Diversità è un fattore di arricchimento e sviluppo della nostra civiltà"
25
settembre 2013 - Due giorni fa a Roma ministri e ambasciatori
di diciassette Stati dell’Unione Europea hanno sottoscritto una dichiarazione per ribadire il valore della Diversità
e condannare ogni forma di razzismo, discriminazione e xenofobia. Ecco il testo
integrale:
Dichiarazione di Roma
« La Pace nel Mondo non sarebbe garantita senza sforzi proporzionati ai pericoli che la minacciano ». Queste sono le parole pronunciate da Robert Schuman in apertura della sua dichiarazione, il 9 maggio 1950. Nei Paesi europei dove sono maturate le più grandi speranze e i conflitti più terribili, è urgente trasformare in realtà tutte le promesse di democrazia e tutti i valori dell’umanesimo europeo.
Non dobbiamo mai dimenticare gli orrori dell’Olocausto e degli altri genocidi che hanno lasciato una cicatrice sul recente passato dell’Europa; quando uomini, donne e bambini sono stati uccisi per via della loro origine etnica, della loro religione o del loro credo, il loro orientamento sessuale o la loro disabilità. Ora più che mai, dobbiamo sfidare l’intolleranza e l’estremismo ogni volta e ovunque occorrano, mantenendo intatta la nostra capacità di essere indignati, di condannare e di reagire di fronte al razzismo, alla xenofobia e alla discriminazione di genere. Questi fenomeni approfondiscono le divisioni e creano tensioni nelle nostre società. Alimentano discriminazione ed esclusione, compromettendo i nostri sforzi di costruire società integrate basate su valori condivisi, dove celebriamo ciò che abbiamo in comune piuttosto che quel che ci divide. Nel corso dei secoli l’Europa è stata costruita attraverso e dentro la diversità. L’Europa del XXI secolo testimonia la varietà di questa eredità. E’ passato un secolo dalla prima legge segregazionista in Sud Africa. Sono passati 65 anni dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. E’ trascorso mezzo secolo da quando Martin Luther King ha ispirato le nostre vite con il suo “sogno” di un mondo dove i bambini non siano giudicati dal colore della loro pelle ma dalla natura del loro carattere. La Convenzione Europea sui Diritti Umani è entrata in vigore 60 anni fa; circa 50 anni fa le Nazioni Unite hanno adottato la Convenzione Internazionale per l’Eliminazione di Tutte le Forme di Discriminazione Razziale (21 dicembre 1965) e la Convenzione ONU sull’Eliminazione di Ogni Forma di Discriminazione contro le Donne (CEDAW, 1979); da più di dieci anni l’Unione Europea ha adottato la propria legislazione contro la discriminazione razziale e altre forme di discriminazione, in particolare la Carta Europea per i Diritti Fondamentali del 18 dicembre 2000 e le due Direttive sull’Uguaglianza del Consiglio dell’Unione Europea. Questi strumenti hanno consolidato i valori dell’Unione Europea fondati sul rispetto della dignità umana, la libertà, la democrazia, l’uguaglianza, lo Stato di diritto e il rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle minoranze. Tuttavia, nonostante questi impegni normativi, molti in Europa sono ancora vittime di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia, e di varie forme di discriminazione di genere. Secondo l’Agenzia UE per i Diritti Fondamentali, una persona su quattro appartenente a un gruppo di minoranza è stata vittima di un crimine a sfondo razzista, mentre tra il 57 e il 74% delle aggressioni, incidenti e minacce di cui sono vittime membri di minoranze etniche non viene riferito alle forze dell’ordine.
In questo contesto:
- Enfatizziamo che la lotta contro il razzismo, la discriminazione razziale e la xenofobia è responsabilità di noi tutti e che noi, come leader politici, abbiamo la speciale responsabilità di mostrare la nostra leadership in questa lotta attraverso le nostre parole e le nostre azioni.
