11 ottobre 2013

Soccorsi circa 500 migranti nel canale di Sicilia
Un mercantile ha tratto in salvo 210 migranti in balia delle onde tra Malta e la Libia. Altri 118 aiutati da un cargo
Corriere.it, 11-10-2013
Paura e salvataggi nel Canale di Sicilia. Circa cinquecento migranti sono stati soccorsi in condizioni difficili per il mare agitato.
ALLA DERIVA - Barconi in difficoltà o alla deriva, evidentemente non fermati dalle notizie della recente strage nel mare di Lampedusa. Un mercantile ha tratto in salvo 210 migranti in balia delle onde tra Malta e la Libia: per loro destinazione Trapani. A Porto Empedocle invece i 118 presi da un’altra nave cargo. Ulteriori 175 - divisi in due gruppi - sono stati salvati da una nave militare al largo della Libia per fare poi rotta su Siracusa. Destinazioni dunque lontane da Lampedusa, dove il centro di accoglienza è allo stremo con i suoi 800 ospiti, compresi i 155 sopravvissuti.



Clandestinità, Grillo sconfessa i suoi
il sole, 11-10-2013
Marzio Bartoloni
Grillo e Casaleggio provano a tenere a bada le tensioni interne, ma l'emendamento "salva-clandestini" approvato da un gruppo di senatori "dissidenti" lascia i segni di una profonda spaccatura nei Cinque Stelle. Che ieri in, un conclave a porte chiuse con un centinaio di parlamentari, durato fino a tarda serata, hanno provato a ricucire lo strappo consumatosi con i vertici del movimento cercando una via d'uscita - si parla di un chiarimento con il leader Grillo – dopo tante tensioni.
Pietra della discordia, gli immigrati. Anzi, il reato di immigrazione clandestina. La fuga in avanti dei senatori grillini, che mercoledì hanno promosso in commissione Giustizia l'emendamento per la depenalizzazione della clandestinità passato con una maggioranza larga (con il sì di Pd, Sel, Scelta Civica e il parere favorevole del governo) è stata stoppata da Grillo e Casaleggio. I due fondatori del Movimento con un post durissimo hanno bocciato l'emendamento come espressione di una «posizione del tutto personale», presa «senza consultare nessuno». Ma il duo Grillo-Casaleggio oltre a sconfessare il metodo è stato se possibile ancora più netto sul merito dell'emendamento, giudicato «un invito agli emigranti dell'Africa e del Medio Oriente a imbarcarsi per l'Italia». «Quanti clandestini siamo in grado di accogliere – si sono chiesti i due fondatori – se un italiano su otto non ha i soldi per mangiare?».
Una posizione questa che ha scatenato una pioggia di reazioni. Anche il popolo web, che rappresenta la base dei grillini, si è spaccato. Mentre parte dei parlamentari M5S – soprattutto senatori – ieri tra un post e mezze dichiarazioni ha condiviso l'emendamento. Facendo emergere anche che la modifica in realtà era stato discussa, e "acclamata", nella riunione del gruppo grillino di lunedì scorso e annunciata alla stampa.
Ma se l'emendamento salva immigrati clandestini spacca i Cinque Stelle, anche nella maggioranza scoppia il caso. Pd e Sel attaccano Grillo e il suo diktat: «Sono come Bossi e Calderoli» dice Vendola. Mentre per Matteo Renzi: «Il M5S doveva essere libertà e partecipazione» e invece «decide uno che manda un post all'improvviso». Critiche sono arrivate anche dal segretario Pd Epifani che ha chiesto ai grillini di «dimostrare che non sono eterodiretti». La faccenda, però, mette in seria difficoltà il Pdl. A votare il parere favore del Governo all'emendamento in commissione Giustizia è stato infatti il sottosegretario Cosimo Ferri, uomo Pdl. Lui spiega di averlo fatto oltre che «per un discorso umanitario, sulla base di considerazioni tecnico-giuridiche, non di valutazioni politiche». Ma le valutazioni politiche non si fanno attendere. E alcuni leggono la mossa come un modo per mettere in difficoltà Angelino Alfano. Santanchè e Gasparri, ad esempio, non hanno dubbi: il reato di immigrazione clandestina non si discute. Mentre Giovanardi si dice invece favorevole all'abrogazione.
I più duri però sono i leghisti che ieri in aula al Senato hanno protestato rumorosamente contro il blitz grillino bloccando la seduta. Con Umberto Bossi che ha tuonato: «Senza reato di clandestinità la mia legge non funziona e verrebbe qui una montagna di clandestini!».



Il cinismo a cinque stelle
la Repubblica, 11-10-2013
CONCITA DE GREGORIO
È LA legge del mare. È la legge di Dio. È la legge degli uomini da prima che ogni legge sia mai stata scritta. Salvare un uomo in mare. Non c’è nemmeno da spiegarlo, mancano le parole. Provate solo ad immaginare che succeda a voi.
