Newsletter periodica d’informazione
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Rassegna ad uso
esclusivamente interno e gratuito, riservata agli
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Anno XI n. 29 del 4 ottobre 2013 |
Consultate www.uil.it/immigrazione
Aggiornamento quotidiano sui temi di interesse di cittadini e lavoratori stranieri
A cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil
Dipartimento Politiche Migratorie
Tel. 064753292- 4744753- Fax: 064744751
Migratorie: appuntamenti
Roma, 7 ottobre 2013, ore 10. Biblioteca Pier Paolo Pasolini
SOS Razzismo: Rom Pride 2013
(Giuseppe Casucci, Angela Scalzo)
Roma, 9 ottobre 2013, ore 10.30, sede Cnel
Presentazione del Rapporto OCSE "International Migration Outlook 2013"
(Giuseppe Casucci)
Prima pagina
CGIL CISL UIL
Fermiamo le stragi nel Mediterraneo
Giornata di mobilitazione nazionale venerdì 11 ottobre 2013
Roma, 4 ottobre 2013 - La tragedia di Lampedusa si aggiunge a decine di altre che si sono consumate negli ultimi anni e che sono costate la vita ad oltre ventimila persone: esseri umani che hanno lasciato il loro Paese fuggendo da guerre e persecuzioni o alla ricerca di una vita migliore.
Nel giorno del dolore, dell'indignazione e della vergogna per l'ennesima tragedia di morte nel Mare Nostrum e per fermare i viaggi dell'orrore, per fare in modo che l'esortazione gridata da tutti non sia vana, CGIL CISL e UIL, nel segno di cordoglio e solidarietà, indicono una mobilitazione, nella giornata di venerdì 11 ottobre 2013, per una diversa politica in materia di immigrazione ed asilo:
· Realizzare un piano per la costruzione di un efficace sistema di accoglienza, anche attraverso il sostegno dell'Unione europea, che non può esimersi dalla responsabilità di gestire una delle più importanti frontiere europee nel Mediterraneo;
· istituire corridoi umanitari per i profughi che fuggono dalle guerre, rendendo esigibili in condizioni di sicurezza l'accesso all'asilo ed alle misure di protezione internazionale;
· riformare la legislazione sull'immigrazione e dotare l'Italia di una legge organica in materia di asilo;
· Contrastare la tratta degli esseri umani, anche attraverso forme efficaci di collaborazione con i Paesi di origine e di transito di migranti e profughi e colpendo duramente i trafficanti.
CGIL, CISL e UIL non resteranno in silenzio di fronte al ripetersi di queste tragedie. Il mondo del lavoro si mobilita perché all'indignazione e al dolore possa seguire la ricerca di soluzioni concrete.
Dichiarazione di Guglielmo Loy, Segretario confederale Uil
Serve vera governance e collaborazione con i Paesi del Mediterraneo per prevenire queste tragedie
Roma, 3
ottobre 2013 - Serve una politica organica di governance e di collaborazione
con i Paesi del Mediterraneo per prevenire queste tragedie. La tragedia di
stamane al largo di Lampedusa, dove è affondata un barcone con a bordo 500
profughi eritrei, somali e ghanesi, potrebbe assumere proporzioni apocalittiche
con centinaia di morti che vanno ad aggiungersi alle altre ventimila vittime
dei viaggi della speranza nel Mediterraneo negli ultimi 25 anni. La UIL
esprime il proprio sincero cordoglio alle famiglie delle vittime e ringrazia la
preziosa opera dei soccorritori. Non è con un’ improvvisata politica
dell’emergenza, come hanno fatto finora i governi italiani e l’Europa,
che si affronta un problema strutturale come quello della pressione migratoria
dall’Africa. Assieme all’accoglienza doverosa, specialmente nei confronti
dei richiedenti asilo, si deve aggiungere una previdente politica di
collaborazione e aiuto allo sviluppo con i Paesi del Mediterraneo per prevenire
e combattere la tratta delle persone.
Sono
finora 111 i corpi ritrovati dei migranti vittime del tragico naufragio di ieri
davanti a Lampedusa. Circa la metà donne, quattro i bambini. Decine di cadaveri
attendono ancora di essere estratti dal relitto. Oggi è giorno di lutto
nazionale. Alfano riferirà alla Camera facendo appello ancora una volta
all'Europa. Si riaccendono lo scontro tra il ministro Kyenge e la Lega, e il
dibattito sulla Bossi-Fini. Il peggioramento delle condizioni meteo marine a
Lampedusa sta rendendo più complicate le operazioni di recupero dei corpi dei
migranti morti in seguito al naufragio avvenuto ieri mattina. Al momento,
dicono i soccorritori, c'è un metro d'onda nel punto in cui è naufragato il
barcone e i sommozzatori di Capitaneria di Porto, Vigili del Fuoco, Guardia di
Finanza e Carabinieri stanno continuando ad immergersi anche se con difficoltà.
Al momento non è ancora stato recuperato alcun corpo da ieri sera.
"Abbiamo
salvato oltre 150 persone, ci sono ad ora 111 morti, ma il bilancio
non è definitivo, perché ci sono altre decine di corpi incagliati tra le
lamiere del peschereccio affondato". Lo ha detto il ministro dell'Interno,
Angelino Alfano, nel corso de 'La telefonata di Belpietro' su Canale 5.
"Bisogna assegnare il Nobel per la pace a Lampedusa", ha detto
Alfano. Bisogna agire in Europa e
in Africa per contrastare i flussi di immigrazione illegale che causano
tragedie come quelle di ieri a Lampedusa. "Faremo sentire fortissima - ha
ribadito Alfano - la nostra voce in Europa per cambiare il regolamento di
Dublino che scarica troppo sui paesi di primo ingresso il peso
dell'immigrazione irregolare". Sono proseguite per tutta la notte le
ricerche al largo dell' isola dei Conigli, davanti a Lampedusa, dove ieri
mattina è naufragato il peschereccio con a bordo circa 500 persone. Nonostante
il mare grosso, alzatosi durante la notte, gli uomini di capitanerie e Vigili
del Fuoco, ai quali si sono aggiunti i sub della Guardia di Finanza e dei
carabinieri arrivati in nottata, hanno continuato a cercare gli altri dispersi
che, secondo le testimonianze dei migranti, sarebbero ancora in fondo al mare.
