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Rassegna ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli
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Anno XII n.5 del 03 febbraio 2014

 

Consultate www.uil.it/immigrazione

Aggiornamento quotidiano sui temi di interesse di cittadini e lavoratori stranieri

 

CIE, le ragioni dello Stato e quelle dei migranti

CIE, 7 su 13 non funzionano. Gli altri. Caritas: “sono da chiudere”

In Italia sono presenti 13 Centri di identificazione ed espulsione. In realtà 7 risultano chiusi, ed altri 3 funzionano a capienza ridotta. La legge n. 129/2011 (che ha attuato la direttiva UE sui rimpatri), proroga  il termine massimo di permanenza degli stranieri irregolari in tali centri a 18 mesi complessivi. Nella direttiva 2008/115/CE il trattenimento è legittimato solo in presenza di situazioni di ostacolo al rimpatrio riconducibili alla volontà o al comportamento del singolo (rischio di fuga o condotta soggettiva costituente ostacolo), mentre la legge nazionale consente di trattenere “a causa di situazioni transitorie“ non meglio specificate e che sicuramente possono essere indipendenti dalla volontà del singolo migrante. E’ questa una scelta arbitraria che non risponde al dettato della direttiva sui rimpatri e incide molto poco sul tasso di espulsioni effettive. Per questo la UIL chiede al Governo di riconsiderare l’opportunità e l’utilità di strumenti che non garantiscono il rispetto dei diritti della persona..

 

SOMMARIO

 

 

 

Appuntamenti pag. 2

 

Ius soli, primo risultato di un sondaggio Ispo pag. 2

 

I migranti seppelliti nei CIE pag. 2

 

Caritas/Migrantes “CIE da chiudere” pag. 3

Flussi migratori nella direttiva dei mass-media pag. 4

 

I marocchini in Italia pag. 5

 

Immigrazione e giurisprudenza pag. 6

 

Immigrazione e salute pag. 7

 

Banche: sportello virtuale per gli immigrati pag. 8

 

Demografia: stranieri e futuro pag. 8

 

Notizie in breve pag.11

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil                                                   

 

Dipartimento Politiche Migratorie

Tel. 064753292- 4744753- Fax: 064744751

E-Mail polterritoriali2@uil.


Dipartimento Politiche

Migratorie: appuntamenti


 

 

 

 


Roma, 06 febbraio 2014, ore 10.30, sede CNEL

Riunione gruppo ONC

(Giuseppe Casucci)

Roma, 07 febbraio 2014, via del Velabro, 5 ore 11.00

Comitato Direttivo del CIR

(Giuseppe Casucci)


Prima pagina


Ius Soli, primi risultati di un sondaggio Ispo

Il 45% delle risposte dice di darlo ai bambini nati in Italia da genitori stranieri


bambini_stranieri_big.jpg

(Gonews.it) Roma, 29 gennaio 2014 - Un bambino che nasce in Italia da genitori stranieri dovrebbe avere automaticamente la cittadinanza italiana solo se i genitori risiedono in Italia da tempo per il 45% degli italiani. E’ quanto emerge da un sondaggio effettuato dall’istituto Ispo diretto da Renato Mannheimer, commissionato dal consigliere comunale a Firenze della Lega Nord Mario Razzanelli e presentato oggi in Palazzo Vecchio. Il sondaggio è stato effettuato su un campione di 800 persone scelto per essere rappresentativo di popolazione italiana maggiorenne per genere, età, professione, titoli di studio e area geografica di residenza, esaminato con apposito questionario da intervistatori professionisti. Sempre in base allo studio, il 33% pensa che lo ius soli dovrebbe scattare automaticamente per ogni bambino che nasce in Italia, il 9% pensa che questa dovrebbe essere acquisita automaticamente solo al compimento del 18esimo anno, il 16% invece è contrario ad automatismi nell’attribuzione della cittadinanza a bambini che nascono in Italia da genitori stranieri. Scomponendo il risultato in base all’elettorato di riferimento, tra coloro che vorrebbero l’attribuzione automatica della cittadinanza con la nascita sul territorio italiano il 37% sono di area Pd, il 22 Fi, il 43% Ncd, il 36% Grillo. Tra chi pensa che tale diritto dovrebbe scattare solo se i genitori del bambino risiedono in Italia da tempo gli elettori di area Pd sono il 52%, il 42 sono di Fi, il 33% di Ncd, il 36% Grillo. L’assegnazione automatica con il compimento a 18 anni, vede a favore il 7% degli elettori Pd, il 15% Fi, il 12% Ncd, l’8% Grillo. Tra i contrari agli automatismi in questo ambito, il 2% di area Pd, il 21 Fi, il 9% Ncd, il 7% Grillo.


 

Centri di espulsione

 


Editoriale di don Aldo Buonaiuto, 1° febbraio 2014, http://www.ilvelino.it/

I migranti seppelliti nei Cie

Dalle bocche cucite dei rifugiati alle troppe parole inconcludenti dei nostri governanti