Siete in barca, vedete qualcuno che sta annegando e che vi chiede aiuto. Un ragazzo, una donna che annega a pochi metri da voi. Sareste capaci di lasciarlo morire sotto i vostri occhi? Gli chiedereste – di qualunque religione, partito politico, di qualunque razza voi siate – da dove viene e a fare che cosa o gli gettereste prima un salvagente? Vi buttereste voi stessi, quasi certamente. Non è una regola, è istinto. È ineludibile afflato di umanità. È quel che distingue gli essere umani dalle bestie, e non sempre ché spesso la lezione arriva dagli animali. Ecco. Si fa moltissima fatica a dare un giudizio politico della censura di Beppe Grillo e dell’ideologo Casaleggio ai parlamentari cinque stelle che al Senato hanno proposto e poi votato un emendamento che dice questo: chi trova una persona in mezzo al mare può soccorrerla senza rischiare di commettere reato.
«Non li lasceremo più morire. Più sicurezza e umanità», hanno scritto Maurizio Buccarella e Andrea Cioffi, i senatori cinque stelle poi sconfessati con durezza dal Capo. Si fa fatica a dare un giudizio politico su chi pensa ai suoi elettori – al suo consenso attuale ed eventuale – prima che ai morti. «Se avessimo proposto di abolire il reato di clandestinità avremmo ottenuto dei risultati elettorali da prefisso telefonico », si legge nella risoluzione pomeridiana del blog sovrano, la voce del Padrone. Non ci sarebbe convenuto, non ci conviene.
Quindi ora scusate se ai cinici sembrerà demagogia ma provate a pensare ai trecento morti in fondo al mare di Lampedusa, al morto «numero 11, maschio, forse anni 3», che se fosse stato vivo sarebbe stato clandestino anche lui, e perseguibile chi avesse salvato quel bambino di tre anni dal mare. Provate a dire se vi sembra degna di un essere umano una legge che sanziona chi soccorre un bimbo in mare, chiunque quel bambino sia perché questo e solo questo è: un bambino. Provate adesso a dare un giudizio politico a due leader politici che pretendono di rinnovare la politica e il Paese e intanto dicono questo: soccorrere uomini e donne in mare «è un invito ai clandestini di Africa e Medio Oriente ad imbarcarsi, ma qui un italiano su otto non ha i soldi per mangiare ». Quindi non vengano, o se vengono affoghino. Servirà da lezione agli altri.
La Lega ha applaudito Grillo con osceno entusiasmo. Il Pdl, in una sua buona parte, si è accodato. L’emendamento è passato coi voti di altri Pdl, di Scelta civica di Sel e del Pd, oltre che dei quattro senatori cinque stelle in commissione. Niente affatto pentiti, questi ultimi. Immediata assemblea del gruppo, questa volta stranamente non in streaming. Giornalisti e militanti fuori dai piedi. Il tema immigrati non era nel programma, è l’argomento del fedelissimi al capo: gli eletti devono attenersi al mandato e non prendere iniziative personali. Ma, domandiamoci, ci sarà una ragione se non c’era una parola, neanche una, sul tema dell’immigrazione e delle leggi sui clandestini nel programma di Grillo, molto netto invece nel proporre – per esempio – un referendum sull’uscita dall’euro.
Poco a poco si delinea un profilo politico che pure era chiaro, ma che ha confuso una buona parte dell’elettorato di sinistra attratto dai temi sacrosanti del rinnovamento e dello strapotere corrotto della casta. Questa roba con un’Italia migliore non c’entra. È un calcolo, una strategia di marketing elettorale di ambigua origine e di sempre più nitido approdo. Ma di nuovo: dare un giudizio politico, in un caso come questo, è troppo onore. «Non li lasceremo più morire», non è una posizione politica, è la declinazione di un essere umano. Chi preferisce che anneghino faccia i conti con se stesso e certo poi, se crede, anche col suo elettorato.



Il destino dei sopravvissuti
Deportazioni, sfruttamento, arrestí. I migranti arrivati in Europa finiranno in un limbo dove potrebbero restare per anni
Internazionele, 11-10-2013
Jordi Vaquer, El País, Spagna
Barça ou barzakh! Barcellona o il limbo! Tutto il Senegal conosce questo grido, lanciato dai migranti che affrontano il pericoloso viaggio verso l'Europa su imbarcazioni inadeguate (lance, zattere, carrette del mare, pescherecci malmessi) rischiando la vita. Un viaggio verso l'Europa o verso la morte. La lista delle morti - e delle loro cause - avvenute durante le traversate è un catalogo degli orrori: ci sono morti per fame o freddo, asfissia, mine antipersona, omicidi e, so- prattutto, annegamento. Per ogni morto ci sono centinaia di altre persone afflitte non solo dalla paura di fare la stessa fine ma anche da quella di finire in un'altra lista di orrori, che va dal furto allo stupro, dalle conseguenze fisiche permanenti alla prostituzione forzata. Tutto pur di arrivare nella terra promessa, un'Europa sognata come rifugio e opportunità per costruirsi una nuova vita. Ma per i sopravvissuti dei naufragio di Lampedusa, come per tutti gli altri che sono riusciti ad arrivare, sono già pronti altri incubi, un interminabile limbo in cui migliaia di persone restano intrappolate per anni.