- Notiamo che l’attuale crisi economica può arrivare a rafforzare il populismo e il razzismo. Questi due fenomeni vanno troppo spesso a braccetto.
- Ricordiamo che il Parlamento Europeo ha richiesto varie volte – e di nuovo nella sua risoluzione del 14 marzo 2013 (sull’intensificazione della lotta contro razzismo, xenofobia e crimini ispirati dall’odio) – alla Commissione, al Consiglio e agli Stati Membri di rafforzare la lotta, insieme ad altre forme di contrasto, contro il razzismo ed altre forme di discriminazione e intolleranza, e di garantire l’attuazione delle direttive sull’Uguaglianza già esistenti.
Riaffermiamo, ancora una volta che:
- La Diversità è un fattore di arricchimento e sviluppo della nostra civiltà.
- Le politiche pubbliche che promuovono lo scambio interculturale come sentiero da percorrere per ottenere coesione sociale all’interno delle nostre società cosmopolite sono importanti.
- L’intolleranza e la discriminazione, sotto qualunque forma, sono condannabili, non possono essere ignorate o lasciate senza risposta.
Condanniamo i programmi politici e le organizzazioni basate sul razzismo, la xenofobia e le teorie di superiorità razziale, così come le leggi e le pratiche basate sugli stessi motivi che sono incompatibili con i nostri valori democratici. Ribadiamo che lo sminuire o il discriminare altri individui sulla base della loro origine straniera o etnica attraverso atti o omissioni costituisce, da parte di cittadini o leader pubblici, organizzazioni o partiti politici, un segno concreto di discriminazione razziale che deve essere condannato. Vogliamo combattere a fondo, in maniera efficiente e prioritaria la piaga del razzismo, della discriminazione razziale e della xenofobia, apprendendo le lezioni che ci vengono dai fenomeni razzisti e dal nostro passato. Vogliamo che gli Stati Membri dell’Unione Europea, che è basata su valori comuni (rispetto della democrazia, Diritti Umani, Stato di diritto), considerino essenziale non solo la piena trasposizione e attuazione delle leggi contro la discriminazione, ma anche l’adozione di strumenti legali per l’effettiva prevenzione, repressione ed eliminazione del razzismo, della discriminazione razziale, della xenofobia e della discriminazione di genere. Enfatizziamo il ruolo chiave della società civile nel combattere il razzismo e nel promuovere la diversità e la protezione di tutti i diritti delle persone appartenenti a tutte le minoranze così come nella lotta contro la povertà e l’esclusione sociale, a loro volta causate, tra le altre cose, dalla discriminazione e dalle ineguaglianze strutturali. Sosteniamo l’intenzione della Commissione Europea di presentare nel 2014 un Rapporto sull’attuazione da parte degli Stati Membri della Decisione-Quadro 2008/913/JHA. Chiediamo alla Commissione di farlo prima delle elezioni europee per dare un segnale forte a questo riguardo. Sosteniamo l’iniziativa lanciata dalla Presidenza irlandese durante la riunione informale del Consiglio Giustizia e Affari Interni (GAI) del 17-18 gennaio 2013 sulle azioni dell’UE nella sfera della lotta contro i crimini basati sull’odio, il razzismo, l’antisemitismo, la xenofobia e l’omofobia, sottolineando la necessità di assicurare una protezione migliore e una migliore raccolta delle informazioni. Assumiamo le conclusioni adottate alla riunione di giugno del Consiglio GAI, enfatizzando che il rispetto dello Stato di diritto è un pre-requisito per la protezione dei diritti fondamentali. Invitiamo la Commissione a promuovere un dibattito sulla necessità di individuare un metodo collaborativo e sistematico per affrontare tali questioni e sulle sue forme eventuali. Questo dibattito dovrà porre l’accento sull’importanza che persone con forti responsabilità e con rinnovato impegno difendano attivamente i valori dell’Unione Europea e creino un clima favorevole al rispetto reciproco e all’inclusione delle persone indipendentemente dal genere, razza, religione o credo, origine etnica, disabilità, età o orientamento sessuale. Incoraggiamo e sosteniamo la Conferenza di Alto Livello del Consiglio d’Europa sulla lotta contro il razzismo, la xenofobia e l’intolleranza in Europa che avrà luogo a Yerevan (Armenia) il 21-22 ottobre 2013 con lo scopo di condurre una riflessione sul razzismo e la xenofobia nel discorso pubblico, affrontando il tema dei discorsi fomentati dall’odio e quello dei pregiudizi razziali nei social network e nei media. Chiediamo agli Stati Membri e alla Commissione Europea di preparare, discutere e approvare la proposta per un “Patto 2014-2020 per un’Europa della diversità e della lotta al razzismo”.
