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Rassegna ad uso
esclusivamente interno e gratuito, riservata agli
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Anno XI n. 31 del 22 ottobre 2013 |
Consultate www.uil.it/immigrazione
Aggiornamento quotidiano sui temi di interesse di cittadini e lavoratori stranieri
A cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil
Dipartimento Politiche Migratorie
Tel. 064753292- 4744753- Fax: 064744751
Migratorie: appuntamenti
Roma, 23 ottobre 2013, ore 11.00, sede ILO
Incontro tra delegazione brasiliana e parti sociali su lavoro domestico
(Ivana Veronese, Giuseppe Casucci)
Benevento, 24 ottobre 2013, ore 16.00
Incontro UIL e Ital su cittadinanza ed immigrazione
(Guglielmo Loy)
Roma, 30 ottobre 2013, ore 16.30, L.go Chigi
Unar: incontro per la definizione del Piano Nazionale d'Azione contro il razzismo, la xenofobia e l'intolleranza 2013-2015
(Giuseppe Casucci, Angela Scalzo)
Milano, 31 ottobre 2013, ore 11.00
Incontro Tavolo Immigrazione con il sindaco Giuliano Pisapia
(Giuseppe Casucci)
Roma, 3 dicembre 2013, ex pastificio “Pantanella”, ore 10.00
UIL – ITAL: seminario incontro con la Ministra Cécile Kyenge su riforma dell’Immigrazione
(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci, Angela Scalzo)
Prima pagina
UIL – ITAL: incontro con la Ministra per l’integrazione Cécile Kyenge
L’immigrazione cambia, cambiamo le sue norme
Roma, 3 dicembre 2013 - ex pastificio Pantanella, via Casilina, ore 09.30
Dopo 10 anni
di crescita ininterrotta, la presenza di stranieri nel nostro Paese segna una
lunga battuta d’arresto a causa della crisi economica e difficilmente rivedrà i
tassi di afflusso dell’ultimo decennio. In un certo senso, siamo di fronte ad
un mutamento di scenario che è necessario tener di conto, se vogliamo
comprendere come cambia l’immigrazione e quali siano le risposte adeguate da
dare. La crisi sta modificando progressivamente le prospettive economiche e
occupazionali dei migranti che si trovano apertamente in competizione con i
nuovi disoccupati italiani. Non sono pochi però gli stranieri che decidono di
lasciare il nostro Paese (assieme a molti nostri giovani) per cercare altrove
un futuro migliore. Sul versante del Mar Mediterraneo, gli arrivi dall’Africa
sono in forte aumento, anche a causa di instabilità sociali, guerre e
persecuzioni. Si tratta spesso di potenziali richiedenti asilo o rifugiati che
non possono essere trattati alla stregua di migranti economici irregolari, in
quanto fuggono da situazioni che mettono a rischio la loro vita. Anche alla
luce di questi profondi cambiamenti, l’attuale normativa appare ancor più inadeguata
a governare il fenomeno in modo efficace ed al contempo rispettoso dei diritti
della persona. Per la UIL, dunque, è tempo di ripensare ad una riforma della
legislazione sull’immigrazione e dell’asilo: si tratta per noi di correggerne
gli aspetti discriminatori e di rendere efficace il meccanismo d’incontro tra
domanda ed offerta di lavoro, con l’obbiettivo di favorire l’occupazione legale
e combattere quella sommersa. Per quanto riguarda l’asilo, è urgente avere
anche in Italia una legge organica in materia nonchè una concreta politica di
accoglienza per i rifugiati. C’è poi l’aspetto dei diritti di cittadinanza su
cui sono stati presentati in Parlamento 20 proposte di legge e su cui è
iniziato un lento confronto in Commissione Affari Costituzionali. Un tema, per
noi molto importante, in predicato da molti anni e su cui si stenta a trovare
la quadra tra i diversi gruppi politici. Come Uil e Ital, abbiamo deciso di
confrontarci su tutto questo, promuovendo un evento ed invitando due ospiti di
eccezione: la Ministra per l’integrazione On.le Cécile Kyenge, ed il prof.
Antonio Golini, demografo e presidente dell’Istat. L’occasione sarà un
seminario nazionale che terremo il 3 dicembre prossimo a Roma,
Sala Convegni AIL, via Casilina 5
Per l’occasione verrà convocato il Coordinamento Nazionale Immigrati e la rete di quadri e dirigenti Ital da tempo impegnati nel territorio con azioni concrete e con iniziative tese a sensibilizzare, su questi temi, istituzioni, lavoratori e associazioni. Il seminario è anche aperto a chiunque voglia partecipare. Grande spazio verrà dato al confronto tra i partecipanti, a partire dai nostri quadri immigrati impegnati in categoria e nelle realtà territoriali, e gli ospiti.