La situazione vissuta da tanti immigrati nei Centri di Identificazione e di Espulsione del nostro Paese sta diventando sempre più incandescente. A dimostrarlo l’ennesima provocazione choc messa in atto pochi giorni fa da 13 marocchini reclusi nel CIE romano di Ponte Galeria che si sono cuciti la bocca per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sul terribile status di migliaia di detenuti nei 13 centri nazionali. Stranieri irregolari sbarcati sulle nostre coste, spesso dopo viaggi al limite della sopportazione umana e violenze ripetute da parte dei cosiddetti scafisti, in fuga da zone di guerra o di crisi umanitaria come l’Egitto, la Tunisia e la Libia, vengono definiti “ospiti”, ma nella pratica devono sostare coercitivamente in uno di questi centri anche fino a 18 mesi. Queste strutture, istituite dalla legge “Turco-Napolitano” del 1998 e denominate inizialmente Centri di Permanenza Temporanea (CPT), sono state create per trattenere gli stranieri “sottoposti a provvedimenti di espulsione e/o di respingimento con accompagnamento coattivo alla frontiera” nel caso in cui il provvedimento non sia direttamente eseguibile. La successiva legge integrativa del 2002, Testo Unico delle disposizioni circa la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (più nota come “Bossi-Fini”) fa un ulteriore passo indietro prevedendo che le persone trovate nel territorio italiano senza permesso di soggiorno ma con un documento di identità (definite dunque “irregolari”) venissero espulse immediatamente con “l’accompagnamento alla frontiera” da parte della forza pubblica; se, invece, il soggetto venisse trovato anche senza documenti di identità (qualificato come “clandestino”) dovrà rimanere detenuto nel CIE per un periodo di sessanta giorni durante i quali si svolgeranno le pratiche per l’identificazione e il successivo rimpatrio. La nuova legge ammette, inoltre, la possibilità dei respingimenti in mare in acque extra-territoriali verso il Paese d’origine, allo scopo di impedire alle imbarcazioni di attraccare in Italia. Questa pratica viola l’articolo 18 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea, che recepisce a sua volta il principio stabilito dalla Convenzione di Ginevra, secondo cui gli Stati non possono rinviare i rifugiati in Nazioni dove questi sono perseguitati e rischiano la vita. Negli oltre 10 anni dall’entrata in vigore della “Bossi-Fini”, sono state numerosissime le critiche pervenute da forze politiche, anche europee, da associazioni attive sul campo dell’immigrazione e da semplici cittadini. Dopo il drammatico naufragio di Lampedusa costato la vita a più di 300 persone, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha espresso chiaramente le proprie perplessità: “Credo che una delle verifiche che vadano rapidamente fatte è quali norme di legge ci sono che fanno ostacolo ad una politica dell’accoglienza, degna del nostro Paese e rispondente a principi fondamentali di umanità e solidarietà”. Nei confronti degli stessi CIE si sono levate numerose denunce, come la relazione redatta dalla Corte dei Conti nel lontano 2003 secondo cui le spese destinate a tali “lager” ammontavano, già al tempo, a quasi 30 milioni di euro. Oggi si presuppone superino addirittura i 100 milioni! A ben vedere questi centri sono assimilabili a dei campi di prigionia dove vengono ammassati, senza diritti, coloro che hanno la colpa di essere fuggiti dalla propria terra nella speranza di trovare lavoro e pace in Italia. Il DDL sicurezza, introducendo il cosiddetto “reato di clandestinità”, crea grandi sofferenze e nuove forme di persecuzioni, non ignorabili da una società che si definisce civile, verso quelle persone bisognose che vengono così ulteriormente private di assistenza e soccorso. La coscienza di qualsivoglia cittadino dovrebbe ribellarsi ad una disposizione di legge che disconosce la dignità ed i valori dei più deboli, soprattutto in un momento in cui siamo tutti più poveri e quindi dovremmo sentirci più che mai fratelli. L’Italia perde così il senso della democrazia e della solidarietà diventando forte con i miseri e condannando gli immigrati irregolari ad una clandestinità più estrema o alla reclusione in catapecchie spacciate per strutture organizzate, senza concedere il diritto sacrosanto alla libertà e al rispetto che dovrebbero venire riconosciuti ad ogni essere umano, senza distinzioni di nazionalità e di condizione socio-economica. Speriamo che le provocazioni portate avanti in questi mesi dai tanti extra-comunitari rinchiusi nei CIE servano a risvegliare le coscienze di quei politicanti che, non conoscendo l’indigenza, rimangono indifferenti alle necessità del misero che grida aiuto. È auspicabile, inoltre, che la forte provocazione delle bocche cucite non rimanga semplicemente, come spesso accade nel nostro Bel Paese, una notizia tra le tante per riempire qualche pagina di giornale.



Tiscali cronacaRapporto 2013 Caritas-Migrantes: "Inefficaci e costosi Cie da chiudere"


Roma, 30 gennaio 2014 - I numeri dell'immigrazione in Italia restano costanti, con circa 5 milioni di stranieri tra regolari e irregolari. Così come si conferma che le famiglie degli immigrati sono molto più povere di quelle italiane. La fotografia del fenomeno che ci restituisce il Rapporto 2013 di Caritas e Migrantes presentata a Roma alla presenza del ministro per l'Integrazione Cécile Kyenge e del presidente della Commissione per i diritti umani del Senato Luigi Manconi. E quella più 'tagliente' riguarda

Il fenomeno migratorio - La crescita degli immigrati - per i ricongiungimenti e le nuove nascite - viene quasi annullata dai rientri e dalle partenze per altre destinazioni in Europa o nel mondo. Le famiglie dei migranti hanno dovuto fronteggiare la crisi economica in posizioni di svantaggio: il reddito mediano degli immigrati è solo il 56% di quello degli italiani, e un quarto degli stranieri è incapace di pagare con puntualità affitti e bollette contro, rispettivamente, il 10,5% e l'8,3% degli italiani. Particolarmente grave, poi, il problema abitativo: per gli immigrati quella della casa è una criticità tre volte superiore rispetto agli autoctoni.

Immigrati nel Mezzogiorno più poveri di quelli del Nord - In compenso al Sud è più contenuta la distanza tra le condizioni del disagio proprie dei migranti e quelle, invece, dei nativi. Quanto alla disoccupazione, il rapporto sottolinea che mentre per gli italiani il fenomeno colpisce soprattutto i più giovani, tra gli stranieri la privazione del lavoro colpisce soprattutto il capofamiglia. Una contraddizione riguarda la tipologia del lavoro: mentre la domanda di lavoro riservata agli stranieri si contrae, in ambiti come i servizi alla persona invece l'occupazione continua a crescere. Dal punto di vista religioso, se si contano solo 6 moschee in senso stretto, 36 templi sikh e 335 parrocchie ortodosse, su tutto il territorio nazionale sono presenti templi sikh e buddisti, sale di preghiera musulmane, chiese neo-pentacostali e altro.