Al momento, i numeri ufficiali e ancora provvisori della strage, secondo i dati
delle Capitanerie di porto cui spetta il coordinamento dei soccorsi in mare,
sono di 111 morti (gli ultimi otto sono stati recuperati ieri sera tardi) e 155
migranti salvati. Attorno alle 9.30 dovrebbe arrivare a Lampedusa il traghetto
da porto Empedocle con a bordo oltre un centinaio di bare, per far fronte
all'emergenza. Sull'isola non ce n'erano a sufficienza.
Degli
inviati Ruggero Farkas e Matteo Guidelli
La tragedia inimmaginabile fino a pochi secondi prima divampa in un lampo come
il fuoco che avvolge subito il ponte del barcone da dove centinaia di somali ed
eritrei guardavano la costa vicinissima di Lampedusa, di fronte l'Isola dei
Conigli, immaginando già di toccare terra. I migranti volevano segnalare la
propria posizione incendiando una coperta ma le fiamme si sono propagate subito
sul ponte dove giacevano 300 forse 500 persone. Ed è stato subito l'inferno che
ha scatenato la più grande tragedia dell'immigrazione per numero di vittime
recuperate: finora sono 111, circa la metà donne, e quattro bambini, il più
piccolo di tre mesi appena. Le persone salvate sono 155, tra cui sei donne e
due bambini. Due donne incinte sono state trasportate a Palermo. Tre migranti,
invece, sono stati ricoverati al poliambulatorio di Lampedusa. "Viene la
parola vergogna: è una vergogna! Uniamo i nostri sforzi perché non si ripetano
simili tragedie. " ha detto papa Francesco. Per il presidente della
Repubblica, Giorgio Napolitano, ''Bisogna reagire e agire. Non ci sono termini
abbastanza forti per indicare anche il nostro sentimento di fronte a questa
tragedia''. Sul fondo del mare stanno lavorando i sommozzatori per cercare di
recuperare altre vittime: sarebbero decine i corpi rimasti imprigionati nello
scafo affondato a cinquanta metri di profondità. Gli investigatori hanno già fermato
il presunto responsabile di questa tragedia, un tunisino di 35 anni indicato
come lo scafista del 'barcone della morte', che deve rispondere di omicidio
plurimo e favoreggiamento. L'inferno sull'acqua si è scatenato verso le 5 del
mattino dopo che già due barconi con oltre 460 persone erano stati soccorsi e
portati a riva dalla guardia costiera. Nessuno si aspettava che il convoglio
avesse un'altra unità che era già giunta sotto costa. Quando le fiamme si sono
propagate sul barcone i migranti presi dal panico si sono gettati in acqua,
alcuni sono annegati subito, altri sono riusciti a rimanere a galla fino
all'arrivo dei soccorsi: prima un natante con otto italiani che avevano dormito
nella cala Tabaccara, poco dopo le vedette della guardia costiera e altri
pescherecci. I somali e gli eritrei sopravvissuti al naufragio sono stati
portati nel centro di accoglienza. Dice Giuseppe Noto, direttore sanitario
dell'Asp: "Il viaggio era andato bene. I migranti stavano bene abbiamo
trovato qualcuno disidratato e qualche altro infreddolito, ma stavano bene. E'
stata una tragedia nella tragedia, questa carneficina quando ormai il viaggio
era concluso". I cadaveri, via via che venivano recuperati, sono stati
deposti sul molo Favaloro, ormai diventato una camera mortuaria a cielo aperto
per le vittime dei viaggi della speranza, e inseriti nei sacchi di plastica con
cerniera, verdi e blu forniti dalla direzione dell'aeroporto. Sull'isola pochi
turisti e molti abitanti dal molo di fronte il Favaloro sono andati a vedere i
sacchi coi cadaveri. Lampedusa è strapiena, i lidi hanno tutti gli ombrelloni
aperti, gli alberghi non hanno camere libere, e i bagnanti si godono lo
scampolo vacanziero forse senza sapere cosa avviene a pochi metri da loro. Dal
pontile una staffetta di ambulanze con la sirena accesa precedute dalle
gazzelle dei carabinieri ha portato i corpi nel enorme edificio blu
dell'aeroporto che normalmente ospita gli elicotteri della Finanza e del 118.
Sono stati portati lì anche due bimbi, un maschio e una femmina, di tre e due
anni: molti operatori, militari, uomini delle forze dell'ordine non hanno
potuto trattenere le lacrime guardando quei corpicini senza vita. L'hangar
della morte è un capannone 40 per 40 alla fine della pista dell'aeroporto di
Lampedusa, dove sono state deposte le 103 vittime finora recuperate. Sopra ogni
sacco è spillato un numero che servirà alla polizia scientifica per dare un
nome ai migranti deceduti. I poliziotti hanno fotografato i volti di tutte le
persone morte. I sacchi sono disposti a file doppie e seguono il perimetro
dell'hangar dove sono stati accesi i climatizzatori e le pompe per l'aerazione
per tentare di mantenere più bassa possibile la temperatura. Chi entra ed esce
da questo luogo parla di ''sensazione indescrivibile''.
"Dolore e rabbia - aggiunge un testimone - sono le reazioni che si
mischiano vedendo questi corpi a pancia all'aria deposti nei sacchi".
Entrando nell'hangar, a sinistra, i primi cadaveri coperti sono quelli dei
quattro bambini, anche loro sono chiusi negli enormi "sudari" di
plastica. Dall'hangar, per rendere omaggio alle vittime, ha cominciato la sua
visita a Lampedusa il vicepremier Angelino Alfano, accompagnato dal capo della
polizia Alessandro Pansa, e poi raggiunto anche dal presidente della Regione
Rosario Crocetta. Poi il ministro dell'Interno è andato a trovare i sanitari
che prestano soccorso ai migranti e a constatare le condizioni dei tre somali
ricoverati. "Ho visto i corpi - ha detto Alfano - una scena
raccapricciante, che offende l'Occidente e l'Europa. Spero che la divina
provvidenza abbia voluto questa tragedia per far aprire gli occhi all'Europa".