Immigrazione: dalla crisi economica, l’occasione per cambiare
A cura del Dipartimento politiche migratorie della UIL
Dopo 10 anni di
crescita ininterrotta, la presenza di stranieri nel nostro Paese segna una
lunga battuta d’arresto a causa della crisi economica. In un certo senso, siamo
di fronte ad un mutamento di scenario che è necessario tener di conto, se
vogliamo comprendere questo fenomeno e dare risposte adeguate.
Anche nel 2012 si confermano gli effetti della crisi economica sui flussi migratori, già emersi negli anni precedenti: secondo dati ufficiali, la richiesta di rinnovo dei permessi di soggiorno per motivi di lavoro è scesa in 3 anni dell’81% ed il tasso di disoccupazione tra gli stranieri sfiora il 14%.
Gli stranieri in Italia
Sono 4.387.721 gli stranieri legalmente residenti sul territorio nazionale (dati 2011 Istat), pari al 7,3% della popolazione complessiva, secondo i dati dell’ultimo bilancio demografico. Nel corso dell’ultimo decennio il numero degli stranieri in Italia è cresciuto in media dell’11% all’anno, con un incremento complessivo di quasi 3 milioni di persone. Gli stranieri sono anche contribuenti che pagano le imposte: in Italia si contano complessivamente 3,4 milioni di contribuenti nati all’estero (dati riferiti all’anno di imposta 2011) che dichiarano al fisco quasi 43,6 miliardi di €: tradotto in termini relativi, si tratta dell’8,3% di tutti i contribuenti e del 5,4% del reddito complessivo dichiarato in Italia. Gli stranieri dichiarano mediamente 12.880 € (6.780 € in meno rispetto agli italiani) e si tratta quasi esclusivamente di redditi da lavoro dipendente. Nel 2011 i nati all’estero hanno pagato di Irpef 6,5 miliardi di € (pari al 4,3% dell’intero Irpef pagato a livello nazionale) che si traduce in 2.937 € a testa. Per quanto riguarda i soldi mandati a casa, nel 2012 il volume delle rimesse ammonta a 6,8 miliardi di €, pari allo 0,44% del Pil. Nel corso dell’ultimo anno si è assistito ad una contrazione del -7,6%, ancora più significativa di quella registrata tra il 2009 e il 2010 (-2,6%).
Gli stranieri sono andati a sostituire gli autoctoni in meno a causa del gap demografico. Attualmente la popolazione è composta da circa 55 milioni di italiani e circa 5 milioni non nati in Italia. Dopo un decennio di ingressi annui vicini alle 400 mila unità, sono circa 3 o 4 anni che gli ingressi diminuiscono a ritmo esponenziale. Che effetti avrà tutto questo, nel medio periodo, sulla popolazione e sull’andamento demografico?
Anche nel 2012 si confermano gli effetti della crisi economica sui flussi migratori, emersi negli anni precedenti. I nuovi permessi di soggiorno per cittadini non comunitari sono stati 246.760, con una flessione del 25% rispetto al 2011 e del 58% rispetto al 2010 (ogni anno, nel periodo compreso tra il 2008 e il 2010, il loro numero è stato costantemente al di sopra dei 500mila). La contrazione deve essere attribuita in massima parte alla forte diminuzione dei permessi di soggiorno rilasciati per motivi di lavoro.
Questi dati sono confermati anche dalla leggera contrazione di attività che ha riscontrato il nostro Patronato ITAL nel servizio dedicato al rilascio/rinnovo dei titoli di soggiorno .
Cresce il tasso di disoccupazione tra i lavoratori nati all’estero, che è salito al 13,8% (il 15,6% per le donne, 1,5 punti percentuali in più rispetto al 2011). In valori assoluti, però, nel 2012 il numero di occupati nati all’estero è cresciuto ancora, seppure a ritmi decisamente più contenuti rispetto al passato: +2,9%, sfiorando i 3 milioni.
Mercato del Lavoro
Gli stranieri rappresentano ormai il 13% dell’occupazione nazionale complessiva, con un’incidenza particolarmente elevata nel settore delle costruzioni (21,7%) e in agricoltura (15,9%). Per il 2013 le imprese italiane prevedevano di assumere con contratti non stagionali soltanto 42.960 lavoratori stranieri, il 29% in meno rispetto al 2012 e il 59% in meno rispetto al 2010.
Dal 2008 al 2012 si è assistito in Italia ad un aumento del tasso di disoccupazione straniera di 5,6 punti percentuali passando dall’8,1% all’14,1% e raggiungendo 382mila immigrati senza lavoro. E contemporaneamente, pur essendo aumentati anche il numero di occupati, il tasso di occupazione straniera è però calato di 6,5 punti percentuali arrivando al 60,6%. L’aumento dell’occupazione è da ascrivere alla componente femminile prevalentemente occupata nei servizi alle famiglie e di assistenza, mentre si riduce la domanda di manodopera maschile nei comparti produttivi e dell’edilizia specie nel Nord. Questo significa che la contrazione della domanda di lavoro ha riguardato i lavoratori stranieri nei comparti produttivi tradizionali, accentuando le situazioni di sovra istruzione (41,2%), di sottoccupazione (10,7%) e aumentando i divari retributivi tra italiani e stranieri (336 €).
