04 aprile 2014

L’allarme di Alfano: “Ci sono 600mila immigrati in arrivo”
Il ministro dell’Interno: “L’Ue potenzi i controlli”
La Stampa, 04-04-2014
PAOLO RUSSO
A 24 ore di distanza dalla abrogazione del reato di immigrazione clandestina con il decreto «svuota carceri» Angelino Alfano lancia l’allarme sbarchi. Ed è subito bagarre politica. «Secondo le nostre informazioni ci sono tra 300 e 600mila persone in attesa di transitare nel mediterraneo dall’Africa», rivela parlando a Palermo il Ministro dell’Interno. Previsioni da mandare in tilt il nostro già precario sistema di accoglienza, se si pensa che lo scorso anno gli sbarchi sono stati in tutto 43mila.
E i numeri del Viminale confermano che quest'anno è già boom, con llmila approdi solo da gennaio a marzo, sette volte in più che nel 2013.
Intanto è subito polemica politica, con la Lega che attacca le scelte del governo, Vescovi e terzo settore a difesa della scelta di abrogare il reato di clandestinità e Sei che da sinistra accusa Alfano di fare allarmismo pre-elettorale.
«Arriveranno in Italia flotte di barconi», prefigura Maroni. Ma per Alfano «non è una questione solo italiana». «Se non si difende la frontiera non si risolve il problema degli sbarchi», anche se per il ministro lo strumento c'è e si chiama «Frontex». Quel Moloch europeo da 100 milioni di costi, con una, chissà perché, lontana sede a Varsavia, composto di 22 aerei, 113 navi e 26 elicotteri, che avrebbe dovuto bloccare gli sbarchi e soccorrere le vittime della nuova tratta dagli schiavi, ma che fino ad ora ha più che altro imbarcato dirigenti superstipendiati. Ora Alfano chiede di potenziarlo, affrettandosi nello stesso tempo a sollecitare la modifica del trattato di Dublino, quello in base al quale i migranti sono obbligati a chiedere asilo nel Paese di approdo. «L'ltalia non può essere la prigione di chi arriva nel nostro Paese ma vuole andare da un'altra parte», ha detto il leader di Ncd, che dal punto di osservazione del Viminale sa bene quale sia diventato per noi il cuore dei problema. Gli immigrati infatti calano. Il fatto è che ad aumentare vertiginosamente sono i richiedenti asilo dai Paesi dell'Africa e del Medio oriente in ebollizione. Lo scorso anno solo i siriani hanno fatto contare ben lOmila richieste di asilo. Gente che fugge dalle guerre e dai paesi arabi in crisi dopo il fallimento delle «primavere». Persone che nella stragrande maggioranza dei casi, il 73%, «necessitano di protezione internazionale», secondo il prefetto Riccardo Compagnucci, a capo del dipartimento libertà civili degli Interni. Un flusso migratorio di esuli, rispetto al quale l'abrogato reato di clandestinità non avrebbe giocato alcun ruolo. E poi c'è da dire che ad essere stato cancellato è il reato penale, non l'illecito amministrativo che comporta l'espulsione. Con tanto di carcere se per chi rientra di nuovo. Insomma nessun liberi tutti. Anche se Maurizio Gasparri parla di «situazione al limite», mentre il coordinatore di Sei, Nicola Fratoiani, chiede l'abrogazione della Bossi-Fini. Scaramucce di primavera. Prima della bella stagio- ne che, come sempre, porterà nuovi sbarchi e nuove tragedie.



«Seicentomila migranti alle porte»
Avvenire, 04-04-2014
Alessandra Turrisi
«Da 300mila a 600mila persone in questo momento si trovano sulle coste del Nord Africa e hanno intenzione di attraversare il Mediterraneo. E il calcolo è per difetto». Le stime del ministro dell’Interno, Angelino Alfano, prefigurano un nuovo tsunami umano che dimostra come «non siamo in condizioni di emergenza, ma di immanenza. Questi anni saranno ricordati nella storia come tempo delle grandi migrazione dal Sud al Nord del mondo. Non è una questione solo italiana – aggiunge –. Ci batteremo perché questa frontiera venga difesa. C’è lo strumento: si chiama Frontex, va potenziato». Ma gli replica a distanza il direttore del Consiglio italiano per i rifugiati, Christopher Hein, che bolla questi numeri come «stime senza base reale» e «un allarmismo che non aiuta». «Bisogna riconoscere – riflette Hein – che si sta registrando un aumento effettivo degli arrivi via mare negli ultimi mesi. Dal primo gennaio sono arrivati sulle nostre coste circa 11 mila uomini. Ma attenzione agli allarmismi».