Dal 1988 sono morte 20mila persone sulle rotte verso Italia, Canarie, Grecia. La frontiera marittima è attraversata ogni anno da migliaia di esseri umani: nel 2011, dopo le primavere arabe, arrivarono 60mila
(http://daily.wired.it/)
La tragedia di Lampedusa, con oltre 90 morti e 250 dispersi a mezzo miglio dall’isola
dei Conigli, è una dei più gravi episodi avvenuti nel Mediterraneo. Ma ci
sono molte Lampedusa.
C'è tutto il canale di
Sicilia. Ed Evros e Samos,
in Grecia. E poi Las
Palmas o Motril, in Spagna. I
punti d’arrivo dei migranti stipati nelle carrette del mare sono decine, così
come quelli di partenza dalle coste nordafricane. Dove si consumano drammi
gravi e in alcuni casi sconosciuti. Dal 1988 a oggi, secondo Fortress Europe,
osservatorio online sulle vittime dell’immigrazione, sono infatti morte lungo
le frontiere meridionali dell’Europa almeno 19.142
persone. Solo nel 2011, annus
horribilis a causa dei
flussi legati alle primavere arabe, 2.352:
quell’anno, d’altronde, sbarcarono in Italia60mila persone.
Anche se le stime variano, perché non è facile capire come, quanti, chi,
quando. Sempre per il 2011 Human
Rights Watch parla infatti
di 1.500 deceduti. Negli ultimi due anni, invece, fra gennaio 2010 e la fine
del 2012, sono stati 3.315.
Secondo monsignor Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione
Migrantes, “ nel 2013 sono già staticamente oltre 200 i morti accertati nel
Mediterraneo: ogni giorno un migrante ha trovato la morte mentre cercava di
raggiungere l’Italia e l’Europa”. Ma parlava solo pochi giorni fa, dopo i
fatti di Scicli:
altri 13 morti.
Gli eventi
nel Mediterraneo avvenuti
nel corso dell’estate appena conclusa danno d’altronde il polso di una
situazione che non accenna a mutare. Bloccata da 25 anni nella stessa identica
fotografia. Lo testimoniano, da una parte, i numeri dell’ Alto
commissariato dell’Onu per i rifugiati: nell’anno in corso, fino a luglio, sono sbarcati
sulle coste italiane e maltesi circa 8.400
tra migranti e richiedenti asilo. Alla fine del 2012 erano stati in
totale 13.200. Siamo quindi già nella media al mese di ottobre. Dall’altra lo
prova la cronaca. Basta partire dagli avvenimenti di oggi – e in
mattinata erano stati salvati 117 siriani vicino Siracusa – e retrocedere
appena allo scorso 19 settembre, quando la Guardia costiera egiziana ha aperto
il fuoco su un’imbarcazione di siriani diretti in Italia provocando due morti.
Due giorni prima in Spagna, nelle acque di Ceuta, risultavano disperse 12
persone. Ancora Italia, lo scorso 11 agosto a Catania: partiti in 130 fra
egiziani, siriani e somali. Sono morti in 15. Non manca nemmeno la Grecia
all’appello delle tragedie, col naufragio di Kos dello scorso 25 luglio, o il
Marocco, Malta, Algeria, Turchia, Libia.
Nel Mar Mediterraneo e nell’oceano Atlantico
verso le Canarie,
altro corridoio del fenomeno, sono annegate dal 1988 14.307 persone. Mai
recuperata la metà delle salme (8.998). Mentre in Italia, fracanale di
Sicilia e coste
magrebine, le vittime sono state 6.835,
tra cui 5.262 dispersi. Sul versante adriatico, fra Balcani e Puglia, e nello
Ionio fra Grecia e Calabria, sono morte almeno 705 persone (314 dispersi). Non solo sui barconi:
quasi 200 migranti sono morti per soffocamento o
annegamento nascosti nelle stive delle navi mercantili o in qualche
intercapedine dei traghetti. Fra dispersi, stime per forza di cose
approssimative e persone di cui si sono perse le tracce, senza contare naufragi
e incidenti di cui non si è avuto notizia, si tratta di numeri profondamente
imperfetti. Destinati, questa l’unica certezza, a peggiorare.
