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COMUNITARIO e INTERNAZIONALE

adozioni | 23 Gennaio 2014

Straniera, madre single, lavora molto per mantenere il figlio: è giusto che lo Stato lo dichiari adottabile?

di Giulia Milizia

  La CEDU ha condannato l’Italia ex art. 8 Cedu: ha dichiarato adottabile, in assenza dello stato di bisogno ed affidato ad un’altra famiglia un minore, censurando le carenze dello Stato e gli sbagli dei servizi sociali. Deve essere dichiarato tale in casi eccezionali, in cui non rientra il nostro. È errato anche interrompere il legame madre-figlio, non prevedendo l’adozione aperta.  

 

È questo il fulcro della lite risolta dalla CEDU sez. II con la sentenza Zhou v. Italia (ric. 33773/11), emessa il 21 gennaio 2014, ennesimo intervento sul nostro diritto di famiglia, relativo a temi delicati come la declaratoria dello stato di abbandono e l’adozione del minore. Nello specifico ci si chiede se fosse stato possibile consentire un’adozione aperta per mantenere i rapporti madre figlio, pur se l’istituto è stato abrogato dalla L. 184/93. Si noti che, nello stesso giorno, la Grand Chamber ha confermato la sentenza Zambotto Perin v. Francia (ric. 4962/11) del 26/9/13 in cui, invece, era stata esclusa la violazione dell’art. 8 Cedu in un identico caso.
Il caso. Nel 2003 la ricorrente, cittadina cinese, lasciò il suo paese ed altri due figli, affidati ai suoi genitori, per venire a Padova con l’allora fidanzato da cui aspettava A., nato nel 2004. Fu lasciata prima del parto, durante il quale subì un’ischemia sì che, secondo i periti nominati nella lite che ha originato questo caso, «le sue capacità di riflessione erano state diminuite e non era in grado di pianificare un futuro con suo figlio». Essendo indigente fu affidata ai servizi sociali e fu collocata, prima, in una casa famiglia, poi, in una struttura pubblica. Trovò lavoro a Belluno presso la fabbrica di un connazionale, ma non essendoci posto per il figlio, i servizi sociali lo collocarono in un istituto, così che tornò indietro dopo appena 3 giorni. Trovò lavoro presso l’ospedale di Padova, ma a causa degli «orari altamente variabili», non poteva curare il minore sì che i servizi l’affidarono ad una famiglia per l’assistenza diurna, ma rinunciò dopo 3 mesi. Nel 2007, senza consultarli, affidò il piccolo ad una coppia di vicini mentre lei era al lavoro: fu l’inizio della fine, perché si innescò un lungo iter, conclusosi con la declaratoria dell’adottabilità del fanciullo, già affidato ad una nuova famiglia, cui era stato dato dopo la declaratoria della sua inidoneità materna. Il figlio, non «avendo più un progetto di vita comune» con lei, era turbato dai loro incontri , sempre più sporadici, per colpa degli assistenti sociali: erano stati ristabiliti dopo 10 mesi, su ordine della CDA di Venezia, cui si era rivolta la donna. Era eseguita una nuova perizia per stabilire la sua capacità di ricoprire il ruolo materno. «Secondo lo psichiatra, gli incontri di A con la madre non erano dannosi per il bambino, ma erano visti da lui come un inconveniente. Inoltre, la madre aveva delegato il suo ruolo genitoriale agli altri e lei non aveva tempo per la cura del bambino a causa del suo lavoro. Secondo l'esperto, non era in grado di esercitare il suo ruolo genitoriale, era incapace di seguire lo sviluppo della sua personalità, non era in grado di permettergli di crescere serenamente e lei era psicologicamente traumatica per il suo sviluppo». Nell’aprile 2010, perciò, fu dichiarato adottabile, così come confermato con decreto della CDA. Nel frattempo il curatore del bambino aveva chiesto di attuare il suddetto istituto, pur se abrogato, per consentire la sopravvivenza del legame madre figlio. La CDA «ha sottolineato che un'adozione legittimante aperta (o «mite» o semplice) non è contemplata dal legislatore, ma che in alcuni casi, attraverso un'interpretazione estensiva della sezione 44 d) L. 184/83, il Tribunale minorile di Bari, aveva accordato la semplice adozione in circostanze particolari, vale a dire quando era scaduto il tempo per il posizionamento in affidamento e che il reinserimento nella famiglia di origine non era più possibile. In questi casi, dato il legame emotivo tra i minori e la famiglia ospitante, il Tribunale di Bari aveva applicato la 'semplice' adozione e l’adottato ha mantenuto un legame con la famiglia biologica. La Corte d'appello trovato che c'era un vuoto legislativo in questo settore e che una situazione di abbandono poteva derivare non solo da una mancanza di sostegno materiale e morale, ma anche di comportamenti del genitore interessando anche un sano ed equilibrato sviluppo della personalità del bambino. Nel caso di specie, aveva tutti gli elementi necessari per dichiarare lo stato di adottabilità di A. e nessun problema di compatibilità con l'articolo 8 della convenzione è sorto. La Corte di Cassazione», però, ha confermato l’adottabilità perché la madre era troppo povera per seguire lo sviluppo e prendersi cura del bambino.