Alfano parla a Palermo, durante un pomeriggio di analisi, studio e riflessione sul tema "Una politica d’immigrazione comune per l’Europa", organizzato dall’Assemblea regionale siciliana e dalla Conferenza dei presidente dei Parlamenti regionali nel giorno in cui ricorrono i sei mesi dall’ultimo terribile naufragio al largo di Lampedusa. I corpi recuperati furono 366, «anzi 367 – ricorda la giornalista Elvira Terranova –, perché un neonato appena partorito fu trovato sott’acqua ancora attaccato alla madre col cordone ombelicale». Scorrono le immagini della tragedia e dei soccorsi, si tenta di fare il punto sulle strategie messe in campo dall’Italia e dall’Europa, in vista del semestre di presidenza italiana dell’Ue e all’indomani della depenalizzazione del reato di immigrazione clandestina.
«In questo momento migliaia di persone ambiscono a venire e questa vicenda è l’epifenomeno dell’instabilità dei regimi politici e la grande forza di organizzazioni criminali e trafficanti di morte – continua Alfano –. Bisogna chiedersi se in quei luoghi la cooperazione internazionale sta funzionando. Bisogna avviare una cooperazione giudiziaria, per portare avanti le inchieste aperte in Italia contro i mercanti di morte. L’Italia è campione del mondo di soccorso in mare e di accoglienza, lo dimostra l’operazione Mare nostrum che ha messo in salvo oltre 10 mila persone. Io ho triplicato, facendoli passare da 3 mila a 9 mila, i posti negli Sprar. Ma chiediamo la modifica del trattato di Dublino, perché l’Italia non può essere la prigione di chi arriva in Italia e invece vuole andare da un’altra parte».
È l’Europa la grande "incriminata". «Il semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione Europea è un’occasione fondamentale per l’Italia affinché all’ordine del giorno dell’Europa non ci siano solo il rigore e i conti aritmetici della spesa, ma si parli di sviluppo, di crescita e di immigrazione – sottolinea il presidente della commissione Affari esteri del Senato, Pierferdinando Casini –. Bisogna mettere al centro la politica di buon vicinato nei confronti del Mediterraneo». Ma avverte: «Fino a quando il tema dell’immigrazione sarà al centro delle campagne elettorali noi non riusciremo mai a dare un contributo serio alla soluzione di questo problema». E a distanza risponde il presidente del Consiglio Ue, Herman van Rompuy. Quella dell’immigrazione è stata una delle "questioni chiave" affrontate dal vertice Ue-Africa, sottolinea, annunciando una «dichiarazione congiunta in cinque punti, una roadmap per impedire il ripetersi di tragedie come quella avvenuta a Lampedusa» nell’ottobre scorso o «nel deserto della Nigeria».
Ma nel dibattito arriva la stoccata del presidente dell’associazione Migrantes e arcivescovo di Agrigento, Francesco Montenegro: «L’Europa si regge non sui volti degli uomini, ma sull’economia. Il rischio, quando si parla di immigrati, è che diventino statistiche e fino a qualche tempo fa anche criminali, invece che uomini e donne che hanno voglia di vivere. Mi chiedo perché bisogna morire affinché al fenomeno migratorio sia data attenzione». Una dura presa di posizione anche sulle strutture in cui tenere i migranti: «I Cie non dovrebbero esistere perché non consentono una vita dignitosa. Lampedusa è il simbolo della fallimentare politica in tema di immigrazione portata avanti nel nostro Paese».
Il sollievo per l’abolizione del reato di clandestinità serpeggia tra le istituzioni presenti. «Era ora», commenta il presidente dell’Ars, Giovanni Ardizzone. E il procuratore capo di Agrigento, Renato Di Natale, ricorda che i suoi uffici nel 2013 erano stati costretti ad aprire 16 mila fascicoli per via dei continui sbarchi: «La depenalizzazione comporterà una deflazione del carico giudiziario per tutti gli uffici, in particolare per quelli di Agrigento, intasati da migliaia di procedimenti. Avrà l’effetto di ridurre le spese e consentirà di fare una migliore lotta agli scafisti, perché il migrante potrà essere sentito come semplice testimone e sarà portato a dire con maggiore serenità quello che sa».