di Lettera22 per il Fatto | 3 ottobre 2013
Erano soprattutto somali, ghanesi ed eritrei, stando alle prime ricostruzioni, i migranti vittime dell’incendio del loro barcone davanti alle coste siciliane. Erano eritrei i 13 migranti morti pochi giorni fa a pochi metri dalla spiaggia di Scicli, sempre in Sicilia: sullo sfondo delle immagini dei corpi coperti dalle lenzuola si poteva vedere la vecchia tonnara, apparsa varie volte nella serie tv del Commissario Montalbano, girata proprio su quelle spiagge. Erano ancora eritrei, ma anche marocchini e sudanesi, i 118 migranti sbarcati ad Augusta lo scorso 26 settembre. L’elenco potrebbe continuare a lungo e delineare una precisa geografia dei paesi di fuga, tra cui spicca l’Eritrea. Governata dal 1993, anno di indipendenza dall’Etiopia dopo una pluridecennale guerriglia di liberazione, da Isaias Afwerki, l’Eritrea è uno dei paesi più chiusi del mondo, anche se sempre di più al centro di una complicata partita geopolitica a causa delle sue risorse minerarie e della sua posizione strategica vicina al “collo di bottiglia” che chiude il Mar Rosso. Secondo l’ultimo rapporto annuale di Amnesty International, la situazione dei diritti umani nel paese è drammatica: “L’arruolamento militare nazionale è rimasto obbligatorio e spesso esteso a tempo indeterminato. E’ rimasto obbligatorio anche l’addestramento militare per i minori. Le reclute sono state impiegate per svolgere lavori forzati. Migliaia di prigionieri di coscienza e prigionieri politici hanno continuato ad essere detenuti arbitrariamente in condizioni spaventose. L’impiego di tortura ed altri maltrattamenti è stato un fenomeno diffuso. Non erano tollerati partiti politici d’opposizione, mezzi di informazione indipendenti od organizzazioni della società civile. Soltanto quattro religioni erano autorizzate dallo stato; tutte le altre erano vietate e i loro seguaci sono stati sottoposti ad arresti e detenzioni. Cittadini eritrei hanno continuato a fuggire in massa dal paese”. Secondo Amnesty, proprio il servizio militare obbligatorio a tempo indeterminato è una delle principali ragioni di fuga dal paese – grande circa un terzo dell’Italia e con meno di cinque milioni di abitanti. La “fuga” viene punita duramente: “Per coloro che venivano colti nel tentativo di varcare il confine con l’Etiopia è rimasta in vigore la prassi di ‘sparare per uccidere’. Persone colte mentre cercavano di varcare il confine con il Sudan sono state arbitrariamente detenute e duramente percosse. Familiari di persone che erano riuscite a fuggire sono state costrette a pagare multe per non finire in carcere”. Dato questo contesto, aggravato peraltro da una situazione economica durissima, nonostante l’espansione del settore minerario, Amnesty ha chiesto a molti stati, anche europei, di interrompere la pratica del rimpatrio forzato degli esuli eritrei. Fino a quando a Tripoli c’era Gheddafi, l’Italia se la cavava lasciando che fossero le forze armate libiche a fare il lavoro di “contenere” i fuggiaschi. Ora la diga è bucata. Secondo l’ultimo aggiornamento dell’UNHCR, risalente ad agosto scorso, le autorità libiche ora collaborano con l’Onu per la protezione dei migranti e dei richiedenti asilo, ma “l’UNHCR rimane preoccupata per la mancanza di sicurezza e protezione per rifugiati e richiedenti asilo”. Le detenzioni arbitrarie di migranti nei centri sparsi per il paese, soprattutto nell’est, continuano e le condizioni di vita in questi centri sono drammatiche. La mancanza di un sistema legale e di protezione di migranti, rifugiati e potenziali richiedenti asilo, alimenta il mercato dell’emigrazione illegale e del traffico di esseri umani. Ad agosto scorso, secondo l’UNHCR, 27 imbarcazioni sono partite dalla Libia verso l’Italia, per un totale di 3044 persone a bordo, in grandissima parte eritrei, somali ed etiopi. La guardia costiera libica ha intercettato un certo numero – non si sa esattamente quante – di imbarcazioni e i migranti “bloccati” sono stati riportati in Libia e detenuti con l’accusa di aver lasciato illegalmente il paese.
La situazione non è uguale per tutti: i circa 13mila rifugiati siriani che all’agosto scorso erano stati registrati nel paese dall’UNHCR hanno delle forme di assistenza e protezione, sia internazionale che da parte del governo libico – per esempio, i bambini possono andare a scuola. Gli altri, dall’Africa subsahariana o dal Corno, sono invece i più vulnerabili, esposti agli abusi e al rischio di rimpatrio forzato. Per loro, la traversata del Canale di Sicilia rimane ancora l’opzione migliore, anzi, l’unica possibile. di Joseph Zarlingo
(ASCA) - Roma, 1 ottobre 2013 - Su una popolazione mondiale di
7 miliardi di persone circa 232 milioni sono migranti, ma la crisi economica ha
determinato un forte rallentamento della crescita dei flussi: se, infatti,
negli anni '90 lasciavano il proprio paese d'origine 2 milioni di persone
l'anno in media, il dato e' cresciuto a 4,6 milioni tra il 2000 e il 2010 per
poi scendere agli attuali livelli medi di 3,6 milioni di migranti l'anno. Ne
deriva che, rispetto alla popolazione mondiale, il numero di immigrati
internazionali e' relativamente piccolo: il 3,2% nel 2013, non di molto
superiore al 2,9% del 1990. Parallelamente, e' piuttosto basso il numero di
rifugiati richiedenti asilo registrati nel 2013: pari a 15,7 milioni, il 7% del
totale degli immigrati. Cambia, inoltre, la rotta 'classica' dell'immigrazione
da sud a nord del mondo, laddove molti scelgono di trasferirsi in paesi in via
di sviluppo. Lo attesta un'analisi congiunta dell'Organizzazione per la
cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) e del dipartimento Economia e
Affari sociali delle Nazioni unite che verrà presentata a New York il 3 e 4
ottobre in occasione del Dialogo Onu ad alto livello sulla migrazione
internazionale e lo sviluppo. Nello specifico, lo studio rileva che il 14% di
quanti immigrati nei 34 Paesi Ocse sono arrivati negli ultimi cinque anni,
rapporto che ''e' significativamente sceso rispetto al 2000 a causa di una
diminuzione del numero di persone che ha lasciato l'America latina in virtù
della crisi che ha colpito Stati uniti e Spagna, le loro principali
destinazioni'', come si legge nello studio. L'incidenza dell'immigrazione
ispanica e' infatti la più alta nell'area Ocse, all'interno della quale e'
proprio il Messico, in termini assoluti, il principale paese di partenza, con
11 milioni di immigrati. In termini di crescita, però, predomina la comunità
africana aumentata del 53% negli ultimi 10 anni all'interno dell'area Ocse
della quale non e' membro nessun paese del Continente nero. D'altra parte, gli
Stati Uniti restano nel 2013 il paese al mondo che ospita il maggior numero di
immigrati: 45,8 milioni, il 20% del totale globale. Seguono Russia (11
milioni), Germania (9,8 milioni), Arabia Saudita (9,1 milioni). L'Italia non
figura tra i primi 10 paesi di destinazione. A confermare l'incidenza della
crisi economica globale sui flussi migratori, l'analisi attesta come, negli
ultimi 5 anni, il tasso di disoccupazione tra gli immigrati all'interno
dell'area Ocse e' cresciuto del 2% toccando quota 16%. Tale incremento dei
disoccupati prevale tra gli immigrati africani (+4,3%) e latino americani
(+3,4%). Non e' un caso che nel 2013 gli 81,9 milioni di immigrati nati a sud
del mondo e trasferitisi a nord, sono stati di poco superati dagli 82,3 milioni
che si sono spostati tra sud e sud del mondo scegliendo cioè come destinazione
un paese ''in via di sviluppo “. stt/mpd
Società
Sono 27 milioni gli
immigrati laureati presenti nei Paesi Ocse, in 10 anni cresciuti del 70%.
