SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)

12 settembre 2013 (*)

«Politica sociale – Parità di trattamento tra uomini e donne – Direttiva 76/207/CEE – Contratto di lavoro a tempo determinato concluso prima dell’adesione dello Stato membro – Scadenza del termine successivamente all’adesione – Regime di lavoro che fissa la data di scadenza del contratto nell’ultimo giorno dell’anno di raggiungimento dell’età pensionabile – Differenza di età tra uomini e donne»

Nella causa C‑614/11,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dall’Oberster Gerichtshof (Austria), con decisione del 25 ottobre 2011, pervenuta in cancelleria il 30 novembre 2011, nel procedimento

Niederösterreichische Landes-Landwirtschaftskammer

contro

Anneliese Kuso,

LA CORTE (Quinta Sezione),

composta da T. von Danwitz, presidente di sezione, A. Rosas (relatore), E. Juhász, D. Šváby e C. Vajda, giudici,

avvocato generale: N. Wahl

cancelliere: A. Impellizzeri, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 31 gennaio 2013,

considerate le osservazioni presentate:

–        per la Niederösterreichische Landes-Landwirtschaftskammer, da B. Hainz, Rechtsanwalt,

–        per A. Kuso, da C. Henseler, H. Pflaum, P. Karlberger, W. Opetnik, Rechtsanwälte, e P. Rindler, Rechtsanwältin,

–        per la Commissione europea, da V. Kreuschitz e C. Gheorghiu, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 1, lettere a) e c), della direttiva 76/207/CEE del Consiglio, del 9 febbraio 1976, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40), come modificata dalla direttiva 2002/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002 (GU L 269, pag. 15) (in prosieguo: la «direttiva 76/207»).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Niederösterreichische Landes‑Landwirtschaftskammer (Camera regionale dell’agricoltura del Land Bassa Austria) (in prosieguo: la «NÖ-LLWK») e la sig.ra Kuso, in merito alla cessazione del rapporto di lavoro di quest’ultima.

 Contesto normativo

 Diritto dell’Unione

3        L’articolo 2 della direttiva 76/207 così recita:

«1.      Ai sensi delle seguenti disposizioni il principio di parità di trattamento implica l’assenza di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia.

2.      Ai sensi della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni:

–        Discriminazione diretta: situazione nella quale una persona è trattata meno favorevolmente in base al sesso di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga,

(...)».

4        L’articolo 3 di detta direttiva così dispone:

«1.      L’applicazione del principio della parità di trattamento tra uomini e donne significa che non vi deve essere discriminazione diretta o indiretta in base al sesso nei settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto attiene:

a)      alle condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione indipendentemente dal ramo di attività e a tutti i livelli della gerarchia professionale, nonché alla promozione;

(...)

c)      all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione come previsto dalla direttiva 75/117/CEE;

(...)».

5        La direttiva 76/207 è stata abrogata dalla direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (GU L 204, pag. 23), con effetto, come precisato all’articolo 34 di quest’ultima direttiva, a decorrere dal 15 agosto 2009. La direttiva 2006/54 non è applicabile ai fatti del procedimento principale.

 La normativa austriaca

6        La legge sulla parità di trattamento (Gleichbehandlungsgesetz, BGBl, I, 66/2004), che ha trasposto, segnatamente, la direttiva 76/207, enuncia, all’articolo 3, intitolato «Parità di trattamento nei rapporti di lavoro»:

«Nessuno può essere oggetto di discriminazioni dirette o indirette fondate sul sesso, in particolare mediante riferimento alla sua situazione matrimoniale o familiare, nell’ambito di un rapporto di lavoro, segnatamente

1.      all’atto della costituzione del rapporto di lavoro,

(…)

3.      nel corso della concessione di prestazioni sociali facoltative diverse dalla retribuzione,

(…)

7.       alla cessazione del rapporto di lavoro».

7        Il rapporto di lavoro della sig.ra Kuso è disciplinato dalla legge del 1921 sul rapporto di lavoro impiegatizio (Angestelltengesetz 1921). In particolare, l’articolo 19, paragrafo 1, di questa legge stabilisce che un contratto di lavoro cessa alla scadenza del periodo per il quale esso è stato concluso.