La riforma della cittadinanza - In un anno sono aumentati del 16% le acquisizioni di cittadinanza, e il rapporto segnala anche la crescente presenza di alunni con cittadinanza straniera che sono nati in Italia, bambini e ragazzi che in molti casi non hanno mai visitato il Paese di origine dei loro genitori: sono ormai quasi il 50% secondo le stime di Caritas-Migrantes. Il problema della riforma della legge sulla cittadinanza è stato citato dal ministro Kyenge, che ha assicurato che "le prossime settimane saranno decisive" perché si è riusciti a mettere il provvedimento nell'agenda parlamentare subito dopo la legge elettorale.

Un capitolo a sé viene riservato ai Cie - "Luoghi di insicurezza più che di sicurezza sociale dei migranti e che pertanto vanno chiusi" ha sottolineato il direttore generale di Migrantes, mons. Gian Carlo Perego. Il Rapporto evidenzia come il trattenimento nei Cie non soddisfa, se non in misura minima, l'interesse al controllo delle frontiere e alla regolazione dei flussi migratori, anzi sembra piuttosto assolvere a una funzione di "sedativo" delle ansie di chi percepisce la presenza dello straniero come un pericolo per la sicurezza. E l'allungamento dei tempi di permanenza fino a 18 mesi non ha migliorato l'efficacia dei centri ma sembra anzi aver causato una riduzione del numero delle persone rimpatriate dopo il trattenimento.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Coldiretti: "25% agricoltura affidata a lavoratori stranieri"

Sono 320mila gli immigrati, provenienti da ben 168 diverse nazioni, impegnati regolarmente nelle campagne italiane


Roma, 3 febbraio 2014 - I prodotti dell'agricoltura italiana passano nelle mani dei lavoratori stranieri che rappresentano circa il 25 per cento del numero complessivo di giornate di occupazione del settore.
E' quanto emerge - riferisce una nota - da una analisi della Coldiretti in occasione della presentazione del XXIII Rapporto Immigrazione 2013 di Caritas Migrantes. Sono 320mila gli immigrati, provenienti da ben 168 diverse nazioni, impegnati regolarmente - sottolinea Coldiretti - nelle campagne italiane per un numero complessivo annuale di giornate di occupazione di 25.598.449 nel 2012 (26.190.884 del 2011), pari al 25 (23% nel 2011). Gli stessi distretti produttivi di eccellenza del Made in Italy possono sopravvivere solo grazie al lavoro degli immigrati, dalle stalle del nord dove si munge il latte per il Parmigiano Reggiano alla raccolta delle mele della Val di Non, dal pomodoro del meridione alle grandi uve del Piemonte. I lavoratori stranieri - continua Coldiretti - contribuiscono in modo strutturale e determinante all'economia agricola del Paese e rappresentano una componente indispensabile per garantire i primati del Made in Italy alimentare nel mondo su un territorio dove va assicurata la legalita' per combattere inquietanti fenomeni malavitosi che umiliano gli uomini e il proprio lavoro. I lavoratori immigrati impegnati in agricoltura - precisa la Coldiretti - hanno una eta' media di 35 anni e mezzo e per ben il 72 per cento sono di sesso maschile. I primi 12 paesi di provenienza rappresentano l'87,2 per cento del totale dei lavoratori stranieri (Romania 117.240, India 27.789, Marocco 26.220, Albania 24.624, Polonia 20.423, Bulgaria 15.100, Tunisia 12.445, Slovacchia 9.893, Macedonia 9.235, Senegal 5.738, Moldavia 5.478, Ucraina 4.722).
A livello provinciale - conclude Coldiretti - le prime 15 provincie per numero di lavoratori stranieri assorbono il 50,6 per cento della totalita' degli stranieri operanti in agricoltura (Foggia 6,4 per cento, Bolzano 5,7 per cento, Verona 5,3 per cento, Trento 4,2 per cento, Latina 4,0 per cento, Ragusa 4,0 per cento, Cuneo 3,3 per cento, Cosenza 2,8 per cento, Salerno 2,7 per cento, Ravenna 2,6 per cento, Reggio Calabria 2,2 per cento, Forli'-Cesena 2,0 per cento, Matera 1,9 per cento, Brescia 1,8 per cento, Ferrara 1,8 per cento).



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I flussi migratori nella narrativa dei mass media