Riteniamo opportuno che tale Patto sia approvato il prima possibile. Dovrà essere un Patto tra gli Stati Membri, tra gli Stati Membri e le istituzioni europee, tra le autorità pubbliche e i cittadini, tra cittadini stessi. I leader politici devono essere modelli di unità, di accettazione della diversità e di tolleranza, non attori di divisioni e intolleranza.
Centri di Espulsione
L’Espresso
di Paola Bacchiddu
Le condizioni nei centri di identificazione ed esplusione non fanno che peggiorare: strutture devastate, migranti allo stremo, pochi agenti senza chiare regole d'ingaggio. Così il sindacato della Polizia Sap ha deciso di premere sul Ministero dell'Interno perché si occupi della situazione. Ormai insostenibile
(16 settembre 2013)
Poliziotti presidiano il CIE di Torino
L'ultimo
episodio è dello scorso 10 agosto: un immigrato marocchino di 31 anni,
Moustapha Anaki, è morto all'interno del centro di identificazione ed
espulsione di Capo Rizzuto, in provincia di Crotone. Una cardiopatia, la causa
ufficiale del decesso. La sua morte è ha fatto da miccia a un contesto
infiammabile da mesi. Gli altri migranti, infuriati, hanno devastato il centro:
mobili e sistemi di sorveglianza sfasciati, pareti dei muri sbriciolate. La
Prefettura ha alzato bandiera bianca: struttura compromessa e quindi chiusa,
perché dichiarata inagibile. E di soldi per riparare i danni non ce ne sono
più. Quello di Crotone è solo il
più recente di molti episodi simili. Qualche giorno fa Alessandra Naldi,
nominata 'Garante dei Diritti delle persone private della libertà personale'
per il Comune di Milano, ha scritto al prefetto in merito al Cie di via
Corelli, esigendo chiarimenti non solo sui recenti episodi di violenza ma sul
destino della struttura stessa, sempre più scricchiolante per i mesi a venire.
La situazione si è resa così insostenibile che a denunciare, oggi, non sono più
solo le associazioni umanitarie ma lo stesso sindacato autonomo di Polizia, il
Sap, che ha più volte chiesto un incontro al Ministero dell'Interno per
individuare delle soluzioni che tamponino, almeno in parte, condizioni di
lavoro inaccettabili, nonché la ripetuta negazione di una sopravvivenza
dignitosa per chi è trattenuto.
