24 ottobre 20213

ITALIANI MERCANTI DI PROFUGHI
la Repubblica.it, 23-10-2013
http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2013/10/17/news/i_mercanti_italiani-68816737/?ref=HREC1-1

 

"Accogliamoli tutti", il pamphlet di Manconi e Brinis viaggio senza retorica nelle politiche dell'immigrazione
Porte aperte L’Italia si salverà solo con gli stranieri
la Repubblica, 24-10-2013
Gad Lerner
Accogliamoli tutti, gli immigrati. Ma siamo matti? Il titolo del pamphlet di Luigi Manconi e Valentina Brinis a prima vista sembrerebbe un’astuzia dell’editore, escogitato per turbare i benpensanti: Accogliamoli tutti. Una ragionevole proposta per salvare l’Italia, gli italiani e gli immigrati (il Saggiatore, pagg. 115, euro 13). Gli autori stessi, però, ci invitano a non cadere nella trappola. Accogliamoli tutti, con le dovute precauzioni, va preso alla lettera. La loro è tutt’altro che una provocazione estremista: si tratta di governare un flusso epocale, altrimenti lacerante. Tanto meno è un richiamo ai buoni sentimenti. Anzi. Se una precauzione innerva il saggio di Manconi e Brinis, non è certo quella di solleticare l’ostilità dei prevenuti, ma semmai di non figurare predicatori di bontà o, peggio, “buonisti”: l’orrendo neologismo abusato da anni nel dibattito pubblico sull’immigrazione, funestato dalla diffidenza e dal rancore.
Manconi e Brinis enumerano le cifre avvilenti di una demografia che sembra destinare inevitabilmente l’Italia a trasformarsi in «una comunità sfilacciata e depressa, bolsa e senescente, incapace di innovazione e di invenzione». Fanno impressione, queste cifre: il censimento del 2011 registra circa 15.000 persone che si trovano nella fascia d’età 100-105 anni. Sono più di mezzo milione gli ultranovantenni. Complessivamente, gli italiani con più di 65 anni rasentano i 13 milioni. Invece i nostri vicini di casa, le popolazioni che abitano la sponda Sud del Mediterraneo, sono composte per quasi la metà di giovani al di sotto dei 25 anni. Prescindere da tale contrasto oggettivo sarebbe solo un’ingenua rimozione: qualsiasi modello di società futura implica un governo razionale dei flussi migratori, finalizzato, per quanto ciò sia possibile, a una loro ordinata integrazione.
Nessuna “mielosa retorica” dell’accoglienza, dunque. Anche perché gli immigrati «non mostrano alcuna voglia di correre in nostro soccorso». Gli ostacoli frapposti in Italia all’instaurazione di contratti di lavoro regolari, ai ricongiungimenti familiari e alla continuità dei permessi di soggiorno, perpetuano una condizione servile e ne scoraggiano la stabilizzazione. Li abbiamo incoraggiati a sentirsi estranei. Più realisticamente, si tratta quindi di disinnescare il cortocircuito tra lo stato di marginalità in cui sono ridotti troppi immigrati; e la reazione deviante, irregolare, talora criminale che questa loro marginalità provoca.
La ministra dell’integrazione Cécile Kyenge, che firma l’introduzione del pamphlet, trae la conseguenza politica di questo ragionamento: «Ai fini della sicurezza, fanno più i diritti della repressione». In altre parole, come scrivono Manconi e Brinis, «un’accoglienza dignitosa riduce significativamente insidie e minacce». Dunque è a fini utilitaristici — per il “nostro” bene — e non sulla base di un impulso di generica solidarietà, che va radicalmente capovolta la politica fin qui seguita in materia di immigrazione. Assumere come prima finalità dell’esecutivo il presidio delle frontiere, il respingimento o l’espulsione degli irregolari, è risultato miope oltre che velleitario. Ormai lo sappiamo. L’Italia, d’intesa con l’Unione Europea, deve pianificare con lungimiranza quegli ingressi che finora si è limitata a subire.
Da sei mesi Manconi è presidente della Commissione diritti umani del Senato, ma gli argomenti proposti sotto la voce Accogliamoli tutti sono di natura empirica, piuttosto che giuridica. Comunque mai ideologici. Qui si esprime il sociologo da vent’anni impegnato nella rilevazione dei comportamenti delle comunità locali costrette a fare i conti con l’immigrazione. Siamo un paese che già oggi non potrebbe fare a meno dei suoi quasi 5 milioni di stranieri residenti, l’8% della popolazione. Basti pensare che vengono dall’estero il 77,3% dei (delle) badanti. Più della metà degli addetti alle pulizie. Più di un quarto dei lavoratori edili. Quasi un terzo dei braccianti agricoli. Se dunque possiamo considerare paradossali, retoriche, le domande poste da Manconi e Brinis — ci conviene espellerli? E se andassero via tutti? E se non venissero più? — ben più concreta appare l’incognita che pende sul nostro futuro: è proprio inevitabile che a pagare il prezzo della faticosa integrazione degli stranieri debbano essere sempre e comunque i più poveri fra gli italiani?