Ma la crisi sta lentamente modificando gli equilibri tra
occupazione italiana e straniera, la prima sempre più progressivamente disposta
a ricercare impieghi che da tempo sono di esclusivo appannaggio dei migranti.
In particolare nell’ultimo anno si osserva una maggior afflusso di italiani tra
gli operai addetti alla pulizia degli edifici, tra il personale non qualificato
nelle miniere e nelle cave, tra i conduttori di impianti per la fabbricazione
della carta, tra i venditori ambulanti, tra i vasai e soffiatori e tra il
personale non qualificato addetto alla cura degli animali. Non sono pochi gli
stranieri che decidono di lasciare il nostro Paese per ritornare a casa o per
cercare impiego in un’altra nazione: nel 2011 - secondo stime ufficiali
– l’uscita di 32 mila cittadini stranieri avrebbe privato le casse del
nostro Stato di almeno 86 milioni di euro. Lo stesso anno ha visto anche
l’uscita di circa 68 mila nostri giovani in cerca di un futuro all’estero.
Per quanto riguarda il 2013 le imprese italiane prevedevano di assumere con contratti non stagionali soltanto 42.960 lavoratori stranieri, il 29% in meno rispetto al 2012 e il 59% in meno rispetto al 2010.
Il rebus del Mediterraneo
Sull’altro versante, quello della pressione migratoria dal Mar Mediterraneo, i flussi provenienti dall’Africa sono in forte aumento, anche a causa di guerre e persecuzioni oltre che da fattori di natura economica.
Le cause di queste perigliose traversate sono:
a) per i migranti economici: il fattore attrattivo costituito dall’economia sommersa; l’assenza di canali legali d’ingresso per lavoro in Italia; la posizione geografica del nostro Paese punto quasi obbligato di passaggio per accedere al resto dell’Europa;
b) per i profughi: la scarsa informazione sui diritti concernenti i profughi e richiedenti asilo; l’impossibilità di presentare domanda d’asilo nel Paese di origine o in quelli di transito, in quanto la normativa sull’asilo impone che la domanda sia fatta solo sul suolo italiano;
Come spesso succede, la rigidità delle norme diventa una favolosa occasione di guadagno per chi specula sulle sventure altrui. Anche approfittando della instabilità di Paesi nordafricani prospicienti il nostro, i trafficanti di esseri umani si sono organizzati in una rete specializzata nella tratta, con costi che vanno da 2000 fino a 5 mila euro a persona chi voglia imbarcarsi nelle loro tinozze malsicure. L’organizzazione degli scafisti provvede a tracciare rotte con monitoraggio satellitare, che tengono conto del clima, dei controlli eventuali aerei e marittimi, dei migliori punti d’approdo. Il tutto facilitato dal clima di grande confusione che regna in molti paesi di transito come la Libia, la Tunisia, l’Egitto, l’Algeria: Paesi con cui è molto difficile fare accordi per il monitoraggio delle coste.
Spesso le condizioni climatiche vengono accuratamente scelte, in quanto i viaggi si avvantaggiano della difficoltà della guardia costiera a monitorare il Canale di Sicilia a causa del maltempo. Il tutto in spregio delle condizioni e dei rischi fatti correre al loro carico umano.
Con risultati disastrosi come documentato dalle molte tragedie accadute negli ultimi vent’anni.
Nel 2013 (dati Ministero Interno del 14 ottobre) sono sbarcati sulle nostre coste oltre 36 mila persone, in condizioni tanto rischiose da provocare tragici naufragi come quelli avvenuti di recente con centinaia di vittime. E non è certo la prima volta: Fortresse Europe stima che siano almeno ventimila gli esseri umani morti dal 1988 nel tentativo di attraversare il Canale di Sicilia: una cifra davvero spaventosa.
Si tratta spesso di potenziali richiedenti asilo o rifugiati che non possono essere trattati alla stregua di migranti economici irregolari, per una ragione molto semplice: loro fuggono da situazioni che mettono a rischio la loro vita e spesso non possono ritornare nel loro Paese di origine. Persone a cui l’Italia e l’Europa hanno l’obbligo morale – oltre che legale – di accogliere e dar loro protezione.
Cambiamenti nella natura dei flussi
Anche a causa del blocco degli ingressi legali per lavoro, la pressione africana costituisce una quota crescente degli ingressi complessivi: persone che vorrebbero essere solo di transito in Italia e raggiungere altri Paesi europei, ma che restano qui bloccate dall’attuale normativa sull’asilo.