Nicola Tanzi, segretario generale del sindacato, ha alle spalle 30 anni di
esperienza nella polizia giudiziaria e nel contrasto alla criminalità
organizzata in Puglia: "Abbiamo chiesto da cinque mesi un incontro col
dipartimento Immigrazione del Ministero dell'Interno. Non solo denunciando la
mole di spreco di denaro nella gestione dei centri, ma gli stessi disagi di chi
è accolto. E' un circolo infernale: gli immigrati sono piegati dagli stenti,
diventano rabbiosi, spaccano le strutture che li ospitano. La carenza dei fondi
non consente di aggiustare i danni. La vita diventa sempre più difficile e il
disagio genera nuova rabbia". Coi
tagli del governo Monti la quota riservata a ogni migrante accolto in uno dei
12 Cie attivi sul territorio nazionale si è ridotta all'osso: circa otto volte
inferiore a quella di un detenuto ordinario. In media, si parla di 30-35 euro
al giorno. La cifra deve coprire le spese di vitto, alloggio, vestiario, cure
mediche, mediazione sociale e sicurezza. Una follia. A questo si aggiungono i
tagli alle forze dell'ordine: 13mila uomini in meno, in seguito ai
provvedimenti dei governi Berlusconi e Monti. Tre miliardi di euro polverizzati
nel comparto Sicurezza, proprio quello che gestisce la sorveglianza delle
strutture. Ma il paradosso più grande è una legge che sembra complicare
ulteriormente la gestione dei flussi migratori sul nostro territorio.
"Quando è stata licenziata la Bossi-Fini sull'immigrazione" racconta
Tanzi all'Espresso "in audizione parlamentare abbiamo più volte denunciato
la nostra contrarietà all'introduzione del reato di clandestinità. Senza
contare l'aggravio d'aver allungato i tempi di permanenza nei centri da 6 a 18
mesi. In questo modo non ci sono sufficienti pattuglie per accompagnare in
questura i clandestini e, nello stesso tempo, adempiere alla ordinaria
amministrazione della sicurezza per le strade. Due obiettivi mancati in un solo
colpo".
Eppure, tra il 2005 e il 2012, sono stati spesi, complessivamente, oltre un
miliardo e mezzo di euro per il controllo delle frontiere esterne, 55 milioni
di euro all'anno per la gestione dei Cie ufficiali, senza contare le strutture
temporanee che dovranno essere commutate in centri permanenti, come in
provincia di Caserta e di Potenza. Ma i soldi sembrano non bastare mai: ci sono
da pagare gli stipendi degli operatori (oltre alle forze dell'ordine, il
personale medico, i mediatori, gli assistenti sociali, le imprese che si
occupano di pulizia e distribuzione del cibo), per non parlare dei costi di
manutenzione ordinaria (ma la cifra è sempre più erosa dai continui danni alle
strutture).
Pubblicato il 18/09/2013
Stranieri e mercato del
lavoro
Paolo Emilio Cardone* & Oliviero Casacchia** , da www.neodemos.it
I cittadini stranieri rappresentano ormai una componente molto rilevante del mercato del lavoro italiano (oltre il 10%), ma il processo di integrazione è lento e difficoltoso, e gli stranieri sono spesso confinati in comparti e posizioni a bassa qualifica, sia nei servizi sia nell’industria. Chi fa i lavori più umili?
Ce lo confermano i dati della Rilevazione Continua sulle Forze Lavoro (RCFL) dell’Istat. Se ci si limita ai principali paesi di provenienza, si può costruire la Figura 1 in cui spicca, appunto, la concentrazione dell’occupazione straniera in lavori a bassa specializzazione [1], sebbene con alcune significative differenze in base alla provenienza.
Certo, le quote della Figura 1 sono “sporcate” da alcuni elementi non tenuti sotto controllo, come ad esempio l’età, il sesso, l’area di residenza, il grado di istruzione degli stranieri rispetto agli italiani.Ma se, con un opportuno modello (logistico), si calcola la probabilità di svolgere un lavoro non qualificato [2] al netto di tutti questi elementi di disturbo, i risultati che si ottengono rafforzano le tendenze di fondo emerse dall’analisi descrittiva: ceteris paribus uno straniero manifesta una probabilità decisamente superiore a un italiano di svolgere un lavoro a bassa qualifica (figura 2).