Benché il libro sia disseminato di numerosi esempi di integrazione riuscita nelle comunità locali, avvenuta spontaneamente o più di rado guidata da amministratori capaci, non c’è dubbio che il non governo del flusso migratorio ha alimentato un contrasto fra svantaggiati. Risultato peraltro conveniente ai soliti ben noti attori politici. Né la legge Turco-Napolitano del1998, né tanto meno la Bossi-Fini del 2002 hanno consentito la pianificazione armonica dei flussi d’ingresso, orientandoli nella ricerca di lavoro regolare e di soluzioni abitative razionali. Per questo Accogliamoli tutti si conclude proponendo non solo l’abrogazione del reato di clandestinità, ma anche l’introduzione del visto d’ingresso per ricerca di occupazione; in luogo dell’irrealistica pretesa della normativa vigente, secondo cui l’incontro fra domanda e offerta di lavoro dovrebbe realizzarsi (chissà come) nei paesi d’origine.
Nessuna faciloneria. Nessuna celebrazione delle virtù del multiculturalismo. Il libro prende in esame anche i nodi più difficili da sciogliere in materia giuridica, come la poligamia e la mutilazione genitale femminile. Fenomeni certo ultraminoritari che necessitano di una gestione coerente con il nostro diritto, ma al tempo stesso finalizzata alla riduzione del danno. Per esempio la Coop ha risolto il problema della macellazione rituale della carne halal dopo un confronto con la Lega italiana antivivisezione: d’intesa con le comunità islamiche, si procede allo stordimento elettrico preventivo dell’animale da macellare, garantendo così la “convivenza dei valori”. Con la buona volontà, le mediazioni si trovano. Purché si riconosca che stiamo costruendo un nuovo modello sociale di cui l’immigrazione sarà componente vitale, non marginale. Lo Stato moderno europeo costruì quattro secoli fa il suo apparato repressivo nella lotta al vagabondaggio e nel contenimento dei pericoli sociali della miseria. Ma la distinzione fondata allora fra i “nostri” poveri da segregare e/o proteggere, mentre i poveri “forestieri” erano semplicemente da cacciare, non regge più le dinamiche della geopolitica e della demografia. Ne consegue, come scrive la Kyenge, che l’immigrazione deve farsi «progetto»; perché senza di essa non c’è ripresa né «risorgimento».
Accogliamoli tutti è proposta che sgomenterà una classe politica sprovvista di visione storica, sballottata negli anni scorsi nell’oscillazione fra la pietà e lo spavento delle emozioni popolari. Temo che non sia pronta a discutere queste ragionevoli proposte per salvare gli italiani e gli immigrati. Perfino dopo la tragedia di Lampedusa abbiamo sentito ministri riproporsi portavoce di una funzione di mero contenimento; fingendo di ignorare che, mentre loro facevano la faccia feroce, in Italia si estendevano aree di irregolarità e marginalità. Inutili sentinelle di guardia a un bidone.



Manconi: perché conviene accogliere i migranti
Corriere della sera, 24-10-2013
Alessandra Coppola
Il tempismo è perfetto. A tre settimane dal più spaventoso dei naufragi nel Mediterraneo, nel pieno della discussione sul reato di clandestinità e sulla legge Bossi-Fini, esce per il Saggiatore un pamphlet dal titolo dirompente: «Accogliamoli tutti» (120 pagine, 13 euro). Spiazzante poi nel sottotitolo: «Una ragionevole proposta per salvare l’Italia, gli italiani e gli immigrati». A firmarlo sono in due: il parlamentare del Pd Luigi Manconi, presidente della Commissione straordinaria per la tutela dei diritti umani del Senato, e la sociologa Valentina Brinis, direttrice del sito italiarazzismo.it . Lui presidente lei ricercatrice della Onlus «A Buon Diritto». Una provocazione? «No, non è quello l’intento. Direi che è un libro licenzioso e saggio», sorride il senatore. All’apparenza «audacissimo», nel suo sviluppo «si affida interamente a dati demografici, economici e sociali». Una scossa a un dibattito imbrigliato dalle ideologie, dalle reazioni di pancia e dai buonismi, sulla scorta di un’analisi saldamente fondata sulle leggi, sulle ricerche scientifiche, sui numeri. Gli autori la materia la conoscono. Luigi Manconi da tempo. Nel testo fissa una data autobiografica: Sassari, autunno del 1988, l’incontro con un venditore africano dal barista ribattezzato col cognome locale «Carboni», in un tentativo spontaneo d’integrazione. «La società italiana ha risposto all’immigrazione con una inesausta capacità di adattamento intelligente e razionale — riflette —. Ma ciò che ora serve, e che finora è stata debolissima, è la politica: quella centrale e quella locale. Una politica che abbandoni definitivamente l’idea