Molti sono destinati al rimpatrio, forzato o volontario. Ma spesso il rimpatrio è un eufemismo per la deportazione in paesi di passaggio come il Marocco, la Libia o la Tunisia, i cui governi non hanno i mezzi né la volontà di riaccompagnare i migranti nei paesi d'origine. Un altro limbo li aspetta: abbandonati per le strade ostili delle città nordafricane, in paesi dove non hanno mai messo piede prima o nella terra di nessuno nel Sahara, in balia delle mine antipersona, dei contrabbandieri e del deserto.
Per molti, la prima esperienza in Europa sarà l'arresto. Troveranno condizioni particolarmente difficili, soprattutto nei paesi del sud dell'Europa, che violano sistematicamente le normative europee e internazionali e che ostacolano o vietano l'accesso ai giornalisti e agli attivisti dei diritti umani. Il caso più conosciuto è quello della Grecia, dove migliaia di immigrati irregolari sono stipati in centri completamente inadeguati. Ma Atene non è sola. I Paesi Bassi sono stati criticati più di una volta per aver arrestato alcuni immigrati pochi giorni dopo averli rilasciati. Persone che erano state rimesse in libertà dopo la scadenza dei diciotto mesi di detenzione. È bene ricordare che stiamo parlando di persone che non hanno commesso nessun reato. E non si tratta solo di adulti: minorenni e intere famiglie sono intrappolati nel sistema senza che i loro diritti e le loro necessità siano rispettati. I campi di detenzione, le sale nascoste dei grandi aeroporti e le carceri formano un limbo in cui migliaia di persone passano giorni, mesi o anni.
Anche quando riescono a sfuggire all'arresto e al rimpatrio, le loro sofferenze non sono finite. I politici populisti e xeno- fobi come Le Pen in Francia o Umberto Bossi in Italia spingono per trasformare non solo la polizia ma tutti i Cittadini euro- pei in guardiani contro gli stranieri. La tragedia di Lampedusa ha portato sotto i riflettori la legge italiana Bossi-Fini, ma non si tratta dell'unico caso e neanche dei più estremo. In Germania i servizi sanitari che assistono un immigrate in situazione irregolare hanno il dovere di denunciarlo. Senza il diritto di lavorare legalmente e con un accesso sempre più limitato ai servizi sociali, un altro limbo li accoglie: una situazione di incertezza in cui tutto è appeso a un filo. Le frontiere dell'Europa sanguinano. Al punto che dieci o venti morti a Lesbo o nello stretto di Gibilterra, non fanno più notizia. Questi spazi senza diritti stanno minando i principi fondamentali delle democrazie europee: non solo lo stato di diritto ma anche la solidarietà e la compassione tra le persone, il principio umanistico senza cui la struttura democratica è solo un guscio vuoto. ♦  



Coerenza xenofoba
l'Unità, 11-10-2013
Michele Di Salvo
Chi pensa che Grillo è nuovo alle posizioni, tecnicamente razziste, come quelle di ieri sul reato di clandestinità si sbaglia di grosso. Dal suo blog il 17 maggio scorso, cavalcando l’ennesima onda di indignazione, il leader dei Cinque Stelle scriveva prendendo come esempi tre casi di violenza: «Quanti sono i Kabobo d'Italia? Centinaia? Migliaia? Dove vivono? Non lo sa nessuno». Ripescava episodi gravi, come quello, appunto, di Kabobo che a Milano uccise a picconate tre persone. Delitti commessi da immigrati, tutti in qualche modo con un conto aperto con la giustizia. Nell’elenco c’è «un comunitario portoghese che doveva (deve) stare in carcere», «un ghanese che doveva essere considerato sorvegliato speciale per la sua violenza» e «un senegalese il cui decreto di espulsione non è mai stato
applicato». Grillo raccontava delitti cruenti, stupri. Infine domandava: «Chi è responsabile? ». «Non la Polizia è la risposta che più che arrestarli a rischio della vita non può fare. Non la magistratura, che è soggetta alle leggi. Non il Parlamento, che ha fatto della sicurezza un voto di scambio elettorale tra destra e sinistra e ha creato le premesse per la nascita del razzismo in Italia. Nessuno è colpevole, forse neppure Kabobo. Se gli danno l'infermità mentale presto sarà di nuovo un uomo libero».
Un’ inversione di rotta nella linea politica? Assolutamente no. Il 24 gennaio 2012 affermava, infatti, che «la cittadinanza a figli di stranieri nati in Italia è senza senso» aggiungendo che «è una proposta che serve solo a distrarre l'opinione pubblica». Tutto coerente col famoso post del 5 ottobre 2007 dal titolo «I confini sconsacrati», in cui Grillo sostenne che «un Paese non può scaricare sui suoi cittadini i problemi causati da decine di migliaia di rom della Romania che arrivano in Italia» e che il problema dei rom è «un vulcano, una bomba a tempo che va disinnescata». I reponsabili? Il governo, l'Europa a 25 ed il sistema di Schengen. Come prova pubblicò una delle «centinaia di lettere sui rom» che dice di ricevere ogni giorno. Ciò suscitò le proteste di diversi visitatori del sito (che bollarono quelle posizioni come «filippiche proto-leghiste» e «propaganda anni trenta»). All’epoca tutti i partiti politici presero le distanze da Grillo (tranne Forza Nuova) e l’unico che in qualche modo lo difese fu, dal suo blog, Antonio Di Pietro. Già, erano gli anni i cui quel blog lo gestiva Casaleggio.