Ci sono naturalmente alcune eccezioni: ad esempio, i cittadini dei Paesi a sviluppo avanzato (PSA) appaiono avvantaggiati rispetto agli italiani, mentre i cinesi hanno un rischio relativo praticamente uguale a quelli degli italiani, probabilmente grazie all’elevato numero di attività autonome imprenditoriali. Ma per gli altri stranieri il rischio di svolgere un lavoro a bassa qualifica è, rispetto agli italiani, almeno doppio, e spesso ancora più alto.
Un affare (anche e forse soprattutto) di donne
Anche le differenze di genere risultano rilevanti. Si può notare, infatti, come sia significativo lo svantaggio delle donne straniere rispetto alle italiane in quanto le difficoltà di pieno inserimento nel mercato del lavoro della popolazione immigrata si accentuano per le donne.
La figura 2 mostra, inoltre, delle fortissime differenze di genere. Per gli ucraini, ad esempio, il rischio di svolgere un’occupazione a bassa qualifica rispetto agli italiani è “solo” 3 per gli uomini e ben 50 volte per le donne.
Bibliografia
Albisinni M., Pintaldi F., Sabbadini L.L., «Il mercato del lavoro degli immigrati», in Barbagli M. (a cura di),1° Rapporto sugli immigrati in Italia, Ministero dell’Interno, 2007, pp.186-217.
Cardone P.E., Stranieri e Mercato del Lavoro: un’analisi basata sull’indagine Forze di Lavoro (RCFL),tesi di laurea magistrale, Facoltà di Ingegneria dell'Informazione, Informatica e Statistica, Sapienza Università di Roma, 2013.
Gabrielli G., Salaris L., «L’altra faccia della medaglia. Sottoccupazione, segregazione e sottoinquadramento dei lavoratori stranieri in Italia» http://neodemos.it , 2013.
[1] Le professioni qualificate comprendono i gruppi I, II e III della "Classificazione delle professioni 2001"; le attività del commercio e dei servizi i gruppi IV e V; gli operai, i gruppi VI e VII; le professioni non qualificate, il gruppo VIII. La classificazione Istat delle professioni è consultabile on line all’indirizzohttp://professioni.istat.it.
[2] La categoria dei lavori a medio-alta qualifica comprende i gruppi professionali VII e VIII della classificazione ISTAT. Le variabili di controllo inserite nel modello sono: genere, età, titolo di studio e tipologia familiare, area territoriale, categoria professionale, tempo pieno o parziale, tipologia contrattuale, stabilità della carriera lavorativa.
* Ricercatore ISFOL
** Facoltà di Scienze Statistiche, Sapienza Università di
Roma
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questo testo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: www.neodemos.it
Immigrazione e società
Il Sostegno per l’Inclusione Attiva (SIA) prevede contributi economici condizionati a “un periodo minimo di residenza in Italia”. Brunetta (Pdl): “Misura perversa, così arriveranno più clandestini”.
Roma – 19 settembre 2013 - Si chiama Sostegno per l’Inclusione Attiva (SIA) lo strumento che il governo vuole mettere in campo per combattere la povertà in Italia, anche tra gli immigrati. L’hanno presentato ieri a Roma il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Enrico Giovannini e la viceministro Cecilia Guerra. ''Non possiamo andare avanti così, la crisi non è come le altre e non sarà l'ultima, dobbiamo attrezzarci '' ha spiegato il ministro, premettendo però che ''la proposta non è immediatamente operativa, ma la apriremo al dibattito pubblico e parlamentare”. Il SIA è un contributo economico che dovrebbe permettere l’acquisto di un paniere di beni e servizi ritenuto “decorso” sulla base degli stili di vita prevalenti. Riguarderebbe solo i poveri e idealmente dovrebbe ammontare alla differenza tra le loro risorse (attestate dall’ISEE) e il livello sotto il quale, secondo la legge, si è in una situazione povertà.
Essere poveri, però, non basterebbe per accedere al SIA. L’aiuto economico sarebbe infatti subordinato all’impegno, da parte dei beneficiari, a raggiungere “concreti obiettivi di inclusione sociale e lavorativa”.