dell’immigrato o del richiedente asilo come un nemico o una minaccia sociale». Governare il fenomeno con una visione di più ampio orizzonte, allora. E da subito, indicano gli autori, abrogare il reato di clandestinità, superare le barriere dei flussi con l’introduzione del visto d’ingresso per ricerca di occupazione. La solita bontà della sinistra? Per nulla: «Noi non vogliamo affatto bene agli immigrati», scrivono Manconi e Brinis, di nuovo sul filo della provocazione. «Nessuna retorica della solidarietà, nessun terzomondialismo — spiega il senatore —. La convivenza interetnica è necessaria, sempre faticosa, talvolta dolorosa, ma è la sola via. L’alternativa è il conflitto razziale». Lo indicano le cifre, lo confermano gli scienziati sociali: «Favorire la regolarizzazione degli immigrati, garantire loro i diritti di cittadinanza, incentivare l’integrazione è la condizione necessaria perché ci siano più sicurezza e più benessere per tutti, anche in tempo di crisi». Sono sempre gli studi a certificarlo: quando hanno i documenti e una condizione stabile, gli stranieri delinquono meno degli autoctoni. I demografi aggiungono che gli italiani invecchiano (12 milioni gli over 65enni nel Paese): una trasfusione costante di energie diventa indispensabile. E a leggere i testi di economia si scopre che, se la disoccupazione italiana cresce più di quella straniera, è perché il nostro sistema produttivo è vecchio, inadeguato, e ha ancora bisogno di lavoratori sottopagati, poco qualificati, spesso sfruttati. Come sono i migranti. Quel titolo così provocatorio, allora, «intende ribaltare stereotipi e luoghi comuni — conclude Manconi —. E vuole evidenziare il senso di una proposta politica e culturale che, in apparenza, è radicale ma che, nei fatti, si rivela assai equilibrata. E corrisponde alle esigenze del nostro sistema economico e sociale, ai problemi posti dal calo demografico e dal bisogno di nuova forza lavoro che manifestano importanti settori produttivi». Accogliamoli tutti, in sostanza, perché ci conviene.



Strasburgo: «La Bossi-Fini legge ambigua va cambiata»
Il Messaggero, 24-10-2013
David Carretta
STRASBURGO Rivedere la Legge Bossi-Fini per eliminare quelle ambiguità che ostacolano i soccorsi in mare e trasformare il reato di immigrazione clandestina in una sanzione amministrativa. È questo, in sostanza, l'invito lanciato ieri dall'Europarlamento all'Italia, in una risoluzione su Lampedusa che appoggia gran parte delle richieste italiane di più solidarietà da parte dell'Europa. Gli Stati membri devono «modificare o rivedere eventuali normative che infliggono sanzioni a coloro che prestano assistenza ai migranti in pericolo in mare», avvertono gli europarlamentari. Secondo alcuni di loro, anche se la Legge Bossi-Fini è stata modificata nel 2012 chiarendo che «non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria», i margini di interpretazione rimangono troppo ampi. «Chiediamo all'Italia di cambiare la legge», ha spiegato Juan Fernando López Aguilar, presidente della commissione Libertà pubbliche dell'Assemblea di Strasburgo. Quanto al reato di immigrazione clandestina, l'Europarlamento sottolinea che «i provvedimenti detentivi nei confronti dei migranti devono sempre costituire oggetto di decisione amministrativa nonché essere debitamente giustificati e temporanei».
LE REGOLE DI DUBLINO
In vista del Vertice europeo che si apre oggi a Bruxelles – la tragedia di Lampedusa sarà discussa domani come ultimo punto all'ordine del giorno – l'Europarlamento sostiene la posizione dell'Italia su immigrazione e asilo. «Gli eventi di Lampedusa devono rappresentare un punto di svolta per l'Europa», dicono gli europarlamentari: «L'unico modo per evitare un'altra tragedia consiste nell'adottare un approccio coordinato basato sulla solidarietà e sulla responsabilità e sostenuto da strumenti comuni». Servono più risorse finanziarie per Frontex e per l'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo. Strasburgo plaude anche alla proposta della Commissione di «avviare un'operazione di ricerca e soccorso da Cipro alla Spagna» che copra tutto il Mediterraneo. Implicitamente, viene avanzata anche la richiesta di modificare le regole di Dublino: nelle procedure d'asilo «uno sbarco non comporta necessariamente l'attribuzione della responsabilità al solo Stato nel cui territorio sono state sbarcate le persone soccorse in mare». L'Europarlamento raccomanda «la creazione di un meccanismo fondato su criteri oggettivi inteso a ridurre la pressione a carico degli Stati membri che accolgono un numero più elevato» di rifugiati.