Giovedì 30 gennaio 2014- Spesso quando i mass media (TV, giornali, internet) dedicano attenzione al tema delle migrazioni lo fanno attraverso eventi “forti” come gli sbarchi che avvengono sulle coste di Lampedusa. Come dimenticare il 2011 anno in cui, a causa delle rivoluzioni che sconvolsero molti stati del Nord Africa, specie Tunisia e Libia, si ebbe un lungo periodo durante il quale gli sbarchi erano praticamente giornalieri. Lasciando da parte i motivi per i quali le persone che tentavano quel viaggio erano disposti anche a rischiare la vita, data la pericolosità di una traversata in mare aperto su imbarcazioni sulle quali persino i topi non si arrischierebbero ad imbarcarsi, fa riflettere ancora ora il dibattito che si generò nell'opinione pubblica attraverso la scelta editoriale del mainstream informativo e la strategia comunicativa della politica governativa di allora che aveva in Roberto Maroni il ministro degli Interni e Silvio Berlusconi il Presidente del Consiglio. (http://www.unimondo.org/Blog/Uno-stato-per-amico/I-flussi-migratori-nella-narrativa-dei-mass-media). In pratica, Lampedusa era il palcoscenico di un dramma umano che improvvisa sullo stesso canovaccio gli atti di una tragedia che hanno come capisaldi sempre le stesse parole: immigrati, clandestini, Bossi-Fini, lampedusani, Europa, sbarchi, emergenza, carrette del mare, morti, CIE, Premio Nobel. Su queste keywords si è costruita una vera e propria narrativa di un fenomeno che sembra concentrato su un'isoletta nel cuore del Mediterraneo e che invece ha nell'Europa la sua vera dimensione. Il risultato di questa operazione, se ci fate caso, è che da anni sui giornali leggiamo sempre la stessa notizia che, più o meno, combina queste proposizioni: 1) Lampedusa, isola dove sbarcano immigrati che vengono chiusi nei CIE, in quanto clandestini perché così prevede la Bossi-Fini, a meno che non venga concesso loro lo status di rifugiato; 2) l'Europa che ha deciso di legarsi le mani tramite i trattati, usati come alibi per poter lamentarsi della crisi umanitaria senza poi far nulla; 3) i lampedusani usati dal Governo italiano per lamentare il rischio del crollo dell’ordine sociale su tutto il territorio nazionale, salvo poi farsi belli quando c’è da chiedere l’assegnazione del premio Nobel per la Pace all’isola e ai suoi abitanti per la grande generosità e umanità dimostrata in questi anni.?Tutto ciò, tutta questa narrazione, è un infinite loop che crea un’opinione pubblica stabile e “stabilizzata” sul medesimo messaggio da diversi anni, il che ci induce a porci due domande sulle quali riflettere: 1) Lo scopo dei principali mezzi d’informazione è contribuire alla costruzione dell’opinione pubblica o di controllarla a suo uso e consumo? 2) Non è che descrivere e far passare il messaggio che Lampedusa sia il luogo dove si concentrano tutte le complessità relative ai flussi migratori irregolari sia il modo per “decentrare” in un luogo lontano responsabilità che sono altrove, magari a Roma e Bruxelles?
Il progetto che ha dato vita all'organizzazione per la redazione della Carta di Lampedusa, a mio avviso, rappresenta sia una risposta a queste due domande sia un'alternativa alla filosofia politica fin qui portata avanti perché costituisce una forma di informazione partecipata che esiste grazie alla collaborazione instauratasi tra diverse realtà – in particolare Melting Pot –, operanti soprattutto sul web, che hanno creato degli spazi di collaborazione aperti sul web: una pagina wiki, un piattaforma dedicata alla diretta streaming dell'evento e ovviamente il complesso reticolo di siti e pagine social che faranno rimbalzare le diverse tipologie di contenuti (testi, foto e video) che verranno realizzati. Tutto questo allo scopo di contrastare in modo intelligente una linea politica fin qui deludente, sia dal punto di vista morale, sia in termini di reale efficacia. Per intenderci, l'Italia con la Bossi-Fini non è più sicura di quanto non lo fosse stata prima che questa legge venisse istituita – e infatti ora il Parlamento la sta abolendo –, il che deve farci ritenere che, fin qui, si è parlato molto e fatto poco per risolvere un problema che riguarda tutti noi, non solo i 6.000 abitanti di Lampedusa. In questo senso, sarà importante il ruolo che l'informazione vorrà avere nel comprendere l'importanza di questa sfida. I processi orizzontali come la Carta di Lampedusa sono affascinanti, ma non sono sufficienti a creare un'opinione pubblica di massa capace di orientare l'azione politica. C'è sempre di più la necessità che il giornalismo prenda posizioni chiare sulle questioni sensibili. Abbiamo bisogno di una nuova classe di intellettuali che crei dibattito e partecipazione non per se stessi, ma per tutti. Di certo la sfida è rilevante perchè l'orizzontalità pone molte insidie, prima tra tutte la qualità dei contenuti e l’indipendenza dalla razionalità della folla che, si sa, salva sempre Barabba, ma le sfide o si affrontano o ti superano portandosi dietro il resto del mondo.
A partire da venerdì poi, avremo la possibilità di verificare quanto sia verosimile fare politica attraverso una partecipazione qualificata e, allo stesso tempo, allargata a diversi soggetti provenienti da tanti paesi. Chissà che questo esperimento non possa costituire per la classe dirigente di questo paese un'opportunità di rinnovamento e di riavvicinamento alla società. Io ci spero sempre. Che volete, sono un'inguaribile ottimista. 

Fonte: Unimondo



Immigrazione: sono 513 mila i marocchini residenti in Italia

Studio Idos, è la prima comunità extra Ue e 'ponte su Mediterraneo'

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(di Luciana Borsatti).

(ANSAmed) - ROMA - Conta oltre mezzo milione di persone, e' la più numerosa comunità di immigrati in Italia di provenienza extraeuropea (e la seconda dopo quella rumena), è radicata da decenni e, grazie ai ricongiungimenti, le donne ne costituiscono quasi la metà. Si tratta della comunità marocchina in Italia, "un ponte sul Mediterraneo", come la definisce un libro edito dal Centro di ricerche Idos - in italiano e in francese -, con la collaborazione del ministero di Rabat per i residenti all'estero e dell'Ambasciata del Marocco. Presentato anche un secondo volume sempre bilingue, 'Iprit - Immigrazione Percorsi di regolarità in Italia. Prospettive di collaborazione italo-marocchina', pubblicato con il ministero dell'Interno Italiano.  Anche il nostro è un Paese di emigrazione e di immigrazione - ha esordito l'ambasciatore Hassan Abouyoub alla presentazione della ricerca, nella sede della Stampa estera - e quindi condividiamo molti problemi con l'Italia". Come a dire che l'immigrazione è un fenomeno globale che vede in prima linea, in particolare per i flussi dall'Africa sub-sahariana, proprio i Paesi della sponda sud del Mediterrano che guardano all'Europa.