Il quadro della presenza migratoria nel nostro Paese è dunque in fase di cambiamento e difficilmente rivedrà i tassi di afflusso dell’ultimo decennio. La riduzione negli arrivi o il deflusso di migranti dall’Italia non è comunque privo di conseguenze: il calo delle nascite condanna l’Italia ad una decrescita della popolazione, che è stato finora compensato dall’afflusso di nuovi cittadini. Senza di loro, la nostra popolazione complessiva sarebbe già diminuita del 10% ed è quello che rischia di accadere nel prossimo decennio, con conseguenze negative in termini di declino sociale ed economica.
Dalla crisi, un’opportunità di cambiamento
Come dicevamo, gli stranieri rappresentano una importante risorsa per l’Italia e contribuiscono a circa l’11% del PIL. In cambio di questo prezioso apporto, l’Italia li ha ricambiati con una legislazione punitiva e discriminatoria; a volte con razzismo e comunque con il calvario della costosa burocrazia dei permessi di soggiorno. Anche ai bambini stranieri nati e cresciuti nel nostro Paese viene negato il diritto alla cittadinanza fino ai 18 anni, mentre i loro genitori rischiano di rimanere “migranti” per un tempo lungo ed indefinito.
In questo quadro normativo come UIL e ITAL nell’ultimo anno ci siamo impegnati nell’iniziativa “Cittadina prossima” organizzando eventi in decine di città italiane per un confronto fattivo per riformare l’attuale legge sulla cittadinanza.
Una legislazione tanto dura ha ancora meno senso oggi con il calo degli arrivi per lavoro e migliaia di stranieri che se ne vanno. In effetti non è più minimamente giustificata una legislazione in materia di immigrazione ispirata alla logica del contenimento e degli sbarramenti. Alla luce dei profondi cambiamenti nei comportamenti dei migranti, il forte rallentamento negli arrivi e la decisione di molti di lasciare l’Italia, l’attuale normativa appare avere un unico risultato: chiudere del tutto gli scarsi ingressi legali e consegnare all’economia sommersa i nuovi arrivati o gli stranieri che perdono il lavoro.
Per la UIL, dunque, è davvero tempo di ripensare ad una riforma della legislazione sull’immigrazione e l’asilo. Non si tratta genericamente di “abolire la Bossi – Fini”, le cui norme hanno tra l’altro integrato la precedente “Turco – Napolitano”, anch’essa non priva di aspetti da migliorare: si tratta invece di ripulire la normativa dall’approccio anti migratorio e rendere finalmente fluido ed efficace il meccanismo d’incontro tra domanda ed offerta di lavoro, con l’obbiettivo di favorire l’occupazione legale e combattere quella sommersa.
Alcune proposte possono essere introdotte in maniera immediata producendo quel cambiamento di rotta atteso nelle politiche migratorie del nostro Paese, pensiamo al prolungamento della durata del permesso di soggiorno da due a tre anni. Inoltre, al fine di mitigare la costosa burocrazia del rinnovo dei PdS, come UIL riteniamo che i minori debbano essere esclusi dal pagamento di tutti gli oneri previsti, come del resto ha già recentemente proposto il Ministero dell’Interno in occasione del previsto prossimo rilascio del nuovo kit per le richieste dei permessi di soggiorno.
Per quanto riguarda l’asilo, si tratta di avere anche in Italia una legge organica in materia e superare la logica della Convenzione di Dublino che penalizza i Paesi costieri. Andrebbe data la possibilità a chi ha diritto d’asilo di fare domanda anche nel proprio Paese o in quelli di transito, al fine di evitare viaggi in mare pericolosi e costosi che favoriscono solo i professionisti della tratta.
In questo senso è bene aprire un confronto all’interno ed all’esterno della nostra Organizzazione, sui mutamenti in atto a livello migratorio e sulla necessità di un ripensamento degli attuali strumenti legislativi che si sono purtroppo rivelati del tutto inefficaci a governare il fenomeno e ad assicurare meccanismi efficaci di integrazione dei nuovi cittadini.
Società
In vigore dal 15 ottobre, sono stampati in modo da rendere più difficile la falsificazione. I vecchi permessi già rilasciati rimangono comunque validi fino alla scadenza
Roma – 17 ottobre 2013 – I permessi di soggiorno cartacei cambiano aspetto. La notizia certo interesserà solo una piccola parte di immigrati in Italia, perché la grande maggioranza ha in tasca il permesso elettronico, simile a una carta di credito. In alcuni casi però, le Questure rilasciano ancora un foglio di carta, ad esempio per i permessi per cure mediche, per richiesta di protezione internazionale, oppure quando il permesso elettronico è in fase di rinnovo e il titolare ha bisogno urgente e motivato di un documento valido.
Come spiega una circolare del Ministero dell’Interno, i permessi cartacei già in circolazione rimango validi fino alla scadenza. Dal 15 ottobre, però, sono entrati in vigore i modelli nuovi. Hanno le dimensioni di un foglio di carta A4, con due parti sovrapposte identiche, una delle quali rimane alla Questura. Sono stampati dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato su carta filigranata con delle fibre fluorescente. Oltre ai dati, ci sono una foto del titolare e un ologramma, su uno sfondo “di sicurezza con effetto iride e fluorescenza”.