Come? Ad esempio partecipando a corsi di formazione e riqualificazione professionale, o impegnandosi a far frequentare la scuola ai propri figli. “Si tratta innanzitutto di consentire e richiedere, ai beneficiari, comportamenti che ci si aspetta da ogni buon cittadino” si legge nella relazione della task force di esperti presieduta da Cecilia Guerra che ha delineato la Sia.
Il Sia, che a regime dovrebbe costare allo Stato 7 miliardi l’anno, verrebbe pagato dall’Inps, magari sotto forma di una carta di debito. Toccherebbe invece ai Comuni gestire tutta la macchina, prendendo in carico i poveri e avviando i percorsi di “attivazione sociale” in collaborazione con centri per l’impiego, scuole, Asl, altre amministrazioni, associazioni di volontariato o privati.
Tra i beneficiari ci sarebbero anche gli immigrati, colpiti dalla crisi economica allo stesso modo, se non in maniera più grave, degli italiani. “L’accesso alla prestazione a regime – spiega la relazione - andrebbe condizionato a un periodo minimo di residenza in Italia, non superiore a due anni. In una fase transitoria si potrebbe limitare l’accesso a quanto previsto come standard minimo dalle norme e dalla giurisprudenza comunitaria”, quindi sarebbe necessaria la cosiddetta carta di soggiorno.
L’apertura ai cittadini stranieri non piace però a Renato Brunetta, capogruppo del Popolo delle Libertà alla Camera dei Deputati.
“Il ministro Giovannini dovrebbe sapere che se sbagliare è
umano, perseverare è diabolico. L’idea di stanziare maggiori risorse per
combattere la povertà è cosa buona e giusta. Può diventare perversa se gli
entitlements, come dicono gli inglesi, sono estesi anche agli immigrati. Non
siamo contro i diritti. Temiamo invece – conclude l’esponente del Pdl -
che queste ulteriori concessioni operino come una calamita, attirando sul
territorio nazionale flussi clandestini ancora maggiori”.
ONU: leggi italiane sull’immigrazione criminalizzano le vittime della tratta”
Le leggi italiane sull'immigrazione
rappresentano "un rischio reale di criminalizzazione delle vittime non
identificate della tratta di esseri umani". E' una delle preoccupazioni
espresse dalla relatrice speciale dell'Onu sulla tratta di esseri umani,Joy
Ngozi Ezeilo, presentando oggi alla stampa le conclusioni preliminari
della visita condotta nel Paese dal 12 settembre scorso. Una politica che
"dà priorità alla sicurezza delle frontiere, senza un'adeguata attenzione
agli obblighi internazionali dell'Italia di rispetto dei diritti umani, si
rivela un modo inefficace e insostenibile per contrastare questo orribile
fenomeno della tratta delle persone, soprattutto di donne e bambini", ha
sottolineato. Leggi particolarmente restrittive sull'immigrazione, ha aggiunto,
hanno aggravato la situazione delle vittime, costrette a pagare di più i loro
trafficanti. Ezeilo ha inoltre rilevato come i Centri di identificazione ed
espulsione (Cie) presenti nel Paese siano "diventati delle prigioni per
migranti irregolari le cui condizioni di detenzione sono rese più dure da
carenti condizioni sanitarie, ambiente duro e scarsa assistenza". Per
contrastare il fenomeno ed evitare che le persone finiscano vittime dei
trafficanti, l'Italia dovrebbe quindi rafforzare "rapporti di partenariato
con i paesi di origine", siglando accordi bilaterali che prevedano scambi
di informazioni, reciproca assistenza legale e di indagine e misure per
affrontare le cause profonde del fenomeno.