Il Marocco è anche stato il primo Paese ad aver firmato, nel giugno 2013, la 'partnership sulla mobilità' con la Commissione europea per favorire l'immigrazione regolare, e con l'Italia conduce varie iniziative per favorirla. In particolare quella condotta con il ministero dell'Interno italiano denominata Iprit (Immigrazione. Percorso di irregolarità in Italia), che con corsi di formazione, una guida bilingue distribuita in centinaia di copie e anche tramite i social media, si propone di far conoscere la normativa italiana già nel paese di provenienza. La comunità marocchina in Italia è paragonabile per entità a quella spagnola, ed è circa la metà di quella residente in Francia, su un totale di tre milioni di marocchini in Europa. L'immigrazione in Italia ha avuto uno sviluppo consistente a partire dagli anni Ottanta, e un'impennata tra il 2001 e il 2012, con un aumento di 346 mila unità. La maggior parte degli attuali 513 mila è concentrata nell'area lombardo-veneta, ma anche in alcune zone del sud come a Reggio Calabria. A rendere stabile questa presenza è non solo il fatto che il 64,1% ha un permesso di lungo periodo, ma anche i frequenti ricongiungimenti familiari e la conseguente ampia presenza di donne (il 44%) e di minori (oltre il 30%): e mentre tra le prime solo il 23% ha un lavoro e vi è ancora un problema di scarsa alfabetizzazione - per il quale da parte del Marocco vi è un progetto di formazione a distanza con la collaborazione italiana - i ragazzi (circa 100 mila quelli sui banchi di scuola), sono coloro che svolgono di fatto il ruolo di 'mediatori culturali' con la società italiana.

Sul piano economico, anche la comunità marocchina in Italia ha risentito della crisi, con significativi cali nei tassi di occupazione: solo 151 mila sono gli occupati (su un totale di 300 mila persone che compongono la forza lavoro), fra cui un significativo 18,44% titolare di una impresa individuale. E proprio la crisi occupazionale "rappresenta una sfida anche per noi", ha detto la viceministro del Lavoro Maria Cecilia Guerra, dato che la maggior parte delle famiglie marocchine è monoreddito e con una rilevante presenza di minori. E questo aumenta il rischio povertà, visto che il reddito medio in quelle famiglie, ha aggiunto, "è il 53% di quello italiano". Uno sforzo congiunto deve dunque essere compiuto, ha detto ancora Guerra, per favorire sia l'inserimento nel lavoro sia l'integrazione. Da parte sua il Marocco segnala una serie di restrizioni nell'accesso alle prestazioni socio-previdenziali, quelle che nell'ultimo decennio riguardano i cittadini extracomunitari. Ciò, ha evidenziato l'ambasciatore Abouyoub, rappresenta una violazione dell'art.65 dell'accordo tra Commissione europea e Marocco in vigore dal 2000, che vieta le discriminazioni tra i lavoratori marocchini ed i cittadini italiani. (ANSAmed).


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giurisprudenza


Riforma T.U. immigrazione: l’espulsione come misura alternativa alla detenzione

 

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Roma, 29 gennaio 2014 -  È dato ormai noto che negli ultimi anni la popolazione carceraria è aumentata in modo esponenziale, soprattutto per quanto riguarda la percentuale di stranieri, che all’inizio del 2012 rappresentavano circa il 36% del totale (fonte: ISTAT). Questa circostanza ha spinto sempre più, nell’ultimo periodo, verso esigenze di snellimento dei penitenziari; esigenze che sono confluite nella modifica al Testo Unico sull’Immigrazione, avvenuta con la legge 146/2013.
La normativa precedente. Fino a questa recente modifica, il Testo Unico (decreto legislativo 286/1998) stabiliva all’art. 16 l’applicazione dell’ “espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione”, laddove la pena da scontare fosse inferiore a 2 anni e se non fossero presenti le condizioni per la sospensione condizionale della pena. Inoltre, essa non poteva essere disposta nei casi di reati gravissimi, nonché per quelli puniti dallo stesso Testo Unico Immigrazione.
La nuova normativa. La modifica del T. U. è intervenuta innanzitutto in direzione di un ampliamento dei casi in cui può essere applicata l’espulsione; ad esempio, anche nel caso di rapina ed estorsione aggravata, seppure solo tentati, ed altri reati previsti dallo stesso Testo Unico. Questa pena alternativa può essere però applicata solo a condizione che la quantità di pena che rimane da scontare non sia superiore ai due anni di reclusione, e che il massimo della pena edittale disposta dal codice penale sia superiore ai due anni di carcere. L’espulsione, inoltre, non può essere applicata per i crimini più gravi, come ad esempio quello di associazione a delinquere, contrabbando, reati di terrorismo. Pertanto, diversamente da quanto accadeva pre-riforma, anche la rapina e l’estorsione rientrano nei casi di applicazione dell’espulsione, come sanzione sostitutiva del carcere ancora da scontare. Inoltre, a seguito della riforma l’espulsione può essere applicata anche per i delitti previsti dal testo unico sull’immigrazione (anche in questo caso, solo se ricorrono i requisiti detti sopra).
Tuttavia le modifiche alla precedente normativa non riguardano solo l’ambito applicativo dell’espulsione, bensì anche le procedure con cui viene effettuata l’identificazione della persona a cui irrogarla. Identificare la persona detenuta infatti è condizione essenziale per procedere all’espulsione e, affinché tale procedura non vada a gravare sul magistrato di sorveglianza, per snellire la prassi, viene ora affidata alla direzione del carcere (Dap). 
In questo senso, il d.l. 146/2013 permette che, al momento dell’ingresso in carcere, la Dap possa assumere dal Questore tutte le informazioni necessarie ad identificare il cittadino straniero, al fine di arrivare ad una definizione il più possibile completa sull’identità della persona .
In alcuni casi, il Questore può iniziare le procedure per l’identificazione, anche servendosi delle autorità diplomatiche per ulteriori informazioni utili. Al fine di avere sotto controllo l’identificazione dei detenuti stranieri, tutte le informazioni relative alla loro identificazione sono conservate in apposite cartelle redatte al momento dell’ingresso in carcere, e conservate durante il periodo di detenzione.
Effetto evidente della riforma è stato quello di appesantire in modo notevole le incombenze della Direzione carceraria. Infatti, mentre nella normativa previgente la competenza ad espellere spettava esclusivamente al Giudice di Sorveglianza, che poteva richiedere informazioni alla polizia per effettuare l’identificazione, e pronunciarsi in seguito con decreto motivato sull’opportunità di un’espulsione, con la nuova disciplina è la Direzione carceraria che effettua le procedure di identificazione.
L’identificazione diventa quindi un procedimento completamente nelle mani della direzione amministrativa del penitenziario: infatti, solo se il Questore non riesce a procedere all’identificazione dell’immigrato, il Dap trasmette gli atti al magistrato di Sorveglianza, affinché valuti l’ ipotesi di espellerlo. Con la normativa si vuole quindi promuovere il ruolo del Dap, che può liberamente avere accesso alle informazioni dei detenuti semplicemente consultando le cartelle. Non appena ci si accorge che un detenuto abbia i requisiti che permettono di applicare l’espulsione, la direzione deve trasmettere gli atti al Giudice competente, nell’ottica di diminuire l’affollamento delle carceri. Essendo una normativa di recentissima introduzione, bisognerà valutare l’efficienza e la celerità di questo organo amministrativo carcerario, investito di potenti strumenti di controllo, nonché valutare con quanta accuratezza verranno effettuate le valutazioni relative all’applicabilità della sanzione. 
* consulente legale Aduc