Quadro normativo. La materia è regolata dalla L.184/83, così come modificata dalla L.149/01 e dal Dlgs 196/03. Pur affermando che «ogni minore ha diritto ad essere educato nella sua famiglia», chiarisce che se «è rimasto temporaneamente senza adeguato ambiente familiare può essere affidato a un'altra famiglia, possibilmente con figli minori, od ad una single od ad una comunità di tipo familiare, al fine di garantirne il sostentamento, l'istruzione e la formazione. Nel caso in cui un corretto inserimento in famiglia non sia possibile, è consentito inserire il minore in un Istituto di assistenza pubblica o privata preferibilmente nella sua zona di residenza del minore (art. 8). Il Tribunale dei minori può dichiarare lo stato di adottabilità, anche ex officio, se (...) i minori sono in una situazione di abbandono, perché privi di qualsiasi supporto, morale o materiale da parte dei genitori o della famiglia obbligata a fornirlo, a meno che la mancanza di assistenza è dovuta a una causa di forza maggiore di transitorietà necessaria. (…) Rimane, perciò, la situazione di abbandono ex art. 8 (...). anche se minori si trovano in un Istituto di assistenza o se sono stati affidati ad una famiglia«. Questa causa di forza maggiore «cessa se i genitori o la famiglia affidataria rifiutano le misure di assistenza pubblica senza giustificato motivo (…)». Chiunque può denunciare queste situazioni, anche se la famiglia del minore ed i funzionari pubblici ne hanno l’obbligo. Può essere nominato un tutore od un curatore nell’interesse del bambino.
Adozione in casi particolari. Nel caso in cui il bambino continui ad avere rapporti con i parenti sino al sesto grado, se non fanno una richiesta di pre-adozione ai sensi dell’art.44 (v.§§. 24-26), lo Stato può dichiararne l’adottabilità con sentenza motivata se: «a) i genitori o altri membri della famiglia non si sono presentati durante la procedura di adottabilità ; b) la loro udienza ha dimostrato il persistere della mancanza di assistenza morale e materiale e il fallimento delle persone interessate a porvi rimedio; c) i requisiti stabiliti in applicazione dell'articolo 12 non sono stati eseguiti per colpa dei genitori».
L’interpretazione estensiva della norma. La giurisprudenza ne ha esteso l’ambito: il Tribunale di Lecce lo applica anche quando non c’è un vero e proprio abbandono, mentre per quello di Palermo il legame con la famiglia di origine deve essere sempre mantenuto se è nell’interesse del minore, interesse primario che questa legge si prefigge di tutelare. Il Tribunale dei Minori di Bari, però, dal 2009 notò che questa esegesi estensiva rischiava di compromettere lo sviluppo dei minori che, invece, intendeva tutelare, perché «i genitori biologici erano spesso contrari ad avere relazioni aperte con la famiglia di adozione».
Ulteriore giurisprudenza sul punto. Occorre integrare queste fonti, stante l’importanza di questo delicato tema. Le sentenze del Tribunale dei Minori di Perugia del 22/7/97, di Bologna del 29/5/88 prevedono che «l'impossibilità di affidamento preadottivo sussiste non soltanto nell'ipotesi in cui il minore, del quale è stato dichiarato lo stato di adottabilità, sia rifiutato dalle coppie aspiranti all'adozione a causa di una sua condizione personale anomala, ma anche qualora il distacco dagli affidatari (privi dei requisiti per l'adozione legittimante e eventualmente abusivi) possa provocare al minore seri e gravi traumi». Infine per il Tribunale di Milano del 7/02 e 27/03/07 «è consentita l’adozione speciale anche nell’ipotesi in cui tra gli adottanti fosse intervenuta separazione legale, in considerazione del superiore interesse della minore alla continuità degli affetti. Un ulteriore caso in cui è stato disposta l’adozione ex art. 44 lett. D) a idonea coppia genitoriale, nella prospettiva che fosse garantita alla minore una frequentazione con la famiglia di origine» (Trib. Min. Salerno, decreto 23/03/07; Montaruli-Battista, Profili sostanziali e processuali relativi all’adozione. Affidamento ed affidabilità; Dogliotti, Stato d’abbandono, forza maggiore e posizione dei parenti nell’adozione dei minori). Per completezza si ricordi che l’orientamento costante della Cassazione ritiene che le difficoltà economiche e gli abbandoni temporanei sono indici di inadeguatezza a svolgere il ruolo genitoriale (Cass. 17096 e 10721/13). È data grande rilevanza alle relazioni dei servizi sociali, cui è, de facto, riconosciuto un potere arbitrario sulla dichiarazione di adottabilità del minore: il giudice considera i loro rapporti sul benessere del minore s sulle misure da adottare per conseguirlo, ma non gli intendimenti dei genitori (Cass.21884/13). A questo fine supremo può essere sacrificato il legame familiare (Cass. 21607/13).