LE DIVISIONI
Per il presidente del Consiglio, Enrico Letta, la partita al Vertice sarà comunque difficile. I paesi del Nord continuano a fare resistenza a una politica comune per fronteggiare le emergenze su immigrazione e asilo. Alcuni emendamenti comuni presentati da Italia, Francia, Spagna, Malta, Grecia, Bulgaria e Croazia hanno permesso di migliorare il testo della bozza di conclusioni. Occorre una «equa ripartizione delle responsabilità», riconosce il testo. La Task Force guidata da Commissione e Italia dovrà individuare «proposte concrete per il breve e medio periodo» entro il 3 dicembre. Ma «l'elemento contenzioso è quello che non c'è: l'asilo e la ripartizione dei rifugiati», ammette una fonte diplomatica. I paesi nordici sono contrari a cambiare approccio. Le questioni asilo e immigrazione saranno affrontate dai leader europei «in una prospettiva più ampia e di più lungo periodo» solo «nel giugno 2014», dicono le conclusioni del Vertice. Secondo il presidente del gruppo dei Socialisti e Democratici all'Europarlamento, l'austriaco Hannes Swoboda, «rinviare la discussione di fondo al giugno 2014 è una vergogna per il Consiglio europeo».



Migranti, primo sì della Ue all’Italia “Le responsabilità saranno condivise”
La bozza del vertice di Bruxelles. L’Europarlamento: cambiate la Bossi-Fini
la Repubblica, 24-10-2013
ANDREA BONANNI
BRUXELLES — Le responsabilità sulla questione immigrazione saranno condivise tra tutti i Paesi dell’Unione europea. La novità è contenuta, secondo indiscrezioni, nell’ultima versione della bozza dedicata all’emergenza migranti sulla quale si pronuncerà oggi a Bruxelles il Consiglio. Ieri, intanto, il Parlamento europeo ha chiesto l’abolizione della Bossi-Fini, là dove considera un reato il soccorso in mare degli immigrati irregolari.
L’assemblea di Strasburgo ha approvato un lungo elenco di trenta raccomandazioni indirizzati ai capi di governo che si incontrano oggi. Il punto 24 «invita l’Unione e gli Stati membri a modificare o rivedere eventuali normative che infliggono sanzioni a coloro che prestano assistenza ai migranti in pericolo in mare» e chiede di «chiarire che la prestazione di assistenza umanitaria ai migranti che si trovano in pericolo in mare va considerata positivamente e non costituisce in alcun modo un’azione sanzionabile». La risoluzione porta, tra le altre, la firma di Salvatore Iacolino e Roberta Angelilli del Ppe; di Cristiana Muscardini; di Rita Borsellino per il gruppo socialista, di Sonia Alfano e Niccolò Rinaldi per il gruppo liberale. Le raccomandazioni del Parlamento europeo non hanno potere vincolante, e i capi di governo che si trovano oggi a Bruxelles potranno anche non tenerne conto. Ma intanto nell’ultima bozza di conclusione del vertice che circolava in nottata, l’Italia, che fino all’ultimo ha negoziato col ministro Moavero e gli altri Paesi rivieraschi, raggiunge l’obiettivo di una «condivisione di responsabilità » tra Paesi europei del fenomeno migratorio. Si dà mandato alla Commissione a ai ministri dell’Interno dei 28 di presentare le loro proposte al summit di dicembre, aprendo così alla possibilità di accordi tra la Ue, i Paesi di origine, quelli di transito, nonché ad aiuti ai Paesi mediterranei nei salvataggi e nella prima accoglienza e identificazione dei migranti. Oggi a Bruxelles Letta continuerà a negoziare affinché il testo rimanga quello concordato stanotte, e che porterebbe, se approvato in questi termini, a una vera “europeizzazione” della questione migranti.
La risoluzione ricorda che «dal 1993 sono morte in mare almeno ventimila persone» e riconoscendo «gli enormi sforzi profusi dagli abitanti di Malta e dell’Italia e in particolare di Lampedusa, come pure di organizzazioni non governative quali Caritas e Croce rossa, per quanto concerne l’accoglienza iniziale di tutti gli immigrati e le relative operazioni di soccorso». Si passa poi alle indicazioni concrete, come la richiesta di aumentare i fondi a disposizione dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (Easo) e di Frontex, l’agenzia per la sorveglianza delle frontiere esterne, i cui bilanci erano stati recentemente tagliati dagli stati membri. Il Parlamento «ritiene che gli eventi di Lampedusa debbano rappresentare un punto di svolta per l’Europa e che l’unico modo per evitare un’altra tragedia consista nell’adottare un approccio coordinato basato sulla solidarietà e sulla responsabilità e sostenuto da strumenti comuni». I deputati sollecitano anche i governi «a concordare rapidamente le nuove disposizioni in materia di intercettazione per quanto riguarda le operazioni in mare svolte sotto il coordinamento di Frontex in modo da conseguire misure di soccorso efficaci e garantire che siano condotte nel pieno rispetto delle norme internazionali in materia di diritti umani». I deputati invitano infine gli stati membri «a rispettare il principio di non respingimento e a porre immediatamente fine a eventuali pratiche di detenzione inappropriata e prolungata in violazione del diritto internazionale ed europeo».