Con la crisi economica cresce la “fuga dei cervelli” verso i
Paesi ricchi.
La crisi economica cambia i
flussi migratori e vede l’affermarsi del fenomeno cosiddetto di “fuga di
cervelli” rispetto allo stereotipo classico del migrante povero e poco istruito
che lascia il proprio Paese per arricchire la manodopera poco qualificata di
aree più sviluppate. Dal 2000, infatti, il numero degli immigrati laureati nei
34 Paesi dell’area Ocse – convenzionalmente ritenuta la più sviluppata
– è cresciuto del 70%, raggiungendo quota 27 milioni di persone nel
2010/11. Di questi, circa il 17%, cioè 4,7 milioni di persone sono arrivate
negli ultimi 5 anni, complici anche il forte incremento dei tassi d’istruzione
nelle economie cosiddette “emergenti”, ma anche le difficoltà di spendere le
proprie competenze in economie piccole e periferiche. Lo attesta un’analisi
congiunta dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico
(Ocse) e del Dipartimento economia e affari sociali delle Nazioni Unite che
verrà presentata domani a New York in occasione del Dialogo Onu ad alto livello
sulla migrazione internazionale e lo sviluppo.
Nello specifico, l’analisi rileva come un quinto di tutti gli immigrati
laureati presenti nell’area Ocse nel 2010/11 provenga da India (2 mln, +78% dal
2000/11), Cina (1,7 mln, +71%), Filippine (1,4 mln, +60%). Se queste grandi
economie emergenti “sfornano” laureati, è anche vero che il fenomeno della
“fuga dei cervelli” è “particolarmente acuto nei piccoli Paesi e in quelli
insulari dell’Africa e dell’America latina”, si osserva nel rapporto. In tale
quadro, gli ultimi dati attestano come alcuni Paesi, ad esempio i Caraibi,
vedano la maggioranza dei propri laureati vivere nell’area Ocse piuttosto che
in patria. Se per questi Paesi il tasso di emigrazione di laureati è il più
alto in termini assoluti, in termini di crescita del fenomeno, sono i Paesi
europei in testa alla classifica: dal 2000 ad oggi il più alto incremento degli
emigrati laureati è stato registrato in Albania (+9,1%), Romania (+8,3%),
Moldova (6,3%), Lituania (+4,5%). (Red.)
Brescia, 28 settembre 2013 - Erano quasi 1500, tra cui
moltissimi stranieri i partecipanti alla manifestazione di sabato 28 settembre
indetta dalle associazioni Diritti per Tutti, Presidio della Gru e Cross Point.
Hanno sfilato per le vie del centro città fino in stazione. Senza creare alcun
disordine. Chiedevano l'abolizione della legge Bossi-Fini, del reato di
clandestinità.
Mille stranieri a Brescia chiedono abolizione Bossi Fini
E una sanatoria per tutti coloro che da anni hanno chiesto un permesso di soggiorno, ma nono possono averlo per via di quelle pratiche ferme negli uffici sotto organico della Prefettura, uffici ingessati ancor più dalle inchieste della magistratura sulla compravendita di permessi. E chiedevano il diritto a restare in Italia per lavorare, il diritto ad avere una casa. Da http://www.corriere.it/
(red.) Brescia, 26 settembre 2013 - Non è difficile che la prospettiva si
realizzi. Nell’arco di qualche anno, e neanche troppi, i bambini bresciani nati
da genitori stranieri potrebbero superare quelli che hanno entrambi i genitori
italiani. Ad affermarlo è stato il
sindaco di Brescia Emilio Del Bono, che, nella giornata di
mercoledì 25 settembre, ha partecipato ad un convegno organizzato da Uil sul
tema della cittadinanza agli immigrati. Secondo i dati statistici raccolti
dalla Loggia nel corso degli ultimi anni, infatti, i bambini nati a Brescia da
genitori immigrati, che nel 1993 erano l’1,3% della totalità,
rappresenterebbero, per il 2012, il 41% delle nascite. Va detto,
comunque, che questi dati non stupiscono: la nostra città, con circa 38mila presenze su una popolazione
di 198mila abitanti, è la terza in Italia per il numero di immigrati.
Secondo Del Bono, per attrezzarsi per
una società multiculturale e
multietnica sarebbe necessario compiere un «salto di qualità, che vuol dire un
sistema giuridico efficace nell’ambito dell’immigrazione e una nuova
legislazione in tema di cittadinanza, indispensabile per aiutare gli stranieri
a costruirsi un’idea di nuova patria».
Per il segretario confederale della Uil Guglielmo Loy, «il
Parlamento deve affrontare la questione della cittadinanza in modo più
approfondito, per varare un sistema di regole più aderenti con la realtà. E per
evitare il paradosso che i bimbi stranieri in Italia debbano aspettare i
diciotto anni per richiedere la cittadinanza. Noi siamo per dare la cittadinanza
a chi nasce qui da un ambito familiare già integrato».
Giurisprudenza
Con
la sentenza n. 201308154, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio ha
accolto il ricorso in “class action”, presentata da alcuni cittadini stranieri
congiuntamente a Cgil, INCA e Federconsumatori, che chiedeva di condannare la
generalizzata violazione del termine per il rilascio del permesso di soggiorno
CE da parte delle Questure. L’ammissibilità di un’azione collettiva è descritta
nell’articolato del D.Lgs. 198/2009, per cui laddove si verifichino atti di
violazione, omissione e mancato adempimento da parte della P.A. e dei
concessionari di servizi pubblici, si può ammettere una class action mirata a
correggere un comportamento scorretto delle amministrazioni. Nella fattispecie,
è stata riconosciuta la sua validità visto che gli appellanti accusavano una
prassi generalizzata di violazione dei termini procedimentali da parte delle
Questure. La sentenza emessa, a questo punto, non interessa il singolo caso, ma
dà delle indicazioni di massima affinché le amministrazioni pongano rimedio
alla prassi di violazione del termine per la conclusione della procedura.