Il Consiglio italiano per i rifugiati: "Sono stime inverosimili"
Parla Christopher Hein direttore del Cir (Consiglio Italiano per i Rifugiati) sull'allarme lanciato dal ministro dell'Interno. "Dal primo gennaio arrivati sulle nostre coste circa 11 mila persone. In Germania i richiedenti asilo sono stati 127 mila, in Italia 27 mila"
la Repubblica.it, 04-04-2014
VLADIMIRO POLCHI
ROMA – «Stime senza base reale. Un allarmismo che non aiuta». Christopher Hein bolla così le parole del ministro dell’Interno, Angelino Alfano. Il direttore del Cir (Consiglio italiano per i rifugiati) conosce bene la situazione del Nord Africa e da anni maneggia i numeri sull’immigrazione. E ricorda che non è la prima volta che rappresentanti delle istituzioni annunciano «invasioni».
Stime inverosimili. «Bisogna riconoscere – ammette Hein – che si sta registrando un aumento effettivo degli arrivi via mare negli ultimi mesi. Dal primo gennaio sono arrivati sulle nostre coste circa 11mila uomini». Di chi si tratta? «Per lo più di rifugiati eritrei, somali e siriani. Sono proprio quest’ultimi a premere con più forza sulle frontiere libiche ed egiziane, per raggiungere il nostro Paese». Non è tutto. «Con la bella stagione sicuramente il flusso può aumentare. Ma attenzione agli allarmismi. Ricordiamoci i numeri: in Germania nel 2013 i richiedenti asilo sono stati 127mila, in Italia poco più di 27mila. Le stime del ministro dell’Interno non hanno base reale, sono numeri mai visti prima, allarmistici».
No alla chiusura, sì accoglienza. Quello che non convince Hein è soprattutto il richiamo alla difesa delle frontiere. «Lo so, la situazione in Libia è preoccupante. Ma qui parliamo per lo più di rifugiati. La parola giusta allora è accoglienza. Non difesa o chiusura delle frontiere. Ma certo l’Italia non va lasciata sola».



Ue-Africa: "Così promuoveremo l'immigrazione e salveremo vite umane"
Lotta ai trafficanti, cooperazione miglioramento dei canali di ingresso legale, riduzione del costo delle rimesse, rafforzamento della protezione internazionale. Gli impegni presi al vertice di Bruxelles
stranieriinitalia.it, 04-04-2014
Roma – 4 aprile 2014- Unione europea e Africa riconoscono i benefici delle migrazioni  per i Paesi d’origine, di transito e di sviluppo, ma sono anche “profondamente preoccupate per il serio impatto sociale e umano delle migrazioni irregolari” e per la “perdita di vite che queste comportano”.
In quest’ottica, le istituzioni dei due continenti  riunite a Bruxelles per “l’Eu-Africa Summit 2014”, ieri hanno adottato una dichiarazione di impegni congiunta. “Siamo d'accordo – si legge nel documento - su un piano d'azione per 2014-2017 centrato sulle seguenti aree chiave :
"Ci impegniamo ad aumentare i nostri sforzi nella lotta alla tratta gli esseri umani , in particolare rafforzando il partenariato e la cooperazione in materia di prevenzione , protezione e persecuzione e lotta contro chi si avvantaggia di ogni forma di sfruttamento, sia in Europa che in Africa ;
Ci impegniamo a combattere l'immigrazione irregolare, promuovendo una cooperazione globale ed efficace per evitare le conseguenze drammatiche dell’immigrazione irregolare e per salvaguardare la vita dei migranti , affrontando tutti i suoi aspetti rilevanti, come prevenzione , gestione rafforzata dell’immigrazione e delle frontiere, lotta contro il traffico di migranti , rimpatrio e riammissione ( compreso il ritorno volontario) nonchè affrontando le cause prime della migrazione irregolare.;
Ci impegniamo a rafforzare il nesso tra migrazione e sviluppo, anche intensificando gli sforzi per ridurre significativamente i costi delle rimesse, consolidare l’Istituto africano per le rimesse e rafforzare le politche per la Diaspora;
Siamo d'accordo a favorire la migrazione legale e la mobilità , organizzando meglio la migrazione legale e promuovere la mobilità ben gestita tra e all'interno dei continenti;
Siamo d'accordo a rafforzare la protezione internazionale, anche attraverso l’implementazione di strumenti internazionali e regionali per la protezione di rifugiati, richiedenti asilo e sfollati”.