I nuovi permessi cartacei rispondono a uno standard europeo e dovrebbero essere molto più difficili da falsificare rispetto a quelli di vecchia generazione. (da www.stranieriinitalia.it)
Legge
di stabilità: approvata social card per gli immigrati.
Roma, 17 ottobre 2013 - Nel
testo della legge di stabilità, approvata martedì dal Consiglio dei ministri,
figura anche l’ampliamento dei beneficiari della social card, che dal 2014
potrà essere elargita anche agli immigrati, purché in possesso di un permesso
di soggiorno di lungo periodo. La social card è una carta acquisti destinata
alle persone non autosufficienti nella quale lo Stato versa 80 euro ogni 2 mesi
come sostegno alla spesa alimentare, sanitaria e al pagamento delle
bollette (gas e luce). Con l’approvazione della legge di stabilità, potranno
ricevere la social card “cittadini italiani o comunitari ovvero familiari di
cittadini italiani o comunitari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro
che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno
permanente, ovvero cittadini stranieri in possesso di permesso di soggiorno Ce
per soggiornanti di lungo periodo”. La manovra finanziaria prevede inoltre un
ampliamento di 250 milioni di euro del fondo destinato a questo sussidio per il
triennio 2014-016. Scarica le linee guida della
legge di stabilità.
(Red.)
Dai Territori
Venezia, 19 ottobre 2013 — Ogni 4 bimbi
che nascono in Veneto, nell’anno del Signore 2013, uno ha «almeno» un genitore
straniero. «Almeno», perché in molti, moltissimi casi (uno su cinque ad essere
precisi) lo sono entrambi. In quest’ultima eventualità, com’è noto anche per
via delle recenti schermaglie sullo ius soli tra il ministro per l’Integrazione
Cécile Kyenge e la Lega Nord, i bambini sono «made in Veneto» manon sono
italiani. Lo saranno, se continueranno a vivere ininterrottamente nel nostro
Paese, al compimento dei 18 anni e purché si ricordino di farne richiesta entro
dodici mesi. Il risultato è che ogni mattina, sempre in Veneto, tra i banchi di
scuola si contano 47.553 «nati in Italia non italiani». Sono il 6,6% del totale
degli studenti della nostra regione (715 mila) ma con percentuali in crescita
esponenziale al diminuire dell’età (nella scuola dell’infanzia, ad esempio, il
dato raddoppia: sono 17.300, ossia l’87% del totale degli stranieri ed il 12%
del totale assoluto). Sono, questi, solo alcuni dei dati che emergono dal
Rapporto 2013 sull’immigrazione straniera in Veneto presentato ieri a Venezia
dall’Osservatorio immigrazione della Regione.
Una fotografia che aiuta ad inquadrare meglio un argomento sempre più delicato per la politica, come dimostrano non solo gli scontri pressoché quotidiani di cui sopra tra Kyenge e il Carroccio, ma anche l’apertura di alcune settimane fa del governatore Luca Zaia (contrario allo ius soli ma favorevole ad ipotesi di riconoscimento anticipato della cittadinanza) o la scelta del Comune di Treviso di bypassare idealmente le regole del diritto attribuendo la cittadinanza onoraria (ininfluente all’atto pratico) ad ogni nuovo nato straniero in città. Complessivamente, gli studenti non italiani, nati qui e non, sono nelle scuole del Veneto poco meno di 92 mila, ossia il 12,8% del totale e salgono ad oltre 100 mila se si aggiungono la formazione professionale e l’università (un crescendo che va dal 10% della scuola secondaria di secondo grado al 13% in quella di primo grado, al 14% in quella primaria e dell’infanzia). Pochi di loro frequentano i licei (23%), la maggior parte opta per gli istituti tecnici e professionali (il restante 77%). Vengono dalla Romania, dal Marocco e dall’Albania, per lo più, ma se confrontato con il resto del Paese, il Veneto segna un record di moldavi (studia qui oltre il 27% di quelli che sono in Italia) e di cinesi (quasi il 16%). Il report di Palazzo Balbi conferma dunque l’indicazione già arrivata da più parti (dalla Caritas e dall’Istat ad esempio) che indica gli stranieri comefondamentali per il riequilibrio demografico della nostra regione, soprattutto a Venezia, Rovigo e Belluno: da loro arriva il 22% delle nuove nascite, contro una media nazionale del 15% (ma il saldo positivo dei migranti, più 9.230 grazie anche ad un numero medio di figli di 2,95, non compensa comunque quello negativo degli italiani, meno 11.900). I figli di coppie miste sono il 5%. Il rapporto, infine, è utile anche per sfatare qualche mito, come quello per cui gli stranieri se ne starebbero andando per via della crisi. Dal 2011 al 2012 sono passati da 457 mila a 487 mila (10% dei residenti in Veneto; in Italia siamo al 6,8%). Un numero più che triplicato rispetto al 2001.