Ovviamente la Corte esamina a fondo la questione, in modo tale di dare un tempo
consono alla P.A. per emettere i provvedimenti richiesti, tenendo conto della
adeguatezza delle risorse strumentali, finanziarie ed umane che quest'ultima ha
a disposizione. Nell’atto del ricorso, inoltre, gli appellanti chiedevano anche
di ottenere una interpretazione unificata della giurisprudenza amministrativa
su tutto il territorio nazionale per quanto riguarda il rilascio del
permesso di soggiorno CE anche per i familiare del richiedente, anche se essi
non hanno maturato il requisito ultraquinquennale di soggiorno regolare nel
Paese. In questo caso, l’azione collettiva pubblica non può essere
ammessa, perché un tale provvedimento risulterebbe invadente nei confronti del
potere legislativo, unico di titolare della facoltà di interpretazione delle
norme di legge. In conclusione, il TAR Lazio ha chiesto all’amministrazione
interessata a provvedere opportunamente, entro un anno dell’emissione della
sentenza, a correggere la problematica dei termini di conclusione del
procedimento per il rilascio del titolo di soggiorno in oggetto, tenendo conto
dei limiti delle risorse già assegnate evitando, quindi, di incombere ulteriori
oneri per la finanza pubblica.
Demografia
(AGENPARL)
- Roma, 26 set - Al 9 ottobre 2011 sono stati censiti in Italia 59 milioni
433 mila residenti, 2 milioni 438 mila in più del 2001. La popolazione
residente cresce ogni anno tra il 2002 e il 2011. La crescita maggiore si è
avuta negli anni 2007-2008 (rispettivamente, 429 mila e 348 mila residenti in
più) e negli anni 2003-2004 (+365 mila e +379 mila). Nel decennio la dinamica
naturale (nascite meno decessi) è stata di segno quasi sempre negativo, ad
esclusione del 2004 e del 2006. In totale, dal 2001 al 2011, si sono avute 5
milioni 545 mila nascite contro 5 milioni 708 mila decessi. Decisivo per la
crescita demografica è risultato il contributo positivo del saldo migratorio
con l’estero, che ha oscillato da un minimo di +157 mila unità del 2006 a un
massimo di +436 mila del 2007. Nell’arco temporale intercensuario si
contano 4 milioni 783 mila immigrazioni dall’estero contro 2 milioni 182 mila
emigrazioni. I movimenti migratori interni, tra Comuni, risultano pari a 15
milioni 423 mila. Tra il 2002 e il 2011 i residenti in età 15-39 anni si
riducono di 2 milioni. Il loro peso sul totale dei residenti passa dal 34,7% al
29,9%. Parallelamente, i residenti in età 40-64 anni aumentano di 2,6 milioni.
Per tale fascia della popolazione il peso relativo si sposta dal 32,4 al 35,5%.
Tra la popolazione in età non attiva, la componente che fa registrare la
maggiore crescita è quella degli ultra sessantacinquenni che nel 2002-2011
aumenta di 1,5 milioni, passando da 10,7 a 12,2 milioni in termini assoluti e
dal 18,7% al 20,5% in termini percentuali. I giovani fino a 14 anni di età
passano da 8,1 a 8,4 milioni. Il loro peso sul totale della popolazione rimane
ancorato nel decennio a valori poco superiori al 14%. Al 9 ottobre 2011 sono
stati censiti 4 milioni 27 mila residenti stranieri, 2 milioni 693 mila in più
che nel 2001. La popolazione residente straniera è cresciuta ogni anno con
regolarità e, anche per tale componente, la crescita maggiore si è avuta nel
2007-2008 (rispettivamente, 430 mila e 379 mila residenti in più) e nel
2003-2004 (+390 mila e +356 mila). La crescita della popolazione straniera nel
decennio è dovuta a un saldo migratorio con l’estero di 2,5 milioni di unità,
cui va aggiunta una quota per effetto della dinamica naturale (+546 mila) e
sottratta una quota di acquisizioni della cittadinanza italiana (385 mila).
Consistente è anche la quota di trasferimenti di residenza interni aventi per
soggetto cittadini stranieri, superiore a 2,3 milioni nel decennio. Una
trasformazione della popolazione straniera riguarda la composizione per genere.
Nel 2002-2011 si va da una situazione in cui gli uomini sopravanzano
numericamente le donne (+14 mila) a un’altra in cui prevale la presenza femminile
(+246 mila). Un’altra caratteristica della popolazione straniera è la giovane
età media, che nel corso del decennio si mantiene di poco superiore ai 31 anni
di età. L’incidenza di residenti stranieri sul totale dei residenti aumenta dal
2,4% al 6,5% tra il 2002 e il 2011. Nel 2011 l’incidenza della classe di età
0-4 anni e di quella 25-34 anni supera la soglia del 10%.
Centri di espulsione
Di Rosario Villirillo, Presidente dell’Associazione di Volontariato Marco Polo
Roma, 1°
ottobre 2013 - In Italia, esiste una legge che porta il nome di due cadaveri
politici. È la legge Bossi-Fini, buona prassi, in grado di durare più dei due
Onorevoli che le hanno dato un nome. E’ dato atto che, alla politica nostrana
piace giocare con le parole e con l’ipocrisia, la legge è stata sempre più
peggiorata, prima con l’istituzione dei Cpt, poi con la loro trasformazione in
Cie. Cpt significava “Centri di Permanenza Temporanea”, cioè luoghi chiusi,
recintati e controllati, in cui rinchiudere gli immigrati irregolari. La
formula deve essere sembrata troppo umanitaria, perché a un certo punto, i Cpt
sono diventati Cie, cioè “Centri di Identificazione ed Espulsione”. Come si
nota, due tentativi molto elaborati di trovare sigle che non contengano le
parole “carcere”, “galera”, “arresti”. In sostanza, un modo per trattenere come
detenute persone che non hanno commesso alcun reato. Dato che, le ipocrisie
italiane sono come le ciliegie, una tira l’altra, le persone che stanno
rinchiuse nei Cie vengono denominate “ospiti”, invece che “detenuti”. Le
cronache indicano come molti di loro, prima di essere “ospiti” dei Cie sono
stati veramente “detenuti” nelle patrie galere. Colpevoli, la gran parte, del
reato di immigrazione clandestina, ossia colpevoli di non avere un permesso di
soggiorno, o di averlo perso perché hanno perso il lavoro.