Pozzallo - L’ordinaria disumanità dell’accoglienza straordinaria
da un’inchiesta di Alessandra Sciurba e Letizia Palumbo
Melting Pot, 04-04-2014
Alessandra Sciurba

Per trovare il CPSA di Pozzallo è bastato avvicinarsi alla cittadina e iniziare e seguire i ragazzi africani che camminavano quasi in processione sulla strada deserta.
Dove andate?
Non lo sappiamo. È la prima volta che possiamo uscire.
Arrivati il 20 marzo a Pozzallo, nei giorni degli “sbarchi” di 2000 persone simultaneamente dalle Navi di Mare Nostrum, questi ragazzi sono rimasti rinchiusi nel centro almeno fino al 28 Marzo, data in cui li incontriamo, senza il permesso di uscire fuori.
In realtà c’è stato un unico giorno, aggiungono, in cui effettivamente sono usciti dal centro. Quello precedente, in un pullman scortato dalla polizia sono arrivati in un paese vicino che non sanno identificare, a due ore di strada. Portati in degli uffici, raccontano, gli sono state prese le impronte digitali e gli è stato messo al polso un braccialetto di plastica con un numero. Ce l’hanno tutti ancora addosso.
Solo a quel punto gli è stato dato un foglio con la fotocopia della loro foto, l’indirizzo del CPSA e lo stesso numero che li identifica, e gli è stato permesso di allontanarsi dal centro durante il giorno. Fossimo arrivate il giorno prima, non avremmo incontrato nessuno visto che l’accesso al CPSA è precluso a tutti i non autorizzati.
Raccontano di essere stati intercettati in mare e portati sulla grande nave militare italiana. Di avere dormito sul ponte, di non essere stati identificati a bordo ma di essere stati comunque separati per nazionalità prima di arrivare al porto.
Confermano tutti la stessa cosa, dicono che adesso sono rimasti in 110 a guardare per la prima volta l’Italia dalle viuzze di questo paese di mare, nella totale incertezza di quello che accadrà. Quasi tutti senegalesi e gambiani.
Cosa aspettate adesso?
Non lo sappiamo. Dicono che dobbiamo stare qui e ci daranno dei documenti.
Nessuno gli ha chiesto nulla oltre le generalità. Nessuno li ha informati della possibilità di chiedere asilo. Forse perché a prescindere dalle storie individuali si ritiene che chi viene via dal Gambia o dal Senegal non ne abbia diritto. Eppure qualcuno racconta che in Casamans ci sono disordini continui, che gli scontri sono all’ordine del giorno.
Ma non mi hanno chiesto nulla della mia storia
Il pensiero che più li tormenta non è comunque, non ancora, quello del loro futuro prossimo. Vogliono solo chiamare a casa, dire alle persone che hanno lasciato indietro, ai loro genitori soprattutto, perché sono tutti giovanissimi, che sono vivi, che sono sopravvissuti al viaggio.
Nessuno fino a quel momento li ha messi nelle condizioni di farlo. È il regime dell’emergenza, della straordinarietà, che impedisce a queste persone di compiere anche gesti che sembrerebbero così scontati.
Avvertire a casa dopo un lungo viaggio, per esempio, dire alla propria madre, alla propria moglie, al proprio fratello, che avranno di sicuro gli occhi pieni delle centinaia di naufragi degli ultimi anni nel Mediterraneo, che ce la si è fatta. A quanto pare, al CPSA di Pozzallo, indipendentemente da quanto possa durare la permanenza, che non dovrebbe mai comunque superare le 72 ore, non vengono distribuite schede telefoniche.
Dai nostri telefoni mandiamo in Gambia e in Senegal dei messaggi tutti uguali:
je suis bien arrivé, je suis en Sicile, Italie. Je ne peux pas vous apeller, c’est le portable d’une passante.