Se qualcuno però dovesse pensare e dire (ancora una volta) che Grillo è «solo un megafono» e che la sua è un’opinione personale, potrebbe scoprire che invece non è certo solo. Casualmente ancora una volta gli fa da sponda Roberto Fico che ci informa di aver «approfondito nei giorni scorsi il progetto di The Mission», il reality umanitario che la Rai realizzerà in collaborazione con l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati e l’ong Intersos. Il programma andrà in onda il 27 novembre e il 4 dicembre 2013 per
descrivere le condizioni dei campi profughi in Sud Sudan, Repubblica Democratica del Congo e Mali. Si tratta, spiegava il presidente della commissione di vigilanza Rai, di tematiche e contenuti meritevoli senza dubbio dell'attenzione dell'opinione pubblica e che dovrebbero essere trattati con serietà e sobrietà. Tuttavia, aggiungeva, sarebbe opportuno valutare e verificare se il linguaggio di trasmissioni televisive come i reality sia quello adeguato a raccontare il dramma di chi è costretto a fuggire dal proprio Paese a causa di guerre e persecuzioni. E perchè mai? Per il rischio di spettacolarizzazione della sofferenza altrui. Pensate un po’.
Nella strana concezione degli esponenti del M5S, i Vaffa urlati per aizzare le folle vanno bene, mentre è meglio paternalisticamente approfondire la sofferenza vera della disperazione dei campi profughi per non «rovinare» l’atmosfera prenatalizia degli italiani. Anche questa deve essere una declinazione dell’affermazione di Fico: «Il movimento Cinque Stelle cerca con onestà intellettuale di affermare i fatti per trasferire agli italiani una corretta informazione».



Migranti, non hanno pace neanche da morti
il manifesto, 11-10-2013
Giorgio Salvetti
Lampedusa -Il relitto affondato è stato svuotato, ma il mare restituisce altri cadaveri. 311 vittime accertate, ma la lista ancora incompleta. ALLARME Ancora bloccate nell'hangar le 300 bare dei migranti annegati. I medici: rischio sanitario.
Il sindaco Nicolini al governo: in questo momento i funerali di stato non sono una priorità. È urgente invece sapere tempi e modalità sulla destinazione delle bare presenti nell'isola
È passata una settimana ma sembra un secolo. Le notizie che arrivano da Lampedusa lentamente, ma inesorabilmente, affondano nei titoli di coda dei tg e nelle pagine interne dei giornali. Resta a galla solo la schiuma delle polemiche politiche. Le visite di stato sono finite, ma l'emergenza sull'isola resta. Il mare è ancora pieno di morti, il centro di accoglienza è sempre più invivibile e non si sa neppure dove seppellire quei 300 cadaveri che sono ancora allineati nell'hangar dell'aeroporto.
Ieri la guardia costiera ha annunciato di aver recuperato altri 9 corpi, tutti uomini. Sono stati trovati dai sommozzatori fuori dal barcone perché tutti quelli che erano rimasti all'interno del peschereccio sono già stati trasportati a riva. Il bilancio delle vittime della più grande tragedia del Mediterraneo sale così a quota 311, ma mancano ancora all'appello tra i 60 e gli 80 dispersi. Man mano che le ore passano le ricerche si complicano. D'ora in poi si proseguirà anche attraverso veicoli filo-guidati dotati di telecamere e sonar e con il supporto aeronavale. Significa che molti resteranno dispersi per sempre o che finiranno nelle reti di qualche pescatore chissà quando.
Nell'hangar dell'aeroporto invece i resti della salme sono ormai in quelle bare da troppi giorni e sono sempre più maleodoranti. I medici denunciano che «potrebbe emerge un problema sanitario». Letta durante la sua visita ha annunciato in pompa magna che verrà celebrato un funerale di stato. Ma nessuno sa dove, come e quando. Forse verrà celebrata una cerimonia pluriconfessionale a Roma, forse ci sarà una sola bara vuota che dovrà rappresentare tutte le vittime. Il sindaco Giusi Nicolini ha detto che i lampedusani e i familiari delle vittime «attendono di conoscere tempi e modalità rispetto alla destinazione delle oltre 300 bare presenti sull'isola» e ha aggiunto che «in questo contesto e in questo momento i funerali di stato non sono una priorità». Le autorità eritree si sono prese l'impegno di riportare in patria a loro spese solo i morti eritrei la cui nazionalità sarà accertata. Gli altri probabilmente finiranno nei cimiteri messi a disposizione dei comuni siciliani nelle provincie di Agrigento e Ragusa.
Il problema principale è che quelle salme sono irriconoscibili e che procedono con molta difficoltà le operazioni di identificazione. A Lampedusa continuano ad arrivare persone da altre città italiane, dalla Germania, dall'Inghilterra e dalla Svizzera che non hanno notizie dei propri cari in viaggio verso l'Europa. Gli isolani per ospitarli hanno messo a disposizione gratuitamente alloggi privati e strutture alberghiere. Ma in molti casi le ricerche non portano a risultati. Molti familiari non riescono a riconoscere i loro cari e sperano ancora che siano rimasti bloccati in Libia. Restano senza notizie, oppressi da un dubbio atroce che solo il tempo saprà dirimere. Mentre sulle bare continuano a non esserci nomi, ma solo numeri.