L’indigenza ed il cattivo stato di salute non connotano l’abbandono. Infatti la ricorrente lavorava molto per mantenere il figlio che, per non lasciarlo solo in sua assenza, prima era stato affidato dai servizi sociali ad una famiglia per l’assistenza diurna e, poi, dalla madre ai vicini di casa, invisi, però, agli assistenti, sì che non si poteva parlare di abbandono morale. Tra l’altro la S.C. esclude che la malattia, se temporanea, giustifichi l’adottabilità del minore (Cass. 26204/13). «Nella fattispecie, i giudici italiani hanno preferito rompere il legame di filiazione materna piuttosto che prendere positivi provvedimenti finalizzati per assistere e sostenere entrambi. Secondo lei, questo sarebbe costato molto di più allo stato in termini di denaro. Questa politica "di promuovere le adozioni, piuttosto che aiutare le famiglie che attraversano momenti difficili”, è infatti, secondo lei, in parte a causa delle difficoltà di bilancio dello stato». Il Governo, invece, rileva come A. sia stato collocato in strutture assistenziali sin dalla nascita e che le scelte dei servizi fossero corrette, «perché volte a tutelare il benessere del minore, ridandogli un po’ di serenità ed equilibrio», tanto più che la madre aveva taciuto le difficoltà sorte durante gli incontri. Ergo non c’è stata alcuna violazione dell’art. 8 Cedu, nonché degli artt. 6 §.1 e 13, per i quali, però non si chiede alcuna condanna. Per la CEDU, invece, c’è stata un’illecita interferenza dello Stato nella vita familiare della ricorrente, la cui tutela è stata lesa così come la sua continuità: l’Italia non ha fatto niente per impedire che le fosse tolto A. né i tribunali hanno concesso l’adozione semplice per mantenere detto legame.
Interferenza dello Stato e doveri di protezione. È lecita e concessa «solo se basata su una pressante necessità e se proporzionata al fine prefisso» (Couillard Maugery v. France del 1/7/04 e Pontes v. Portugal del10/4/12). In questi casi, per evitare ingerenze arbitrarie, sullo Stato gravano oneri positivi e negativi, che saranno applicati di volta in volta dopo aver fatto una compenetrazione degli interessi in gioco: da un lato deve favorire il permanere e lo sviluppo del legame con la madre (Olsson v. Svezia del 27/11/92; Nicolò Santilli v. Italia del 17/12/13), ma dall’altro devono essere garantiti i superiori interessi della salute e del benessere psico-fisico del minore (Kearns v. Francia del 10/1/08 e Johansen v. Norvegia del 7/08/96).In materia di adozioni c’è eventualmente anche quello di instaurare un legame con i genitori affidatari/adottivi. Questo e la particolare indegnità dei genitori rientrano tra le eccezioni che consentono l’interruzione di tale rapporto, ma non è un approccio corretto da adottare. L’efficacia delle misure sottese all’attuazione di detti obblighi positivi di tutela è data dalla loro rapidità (Söderbäck v. Svezia del 28/10/98 e Maumousseau e Washington v. Francia del 6/12/07). Tutto ciò è assente nella fattispecie, perchè lo Stato prima doveva sforzarsi di risolvere la crisi familiare della ricorrente, di cui doveva valutare meglio le condizioni di salute poi, semmai, agire per l’adozione, applicando quella ex art. 44, secondo la citata esegesi estensiva. Infatti «il ruolo delle autorità di protezione sociale è proprio per aiutare le persone in difficoltà e guidarle nei loro sforzi, consigliando, tra l'altro, i diversi tipi di benefici sociali disponibili, le opportunità di ottenere alloggi sociali od altri modi per superare le loro difficoltà (R.M.S v. Spagna del18/6/13). Nel caso di persone vulnerabili, le autorità devono dimostrare un'attenzione particolare e deve garantire una maggiore protezione (B. v. Romania n.2 del 19/2/13 e Todorova c. Italia del 13/1/09)».
Onere della prova. Se da un lato i giudici nazionali hanno ampia discrezionalità nel valutare la situazione nel complesso e se rimuovere o meno con urgenza il bambino dalla sua famiglia d’origine, dall’altro spetta alla madre provare la lesione dei suoi diritti. È palese perchè il minore non aveva subito abusi fisici o psicologici o violenza alcuna: solo in questi casi la CEDU ha sempre negato la violazione dell’art. 8 Cedu (Covezzi e Morselli v. Italia del 9/5/03).
Risarcimento danni. Per tutti questi motivi le è stato riconosciuto un risarcimento dei danni morali pari ad €.40.000 oltre al rimborso spese, agli oneri accessori ed agli interessi legali. L’Italia ha tre mesi di tempo per impugnare questa decisione. 



Qui la sentenza CEDU del 21 gennaio 2014, affaire Zhou v. Italia (ricorso n. 33773/11)