Si evidenzia il paradosso: prima ti arrestano perché sei clandestino. Ti
schedano, ti prendono le impronte digitali e ti identificano. Poi ti sbattono
in un centro per l’identificazione per identificarti un’altra volta e mandarti
via. Si dirà che uno Stato di diritto si valuta anche da come tratta i suoi
prigionieri. I Cie, “Centri di Identificazione ed Espulsione”, vengono gestiti
da chi vince gare al massimo ribasso, per cui spesso le strutture, l’assistenza
sanitaria, le condizioni igieniche sono ben sotto il limite della decenza.
Peggio delle carceri, dicono i deputati che sono riusciti a visitare qualcuno
di questi centri, e “peggio delle carceri italiane” è una affermazione che fa
paura. I Cie definiscono gli immigrati, agli occhi di tutti, come un pericolo
oggettivo, indipendentemente dai comportamenti effettivi, criminalizzando e
stigmatizzando il fatto stesso di migrare o anche semplicemente di essere
stranieri (come nel caso di quei due ragazzi, figli di genitori bosniaci, nati
e vissuti in Italia). Nella
catena di istituti giuridici preposti alla produzione di “clandestini” i Cie
rappresentano l’anello più importante e decisivo, nonostante l’apparenza possa
indurre a pensare il contrario; perché se è vero che gli stranieri sono
considerati dalla legge “clandestini” prima ancora di capitare in un Cie (per essere
trattenuti è necessario che venga prima emesso un decreto di espulsione), è
altrettanto vero che è lì dentro che tale condizione viene suggellata
pubblicamente e stabilmente. Il “trattenimento” (ma sarebbe meglio chiamarlo
col proprio nome, ovvero “detenzione amministrativa”), disposto
indipendentemente dalla commissione di specifici reati, sembra in realtà
raggiungere un unico obiettivo: quello di razionalizzare e normalizzare
l’intero processo di clandestinizzazione degli stranieri. Al tema ha dedicato
recentemente un interessante studio l’Associazione Lunaria. Tale
studio si conclude con una serie di indicazioni di policy che vale la pena
riprendere integralmente: “Il mantenimento del sistema di detenzione
amministrativa svolge una funzione del tutto residuale ai fini di un efficace
“contrasto dell’immigrazione irregolare” mentre espone i migranti a gravi
violazioni dei diritti umani fondamentali che non sono accettabili in uno Stato
di diritto”. La chiusura dei CIE
è urgente, è possibile, ed è auspicabile anche nella prospettiva di ridurre la
spesa pubblica inefficiente.
1) “In attesa di una riforma che porti alla chiusura di queste strutture, è
indispensabile ridurre immediatamente il periodo massimo di permanenza nei CIE
riportandolo a un massimo da 180 a 30 giorni e dare attuazione alla circolare
che impone l’identificazione dei cittadini stranieri detenuti in carcere
all’interno delle stesse strutture carcerarie”;
2) “Almeno sino a che il sistema rimarrà in funzione, il Ministero dell’Interno
dovrebbe evitare di emanare avvisi pubblici per l’affidamento della gestione
dei CIE che, a causa del basso costo pro die/pro capite previsto, impediscano
di assicurare l’erogazione dei servizi necessari a garantire la dignità e i
diritti umani dei migranti detenuti”;
3) “Il successo assai limitato delle politiche meramente repressive di lotta
all’immigrazione irregolare suggerisce di rivedere appena possibile l’intera
disciplina dell’ingresso e del soggiorno dei cittadini stranieri nel nostro
paese. È necessario ribaltare completamente le priorità delle politiche
migratorie e sull’immigrazione a partire dalla piena ed effettiva garanzia dei
diritti umani fondamentali dei migranti”. In
tale orizzonte è auspicabile, pertanto:
a) “ratificare la Convenzione Internazionale sulla Protezione dei
Diritti dei Lavoratori Migranti e dei Membri delle loro Famiglie approvata
dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1990;
b) ampliare i canali di ingresso regolare sia per motivi di lavoro che per
ricerca di lavoro;
c) introdurre meccanismi di regolarizzazione ordinaria ad personam, che possano
consentire ai migranti di ottenere un titolo di soggiorno in presenza di
requisiti che siano in grado di comprovare il loro effettivo inserimento
sociale nella società italiana;
d) minimizzare i rischi di una ricaduta nell’area dell’irregolarità per coloro
che hanno un titolo di soggiorno anche estendendo la durata della validità dei
documenti di soggiorno;
e) limitare il più possibile l’utilizzo dello strumento dell’espulsione
coattiva, così come suggerito dalla Direttiva comunitaria 2008/115/CE;
f) adottare una disciplina organica sul diritto di asilo in conformità con
l’art. 10 della Costituzione; g) garantire l’effettivo accesso alla procedura
di asilo dei migranti soccorsi in mare;
h) assicurare ai migranti stabilmente residenti sul nostro territorio la piena
titolarità dei diritti di cittadinanza attraverso la riforma della legge 91/92
sulla cittadinanza e il riconoscimento del diritto di voto amministrativo”.