I am alive. I am in Sicily, Italy. It’s the telephone of a girl passing by. Don’t call it.
Dopo avere inviato i messaggi sono più tranquilli. Il resto verrà dopo.
Forse verranno respinti. Forse finiranno in uno dei nuovi CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) che si stanno diffondendo ovunque in Italia. 16 nella sola provincia di Ragusa. Situati in ex conventi, ospizi, bed and breakfast. Occasioni di lavoro improvvisato per un territorio in crisi.
Chiara Montaldo, coordinatrice del progetto di Medici Senza Frontiere in Sicilia abita da poche settimane a Pozzallo. Il mandato originario del suo presidio era quello, da un lato, di fornire supporto medico durante gli “sbarchi” e nel CPSA subito dopo e, dall’altro, di collaborare con gli ambulatori ENI ed STP della Provincia. Hanno avuto un bel lavoro da fare, dice Chiara, in questi primi mesi del 2014 in cui sono arrivate 10.000 persone via mare (nello stesso periodo dell’anno scorso erano state 700).
Ma non sono solo i numeri a rendere difficile il loro intervento. Chiara parla di “una continua gestione emergenziale che non ha più senso di esistere”.
Il nuovo sistema resta per molti versi incomprensibile. Di quello che accade sulle navi prima del loro approdo ai porti di Augusta o Pozzallo non si sa quasi nulla.
Certo, chi scende dalle imbarcazioni di Mare Nostrum, spiega Chiara, è in condizioni migliori di chi, solo fino a qualche mese fa, arrivava a Lampedusa, anche se all’ultimo sbarco erano inspiegabilmente tutti affamatissimi dopo che la nave era stata giorni in mare per raccogliere le persone di 13 imbarcazioni abbattendo in questo modo i costi. In ogni caso, si riscontrano meno patologie da viaggio, ma, soprattutto nel caso dei subsahariani, degli eriteri e dei somali, la sofferenza del viaggio precedente è tatuata sul corpo di ciascuno di loro.
Raccontano storie di lunghe detenzioni nelle carceri libiche, hanno segni di tortura ovunque, riportano scabbie incredibili, perché non curate per mesi e diversi tipi di traumi. Quando li vedi scendere, questi ragazzini anche giovanissimi, gli chiedi sempre come stai e loro sorridono felici di essere arrivati in Italia. Poi gli chiedi della Libia, e gli si svuota lo sguardo.
Dopo lo “sbarco” il loro destino dipende dai numeri. Se arrivano in meno di 200 vanno tutti al CPSA di Pozzallo.
Quelli che rifiutano di farsi identificare, specie gli eritrei, più consapevoli del funzionamento del sistema Dublino, vengono solitamente rinciusi in una parte più piccola del centro, lontani dagli altri.
Chiara conferma che se non si viene identificati non ci si può allontanare dal centro. Ma i ragazzi che abbiamo incontrato a Pozzallo non avevano fatto nessuna resistenza all’identificazione. La loro reclusione è dipesa da ritardi logistici tutti italiani.
Quando ci sono numeri superiori, invece, vengono disseminati sul territorio. Altri centri vengono aperti nei dintorni per qualche giorno, come nel caso di una struttura, a Comiso, che è stata utilizzata in emergenza dopo l’ultimo grosso "sbarco", alla quale sono state montate in appoggio diverse tende della protezione civile. Molti vengono trasferimenti in altre regioni d’Italia dall’aeroporto della stessa cittadina.
Chi fa richiesta di asilo finisce nei Cara o nei Cas, e su questi ultimi luoghi, fuori dal mandato originario, si sta concentrando parte del lavoro di MSF. Aperti a causa del collasso dei CARA su invito ministeriale alle Prefetture, il loro funzionamento è ancora una volta dettato dall’”emergenza”. Lo stesso fatto che l’appalto vada di tre mesi in tre mesi non spinge i gestori (cooperative dalla più svariata natura) ad apportare miglioramenti alle strutture o agli operatori.
Quelli supportati da MSF sono spesso carenti rispetto ai servizi forniti. Non ci sono presidi sanitari, ad esempio, e l’iscrizione al SSN è spesso molto lenta a causa di una complessa burocrazia. Funzionano come una specie di SPRAR, ma senza i inclusi invece nel capitolato dei centri regolamentati. E infatti per i CAS un capitolato non esiste, ma solo dei requisiti logistici minimi, verificati, nel caso di Ragusa da una commissione formata da vigili del fuoco e altri specialisti.