8        Dalla decisione di rinvio risulta che il contratto di lavoro a tempo determinato della sig.ra Kuso era soggetto al regime di lavoro e di retribuzione della Niederösterreichische Landes‑Landwirtschaftskammer (Dienst- und Besoldungsordnung der Niederösterreichischen Landes-Landwirtschaftskammer) (in prosieguo: il «DO»). Secondo il giudice del rinvio, si deve considerare detta disposizione di legge come parte del complesso della normativa nazionale in relazione alla quale viene chiesto alla Corte di fornire un’interpretazione del diritto dell’Unione.

9        Detto regime limita il diritto di licenziamento del datore di lavoro, stabilendo un regime speciale secondo cui i dipendenti, tranne nel caso di colpa grave, possono essere licenziati solo per taluni determinati motivi.

10      Il DO contiene le seguenti disposizioni:

«Articolo 25 – Risoluzione del rapporto di lavoro

1)       Il rapporto di lavoro dei lavoratori che hanno ottenuto lo status di aventi diritto alla pensione cessa:

a)      con il collocamento a riposo temporaneo o permanente

(...)

2)      Il rapporto di lavoro dei lavoratori che hanno ottenuto lo status di lavoratori che non possono essere licenziati cessa:

a)       con il raggiungimento del limite d’età

(...)

3)      Il datore di lavoro può, inoltre, porre fine al rapporto di lavoro di un lavoratore che ha ottenuto lo status di lavoratore che non può essere licenziato, contro la volontà di quest’ultimo,

(...)

c)      se, alla data di cessazione del rapporto di lavoro, il lavoratore, in applicazione della normativa in materia di previdenza sociale, abbia acquisito, autonomamente, il diritto ad una prestazione pensionistica.

Articolo 26 – Collocamento a riposo

1)      Il collocamento a riposo temporaneo o permanente del lavoratore contro la sua volontà rientra nella competenza esclusiva del comitato direttivo della [NÖ‑LLWK] ed è soggetto alle disposizioni del regime pensionistico.

(...)

Articolo 65 – Collocamento a riposo permanente

I lavoratori di sesso maschile vengono collocati a riposo permanente alla fine dell’anno civile in cui compiono 65 anni e i lavoratori di sesso femminile alla fine dell’anno civile in cui compiono 60 anni».

 Procedimento principale e questione pregiudiziale

11      Dal 1° marzo 1967 la sig.ra Kuso ha lavorato come dipendente presso la NÖ‑LLWK nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Il 1° gennaio 1980 accettava, mediante il ricorso ad un contratto tipo che integrava il DO, di ottenere lo status di lavoratore che non poteva essere licenziato, con la conseguenza che il contratto assumeva durata determinata ai sensi dell’articolo 25, paragrafo 2, del DO.

12      La sig.ra Kuso ha raggiunto l’età di 60 anni nel 2008. Il 18 luglio 2008 il capo del servizio del personale l’informava telefonicamente che la sua richiesta di proseguire l’attività lavorativa oltre l’età del pensionamento era stata respinta nella riunione del consiglio di amministrazione della NÖ-LLWK del 14 luglio 2008. Quest’ultimo aveva deciso che il rapporto di lavoro sarebbe terminato alla fine del 2008. Con lettera del 25 luglio 2008, veniva comunicato alla sig.ra Kuso che la proroga del suo rapporto di lavoro oltre il 31 dicembre 2008 non era stata autorizzata e che, di conseguenza, il suo rapporto di lavoro era considerato risolto al 31 dicembre 2008.

13      La sig.ra Kuso contestava la legittimità della cessazione del proprio rapporto di lavoro dinanzi al Landesgericht Korneuburg (Tribunale regionale di Korneuburg). La sentenza emessa da quest’ultimo il 21 gennaio 2009, ad essa sfavorevole, veniva riformata con sentenza pronunciata il 18 marzo 2010 dall’Oberlandesgericht Wien (Corte d’appello di Vienna) quale giudice d’appello in materia di diritto del lavoro e della previdenza sociale. La NÖ-LLWK ha dunque proposto un ricorso per cassazione («Revision») dinanzi all’Oberster Gerichtshof (Suprema Corte).