Il messaggio Ue: Roma sia più credibile prima di chiedere
l'Unità, 24-10-2013
Umberto De Giovannangeli
RIVEDERE LA BOSSI-FINI. DA IERI QUESTO MESSAGGIO VA TRADOTTO IN VENTOTTO LINGUE: quelle dei 28 Paesi dell’Ue. Si scrive «rivedere», si «legge» abolire. È il senso politico della risoluzione approvata ieri dall’Europarlamento. Una indicazione tanto più significativa perché avviene a poche ore dall’apertura del vertice del capi di Stato e di governo dell’Ue; un vertice che, su pressione italiana e sull’onda dell’immane strage di migranti a Lampedusa, ha tra i temi in agenda, quello dell’emergenza-migranti. Nei giorni successivi a quella sconvolgente tragedia, il premier Enrico Letta si era espresso a favore di un superamento della Bossi-Fini. La presa di posizione, condivisa da tutte le più importanti «famiglie» politiche europee, esplicitata ieri a Strasburgo, suona, insieme, come sostegno ma anche come pungolo all’Italia. Fare «pulizia» in casa proprio per avere carte ancor più in regola nell’esigere, a ragione, dall’Europa un impegno più forte e condiviso nel far fronte al fenomeno migratorio che investe in particolare le due sponde del Mediterraneo: è questo il salto di qualità nell’azione politica dell’Italia che oggi s’impone. E sarebbe una prova di forza, oltre che di coerenza, se oggi a Bruxelles, Letta accogliesse quanto raccomandato dalla risoluzione di Strasburgo, annunciando la volontà del governo italiano di rivedere, in tempi rapidi e nella sostanza, la Bossi-Fini. L’Italia si assume le proprie responsabilità e chiede all’Europa di fare altrettanto. Un virtuoso «do ut des». E altrettanto importante, sarebbe l’annuncio della determinazione del nostro Paese ad abolire il reato di immigrazione clandestina e le norme più retrive contenute nel pacchetto-Maroni del
2009 relative ai respingimenti. In questo modo, l’Italia dimostrerebbe ai partner europei, specie a quelli più recalcitranti, come sia possibile unire idealità e concretezza, in una politica a tutto campo a favore dei più deboli, dei più indifesi. C’è bisogno di più Europa nella gestione dei flussi migratori, ma più Europa non significa solo maggiori investimenti in Frontex, l’agenzia europea per la sorveglianza delle frontiere esterne. Significa, come rimarca peraltro la risoluzione di Strasburgo, richiamare all’obbligo giuridico dell’assistenza in mare. Significa, definire una legislatura europea in materia di diritto d’asilo. E tutto questo va fatto oggi, perché già troppo tempo è stato perduto, e con il tempo sono andate perse migliaia di vite umane, in un Mediterraneo diventato un mare di morte, tomba della speranza. Da questo punto di vista, il vertice che si apre oggi a Bruxelles non può limitarsi a istruire dossier, rinviando ad altri tempi, giugno 2014, il momento delle decisioni. Questa politica dei due tempi non sarebbe solo inaccettabile politicamente, ma indegna moralmente. Richiamare l’Europa a impegni inevasi, non vuol dire scaricare su altri responsabilità nostre. L’operazione «Mare Nostrum» avviata dall’Italia a seguito della strage di Lampedusa, è un primo passo, importante ma non sufficiente. I Paesi del Consiglio d’Europa e dell’Ue devono mostrare maggiore solidarietà «all’Italia e gli altri in prima linea sul fronte degli arrivi degli immigrati irregolari»: così recita un passaggio di un rapporto approvato all’unanimità, lo scorso 3 ottobre, dal Consiglio d’Europa. Una nota in un rapporto che boccia la politica migratoria dell’Italia. Nel testo si afferma poi che «a causa di sistemi di intercettazione e di dissuasione inadeguati», l’Italia si è di fatto trasformata in una calamita per l’immigrazione, in particolare per gli immigrati che cercano una vita migliore all’interno dell’area Schengen. E come se non bastasse nel documento si afferma che alcune delle scelte fatte dalle autorità italiane «rischiano di minare la fiducia nell’ordine legale europeo e nella Convenzione di Dublino». Infine, nel testo viene evidenziato che la strada sinora seguita dall’Italia «non ha aiutato a convincere gli altri Paesi membri della Ue a condividere la responsabilità» per i flussi in arrivo sulle coste italiane. È tempo di cambiare «strada». In Italia. In Europa. Cambiare strada, vuol dire, ad esempio, farsi carico da parte italiana, già nel vertice che si apre oggi, di chiedere che l’Europa apra canali di ingresso legale e protetto al territorio dell’Unione per le persone che hanno bisogno di protezione internazionale, perché non è più possibile che le persone in fuga da guerre e persecuzioni non abbiano altra scelta per veder riconosciuti i propri diritti di protezione che quella di affidare la propria vita nelle mani dei trafficanti.