World News
(http://www.foreignersinuk.co.uk/)
L'uscita del Regno Unito dall'Unione europea o misure più severe
per controllare l'immigrazione UE potrebbe limitare la crescita economica e
peggiorare le finanze pubbliche del paese, secondo un nuovo rapporto da Harvey
Nash e il Centro per l'Economia e Business Research (CEBR) . London, settembre
2013 . Controlli più severi in materia di immigrazione si tradurrà in una
perdita del 2 per cento dal PIL entro il 2050, 60 miliardi di sterline in
termini reali. E senza gli immigrati provenienti dall'UE, che contribuiscono a
controbilanciare l'invecchiamento della popolazione del Regno Unito, il debito
pubblico sarebbe dello 0,5% in più. Secondo il rapporto i lavoratori migranti
hanno più probabilità di lavorare (63,3 per cento) che non i cittadini
britannici (56,2 per cento) e risultano anche più economicamente attivi che non
i nativi (69,8 per cento rispetto al 63 per cento dei nati nel Regno Unito).
Le imprese Britanniche utilizzano un numero significativo di migranti europei.
Tra il 2003 ed il 2013, il numero di cittadini europei non britannici
occupati nel Regno Unito sono raddoppiati da 762.000 a 1.647.000. I lavoratori
immigrati comunitari svolgono un ruolo importante in diversi settori economici
nel Regno Unito. Nei settori finanza e servizi alle imprese, i cittadini UE
non britannici, costituiscono il 6,4 per cento della forza lavoro totale,
mentre nel settore manifatturiero essi costituiscono 6,7 per cento. Gli
immigrati provenienti dai 14 paesi dell'Unione europea, hanno più probabilità
di occupare funzioni manageriali o altamente professionali e anche di
guadagnare fino al 7,6% , in media, rispetto ai lavoratori del Regno Unito.
Questo significa che, in media, sono più produttivi rispetto alle loro
controparti britanniche. Il che indica che svolgono un ruolo significativo
nell'economia del Regno Unito. Utilizzando proiezioni demografiche ONS, il
rapporto ha creato una serie di scenari migratori che considerano le dinamiche
della popolazione in età lavorativa, la crescita economica e delle finanze
pubbliche. Lo scenario centrale considera un saldo migratorio a lungo termine
di 140.000 persone all'anno e un aumento della popolazione lavorativa pari al
del 7,9 per cento entro il 2050. Considerando invece uno scenario che riduce il
saldo migratorio a 100 mila persone l’anno, si avrebbe un declino della
popolazione lavorativa britannica dell’1,9%. Il che porterebbe in questo
ultimo caso ad una perdita del 2% del PIL entro il 2050. Infine un terzo
scenario a saldo migratorio annuo pari a zero, si tradurrebbe ad una discesa
del PIL britannico del 6,7%, pari ad una perdita di 204 miliardi di sterline. Gli
scenari sulla popolazione in età lavorativa hanno chiare implicazioni sulla
crescita economica britannica e sull’indebitamento pubblico. Senza
l’immigrazione a supportare le dimensioni della popolazione in età lavorativa
nel futuro, le finanze pubbliche risulterebbero meno sostenibili. Nell’ipotesi
scenario a saldo migratorio pari a zero, il debito pubblico come quota del PIL
sarebbe all’8,3% nel 2050. E questo comparato al 6,5% nel caso dello scenario
migratorio centrale (140 mila ingressi l’anno) ed al 5,2% nello scenario di un
maggiore saldo migratorio. Albert Ellis, Amministratore Delegato del Gruppo
Harvey Nash, ha detto:. "I lavoratori UE nion britannici stanno apportando
competenze e valori molto necessari al Regno Unito e ci sono poche prove che
gli immigrati europei stiano avendo un impatto negativo sui salari o sui
livelli di disoccupazione,. Infatti, al contrario, gli immigrati stanno
contribuendo a creare posti di lavoro – un mercato del lavoro più ampio
e diversificato sostiene la crescita economica ed il lavoro, come questo
rapporto dimostra”. L’occupazione tra I nati nella UE a 14 è aumentata del 21%
negli ultimi 10 anni. E questo suggerisce che vi è un domanda per lavoratori ad
alta qualificazione, che viene soddisfatta dall’immigrazione europea. Sappiamo
che a parte i vantaggi di natura fiscale, la disponibilità di talenti è un
fattore importante per le aziende che decidono dove locarsi. La nostra adesione
all'UE è importante per attirare le persone giuste e, allo stesso tempo, per
noi essere competitivi a livello globale."