14      Il giudice del rinvio sottolinea, anzitutto, che il DO, il quale forma parte integrante del contratto di lavoro della sig.ra Kuso, prevede, segnatamente, che il rapporto di lavoro cessi l’ultimo giorno dell’anno in cui il dipendente raggiunge l’età del pensionamento. Orbene, tale età varia a seconda del sesso dei dipendenti, vale a dire 60 anni per le donne e 65 anni per gli uomini. Inoltre, il contratto di lavoro di cui trattasi è stato concluso prima dell’adesione della Repubblica d’Austria all’Unione europea, mentre la scadenza di tale contratto è avvenuta successivamente a questa adesione. Alla luce dei principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento nonché della rilevanza del diritto alla parità di trattamento tra uomini e donne, il giudice del rinvio si interroga sull’ambito di applicazione temporale e materiale della direttiva 76/207.

15      L’Oberster Gerichtshof rileva, in secondo luogo, che, sebbene esistano numerose analogie tra il procedimento principale e la causa da cui è scaturita la sentenza del 18 novembre 2010, Kleist (C‑356/09, Racc. pag. I‑11939), esso se ne distingue quantomeno sotto due profili.

16      In primo luogo, il giudice del rinvio osserva che, nella causa che ha dato luogo alla citata sentenza Kleist, era stato posto termine al rapporto di lavoro della sig.ra Kleist sulla base di un contratto collettivo, considerato quale norma di applicazione generale, mentre il rapporto di lavoro della sig.ra Kuso è disciplinato da un contratto individuale di lavoro concluso a tempo determinato.

17      In secondo luogo, in detta causa, la cessazione del rapporto di lavoro aveva avuto luogo mediante licenziamento. Orbene, un licenziamento siffatto non è avvenuto nel caso della sig.ra Kuso. Il rapporto di lavoro oggetto del procedimento principale si fonda su un contratto di lavoro a tempo determinato ed è cessato in seguito alla scadenza di tale contratto. Poiché simili rapporti di lavoro terminano, di regola automaticamente alla loro scadenza, senza necessità di una dichiarazione in tal senso, il giudice del rinvio si chiede quindi se occorra distinguere le circostanze del procedimento principale da quelle sulle quali la Corte è stata chiamata a pronunciarsi nella citata sentenza Kleist, o se sia possibile traslare al procedimento principale la soluzione adottata dalla Corte in detta sentenza.

18      Reputando che la soluzione della controversia dinanzi ad esso pendente dipenda dall’interpretazione del diritto dell’Unione, l’Oberster Gerichtshof ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 3, paragrafo 1, lettere a) e c), della direttiva 76/207 (…) osti ad una normativa nazionale in base alla quale la sussistenza di un’eventuale discriminazione fondata sul sesso connessa con la fine di un rapporto di lavoro – che avvenga esclusivamente in seguito alla scadenza di un contratto individuale di lavoro a tempo determinato concluso prima dell’entrata in vigore della direttiva medesima (nella fattispecie prima dell’adesione della Repubblica d’Austria all’Unione europea) – debba essere verificata non alla luce delle pattuizioni contrattuali concluse, nel periodo antecedente all’adesione, attinenti alla scadenza del contratto di lavoro, intese quali “condizioni relative al licenziamento”, bensì soltanto con riguardo al diniego di proroga del contratto, inteso quale “condizione relativa all’assunzione”».

 Sulla questione pregiudiziale

19      Con detta questione, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se l’articolo 3, paragrafo 1, lettere a) o c), della direttiva 76/207 debba essere interpretato nel senso che una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, consistente in un regime di lavoro che formi parte integrante di un contratto di lavoro concluso prima dell’adesione dello Stato membro interessato all’Unione, e che preveda che il rapporto di lavoro cessi al raggiungimento dell’età pensionabile, la quale differisca in funzione del sesso del lavoratore, costituisca una discriminazione vietata da detta direttiva, quando il lavoratore interessato raggiunga tale età in un momento successivo all’adesione.