 

 

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Cittadini stranieri: condizioni di salute, fattori di rischio, ricorso alle cure e accessibilità dei servizi sanitari


Roma, 30 gennaio 2014 - Tra i cittadini stranieri prevale una percezione positiva del proprio stato di salute, più che tra gli italiani. Per l'87,5% le proprie condizioni di salute sono buone o molto buone a fronte dell'83,5% degli italiani. A sentirsi in buona salute tra i cittadini dei paesi Ue, sono soprattutto i polacchi (88,4%) e, tra i non comunitari, i cinesi (90,2%), i filippini (90,2%) e gli indiani (88,8%). In fondo alla classifica si trovano gli ucraini (85,8%) e i marocchini (85,2%). Gli indici sintetici di salute fisica e psicologica segnano punteggi medi pari rispettivamente a 54,6 e 53,9. Sul piano psicologico, maggior benessere si osserva tra gli indiani (55,4), mentre più vulnerabili appaiono i tunisini (52,5). L'indice di salute mentale, pari a 78 in media, evidenzia una situazione di maggior svantaggio per tunisini e marocchini. Le patologie più diffuse sono quelle dell'apparato respiratorio (65,4 stranieri ogni mille). Seguono le malattie dell'apparato digerente e dei denti (20,2 per mille), quelle del sistema nervoso (19,8) - con prevalenza nelle donne (25,7 rispetto al 13 degli uomini) - e quelle del sistema osteomuscolare (15,5).Il 23,2% degli stranieri di 14 anni e più consuma abitualmente tabacco, contro il 25,8% degli italiani. Come nel caso degli italiani, l'abitudine è più diffusa tra gli uomini (32,4%) che non tra le donne (15,1%). Indiani, filippini, cinesi e marocchini sono più virtuosi per il numero di persone che non hanno mai fumato. La maggior parte degli stranieri (di 18 anni e più) ha un peso corporeo adeguato (57,8%), soprattutto se donne (62,9%). Quasi un terzo degli stranieri è sovrappeso (30,9%) e l'obesità interessa il 7,8%. Quote simili si osservano nella popolazione italiana a parità di età (58,2% normopeso, 29,8% sovrappeso, 7,8% obeso). In assenza di disturbi o sintomi vanno dal medico il 57,5% degli stranieri, di più le donne (59,6% contro il 53,9% degli uomini) e i giovani under 14 (62,9%), di meno i cinesi (44,1%). n Si rivolgono al pronto soccorso soprattutto tunisini e marocchini, meno i cinesi. Alla guardia medica si recano di più i giovani adulti e chi vive al Mezzogiorno, al consultorio soprattutto le donne tra i 25 e i 34 anni. Il 13,8% degli stranieri (di 14 anni e più) ha difficoltà a spiegare in italiano i disturbi al medico e il 14,9% a comprendere ciò che il medico dice. Lo svantaggio è maggiore per le donne, per gli over 54, per chi ha un titolo di studio basso e per le collettività cinesi, indiane, filippine e marocchine. Il 13% dei cittadini stranieri (di 14 anni e più) ha difficoltà a svolgere le pratiche amministrativo-burocratiche nell'accesso alle prestazioni sanitarie, soprattutto se cinesi o indiani. Gli orari di accesso alle prestazioni sanitarie sono incompatibili con gli impegni familiari o personali per l'8,6% degli stranieri di 14 anni e più, con gli impegni di lavoro per il 16% di quelli di 15 anni e più.


 