Lavoro Minorile
In questi giorni due rapporti sono balzati alla attenzione dell’opinione pubblica. Stiamo parlando del “Global Slavery Index”, pubblicato dalla Walk Free Foundation, e del “Child Labour Index”, analisi condotta da Maplecroft, società di consulenza britannica sui rischi globali.
Uzbekistan: la schiavitù del cotone
Con il primo documento è stata realizzata una mappa delle aree nel mondo in cui è di fatto ancora vivo e vegeto il fenomeno della schiavitù e con il secondo sono stati elencati i Paesi in cui il lavoro minorile è maggiormente diffuso. Secondo il “Global Slavery Index”, sono 30 milioni gli individui che nel mondo vivono in condizione di schiavitù. Sul triste podio troviamo l’India, dove se ne contano 13,9 milioni; poi la Cina, dove se ne registrano 2,9 milioni; e infine il Pakistan, dove se ne contano 2,1 milioni. A seguire la Nigeria, l’Etiopia, la Russia, la Thailandia, la Repubblica Democratica del Congo, il Miyanmar e il Bangladesh. In questi Paesi risiedono i tre quarti dei 29,8 milioni di persone, di ogni età e sesso, che vivono in condizioni di schiavitù. Alla Cnn Gina Dafalia, manager della Walk Free Foundation, ha spiegato che per questa analisi è stato utilizzato il concetto più ampio di schiavitù, che va dal traffico degli essere umani al lavoro forzato, passando per il matrimonio combinato, fino ad arrivare alla schiavitù per debiti e allo sfruttamento dei bambini. Con il “Child Labour Index”, invece, è stata analizzata la situazione di 197 Paesi ed è emerso che in 11 degli Stati presi in esame il lavoro minorile è particolarmente diffuso. Nella classifica troviamo: Eritrea, Somalia, Repubblica Democratica del Congo, Myanmar, Sudan, Afghanistan, Pakistan, Zimbabwe, Yemen, Burundi, Nigeria. Si tratta di Paesi con alti livelli di povertà, nei quali i bambini si trovano spesso costretti a dover lavorare per poter integrare il reddito della famiglia. Ma, a ben guardare, ci sono anche Paesi in situazioni economiche differenti – Cina, India, Russia e Brasile – nei quali il rischio di incorrere nello sfruttamento minorile è piuttosto elevato poiché le leggi sul lavoro minorile spesso non vengono applicate.
Rifugiati
"Prevedere modalità di ingresso protetto. Grave il respingimento differito di egiziani e tunisini". il rapporto "Access to protection: a human right"
(www.stranieriinitalia.it)
- Roma - 16 ottobre 2013 - E’ stato presentato ieri a Roma il rapporto ”Access
to protection: a human right” elaborato dal Consiglio Italiano per i Rifugiati
(CIR) e finanziato dal Network of European Foundation nell’ambito del Programma
europeo per l’integrazione e la migrazione (EPIM), rapporto e progetto che
hanno l’obiettivo di promuovere la conformità delle politiche e delle prassi
nazionali e comunitarie sull’accesso al territorio e alla protezione per i
rifugiati con gli obblighi previsti dagli strumenti europei relativi ai diritti
umani. “La nota positiva è che dopo la sentenza Hirsi non risultano più
respingimenti fatti dalle autorità italiane in alto mare. Vogliamo solamente
sperare che l’operazione Mare Nostrum che parte oggi, così come l’auspicato
rafforzamento di Frontex, abbia regole di ingaggio chiare, che rispettino
l’obiettivo annunciato da Letta, configurandosi esclusivamente come operazioni
di soccorso e salvataggio. Tutti i migranti che verranno intercettati dovranno
essere portati in un luogo sicuro e deve essere chiaro che la Libia, paese di
partenza per molti dei migranti che arrivano in Italia, non può essere
assolutamente considerata tale. Le condizioni di vita per migranti e rifugiati
sono inaccettabili, vengono sottoposti a sistematiche violazioni dei loro
diritti fondamentali e detenuti per periodi di tempo indefiniti in condizioni
inumane.” dichiara Christopher Hein Direttore del CIR. Nella conferenza il Prefetto
Riccardo Compagnucci – Capodipartimento Vicario Dipartimento delle
Libertà Civili e Immigrazione del Ministero dell’Interno - ha presentato i dati
aggiornati degli sbarchi: al 14 ottobre sono sbarcati in Italia 35.085
migranti, di cui 9.805 siriani, 8.443 eritrei, 3.140 somali, 1.058 maliani, 879
afgani. Di queste il 73% del totale degli arrivati, circa 24mila persone,
necessitano quindi protezione internazionale. Per quanto riguarda i porti di
provenienza 21.027 vengono dalla Libia, 8.159 Egitto, 1.825 dalla Turchia,
1.650 dalla Grecia e 1.480 dalla Siria. Il Prefetto Compagnucci ha anche
sottolineato come 25.000 migranti siano stati tratti in salvo grazie a
operazioni di soccorso in mare da parte delle autorità italiane. "Dobbiamo
prevedere modalità di ingresso protetto, come la possibilità di richiedere
asilo presso le amabasciate e i consolati, il rilascio di visti umanitari
temporanei e il reinsediamento per rifugiati: i dati parlano chiaro la maggior
parte di chi cerca di arrivare in Italia e che muore nel Mediterraneo necessita
protezione. Dobbiamo assolutamente cercare vie alternative di ingresso per
permettere loro di arrivare in maniera sicura in un posto sicuro" continua
Hein. Per quanto riguarda gli sbarchi è stata rilevata nell’indagine una grave
violazione del diritto di accesso alla procedura d’asilo: l’Italia ricorre in
maniera frequente a procedure sommarie di respingimento differito nei confronti
di migranti egiziani e tunisini sbarcati sulle coste del Sud Italia.