 Osservazioni presentate alla Corte

20      La NÖ-LLWK ritiene che, nel procedimento principale, la mera scadenza del contratto sia sufficiente per porre fine al rapporto di lavoro. Orbene, il rapporto di lavoro della sig.ra Kuso non è cessato in seguito a licenziamento, bensì a causa della scadenza del contratto di lavoro a tempo determinato. L’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 76/207, riguardando unicamente i licenziamenti, non potrebbe essere invocato. Inoltre, poiché il regime di lavoro che disciplina il contratto di lavoro oggetto del procedimento principale è anteriore all’adesione della Repubblica d’Austria all’Unione, una normativa nazionale, come quella in esame nel procedimento principale, non potrebbe costituire una discriminazione ai sensi di detta direttiva. Secondo la NÖ-LLWK, pertanto, la questione sollevata dovrebbe essere esaminata solamente sotto il profilo di una «condizione relativa all’assunzione», il che ne implicherebbe l’esame alla luce dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 76/207.

21      Per contro, la sig.ra Kuso e la Commissione europea sostengono che la questione sollevata deve essere esaminata unicamente sotto il profilo della cessazione del rapporto di lavoro. Poiché il contratto di lavoro è un contratto ad esecuzione successiva, occorre tenere presente che gli effetti di un contratto di tal genere, con l’adesione della Repubblica d’Austria all’Unione, rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 76/207. Di conseguenza, dovrebbe essere respinto l’argomento relativo al fatto che il contratto di lavoro di cui trattasi nel procedimento principale sia stato concluso prima di detta adesione ed occorrerebbe esaminare la questione summenzionata alla luce dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), di tale direttiva.

 Risposta della Corte

22      Occorre verificare se, come sostengono la sig.ra Kuso e la Commissione, la cessazione del rapporto di lavoro sulla base dell’articolo 25, paragrafo 2, lettera a), del DO rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 76/207.

23      In primo luogo, è necessario esaminare se quest’ultima disposizione si applichi rationae temporis in una situazione come quella in esame nel procedimento principale.

24      Per garantire l’osservanza dei principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento, le norme dell’Unione di diritto sostanziale devono interpretarsi nel senso che si possono applicare a situazioni createsi anteriormente alla loro entrata in vigore soltanto in quanto dalla lettera, dallo scopo o dallo spirito di tali norme risulti chiaramente che dev’essere loro attribuita efficacia retroattiva (v., segnatamente, sentenza del 29 gennaio 2002, Pokrzeptowicz‑Meyer, C‑162/00, Racc. pag. I‑1049, punto 49 nonché giurisprudenza ivi citata).

25      Occorre tuttavia ricordare che la nuova norma si applica immediatamente agli effetti futuri di una situazione creatasi quando era in vigore la norma precedente (sentenze del 10 luglio 1986, Licata/CES, 270/84, Racc. pag. 2305, punto 31, e Pokrzeptowicz‑Meyer, cit., punto 50). La Corte ha dichiarato altresì che, dal momento dell’adesione, le disposizioni dei Trattati originari vincolano i nuovi Stati membri e vi sono applicabili alle condizioni previste da questi Trattati e dall’Atto di adesione di cui trattasi (v. sentenza del 2 ottobre 1997, Saldanha e MTS, C‑122/96, Racc. pag. I‑5325, punto 13).

26      Per quanto riguarda la direttiva 76/207 e il procedimento principale, l’Atto relativo alle condizioni di adesione della Repubblica d’Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia e agli adattamenti dei trattati sui quali si base l’Unione europea (GU 1994, C 241, pag. 21 e GU 1995, L 1, pag. 1) è entrato in vigore il 1° gennaio 1995. Ai sensi dell’articolo 2 di tale Atto, «[l]e disposizioni dei trattati originari e gli atti adottati dalle istituzioni prima dell’adesione vincolano i nuovi Stati membri dal momento dell’adesione e si applicano in tali Stati alle condizioni previste da detti trattati e dall’atto medesimo». In proposito, l’allegato XV a detto Atto, cui rinvia l’articolo 151 di quest’ultimo, concerne espressamente la direttiva 76/207.