Extrabanca lancia lo sportello virtuale per gli immigrati


Roma, 31 gennaio 2014 - Extrabanca, l'istituto di credito specializzato in servizi per i cittadini stranieri, si appresta a lanciare una rete di sportelli virtuali, il primo esperimento di questo genere in Italia. Il progetto è stato realizzato grazie alla collaborazione con Inventia, start up italiana che ha sviluppato la tecnologia Connect in grado di video-telecomandare degli speciali chioschi interattivi. In questi chioschi gli utenti possono accedere a normali operazioni di cassa dall'apertura di un conto corrente al money transfer, passando per la sottoscrizione di carte di credito e bancomat. Non si tratta tuttavia di un servizio automatizzato: grazie a un sistema di videocomunicazione gli utenti interagiscono in diverse lingue con i dipendenti di Extrabanca (inizialmente da quelli della filiale di Milano), che potranno gestire da remoto anche le periferiche installate sul chiosco. Esattamente nello stesso modo in cui accoglierebbero un cliente allo sportello. L'ad Caroli: pronti a estendere la rete «In questi giorni stiamo sperimentando il prototipo di "extra extended branch"», racconta Paolo Caroli, amministratore delegato di Extrabanca, «e tra circa tre settimane partiremo con una sperimentazione di un paio di mesi con uno sportello virtuale in una città ancora da identificare tra Modena e Treviso; se va bene, in entrambe. Stiamo definendo una partnership con una società finanziaria che ha circa 60 sportelli a livello nazionale, all'interno dei quali, terminata la sperimentazione, inseriremo i chioschi virtuali». L'intenzione dell'istituto è tuttavia quella di siglare altre partnership, aumentando ulteriormente la capillarità del servizio sul territorio nazionale. Ottomila clienti, in maggioranza asiatici, ma uno su sei è italiano Attualmente l'istituto ha circa 8mila clienti, in gran parte filippini (25%), cinesi (20%), indiani e cingalesi (16-17%), italiani (15%). Seguono sudamericani, maghrebini ed europei dell'Est. I dipendenti sono 65 di 14 diverse nazionalità, e parlano 15 lingue diverse. Il progetto dovrebbe consentire a Extrabanca di estendere la propria presenza, anche se Caroli non si è voluto sbilanciare sulle stime di aumento della base di clientela, con costi contenuti. «Una filiale bancaria costa circa un milione o un milione e mezzo di euro, al netto delle risorse umane». Ma in questo progetto, se l'infrastruttura tecnologica generale ha richiesto un esborso tra 750mila e un milione di euro, «l'hardware di ogni singolo sportello virtuale costa sui 20-25mila euro – spiega Caroli – e per ammortizzarne l'investimento bastano 300-350 clienti». Il contenimento dei costi è uno degli imperativi del progetto: «Stiamo studiando anche delle fasce orarie promozionali. I clienti che dallo sportello virtuale richiederanno la presenza di un operatore in un momento lontano dalle ore di punta potranno avere un servizio meno costoso», conclude l'amministratore delegato.


 

Demografia


Pubblicato il 30/01/2014

Stranieri in Italia: guardando al presente e immaginando il futuro
Gian Carlo Blangiardo* 


Immagine inseritaAnche nel 2012, come già nel precedente anno, la dinamica della popolazione straniera residente in Italia si è attenuta alla nuova parola d’ordine, “moderazione”, che sembra ormai contraddistinguere la realtà migratoria del nostro tempo. I dati più recenti, in cui si prende atto dei correttivi introdotti dalla conta censuaria del 2011, indicano quasi 4,4 milioni di residenti con cittadinanza straniera al 1° gennaio 2013 e descrivono una popolazione che è aumentata di oltre venti volte rispetto ai primi anni ‘80 (Istat, 2013). Ma se anche le risultanze del 2012 mostrano tuttora un consistente incremento, +334 mila unità (+8,2%), va tenuto presente che ciò sembra dovuto, più che a nuovi ingenti flussi in ingresso, sia all’influenza di fattori “interni” al fenomeno migratorio - un saldo naturale di 74mila unità alimentato dalle circa 80mila nascite – sia alle inevitabili “code di assestamento” della rilevazione censuaria: i 72mila recuperi (netti) riguardanti residenti stranieri che non erano stati contabilizzati. 