Lampedusa Voi siete ospiti nostri
La Stampa, 24-10-2013
SIMONETTA AGNELLO HORNBY
Ho una vecchia foto di mio padre con il suo amico, il capitano Caravano, su una spiaggia deserta, i fucili poggiati a terra. Ai loro piedi, le pernici uccise durante una battuta di caccia a Lampedusa. «La più lontana delle Isole Pelagie, è selvaggia. Non ha strade asfaltate, elettricità e telefono: un paradiso ricco di pesci, uccelli e selvaggina. E gli isolani sono molto ospitali», diceva papá, e descriveva le baie di sabbia fine come il talco, il mare blu scuro e gli uccelli africani che attraversavano in lungo e largo il cielo aperto.
Quando Lampedusa divenne una meta turistica, negli Anni Settanta, affittai due stanze in una casa di pescatori che per fare spazio a noi si erano accampati nel çortile. A mezzogiorno, il profumo di pesce fritto era irresistibile per i miei bambini, che finivano sempre per pranzare con loro. Al momento di saldare il conto, la padrona di casa non volle essere pagata per tutto il ben di dio che ci aveva offerto. «È nostro dovere», disse. «Voi, come la gente che viene dal mare, siete ospiti nostri». Era come se le sue parole uscissero dai versi omerici dell'Odissea, dove naufraghi, avventurieri, semplici viaggiatori, migranti del mare trovavano ovunque approdassero l'accoglienza destinata all'ospite, a quel che di sacro l'0spite portava con sé.
Quest'isola di seimila anime ha ospitato nel Centro di accoglienza per i clandestini migliaia di migranti - uomini, donne e bambini. Ai diecimila dei Centro ora si sono aggiunti i naufraghi. E i lampedusani li ospitano, è nel loro Dna: chi bussa alla porta, affamato, riceve cibo; chi, inzuppato dalla pioggia, chiede riparo o una coperta,
li riceve. Dai primi di ottobre, Sono iniziati ad arrivare numerosi anche i morti: cadaveri da navi affondate gal- leggiano sul mare e arrivano sulle spiagge; i pescatori li tirano fuori dall'acqua. E salvano coloro che altrimenti annegherebbero.
Nel far questo, i pescatori di Lampedusa potrebbero commettere un reato, e non sanno come e quale. Possono portarli a casa loro e tenerli li fino a quando non si sono ripresi? O hanno il dovere di notificare la loro presenza immediatamente? E che succede se il clandestino li implora di non dire nulla alle autorità? Che succede se il clandestino scappa? Devono informare le autorità che è fuggito? O devono immediatamente andare a caccia di lui? Quando avviene che il samaritano è considerato dallo Stato colpevole di un reato?
L'Europa ha chiuso le frontiere, non vuole i migranti africani. Vivi o morti, sono diventati nemici. Ogni Paese della Ue ha le proprie leggi che bloccano il migrante in Centri di accoglienza, dai quali poi è trasferito ad altri campi, i Cara (Centri di Accoglienza Richiedenti Asilo), e infine i Cie (Centri di Identificazione ed Espulsione), in attesa di rimpatrio. L'Italia è andata oltre. La legge Bossi-Fini, del 2002, ingiunge il respingimento immediato dei migrante, e al contempo ha reso impraticabili le procédure di concessione di asilo imponendo limiti temporali strettissimi. Nel 2004 la Ue ha creato la Frontex, un'agenzia europea che coordina la lotta contro l'emigrazione clandestina,il controllo delle acque extraterritoriali e i salvataggi in mare. I suoi impiegati, si dice, salgono a bordo delle imbarcazioni di migranti e gettano a mare viveri e carburante, per far si che quei natanti in balia delle acque siano costretti a ritornare da dove hanno salpato. E cosi, la gente muore. Le imbarcazioni affondano. Ma alla Ue la Frontex rende un grande servigio: toglie la responsabilità ai governi individuali, e dunque li lascia con la coscienza pulita. È comodo, poter dare la colpa a un sistema. A ogni risveglio dell'opinione pubblica sconvolta da queste morti in mare, i governi approfittano per investire ancora più soldi nella lotta all'emigrazione clandestina, anziché affrontarne di petto e con cognizione di causa le origini e incanalare la migrazione nella legalità.
Le attività della Frontex hanno anche preparato il terreno per la legge del 2009 introdotta dal governo Berlusconi, che ha creato il reato di clandestinità definendo un crimine in sé l'esodo senza permessi anticipati. Un individuo non ha il diritto di lasciare il suo Paese con l'intenzione di entrare in un altro senza aver ottenuto in anticipa da quest'ultimo il permesso. Al punto d'ingresso in Italia, il migrante è trattato come un nemico. Il clandestino è equiparato a un combattente irregolare particolarmente insidioso, perché si nasconde e non opera a viso scoperto e in uniforme. Bollato, è un pericolo sociale.