Intanto lentamente vengono trasferiti gli stranieri stipati nel centro di prima accoglienza di contrada Imbriacola. Ieri 54 eritrei, somali e siriani, fra cui 4 minori, sono stati imbarcati verso Porto Empedocle ed è stata programmata la partenza di altri 70 migranti con un ponte aereo per Foggia e Bari. Ma le condizioni dei sopravvissuti restano ignobili. Una vergogna nella vergogna che mostra tutti i limiti dell'Italia e dell'Europa e che dimostra quanto sono grottesche le parole di chi pensa di risolvere il problema dell'immigrazione dicendo «aiutiamoli a casa loro». Un paese che non è stato capace neppure di dare una tenda a qualche centinaia di poveracci sopravvissuti a una strage, non può certo lavarsi la coscienza sproloquiando di aiuti e soluzioni per popoli e interi continenti distrutti dalla guerra e dalla miseria. E infatti i viaggi continuano. Ieri altri due barconi con circa 200 profughi a bordo hanno lanciato l'sos mentre erano ancora in acque libiche.



Se l’accoglienza diventa tortura
la Repubblica, 11-10-2013
Gianluigi Pellegrino
Lo scandalo della legge Bossi-Fini e l’emergenza carceraria denunciata da Napolitano, devono stare insieme per una politica che voglia essere tale e coerente almeno sul versante umanitario. E c’è un modo molto semplice per spazzare via ogni dubbio che dietro il sacrosanto impegno a fronteggiare la inaccettabile condizione dei penitenziari, non si nasconda l’ennesimo disperato quanto odioso tentativo di colpo di spugna. Anzi ce ne sono due di banchi di prova.
Il primo è imposto proprio dalla immane tragedia di Lampedusa. La legge Bossi-Fini va spazzata via (come chiesto a gran voce anche dalla decine di migliaia di lettori che stanno sottoscrivendo l’appello lanciato da Repubblica), perché costituisce l’esempio più clamoroso della violazione da parte del nostro ordinamento dei principi di civiltà giuridica che impongono di fuggire la torsione criminalizzatrice delle emergenze sociali, tradendo così, nel paese di Cesare Beccaria, proprio quel diritto penale mite evocato dal presidente della Repubblica quale strada maestra per una soluzione strutturale e non solo contingente dell’emergenza carceraria.
Non solo è del tutto disumana ed inutile la risposta penale al fenomeno dell’immigrazione. Non solo è intollerabile la politica dei “respingimenti” la cui sola definizione evoca autentico orrore. Non solo è stato semplicemente criminale dissuadere il soccorso in mare con l’ampliamento e l’aggravamento delle ipotesi di favoreggiamento. Ma la Bossi- Fini ha anche trasformato in autentici lager i cosiddetti centri di accoglienza che presentano condizioni di disumanità ben peggiori di quelle, già inaccettabili, delle nostre carceri. Come raccontano le cronache incredule di queste ore, se nelle carceri vi è un problema di sovraffollamento in ambienti sottodimensionati per circa il trenta per cento degli spazi necessari, nel centro di accoglienza di Lampedusa i disperati sopravvissuti salvati dalla gente sono ora trattati dallo Stato letteralmente come bestie, fuori all’addiaccio, alla pioggia notte e giorno, protetti soltanto da sacchi di spazzatura. Sono il 300 per cento in più di quanti la struttura ne può ospitare. La situazione quindi, in questa triste graduatoria, è dieci volte peggiore di quella carceraria, e riguarda persone colpevoli di nulla. Molti di loro sono “richiedenti asilo” perseguitati da condizioni di guerra e di discriminazione nei Paesi di provenienza, ma la nostra disciplina criminogena permette che le relative pratiche giacciano anche per un anno e mezzo, nel frattempo imponendo il sostanziale “sequestro” presso i cosiddetti centri di accoglienza, tramutati in tal modo in luoghi di supplizio e oggettiva tortura.
Ed allora se è vero che è della disumanità carceraria che ci stiamo preoccupando prima ancora va risolta con decreto di urgenza questa autentica vergogna. Del resto la stessa Corte costituzionale già nel 2007, se per i limiti intrinseci del suo potere dovette definire inammissibili le questioni poste a carico di quella scellerata normativa, allo stesso tempo fu esplicita nel «rilevare l’opportunità di un sollecito intervento del legislatore volto ad eliminare squilibri e sproporzioni». Allora cos’altro si attende? Non era stato un bel segnale che la missione di ieri sull’isola di Letta e Barroso avesse in un primo tempo trascurato proprio il passaggio da quel lager quasi a voler rifiutare il confronto con la realtà. Bene che poi si sia pur frettolosamente rimediato ma ora si dia seguito intervenendo con atti di urgenza, anche quale prova della genuinità del riscontro ai principi umanitari posti a base dell’appello dolente del capo dello Stato.