Con la diffusione a macchia di leopardo di questi luoghi – chiunque in pochi giorni può aprirne uno – del resto, il controllo capillare appare difficilissimo da garantire. Molto spesso gli “ospiti” hanno non solo problemi di salute fisica, ma anche mentale, e chi lavora nei centri non ha spesso le competenze per affrontarli.
Nemmeno su chi finisca in questi posti c’è chiarezza. L’utenza dovrebbe essere quella dei CARA. Ma il modo in cui vengono “smistate” le persone dopo gli “sbarchi” sembra procedere secondo un metodo random, piuttosto che secondo criteri certi. Chiara racconta di quando si trovava al CIE di Milo e ha visto arrivare improvvisamente un gruppo di 50 gambiani appena sbarcati pronti per essere respinti.
Le informazioni sull’asilo, del resto, dovrebbero essere fornite da Presidium, ma di operatori dell’Acnur in Sicilia ce ne sono al momento solo due che dovrebbero trovarsi contemporaneamente in tutti i luoghi in cui il loro supporto sarebbe indispensabile.
Sicuramente, i ragazzi con cui abbiamo parlato a Pozzallo provenienti dal Casamans, non ne avevano incontrato nessuno e non avevano nessuna idea del fatto di avere il diritto di chiedere una forma di protezione internazionale.
Eppure, dice Chiara, con le risorse economiche e umane dispiegate in questo momento, sarebbe assolutamente possibile mettere in piedi un’accoglienza decente.
Lo penso tutte le volte che sono in banchina e vedo noi, la protezione civile, la polizia, i carabinieri, presidium, la croce rossa. Ma la gestione è assolutamente scoordinata e mai lungimirante.
Anche noi facciamo fatica a svolgere il nostro lavoro. a volte veniamo trattati come chi sta lì a intralciare le operazioni. Abbiamo meno di 30 secondi per verificare le condizioni di salute di ogni migrante, ci viene detto di fare presto, tutte le volte, ma noi abbiamo anche delle responsabilità sanitarie
Questa gestione fatta di giorno in giorno peggiora le cose ed è molto più dispendiosa. Quando lo facciamo presente alla Prefettura loro si rivelano perfettamente consapevoli di questo, ma comunque soggetti agli ordini ministeriali. Alla fine non si sa mai di chi sia la responsabilità ultima, tutti sono ‘vittime dell’emergenza’, ma è un’emergenza voluta, costruita. Pensate solo al nome dei CAS: basta apporre l’aggettivo ‘straordinario’ per attivare un sistema di finanziamento meno controllato e passare sopra ai criteri sanitari o alla garanzia di prestare un orientamento giuridico adeguato. O pensate a quando la gente sta più di due mesi in un centro di primo soccorso come Pozzallo, assolutamente non attrezzato per questo tipo di permanenze.



Pubblicato il rapporto dell’Unhcr “Asylum Trends 2013″ sui Paesi industrializzati
CIRDI, 04-04-2014
Tra i primi dieci paesi di origine dei rifugiati Siria, Afghanistan, Eritrea, Somalia, Iraq e Pakistan.
Il quadro che emerge dal rapporto Unhcr Asylum Trends 2013, pubblicato a Ginevra segnala che tra i primi dieci paesi di origine, sei sono attualmente teatro di conflitti e violenze diffuse: Siria, Afghanistan, Eritrea, Somalia, Iraq e Pakistan.
L’Afghanistan, che negli ultimi due anni era stato il principale Paese di origine dei richiedenti asilo a livello mondiale, oggi al terzo posto in termini di nuove richieste, dietro la Siria e la Federazione russa.
Nello scorso anno sono state presentate nei 44 Paesi più industrializzati del mondo 613.000 domande d’asilo, quasi il 30% in più rispetto al 2012. L’aumento è causato principalmente dalla situazione in Siria. La regione che ha visto il più elevato aumento di richiedenti asilo è l’Europa.
Nel 2013 le domande d’asilo in Italia sono state in tutto 27.800, contro le 109.600 registrate in Germania, le 60.100 in Francia e le 54.300 in Svezia.

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