Dall’inizio del 2013 sono stati infatti centinaia gli stranieri egiziani e
tunisini rimpatriati senza avere la possibilità di entrare in contatto con le
organizzazioni umanitarie. Negli sbarchi, all’arrivo, vengono effettuate
interviste per la verifica della nazionalità, espletate da operatori della
Pubblica Sicurezza. Si tratta di un esame superficiale che non coinvolge
operatori umanitari e che non tutela pienamente il diritto a chiedere
protezione internazionale da parte di questi migranti. I migranti egiziani e
tunisini vengono solitamente separati dagli altri migranti e collocati
prevalentemente in Centri di Primo soccorso e accoglienza (CPSA), adibiti a
strutture di detenzione pur non essendo dei Centri di Identificazione ed
Espulsione (CIE), oppure in altri centri chiusi, prima di essere rimpatriati.
Il trattenimento dei migranti in tali strutture viene effettuato senza alcuna
procedura di convalida giurisdizionale e in questi centri i migranti tunisini
ed egiziani sono identificati dalle rispettive autorità consolari e rinviati
generalmente entro 48 ore dopo il loro ingresso in Italia. “Questa prassi è
molto grave e non tutela assolutamente il diritto individuale di chiedere
protezione internazionale. Non ci sono stati di provenienza da cui è possibile
o meno chiedere asilo, il diritto alla protezione è un diritto individuale che
deve sempre essere rispettato. Che possiamo saperne che tra gli egiziani non ci
siano ad esempio dei cristiani copti che rischiano persecuzioni individuali? E
quali sono le condizioni di sicurezza generale in questo momento in Egitto?
Questa prassi si basa sugli accordi bilaterali di polizia e di riammissione dei
migranti irregolari spesso assumono la forma di intese a carattere tecnico,
sottratte ad ogni controllo parlamentare, e non sempre pubbliche, con
un’evidente mancanza di trasparenza. Questi accordi spesso non contemplano
disposizioni relative al rispetto dei diritti umani e in nessun caso contengono
tutele specifiche per i migranti e i richiedenti asilo, introducendo procedure
accelerate per l’identificazione e il rimpatrio dei migranti entrati
irregolarmente in Italia. L’Italia ha siglato accordi bilaterali con la
Tunisia, L’Egitto, la Libia e l’Algeria: chiediamo che gli accordi bilaterali
prevedano norme sugli standard minimi dei diritti umani e includano
garanzie per l’accesso alla procedura di asilo, la proibizione di qualsiasi
forma di espulsione collettiva ed il dovere di rispettare il principio di
non-refoulement.” continua Christopher Hein direttore del CIR. Ma in Italia non
si arriva solamente attraverso gli sbarchi, molti i migranti che arrivano sulle
coste dell’Adriatico nelle navi commerciali provenienti dalla Grecia, nascosti
nelle stive e nei camion. Secondo i dati del Ministero dell’Interno nel 2012
presso gli scali marittimi adriatici di Ancona, Bari, Brindisi e Venezia sono
stati identificati circa 1.809 stranieri irregolari provenienti dalla Grecia,
di cui: 691 presso il porto di Ancona, 662 a Bari, 173 a Brindisi, e 283 a
Venezia. Del numero totale di migranti rintracciati presso i porti adriatici,
1.646 sono stati rinviati in Grecia, più del 90%. Sempre secondo i dati del
Ministero dell’Interno, nel 2013 si è registrata una diminuzione del numero dei
migranti irregolari provenienti dalla Grecia e rintracciati presso i valichi
adriatici: infatti, nei primi 6 mesi del 2013 sono state identificate in
condizione di irregolarità 619 stranieri provenienti dalla Grecia via mare, di
cui: 214 presso il porto di Ancona, 135 a Bari, 178 a Brindisi e 92 a Venezia.