27      Poiché le disposizioni dell’Atto di adesione menzionato nel punto precedente non hanno previsto condizioni specifiche riguardo all’applicazione della direttiva 76/207, ad eccezione di una deroga temporale attinente al lavoro notturno delle donne che figura nel relativo allegato XV, punto V, fattispecie, questa, che non ricorre nel procedimento principale, l’Atto di adesione vincola, pertanto, la Repubblica d’Austria dalla data della sua adesione all’Unione, sicché da questo momento esso si applica agli effetti delle situazioni sorte prima dell’adesione di tale Stato membro all’Unione (v., in tal senso, sentenza Saldanha e MTS, cit., punto 14).

28      Dev’essere poi disatteso l’argomento addotto dalla NÖ-LLKW secondo cui la sig.ra Kuso, facendo valere l’applicazione, dal momento dell’adesione della Repubblica d’Austria all’Unione, delle disposizioni della direttiva 76/207 al fine di contestare la cessazione del suo rapporto di lavoro, intenderebbe rimettere in discussione i diritti acquisiti prima di tale adesione e pregiudicherebbe il principio di tutela del legittimo affidamento del suo datore di lavoro.

29      Infatti, la Corte ha già avuto modo di dichiarare che un contratto di lavoro a tempo determinato, stipulato prima dell’entrata in vigore dell’accordo europeo che istituisce un’associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Polonia, dall’altra, concluso ed approvato a nome della Comunità con decisione 93/743/Euratom, CECA, CE del Consiglio e della Commissione, del 13 dicembre 1993 (GU L 348, pag. 1), non esaurisce i propri effetti giuridici alla data della sua firma, ma continua, al contrario, a produrre regolarmente i propri effetti per tutta la sua durata (v., in tal senso, sentenza Pokrzeptowicz‑Meyer, cit., punto 52).

30      Inoltre, la sfera di applicazione del principio della tutela del legittimo affidamento non può essere estesa fino ad impedire, in generale, che una nuova disciplina si applichi agli effetti futuri di situazioni sorte sotto l’impero della disciplina anteriore (v., in tal senso, sentenza Pokrzeptowicz‑Meyer, cit., punto 55).

31      Ciò considerato, la NÖ-LLKW non poteva legittimamente attendersi che la direttiva 76/207 non avrebbe inciso in alcun modo sulle norme che disciplinavano il contratto concluso nel 1980, le quali sono divenute rilevanti solo alla cessazione di tale contratto. Di conseguenza, non si può ritenere che l’applicazione di tale direttiva dal momento dell’adesione della Repubblica d’Austria all’Unione, al fine di contestare la cessazione del rapporto di lavoro di cui trattasi nel procedimento principale, incida su una situazione anteriormente acquisita.

32      In secondo luogo, va ricordato che la Corte ha più volte dichiarato, da un lato, che l’articolo 3 della direttiva 76/207, corrispondente all’articolo 5 di quest’ultima nella sua versione originale, è incondizionato e sufficientemente preciso per essere fatto valere da un singolo nei confronti dello Stato (v. sentenze del 26 febbraio 1986, Marshall, 152/84, Racc. pag. 723, punto 52, e del 12 luglio 1990, Foster e a., C‑188/89, Racc. pag. I‑3313, punto 21), e, dall’altro, che, tra gli enti ai quali si possono opporre le norme di una direttiva idonee a produrre effetti diretti figura un organismo, il quale, indipendentemente dalla sua forma giuridica, è stato incaricato, con un atto della pubblica autorità, di prestare, sotto il controllo di quest’ultima, un servizio di interesse pubblico e che dispone a questo scopo di poteri che eccedono i limiti di quelli risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti tra singoli (v., in tal senso, sentenza Foster e a., cit., punto 22). Come osservato dal giudice del rinvio, senza che tale rilievo sia stato contestato dalle parti nel procedimento principale o dalla Commissione, la NÖ-LLWK figura tra gli organismi aventi poteri che eccedono i limiti di quelli risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti tra singoli.