Ciò premesso, si rileva che, dal Friuli alla Calabria divampano le proteste nei
Centri di identificazione ed espulsione. Ma le politiche del rifiuto non solo
non funzionano ma hanno anche un costo salato: 1 miliardo e 600 milioni in
dieci anni. Nei fatti i crescenti rigidi controlli alle frontiere, le
deportazioni coatte, i respingimenti in alto mare, il sistema centralizzato dei
dati e delle impronte digitali, il legame indissolubile tra contratto di
lavoro e permesso di soggiorno, la criminalizzazione diffusa e la contrazione
della soggettività giuridica degli immigrati sono tutti elementi che vedono
convergere le politiche sull’immigrazione in Italia verso un comune obiettivo:”
svalorizzare la forza-lavoro immigrata”. Netta contrarietà, alla vigente legislazione
regolamentare dell’immigrazione, vengono espresse da primarie Associazioni
Umanitarie Nazionali ed Internazionali; da Sua Santità Papa Francesco, a
Lampedusa, che ha lanciato un grande appello contro la “globalizzazione
dell’indifferenza” a favore dell’accoglienza di migranti e rifugiati; da Medici per i Diritti Umani che denunciano: “I Cie sono
inefficaci e dai costi umani inaccettabili”; dal Sindacato Siulp di Polizia:
“Magari espellessimo i veri criminali, sempre più spesso riaccompagniamo alla
frontiera lavoratori irregolari, a volte denunciati da italiani che vorrebbero
il loro posto di lavoro; dall’Associazione Nazionale Forense che ritengono: “inutile e
dannoso” il reato di immigrazione clandestina; dal partito Radicali: “i CIE
continuano ad essere assurdi”; dal Presidente Napolitano, in occasione della
ricorrente tragedia di Marcinelle: “In questo giorno dedicato al ricordo del
sacrificio del lavoro italiano nel mondo, è necessaria una riflessione sui temi
della piena integrazione degli immigrati e della sicurezza nei luoghi di
lavoro”; il Ministro per l’Integrazione Cecile Kyenge: “il governo ha avviato
una riflessione sui Cie per valutare condizione e utilità di queste strutture”,
in particolare dopo la chiusura dei Centri di identificazione ed espulsione di
Modena, Bologna, Lamezia Terme e Isola di Capo Rizzuto, mentre il Presidente
del Parlamento europeo: Martin Schulz, rileva: “In Europa c’è un vuoto
legislativo, manca una legge che regoli veramente l’immigrazione”. Appare, pertanto, legittimo
interrogarsi sulle vere ragioni della loro esistenza. A cosa serve davvero la
custodia dei corpi degli immigrati nei Cie? A renderli forse più docili e
sottomessi per i futuri padroni? Ad insegnare loro la disciplina come un tempo
si faceva nelle workhouses? I Cie sono i nuovi istituti bio-regolatori dei
mercati del lavoro? Si auspica, pertanto, che la nuova compagine di Governo
riesca dove i precedenti governi hanno fallito sul programma di riconoscimento
dei diritti civili”.
Discriminazioni
Aumentano gli immigrati
proprietari di abitazioni ma rimangono discriminati nel mercato degli alloggi
Uno studio contenuto nel libro “Stranieri e disuguali. Le
disuguaglianze nei diritti e nelle condizioni di vita degli immigrati”
Roma, 2 ottobre 2013 - Uno degli aspetti più importanti del
rapido processo di stabilizzazione della popolazione straniera riguarda
l’insediamento abitativo. Dalla prima indagine del 2001 della Fondazione Ismu
sugli stranieri in Italia, in particolare in Lombardia – una delle
principali regioni di insediamento – risultava che oltre un terzo degli
intervistati viveva presso il proprio datore di lavoro o in appartamenti
condivisi con altri immigrati non parenti. Quasi un intervistato su dieci
dormiva in strutture di accoglienza, case occupate abusivamente, baracche,
alloggi temporanei o altre sistemazioni precarie. La stessa indagine ripetuta a
dieci anni di distanza, nel 2011, ha fornito un’immagine significativamente
diversa: oltre un quinto degli intervistati vive in una casa in proprietà,
oltre la metà vive in un’abitazione in affitto che condivide solo con i propri
familiari. La percentuale di persone intervistate in condizioni di forte
marginalità abitativa è praticamente dimezzata.
È quanto emerge dall’analisi condotta da Claudio Daminato e Novena Kulic
pubblicata in Stranieri e
disuguali. Le disuguaglianze nei diritti e nelle condizioni di vita degli
immigrati per
le edizioni Il Mulino, testo curato da Chiara Saraceno, Nicola Sartor e
Giuseppe Sciortino e anticipato dall’agenzia Redattore Sociale. Nel giro di un
decennio, la popolazione straniera è divenuta pertanto un segmento stabile del
mercato delle abitazioni, con effetti di rilievo, sia su quello delle locazioni
che delle compravendite. Rispetto alle famiglie italiane, quelle straniere
vivono più spesso in affitto, in case maggiormente affollate e di qualità
inferiore, per quanto riguarda sia le condizioni interne dell’abitazione, sia
la tipologia del quartiere in cui la famiglia abita. Sempre nella ricerca, si
indica che circa il 71% delle famiglie italiane vive in una casa di proprietà
della famiglia, mentre lo stesso accade soltanto per il 23% delle famiglie
straniere. Il dato è particolarmente marcato nelle fasce di età sopra i 35
anni, dove la differenza tra italiani e stranieri è massima. Inoltre, tra le
famiglie straniere, la proprietà della casa non è distribuita sul territorio in
modo omogeneo. È, infatti, maggiormente concentrata nella zona nord-est e
nord-ovest del paese, e queste zone contribuiscono a quasi il 60% delle case in
proprietà degli stranieri.
Confrontando le famiglie della stessa situazione economica e dal profilo
demografico simile, si è osservato come sia il tasso di proprietà tra gli
stranieri sia le condizioni interne delle abitazioni si avvicinano a quelle
medie degli italiani. E il maggior affollamento delle abitazioni delle famiglie
straniere resta invariato, o peggiora, quando la comparazione viene fatta su
gruppi omogenei per condizione socioeconomica. Le famiglie straniere, inoltre,
pagano maggiori costi per la casa, a parità di tutte le altre condizioni. Si è
visto anche che il tempo trascorso in Italia aumenta la probabilità di comprare
una casa, ma non cambiano le altre condizioni abitative. A conclusione dello
studio, gli autori affermano che il disagio abitativo delle famiglie straniere
non può esser considerato esclusivamente come effetto delle disuguaglianze di
reddito e di ricchezza.
(Red.)