Le leggi di Berlusconi non sanciscono che chi salva un naufrago commette un reato, ma colpevolizzano coloro che al naufrago danno un tetto, coloro che lo nutrono, lo coprono e lo curano senza segnalarlo alle autorità. L'isola è trau- matizzata dai cadaveri spinti dalle onde sul bagnasciuga, dai sopravvissuti comatosi e disperati, da madri e figli emaciati. Dalla disperazione dei superstiti. Ed è logorata dalle visite delle istituzioni, dal Papa al presidente della Commissione europea, dal presidente della Camera dei Deputati ai ministri del governo, fino alle celebrity. Belle parole, lacrime agli occhi, le fotografie di rigore. I politici si commuovono. Alcuni dimenticano le leggi disumane del 2002 e del 2009 e incoraggiano quanti salvano i naufraghi a continuare; nessuno dei politici si e impegnato a fare il possibile per abrogarle.
Il migrante che arriva a Lampedusa non si ferma li. Sarà trasferito eventualmente - dopo mesi o anni - in un Cara. Anna Aloisi, sindaco di Mineo - una bella signora dai capelli rossi, giovane madre e avvocato -, mi ha detto che, su una popolazione di 5150 abitanti, la presenza dei 6000 ospiti del Cara pesa molto. Lei e la sua amministrazione li accolgono a braccia aperte e cercano di integrarli con la cittadinanza. Il sindaco conferma che le agenzie siciliane e regionali hanno lavorato insieme e bene in questi anni di costante emergenza, per rendere meno penosa la condizione dei migranti. «Sono persone come noi; chiediamo che si comportino in modo civile e cerchiamo di inserirli nella comunità, soprattutto le donne e i bambini. Le scuole sono sensibilizzate alle loro esigenze e i bambini fanno subito amicizia. Il problema è nelle campagne: gli uomini che non hanno niente da fare girano per i campi e a volte rubano. Non tutti, alcuni. Ma i proprietari terrieri sono allarmati. Basterebbe raddoppiare i cento carabinieri che abbiamo a disposizione. Io cerco di farli sentire a loro agio in paese, i migranti». E poi aggiunge, imbrazzata: «Mi chiamano mamma sindaco, o semplicemente mamà».
La stampa e l'intellighenzia parlano di dare medaglie agli abitanti di Lampedusa. Le meritano anche quelli di Mineo, e chissà quanti altri ancora. Ma le medaglie non servono a niente, sono un «contentino» che fa più bene a chi lo dà che a chi lo riceve.
La mia isola ha reagito con generosità di fronte ai migranti e ai clandestini li ha trattati da pari. Quanti lavora- no sul territorio sanno bene che bisogna darsi da fare per abrogare le due leggi inique, accorciare i tempi ammi- nistrativi, snellire le pratiche burocratiche e aumentare il personale per esaminare le richieste di asilo e permette- re ai residenti dei campi di lavorare. Tutta l'Europa deve scuotersi e cominciare a pensare razionalmente e in modo costruttivo. In un continente che non si rinnova attraverso le nascite, l'immigrazione di persone ehe sanno leggere e scrivere e probabilmente conoscono già un mestiere può essere solo una ricchezza: sono dei giovani sani e desiderosi di lavorare. L'Europa deve incanalare e indirizzare l'immigrazione, e organizzare Paese per Paese l'assorbimento di queste nuove forze e di questo nuovo sangue.
I migranti lasciano la loro terra con la speranza di migliorare economicamente e dunque vogliono lavorare, come gli altri che fuggono dal proprio Paese per evitare guerra e tortura. Chi arriva in quel mare di Lampedusa porta con sé prima di tutto la speranza di sopravvivere, ma con questa anche il sogno di avere un futuro e di dare un futuro ai propri figli, il sogno che ci sia qualcosa di simile a una terra promessa. Che abisso fra le speranze che tengono in yita i migranti nel loro viaggio via terra e la pochezza, la grettezza, la politica senza lungimiranza del Paese che li attende di là dal mare. E se si tiene conto del fatto che quel viaggio via terra è un viaggio su camion stipati di corpi, al freddo, al caldo, senza cibo, costretti a pagare, pagare, pagare a ogni tappa - se si tiene conto di questo, il loro sogno gettato sui barconi assume una straziante evidenza. L'Occidente è incapace di pensare se non in termini difensivi. Non produce né una grande economia, né una grande politica. Noi, cittadini italiani, dobbiamo confrontarci con il protezionismo miope della Ue, con le normative e i regolamenti iniqui del nostro Parlamento; non dobbiamo dimenticare che siamo una nazione di emigranti in Europa e negli altri continenti.
Non sono fiera di essere europea e non posso essere fiera di essere italiana. Sono fiera di essere conterranea della signora di Lampedusa che trent'anni fa mi disse «voi, come la gente che viene dal mare, siete ospiti nostri», e del dottor Bartalo, medico condotto di Lampedusa, che nonostante una ischemia, ha continuato a lavorare giorno e notte per i suoi pazienti. E sono fiera dei tanti siciliani che - da sindaci, da amministratori, da impiegati e da civili - si danno da fare in silenzio per accogliere i migranti nella comunità.