Rispetto alle riammissioni i rinvii verso la Grecia continuano ad essere
estremamente significativi: al porto di Brindisi su 178 migranti arrivati dal 1
gennaio al 30 giugno 2013, 173 sono stati rinviati in Grecia; ad Ancona su 214
persone178 sono state riammesse; a Bari su 135 sono state riammesse 107
persone; mentre a Venezia su 92 arrivi sono state riammesse 71 persone. I dati
degli stranieri riammessi verso la Grecia rispetto a quelli in arrivo ai porti
dell’Adriatico e rintracciati su navi commerciali potrebbero essere “sfalzati”:
potrebbero infatti includere anche persone intercettate sul territorio e
rinviate in Grecia. “Non abbiamo certezza che nei casi di migranti riaffidati
ai comandanti delle navi commerciali si possa parlare di violazione del diritto
di accedere alla protezione: non sappiamo infatti se tutti loro abbiano chiesto
accesso al diritto d’asilo. Ma è grave che agli operatori delle organizzazioni
umanitarie che devono prestare servizi informativi non venga sempre dato
accesso alle navi e non vengano segnalati tutti i migranti intercettati. Così
come crediamo che la pratica di riaffidamento debba essere rivista nel contesto
del Codice Frontiere Schengen e che oggi non abbia una base legale attuale e
solida, risalendo a un accordo bilaterale con la Grecia del 1999. Così come è
allarmante la restrizione dei servizi di informazione legale e assistenza ai
valichi che sempre più sono soggetti a logiche di restrizione dei costi
abbassando, al contempo, le possibilità di accesso ai diritti per i migranti.
Ma si deve anche dire che per la nostra esperienza sono molti gli afgani,
iraniani, curdi, siriani, che pur avendo valide ragioni per chiedere asilo,
nonostante l’attività informativa svolta da parte degli operatori del CIR e del
GUS (che gestisce il servizio di Ancona), spesso preferiscono non essere
fotosegnalati ed evitare di essere poi trasferiti in Italia in base al
Regolamento Dublino II. Preferiscono ritentare la sorte ritornando in Grecia
che essere costretti a rimanere in Italia” conclude Hein.
Nell’ambito del progetto “Promoting the Integration of
Migrant Domestic Workers in Europe”, FIERI ha
realizzato le indagini sul terreno e prodotto il rapporto finale della
ricerca sul versante italiano.
Il mercato del lavoro dei servizi domestici in Italia ha conosciuto una crescita consistente a partire dagli anni ’70 del secolo scorso. Di fronte alla crisi dei sistemi tradizionali di cura prestata dalle famiglie e all’inadeguatezza strutturale del welfare pubblico, le lavoratrici immigrate hanno progressivamente e massicciamente ingrossato le fila della forza lavoro nel settore. Fornendo servizi di pulizia e mantenimento della casa o di assistenza e cura ad anziani e disabili nelle famiglie italiane, sono ormai divenute uno dei pilastri del welfare italiano: nel 2011 più di una lavoratrice immigrata su due (51,3%) è impiegata come domestica o assistente familiare.
Nonostante le traiettorie di percorso migratorio e lavorativo delle lavoratrici immigrate nel settore siano molto diversificate a partire da caratteristiche individuali, strategie e risorse collettive che esse riescono a mobilitare nella struttura di opportunità sociali, economiche e politiche, la ricerca ha messo in evidenza alcuni schemi ricorrenti nei percorsi di integrazione lavorativa nel settore di servizi familiari e domestici.
Il processo di integrazione socio-lavorativa delle lavoratrici immigrate nel settore domestico contribuisce a focalizzare l’attenzione sull’interconnessione tra i regimi di welfare, di lavoro e di immigrazione nel contesto italiano. Infine, il rapporto suggerisce alcune possibili piste per riforme politiche e normative finalizzate ad affrontare alcune delle sfide più importanti rispetto all’integrazione socio-economica delle lavoratrici domestiche immigrate in Italia. The domestic sector’s labour market has experienced considerable growth in Italy since the 1970s. Vis-à-vis the crisis of traditional informal care systems and the inadequacy of national welfare services, foreign workers have been progressively and significantly joining this sector.
By providing housekeeping and care services to Italian households, they have become one of the major pillars of the Italian welfare system, with more than one in two foreign women (51.3%) employed as a domestic worker or family assistant in 2011.
Although migration and labour trajectories of migrants in this sector are very diverse due to individual characteristics, strategies and the collective resources that they mobilize in the given social, economic and political “opportunity structure”, the research highlights some common patterns of labour market integration in the personal and household services sector.
The highlighted processes of labour market integration into the domestic sector of migrant workers finally contributes to drawing attention to the interconnection between immigration, welfare and labour regimes in the Italian context. The report finally suggests some possible avenues for policy reform aimed at tackling the most serious challenges concerning socio-economic integration of migrant domestic workers in Italy. Scarica il rapporto: http://fieri.it/wp-content/uploads/2013/09/IMP_115_Italy_final_BW.pdf