33      In terzo luogo, si deve determinare se l’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 76/207 debba essere interpretato nel senso che una normativa nazionale, la quale preveda la cessazione di un rapporto di lavoro alla scadenza del relativo contratto con riferimento ad un’età che sia diversa per gli uomini e le donne, costituisca una discriminazione ai sensi di detta direttiva.

34      Va ricordato, da un lato, che la scadenza del contratto di lavoro a tempo determinato di cui trattasi nel procedimento principale è stabilita con riferimento ad un regime di lavoro, il DO, che costituisce parte integrante di tale contratto e, dall’altro, che questo regime prevede una diversa età pensionabile per i lavoratori di sesso maschile e per quelli di sesso femminile.

35      Ẻ ben vero che la Corte ha dichiarato che il mancato rinnovo di un contratto di lavoro a tempo determinato, quando questo è arrivato alla sua normale scadenza, non può, in linea di principio, essere equiparato ad un licenziamento (v., in tal senso, sentenza del 4 ottobre 2001, Jiménez Melgar, C‑438/99, Racc. pag. I‑6915, punto 45).

36      Tuttavia, per giurisprudenza costante, nell’ambito della parità di trattamento, la nozione di licenziamento va intesa in senso ampio (v. sentenze del 16 febbraio 1982, Burton, 19/81, Racc. pag. 555, punto 9; Marshall, cit., punto 34; del 26 febbraio 1986, Beets-Proper, 262/84, Racc. pag. 773, punto 36; del 21 luglio 2005, Vergani, C‑207/04, Racc. pag. I‑7453, punto 27, e Kleist, cit., punto 26).

37      In particolare, la Corte ha dichiarato, da un lato, che, nel contesto della direttiva 76/207, la parola «licenziamento» va intesa in maniera da comprendervi la cessazione del rapporto di lavoro fra il lavoratore e il suo datore di lavoro, anche nell’ambito di un regime di pensionamento anticipato (sentenza Burton, cit., punto 9), e, dall’altro, che una politica generale in fatto di licenziamenti, la quale implichi il licenziamento di una donna per il solo motivo di aver raggiunto o superato l’età alla quale ha diritto ad una pensione statale, età che, a norma delle leggi nazionali, è diversa per gli uomini e per le donne, costituisce una discriminazione in base al sesso vietata da detta direttiva (v. citate sentenze Marshall, punto 38, e Kleist, punto 28).

38      Orbene, come sottolinea la Commissione nelle sue osservazioni scritte, il regime di lavoro di cui trattasi nel procedimento principale è paragonabile a quello esaminato dalla Corte nella citata sentenza Kleist sia per il suo carattere vincolante sia per il riferimento ad un’età di collocamento a riposo diversa per i lavoratori di sesso maschile e per i lavoratori di sesso femminile.

39      Pertanto, nel procedimento principale, la cessazione del rapporto di lavoro della sig.ra Kuso in forza dell’articolo 25, paragrafo 2, lettera a), del DO, va equiparata ad un licenziamento, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 76/207.

40      Occorre poi determinare se detta cessazione del rapporto di lavoro costituisca un licenziamento vietato a norma dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 76/207. A tal fine, si deve esaminare se il motivo di tale licenziamento costituisca o meno una discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso ai sensi dell’articolo 2 della medesima direttiva.

41      In base all’articolo 2, paragrafo 2, primo trattino, della direttiva 76/207, costituisce una «discriminazione diretta» la situazione nella quale una persona sia trattata meno favorevolmente in base al sesso di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga.

42      Nella specie, dall’articolo 25 del DO risulta che il rapporto di lavoro dei lavoratori cessa al raggiungimento dell’età pensionabile. Orbene, in forza degli articoli 26 e 65 del DO, quest’ultima è di 65 anni per i lavoratori di sesso maschile e di 60 anni per i lavoratori di sesso femminile.