Charles Davis, capo della Macroeconomics presso CEBR, ha detto: "Se il
Regno Unito dovesse lasciare l'Unione europea, il governo in carica potrebbe
essere tentato di rafforzare i controlli in materia di immigrazione. Mentre
l’uscita dalla UE potrebbe consentire al governo una maggiore libertà nel
deregolamentare ulteriormente il mercato del lavoro nel Regno Unito, per
esempio riducendo l'impatto della regolamentazione europea in forma di direttiva
sul lavoro interinale, e aprendo la strada per la rimozione di altre norme
burocratiche dannose per il mercato, questi benefici verrebbero probabilmente
meno, nel caso di maggiori controlli migratori verso altri lavoratori europei”.
"I lavoratori europei non britannici, hanno guadagnato nel 2012 39
miliardi di sterline, apportando un patrimonio di competenze ed esperienze nel
mondo del lavoro nel Regno Unito ed un importante valore aggiunto per
l'economia. L’uscita di questi lavoratori dal Regno Unito, o nuove misure atte
a prevenire la migrazione dalla UE, potrebbe creare forti carenze di
competenze, frenare la crescita economica e peggiorare la situazione delle
finanze pubbliche".
ANSAmed) - Madrid, 23 Settembre 2013 - La Spagna collaborerà con il Marocco a un programma di ritorno volontario di migranti clandestini presenti nel paese magrebino, che sarà coordinato e gestito dall'Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (Oim). Lo ha annunciato oggi a Madrid il ministro degli interni, Jorge Fernandez Diaz, intervenendo al II Foro parlamentare ispano-marocchino. "L'iniziativa punta ad apportare qualcosa in più di un semplice ritorno" dei migranti clandestini, ha assicurato Fernandez-Diaz. "Vuole essere un'alternativa degna, aiutando queste persone a ritornare a casa con un programma di reintegrazione disegnato dalla Oim, perché possano cominciare una nuova tappa della propria vita", ha aggiunto. Il ministro degli interni non ha dato dettagli sulla nuova modalità del ritorno volontario. Ma ha definito la cooperazione fra autorità spagnole e marocchine nella lotta all'immigrazione clandestina "assolutamente esemplare", sottolineando che il vicino del nord Africa non è più solo un paese di transito dei flussi migratori, ma di permanenza. Secondo Fernandez-Diaz, "è necessario continuare ad approfondire" tale collaborazione e adattarsi di volta in volta all'evoluzione del fenomeno, che vede oggi i migranti concentrati al nord del Marocco "in numero sempre maggiore", nell'attesa di riuscire a entrare in territorio spagnolo "per vie diverse e a volte in maniera disperata". Il numero di sbarchi clandestini sulle coste iberiche si è ridotto del 31% nel primo semestre dell'anno. Secondo i dati illustrati dal ministro, circa 3000 clandestini hanno tentato di passare la frontiera dall'inizio dell'anno, un numero che include gli assalti massicci di migranti subsahariani alle barriere frontaliere delle enclavi spagnole di Ceuta e Melilla, registrati negli ultimi giorni. Nello stesso periodo del 2012 furono 1.610 i migranti che riuscirono a entrare in territorio spagnolo, dal momento che le forze di sicurezza riuscirono a evitare oltre il 77% degli assalti alle frontiere. (ANSAmed) YK8
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