In sciopero della fame i superstiti del naufragio: «Vogliamo risposte»
l'Unità, 24-10-2013
Uno sciopero della fame per ottenere dalle istituzioni italiane risposte concrete sulla loro sorte. A deciderlo sono stati i superstiti dei naufragi di Lampedusa, ancora in attesa sull’isola da quelle tragiche giornate, nel centro di accoglienza.
«Sono frustrati ha spiegato ai microfoni della Radio Vaticana il sacerdote eritreo don Mussie Zerai presidente della ong Habeshia per il fatto che non stanno ricevendo risposte, né l’assistenza dovuta».
Il sacerdote eritreo si trovava a Lampedusa per una preghiera comune con i superstiti in suffragio delle 366 vittime: i profughi, ai quali non era stato consentito di prendere parte alla commemorazione del 21 ottobre ad Agrigento, hanno però organizzato uno sciopero della fame. «Sono stati vittime ricorda don Zerai di un naufragio drammatico e ora si chiedono che fine ha fatto la disponibilità di Roma Capitale, ribadita dal sindaco di Roma, ad accoglierli. Molti di loro non vogliono rimanere in Italia, ma vorrebbero raggiungere i loro familiari nel Nord Europa». L’Italia resta infatti per la maggior parte dei migranti solo una via di passaggio, verso Paesi con una situazione economica più florida della nostra. «Inoltre aggiunge il sacerdote eritreo la situazione umanitaria nel centro di accoglienza resta molto grave e molti di loro non hanno superato il trauma psicologico del naufragio».



“Essere o non essere... Italiani”: disponibile la seconda scheggia di ZaLab sulla cittadinanza alle seconde generazioni.
La storia di Phaim, 17, bengalese nato a Roma nel quartiere di Tor Pignattara.
Immigrazioneoggi, 24-10-2013
Phaim ha 17 anni ed è il più giovane videomaker di ZaLab. È nato in Italia da genitori del Bangladesh e vive nel quartiere multietnico di Tor Pignattara a Roma. È qui, nella cosiddetta “Banglatown” della capitale, che è ambientato Essere o non essere... Italiani: il viaggio di Phaim tra i suoi coetanei, adolescenti di origine bangladese, che raccontano con insofferenza ed ironia il loro sentirsi “ponte” tra due culture, al di là di classificazioni, identificazioni e steccati. Sono giovani che si sentono più a loro agio tra gli italiani che nella loro comunità di origine, che pensano, parlano e mangiano italiano.
Dopo Italeñas, con questa nuova “scheggia”, ZaLab, torna a parlare del tema della cittadinanza e a dar voce ai giovani di “seconda generazione”. Il corto fa seguito alla campagna Insieme per lo ius soli, un appello alla società civile e alle associazioni, lanciato nel maggio del 2013, per chiedere una nuova legge sulla cittadinanza. Si può aderire all’iniziativa diffondendo i video di Zalab sulla rete e utilizzando il semplice claim comune Insieme per lo ius soli (hashtag #proiussoli).
Le Schegge di Za sono una serie di documentari brevi prodotti da ZaLab con il sostegno di Open Society Foundations sulle più gravi emergenze democratiche dell’Italia di oggi. Lo scopo delle Schegge è raccontare le molte violazioni di diritti fondamentali che attraversano il Paese e raccogliere la voce di chi le vive sulla propria pelle, fuori dagli schemi e dalle semplificazioni giornalistiche. Le Schegge di Za sono distribuite sopratutto sul web e nell’ambito di campagne di sensibilizzazione e advocacy.



Treviso: cittadinanza onoraria ai figli di stranieri nati in Italia.
Gesto simbolico e politico per lo ius soli.
Immigrazioneoggi, 24-10-2013
Il Comune di Treviso ha annunciato che intende conferire la cittadinanza onoraria ai bambini figli di stranieri ma nati in Italia, segnando un ulteriore passo avanti nel dibattito sullo ius soli. Anna Cabino, assessore alle politiche all’immigrazione, ha dichiarato che questo riconoscimento è volto a far capire ai bambini e alle loro famiglie “che fanno parte della nostra comunità e che la comunità li accoglie, ma vuole essere anche un messaggio per il Governo a favore dello ius soli, ossia il riconoscimento della cittadinanza piena ai bimbi nati in Italia, a prescindere dalla nazionalità dei genitori”.
In realtà, la cittadinanza onoraria non ha un valore giuridico ma è un forte segnale politico rivolto alle istituzioni affinché lo ius soli diventi un diritto. L’annuncio di questa iniziativa è stato dato, ancor più simbolicamente, a margine della cerimonia per il conferimento della cittadinanza italiana a un attivista tunisino di Treviso, Ben Mohammed, in Italia dal 2000.
L’assessore auspica anche che sia il ministro dell’integrazione Cecile Kyenge a conferire la cittadinanza onoraria ai bambini, possibilmente entro Natale.

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