Immagine inseritaPresenze stabili ma attrazione in calo

Con tali premesse, le stime al 1° gennaio 2013 – recentemente diffuse attraverso il XIX Rapporto sulle Migrazioni curato dalla Fondazione Ismu (Blangiardo 2013) – prospettano complessivamente poco meno di 5 milioni di stranieri presenti in Italia. Valore che si ricava sommando al totale dei residenti un ulteriore mezzo milione di soggetti che si trovano o nella condizione di regolari non iscritti in anagrafe oppure in quella di irregolari; una componente, quest’ultima, che si conferma tuttora ferma al livello, decisamente “fisiologico”, del 6% del totale delle presenze. L’intensità e la direzione del rallentamento in atto trovano riscontro nella dinamica dei flussi registrati nel corso dell’ultimo quindicennio. I dati annui sulle iscrizioni anagrafiche dall’estero di cittadini stranieri mostrano - al di là dei picchi derivanti dalla grande regolarizzazione del 2003 e dall’ingresso di rumeni e bulgari nell’Unione Europea[1] quattro anni dopo - un trend crescente che si interrompe e inverte il senso a partire dal 2007. In parallelo anche le cancellazioni anagrafiche – che pur risultano fortemente sottostimate in quanto scontano l’assenza di incentivo a richiederle – segnalano un progressivo aumento, a partire dal 2007, dopo anni di sostanziale stabilità. 
In proposito, è interessante osservare come i nuovi orientamenti, indubbiamente legati ai venti di crisi, non abbiano lasciato indifferenti gli stessi italiani; le cui iscrizioni dall’estero seguono un trend decrescente (35-40mila unità prima del 2007 a fronte dei meno di 30mila rilevate nel 2012), ma soprattutto le cui cancellazioni mostrano un’impennata nel corso dell’ultimo biennio.
Nuovi e vecchi protagonisti di un quindicennio vivace 
Il dettaglio per cittadinanza nei dati sui trasferimenti di residenza dall’estero durante l’intervallo 1995-2011 consente di evidenziare il ruolo svolto da alcune nazionalità, sia in occasione di specifici eventi della nostra recente storia migratoria, sia nel delineare le tendenze generali del fenomeno. In proposito, sul fronte delle tre principali presenze - Romania, Marocco e Albania – si può innanzitutto cogliere la staffetta dall’epoca della dominanza albanese -dalla metà degli anni ‘90 a inizio secolo- a quella dell’esplosione dei flussi dalla Romania, inizialmente accresciutisi con l’opportunità offerta dalla sanatoria del 2003 per poi beneficiare del successivo ingresso in ambito UE. Più regolare e lenta nel consolidamento appare, invece, la dinamica della componente marocchina i cui flussi, solo moderatamente influenzati dalle evoluzioni della normativa e dalle iniziative ad essa connesse, riflettono piuttosto il prosieguo di traiettorie migratorie ormai storiche e il forte contributo dei ricongiungimenti familiari. Coloro che mostrano una dinamica dei trasferimenti fortemente condizionata da norme e da politiche di governo del fenomeno migratorio sono, tra i paesi che seguono immediatamente i primi tre per importanza, l’Ucraina e la Moldavia. Entrambi – e il primo in particolar modo - hanno recepito gli effetti sia della sanatoria legata alla Bossi-Fini nel 2003 e dei successivi decreti flussi (che hanno avuto un forte seguito nell’ambito del lavoro domestico), sia della specifica regolarizzazione per colf e badanti attivata nella seconda metà del 2009. Viceversa, più lineare appare il trend dei trasferimenti dei cinesi, anche per via di una loro più spiccata caratterizzazione familiare che si manifesta anche nei flussi per ricongiungimento[2]. Tendenzialmente in crescita, pur con la pausa successiva al 2010, sono anche i flussi relativi agli altri quattro grandi fornitori dell’immigrazione verso l’Italia: Filippine, India, Bangladesh e Perù. In merito ad essi va comunque sottolineata, da un lato, la progressiva affermazione delle provenienze dal sub-continente indiano; dall’altro, l’altalenante effetto delle sanatorie (nel 1998, 2003 e 2009) sulle comunità, come quella filippina e peruviana, più largamente coinvolte nel lavoro domestico. 
Scenari per il futuro 
Dopo un passato che, sul piano dei flussi migratori in ingresso nel nostro paese, possiamo definire “intenso e vivace” e un presente che, al contrario, si accredita sempre più come una fase di “riflessione”, se ci si dovesse chiedere come sarà il prossimo futuro sarebbe opportuno sospendere ogni giudizio, almeno in attesa di comprendere meglio gli sviluppi dell’economia (e di alcuni importanti nodi socio-politici) tanto sul piano globale, quanto su quello delle macroregioni che alimentano, o che recepiscono, la mobilità internazionale.
Tuttavia qualche valutazione sugli scenari per il futuro può compiersi, almeno come serio esercizio di simulazione, ove si tenga adeguatamente conto di quei fattori, come la demografia e i relativi effetti sulle dinamiche del mercato del lavoro, che sono comunque prevedibili – almeno nel breve-medio periodo – e che hanno svolto e svolgeranno ancora un ruolo fondamentale nel condizionare i movimenti di 
popolazione verso l’Italia, e non solo. 
Pertanto si è sviluppato in ambito Ismu un modello che analizza i prevedibili surplus/deficit nei mercati del lavoro in corrispondenza dei principali paesi tributari dell’immigrazione straniera in Italia nel corso dell’intervallo 2011-2034 (Blangiardo e altri, 2013) e che, facendo discendere da essi la stima dei relativi flussi verso il nostro paese, alla luce dell’esperienza del passato e di ragionevoli ipotesi sull’incidenza delle catene migratorie (per lavoro e quindi per insediamento familiare), fornisce le stime dei dati di stock e di flusso per sesso e nazionalità in ogni quinquennio dell’intervallo in oggetto.
Se ne è così ricavata la valutazione che porta i circa
Immagine inserita4,5 milioni di residenti del 2011[3], agli oltre 7 milioni nel 2020 e ai poco meno di 10 milioni nel 2035, con una moderata prevalenza femminile. Tale incremento numerico avviene, tuttavia, assecondando una dinamica di progressivo rallentamento dei ritmi di crescita, che portano il corrispondente tasso medio annuo a ridursi dall’attuale 7% (stimato per il quadriennio 2011-2014) all’1,3% tra circa un quarto di secolo (2030-2034). L’ipotesi di un freno alla crescita della presenza straniera in Italia nel prossimo futuro sembra trovare in generale una conferma indipendentemente dalle provenienze, ma le sue manifestazioni si modulano con intensità che variano anche sensibilmente da paese a paese.

Ad esempio, le tre nazionalità attualmente più rappresentate si distinguono per la netta contrapposizione tra le prospettive del Marocco, che pur rallentando mantiene tassi di crescita superori alla media, e quelle della Romania, verosimilmente destinata a una situazione di stazionarietà o persino di (moderato) calo del totale dei residenti in Italia[4]. Intermedia è, invece, la posizione dell’Albania, i cui tassi sembrano rapidamente orientati a riprodurre gli stessi valori osservati per il complesso della popolazione straniera. Il posizionamento sotto il livello della crescita media accomuna alla Romania anche gli altri principali paesi dell’Est Europa, neocomunitari e non. Il rallentamento più forte sembra attribuibile all’Ucraina e alla Polonia che, già nel quinquennio 2020-2024, raggiungerebbero la stazionarietà per i rispettivi collettivi di residenti in Italia. Al contrario, sia i tassi di crescita delle principali provenienze asiatiche, sia quelli relativi alle cittadinanze africane si mantengono, pur contraendosi nel tempo, sopra la media. In particolare, restano abbastanza sostenuti i ritmi di crescita degli indiani e dei pakistani, che potranno essere ancora superiori al 3% nel quinquennio 2030-2034, nonché quelli dei senegalesi e nigeriani (ancora attorno al 4% nello stesso intervallo). Infine, in ambito latino americano si rivelano abbastanza modesti, pur se ancora in territorio positivo, i prevedibili tassi di crescita per la popolazione proveniente dal Perù, dall’Ecuador e dal Brasile. 
Riferimenti bibliografici
Blangiardo G.C. (2013), Gli aspetti statistici, in: Fondazione Ismu, Diciannovesimo Rapporto sulle Migrazioni, Franco Angeli, Milano. 
Blangiardo G.C., Barbiano E., Menonna A. e Forlani N. (2013), Household projection and welfare, in Atti del Convegno: Istat-Eurostat-UNECE, Work session on demographic projections, Roma 29-31 Ottobre 2013.
Istat (2013), La popolazione straniera residente in Italia. Bilancio Demografico, Statistiche Report, 26 luglio 2013, www.istat.it 


 

 

 

 

 

 

 

 

 


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