43      Poiché il criterio utilizzato da dette disposizioni fa espresso riferimento al sesso dei lavoratori, si deve quindi ritenere che una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, costituisce una disparità di trattamento fondata direttamente sul sesso.

44      Per determinare se detta disparità di trattamento costituisca una discriminazione vietata ai sensi della direttiva 76/207, è necessario esaminare se, in circostanze come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile si trovino in una situazione analoga.

45      Per giurisprudenza costante, la comparabilità delle situazioni può essere esaminata, in particolare, alla luce dell’oggetto della normativa nazionale che introduce la disparità di trattamento (v., in tal senso, sentenze del 9 dicembre 2004, Hlozek, C‑19/02, Racc. pag. I‑11491, punto 46, e Kleist, cit., punto 34).

46      Nel procedimento principale, gli articoli 25, 26 e 65 del DO, che stabiliscono la disparità di trattamento tra uomini e donne, riguardano le condizioni in cui può essere posto fine al rapporto di lavoro dei dipendenti.

47      Il vantaggio concesso ai lavoratori di sesso femminile, consistente nell’aver diritto a ricevere una pensione di vecchiaia ad un’età inferiore di cinque anni a quella fissata per i lavoratori di sesso maschile, non ha alcun rapporto diretto con l’oggetto della normativa che stabilisce una disparità di trattamento.

48      Detto vantaggio non colloca i lavoratori di sesso femminile in una situazione specifica rispetto a quelli di sesso maschile, dal momento che gli uomini e le donne si trovano in situazioni identiche per quanto riguarda le condizioni di cessazione del rapporto di lavoro (v. sentenza Kleist, cit., punto 37 nonché giurisprudenza ivi citata).

49      Si deve quindi ritenere che i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile si trovino in una situazione analoga.

50      Secondo l’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 76/207, che stabilisce una distinzione tra le discriminazioni dirette e le discriminazioni indirette, solo le seconde possono sottrarsi alla qualifica di discriminazione se sono «oggettivamente giustificati[e] da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento [sono] appropriati e necessari». Una siffatta possibilità, per contro, non è prevista per le discriminazioni dirette.

51      Dato che, come emerge dal punto 43 supra, una normativa nazionale come quella oggetto del procedimento principale costituisce una disparità di trattamento fondata direttamente sul sesso, la discriminazione ivi stabilita non può essere oggettivamente giustificata.

52      Ciò considerato, poiché la Corte ha rilevato, da un lato, che la disparità di trattamento istituita da una normativa, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, è direttamente fondata sul sesso e i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile si trovano in una situazione analoga, e, dall’altro, che la direttiva 76/207 non contiene alcuna deroga applicabile alle discriminazioni dirette, occorre concludere che detta disparità di trattamento costituisce una discriminazione diretta basata sul sesso vietata dalla direttiva medesima.

53      Pertanto, si deve rispondere alla questione sollevata dichiarando che l’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 76/207 deve essere interpretato nel senso che una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, consistente in un regime di lavoro che formi parte integrante di un contratto di lavoro concluso prima dell’adesione dello Stato membro interessato all’Unione, e che preveda che il rapporto di lavoro cessi al raggiungimento dell’età pensionabile, la quale differisca in funzione del sesso del lavoratore, costituisce una discriminazione diretta vietata da detta direttiva, qualora il lavoratore interessato raggiunga tale età in un momento successivo all’adesione.

 Sulle spese

54      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:

L’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 76/207/CEE del Consiglio, del 9 febbraio 1976, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, come modificata dalla direttiva 2002/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002, deve essere interpretato nel senso che una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, consistente in un regime di lavoro che formi parte integrante di un contratto di lavoro concluso prima dell’adesione dello Stato membro interessato all’Unione europea, e che preveda che il rapporto di lavoro cessi al raggiungimento dell’età pensionabile, la quale differisca in funzione del sesso del lavoratore, costituisce una discriminazione diretta vietata da detta direttiva, qualora il lavoratore interessato raggiunga tale età in un momento successivo all’adesione.

Firme


* Lingua processuale: il tedesco.