Qui vi è poi l’altra prova del nove per dissipare ogni nebbia di sospetto. Se è davvero la disumanità della condizione carceraria quella che preoccupa, non vi è bisogno di largheggiare né con indulti né con amnistie, che sono istituti con ben diversa ratio e finalità. Il legislatore cui anche ieri la Consulta ha rinviato la questione, può e deve semplicemente commutare le pene in corso, dalla custodia in carcere alla detenzione domiciliare. Questo consentirebbe di abbracciare anche un novero più ampio di fattispecie e di reati, senza dare l’odiosa sensazione dell’impunità e scongiurando ogni tentazione di mascherati colpi di spugna, che (attenzione) potrebbero riguardare non solo direttamente Berlusconi (come sarebbe infine grottesco) ma, ancor più furbescamente, una serie di suoi scomodi imputati in correità (dalle olgettine ai Lavitola e ai Tarantini) nonché altri reati di colletti bianchi che vedono qui e lì interessati pure altri partiti a Roma come in periferia. Una ragione in più per tenere alta la guardia e dissipare ogni pur malevolo dubbio, nella gigantesca anomalia italiana dove persino la questione carceraria incrocia il personale destino di chi, pur portatore di conflitti crescenti a dismisura, sta ancora lì a incagliare la dinamica istituzionale.
Due banchi di prova dunque che possono consentire il ritorno ad una politica che affermi la propria più alta autonomia.



Scriviamo insieme la Carta dei diritti
il manifesto, 11-10-2013
Nicola Grigion *
Per un'Italia senza Bossi-Fini, per un'Europa senza detenzione e diritti violati Da troppi anni Lampedusa viene strumentalizzata per alimentare ansie da «invasione», per non parlare mai, paradossalmente, delle ragioni e delle storie di quelle migliaia di donne e uomini che migrano fuggendo da guerre e ingiustizie.
E anche oggi troppe voci stanno usando Lampedusa in modo strumentale. Parlare di Lampedusa, ripartire da Lampedusa, deve avere adesso invece un significato completamente diverso.
In questo senso dalle pagine del manifesto il sindaco Giusi Nicolini, invoca un cambiamento vero delle norme, della politica, dell'Europa intera, proponendo di ospitare questo auspicato processo proprio nell'isola. Dal canto nostro sappiamo che la scrittura di nuove regole può avere segni differenti. E se proprio da Lampedusa ripartisse dal basso una spinta per cambiare radicalmente l'Europa, questo Paese, le sue norme e la sua politica?
Dopo la strage di giovedì scorso, anche grazie all'appello per un canale umanitario che insieme a tantissimi abbiamo promosso dalle pagine di Melting Pot Europa, si è aperto un dibattito impensabile fino a pochi giorni fa. Cosa ci dice la petizione on-line proposta da Repubblica per cancellare la legge Bossi-Fini? Di cosa ci parla la proposta di cancellazione del reato di clandestinità se non di questo?
Agire questo spazio, mantenerlo aperto, provare a lavorare affinché si trasformi in azioni concrete, è, crediamo, un dovere di noi tutti. Ma per farlo abbiamo bisogno di metterci in cammino abbandonando l'idea che qualcuno possa farlo al posto nostro.
Perché pur essendone stati i promotori, siamo consapevoli del fatto che nonostante questi appelli abbiano contribuito ad aprire una discussione, non sono sufficienti a produrre invece una trasformazione reale delle regole che disegnano lo scenario in cui si consumano le stragi del Mediterraneo e le violazioni dei diritti di milioni di cittadini non riconosciuti all'interno dei confini europei.
C'è poi un secondo aspetto, estremamente delicato, su cui è necessario fare chiarezza. Lo spazio di discussione che si è aperto e l'idea di rivisitazione delle regole di cui oggi parlano tutti, da Napolitano a Barroso, da Alfano a Letta, non ha certo una direzione scontata. La discussione verte tutta intorno al potenziamento dei pattugliamenti di Frontex, alla riscrittura degli accordi bilaterali, all'appalto delle domande d'asilo ai paesi terzi, al recepimento delle direttive Ue, il cui termine di recepimento era stato fatto abbondantemente scadere, a qualche aggiustamento normativo. Tutto condito dalla retorica della lotta ai trafficanti, del rispetto dei diritti umani, della solidarietà europea.
Il dramma di Lampedusa ha di fatto messo in discussione la legittimità delle politiche europee e italiane in materia di immigrazione. Di conseguenza le istituzioni europee e nazionali si trovano di fronte alla necessità di riscriverne le regole, o alcune di queste, di raffinarne i meccanismi, di annunciarne la cancellazione, di attenuarne le spigolature, di ricostruire un'immagine nuova abbandonando, nella forma, quella che le ha accompagnate in questi anni, con lo scopo di poter riaffermare però, nella sostanza, l'impianto stesso dell'Europa Fortezza.
Vi è il rischio concreto che la politica istituzionale dica di voler cambiare tutto per poi invece non cambiare nulla, affogando nuovamente le speranze di milioni di donne e uomini nelle acque torbide delle larghe intese e degli egoismi europei. Tocca a tutti noi giocare la partita che si è aperta perché ogni discorso di cambiamento prenda un'altra traiettoria.
Non esistono scorciatoie. Esiste invece la possibilità di ripartire insieme perché l'incredibile disponibilità a mettersi in gioco che abbiamo registrato possa trasformarsi in un percorso di migliaia di persone, in una riscrittura delle regole attraverso un'elaborazione giuridica, politica, culturale, che sia veramente collettiva.
A partire da Lampedusa. Ritrovandoci a stretto giro insieme sull'isola, con chi sull'isola oggi chiede un cambiamento, insieme a chi ha sottoscritto gli appelli di questi giorni, a chi vuole giocare questa sfida fino in fondo, per dare vita a un grande meeting, un momento di discussione aperto, tra associazioni, collettivi, organizzazioni e singoli. Per un momento di elaborazione di proposte ma anche di costruzione di una campagna nazionale e europea per un'Italia senza la legge Bossi-Fini, per un'Europa diversa, senza detenzione, respingimenti, cittadinanze negate e diritti violati. Per far si che proprio il luogo che in questi anni ha dovuto subire le scelte della politica europea, diventi invece motore di un'ipotesi di cambiamento.
Ritroviamoci a Lampedusa per scrivere insieme la Carta di Lampedusa.
*Progetto Melting Pot Europa



Hunger games nel Mediterraneo
Internazionale, 10-11-2013
Lee Marshall
Dati della strage di Lampedusa, aggiornati alla sera del 9 ottobre:
Sopravvissuti: 155, di cui 6 donne e 2 bambini.
Morti: 302, di cui 83 donne e 9 bambini.
Dispersi: tra 60 e 80.
Con le barriere che mettiamo all’ingresso dei migranti in Europa operiamo una selezione naturale, un darwinismo del mare. Sopravvive solo chi sa nuotare e chi ha le forze per stare in mare tre ore e anche più. Guardando la proporzione di donne tra i dispersi e tra i morti, le cifre ci dicono chiaramente che le donne su quella maledetta barca affondata al largo di Lampedusa avevano all’incirca una possibilità su 20 di farcela.
Chi ha detto che il romanzo/film Hunger games è solo fantascienza? Una lotta per la vita, mors tua vita mea, del tutto simile a quello inventato dall’autrice Suzanne Collins, si sta svolgendo alle porte del nostro continente ed è uno spettacolo a cui possiamo assistere ogni giorno, grazie a internet e ai telegiornali. Ma c’è un altro aspetto di Hunger games che ricorre in questa storia: quello della differenza tra poveri e ricchi. Quelli stipati nella stiva della barca affondata il 3 ottobre (molti dei quali sono stati trovati dai sommozzatori abbracciati l’uno all’altro) erano quelli che pagavano di meno, quelli che non potevano permettersi i 500 dollari per viaggiare in coperta.
Si sono succedute e accavallate in questi giorni le visite doverose a Lampedusa di esponenti politici italiani ed europei (ho un amico fotografo che è bloccato sull’isola a causa di quest’affluenza istituzionale, che fa incetta dei pochi posti disponibili sui pochi voli). Dopo il commento giustissimo del sindaco di Lampedusa, Giusy Nicolini, che ha polemizzato dicendo “se devono venire a Lampedusa solo per fare le condoglianze possono mandare un’email”, tutti sono arrivati con una piccola offerta.
Da parte di Cécile Kyenge, la promessa di rivedere la legge Bossi-Fini; da parte di Enrico Letta, i funerali di stato per le vittime; da parte di Cecilia Malmström, commissario europeo agli affari interni, l’impegno a potenziare le operazioni Frontex di ricerca e intercettazione in mare; da parte di José Manuel Barroso, presidente della Commissione europea, la promessa di mettere a disposizione dell’Italia altri fondi (fino a 30 milioni di euro) per affrontare l’emergenza profughi.
Non metto in discussione la sincerità di queste concessioni, non dubito che chi è stato a Lampedusa in questi giorni, visitando quell’hangar trasformato in obitorio, quel centro di prima accoglienza così sovraffollato che gli ospiti arrivano a dormire in due in un vecchio congelatore, si sia veramente commosso.
Ma questa commozione non cambia il fatto che se quel centro è in quelle condizioni è colpa delle istituzioni che queste figure pubbliche rappresentano. E non cambia il fatto che i morti di Lampedusa sono la conseguenza della politica di disincentivazione dell’immigrazione messa in atto sia dall’Unione europea sia unilateralmente dai suoi stati membri. Dal 1998, più di 19mila persone sono morte annegate nel Mediterraneo nel tentativo di approdare a una vita migliore. Se fosse riuscita ad arrivare con un volo di linea (che gli sarebbe costato molto di meno), la stragrande maggioranza di questa gente oggi sarebbe viva.
Se noi crediamo che una politica di repressione nei confronti dell’immigrazione dall’Africa, dall’Asia e dal Medio Oriente sia lecita e inevitabile, allora dobbiamo preventivare i morti in mare, dobbiamo accettarli come leciti e inevitabili. Al politico che va a Lampedusa per dire “I care”, c’è una sola domanda sensata da fare: “Lei viene qua a piangere i morti, ma le leggi del governo o della commissione che lei rappresenta prevedono la morte di un certo numero di persone. Visto che lei non si è messo in viaggio per i 13 morti di Sampieri nel Ragusano, lo scorso 30 settembre, si vede che lei pensa che ci sia un numero accettabile di morti e un numero non accettabile. Potrebbe quantificare questo numero accettabile?”.
In questo momento il Libano, un paese di nemmeno cinque milioni di abitanti, sta accogliendo un milione di profughi siriani. In tutta Europa ci sono circa 300mila profughi che chiedono asilo politico, di cui circa 35mila in Italia: lo 0,059 per cento della popolazione (ma il numero di domande accolte ogni anno è ancora inferiore: 325 nel 2011). Anche aggiungendo l’immigrazione clandestina in Italia – stimata dall’Ocse nel 2010 come l’1,09 per cento della popolazione totale – le cifre sono irrisorie rispetto all’emergenza libanese.
Sconfessando i suoi senatori che hanno presentato un emendamento per l’abolizione del reato di clandestinità, l’uomo della democrazia 2.0, Beppe Grillo, si è rivelato un populista 1.0: “Quanti clandestini siamo in grado di accogliere”, grida sul suo blog, “se un italiano su otto non ha i soldi per mangiare?”.
Scusami Beppe, ma quanti italiani senza soldi per mangiare hanno accolto prigionieri alleati e partigiani durante l’ultima guerra, rischiando anche la pelle? E quanti italiani senza soldi per mangiare sono stati accolti a loro volta, in passato, da paesi che vedevano nella società aperta e multietnica un investimento nel futuro?
Basta con questo ciclo di repressione, spettacolarizzazione della tragedia e rimorso pubblico. Per quanto tempo ancora dobbiamo giocare a Hunger games nel Mediterraneo?



Gli immigrati se ne vanno e l'Italia s'impoverisce
I 32mila stranieri che nel 2011 hanno lasciato l'Italia hanno tolto alle casse dello Stato 86 milioni di euro. E' quanto risulta leggendo il Rapporto Annuale sull'Economia dell'Immigrazione 2013 realizzato dalla Fondazione Leone Moressa. Dal 2008 al 2012 in Italia c'è stato un aumento del tasso di disoccupazione straniera di 5,6 punti percentuali, da  ascrivere alla componente femminile nei servizi alle famiglie e di assistenza
la Repubblica.it, 10-10-2013
VLADIMIRO POLCHI
ROMA - Gli immigrati se ne vanno e il Paese impoverisce. Tutta colpa della crisi: i 32mila stranieri che nel 2011 hanno lasciato l'Italia hanno tolto alle casse dello Stato 86 milioni di euro. Non solo: i migranti iniziano a trovarsi in competizione con i disoccupati italiani, disposti ad accettare lavori e redditi finora rifiutati. Questi i risultati raccolti nel Rapporto Annuale sull'Economia dell'Immigrazione 2013 realizzato dalla Fondazione Leone Moressa.
Meno soldi nelle casse dello Stato. Viene stimato che le casse dello Stato siano state private di 87 milioni di euro di Irpef a seguito della "fuga" di 32mila cittadini stranieri, che nel 2011 hanno deciso di lasciare il nostro Paese. In Italia si contano complessivamente 3,4 milioni di contribuenti nati all'estero che dichiarano al fisco quasi 43,6 miliardi di euro: si tratta dell'8,3% di tutti i contribuenti e del 5,4% del reddito complessivo dichiarato in Italia. Gli stranieri dichiarano mediamente 12.880 euro (6.780 in meno rispetto agli italiani), quasi esclusivamente redditi da lavoro dipendente. Nel 2011 i nati all'estero hanno pagato di Irpef 6,5 miliardi, pari a 2.937 euro a testa.
Il nuovo mercato del lavoro. Dal 2008 al 2012 si è assistito in Italia a un aumento del tasso di disoccupazione straniera di 5,6 punti percentuali, passando dall'8,1% all'14,1% e raggiungendo 382mila immigrati senza lavoro. L'aumento dell'occupazione è da ascrivere alla componente femminile nei servizi alle famiglie e di assistenza, mentre si riduce la domanda di manodopera maschile nei comparti produttivi e dell'edilizia specie nel Nord.
Italiani vs immigrati. La crisi sta lentamente modificando gli equilibri tra occupazione italiana e straniera, la prima sempre più disposta a ricercare impieghi che da tempo sono di esclusivo appannaggio dei migranti. In particolare nell'ultimo anno si osserva una maggior afflusso di italiani tra gli operai addetti alla pulizia degli
edifici, tra il personale non qualificato nelle miniere e nelle cave, tra i conduttori di impianti per la
fabbricazione della carta, tra i venditori ambulanti, tra i vasai e soffiatori e tra il personale non qualificato
addetto alla cura degli animali.
Flop delle rimesse. Nel 2012 il volume delle rimesse ammonta a 6,8 miliardi di euro. Nel corso dell'ultimo anno si è assistito a una contrazione del 7,6%, ancora più significativa di quella registrata tra il 2009 e il 2010 (-2,6%).

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