Newsletter periodica d’informazione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rassegna ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli
iscritti UIL

 

 

 

 

Anno XII n.7 del 19 febbraio 2014

 

Consultate www.uil.it/immigrazione

Aggiornamento quotidiano sui temi di interesse di cittadini e lavoratori stranieri

 

UIL, dibattito congressuale: l’immigrazione negli anni della crisi

Marwan, piccolo profugo di soli 4 anni

Non ci sono rovine, non c'è sangue, non ci sono morti. Eppure l'immagine di Marwan, un piccolo profugo siriano che attraversa il deserto giordano, racchiude la tragedia di un popolo costretto a scappare, del milione di bambini obbligati a lasciare casa. Trascina, ostinato, una busta di plastica mentre si lascia alle spalle la guerra. Ha quattro anni Marwan, ed è da solo perché si è allontanato dalla sua mamma durante la traversata: è rimasto indietro. La sua storia ha avuto un lieto fine grazie agli operatori umanitari dell'Unhcr. Andrew Harper, membro dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ha pubblicato la foto del ritrovamento su Twitter. Inizialmente si credeva che il piccolo avesse attraversato il deserto da solo, poi è stato lo stesso Harper a spiegare che Marwan si era mosso insieme a un gruppo di profughi che erano solo poco distanti da lui.

 

 

SOMMARIO

 

 

 

Appuntamenti pag. 2

 

Marwan, profugo di 4 anni pag. 2

 

Tesi congressuali, dibattito su immigrazione pag. 2

 

Verifica dell’accordo di integrazione pag. 5

 

Tutte le bufale sugli immigrati in Italia pag. 6

Addio Lugano bella? pag. 8

 

La crisi fa scappare italiani e stranieri pag. 9

 

Studio. Razzismo causa invecchiamento precoce? pag.10

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil                                                   

 

Dipartimento Politiche Migratorie

Tel. 064753292- 4744753- Fax: 064744751

E-Mail polterritoriali2@uil.


Dipartimento Politiche

Migratorie: appuntamenti


 

 

 

 


Roma, 21 febbraio 2014, ore 10 ed ore 12, Via del Velabro 5

Riunione di Presidenza del CIR ed incontro con il personale

(Giuseppe Casucci)

Roma, 24 febbraio 2014, ore 15.30, Camera dei Deputati, Sala della Regina

Unione Forense: Tavola Rotonda: “il sistema di Dublino versus la libertà di movimento dei rifugiati in Europa”

(Giuseppe Casucci)

Roma, 25 febbraio 2014, ore 10.00, UIL Nazionale

Gruppo di lavoro per la predisposizione delle Tesi: Immigrazione

(Guglielmo Loy, Giuseppe Casucci)


Storie

 


Marwan, piccolo profugo siriano, ritrovato solo nel deserto


La foto scattata dall’Unhcr al confine tra Siria e Giordania a uno dei tanti bambini costretti a lasciare la loro casa. Era rimasto indietro durante la traversata

 

Il bambino vagava nel deserto dopo aver perso la sua famiglia nella confusione della fuga dalla guerra.


Roma – 18 febbraio 2014 – Ha solo 4 anni Marwan, e gli operatori delle Nazioni Unite lo hanno trovato mentre vagava da solo, nel deserto, al confine tra Siria e Giordania. Sta fuggendo dalla guerra trascinandosi dietro il suo povero bagaglio, una busta di plastica. A causa del conflitto nel suo Paese, era stato separato dalla sua famiglia e cercava di trovare un rifugio portandosi dietro un sacchetto di plastica contenente tutti i suoi "averi". Una foto scattata e postata domenica su twitter da Andrew Harper, membro dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), racconta più di tante altre il dramma dei profughi siriani e del milione di bambini costretti a lasciare le loro case. Ritrae il piccolo Marwan mentre arriva al confine giordano e viene soccorso dagli operati umanitari. Inizialmente si era diffusa la notizia che Marwan aveva fatto la traversata del deserto da solo. In realtà era insieme a un gruppo di profughi, ma nell’ultima fase della marcia era rimasto indietro. Gli addetti umanitari dell'Onu lo hanno aiutato a superare il confine e ad entrare in Giordania, e sono anche riusciti a ritrovare sua madre, alla quale è stato riaffidato. Sono un milione, secondo fonti delle Nazioni Unite, i bambini costretti a fuggire dalla Siria per trovare scampo alla guerra tra fedeli al presidente Bashar al Assad e i ribelli.


 

Congresso UIL

 


Tesi congressuali

Immigrazione: luci ed ombre su crisi, mercato del lavoro ed immigrazione in Italia

Martedì 25 febbraio il Gruppo di lavoro Tesi congressuali tratterà il tema dell’immigrazione in Italia (UIL nazionale, sala Bruno Buozzi ore 10.00). Di seguito pubblichiamo un contributo al dibattito da parte del Dipartimento Politiche Migratorie UIL


1. Natura, dinamiche e limiti dell’immigrazione italiana

Tra il 2002 ed il 2012 la popolazione straniera, che rappresenta il 7,9% di quella totale, è quasi triplicata e l’aumento è stato del 311%, inferiore in Europa solo a quello della Spagna. Nel corso dell’ultimo decennio il numero degli stranieri in Italia è cresciuto in media dell’11% all’anno, con un incremento complessivo di quasi 3 milioni di persone. La caratteristica “anomala” dell’immigrazione in Italia è che essa non ha mai smesso di crescere, nemmeno nei periodi di recessione. Dal punto di vista statistico, inoltre, nell’ultimo decennio, siamo stati l’unico tra i maggiori paesi europei in cui si è osservata una correlazione sistematicamente negativa tra immigrazione e crescita.

Questo si spiega soltanto con il fatto che l’immigrazione in Italia è determinata prevalentemente da fattori demografici, invece che puramente economici.

L’immigrazione “made in Italy”, nascerebbe dalla necessità di rimpiazzare la caduta demografica della popolazione autoctona, ma è anche funzionale al mercato dell’economia sommersa che, secondo molti economisti, pesa per quasi il 25% del nostro PIL. Questo “rimpiazzo” è particolarmente visibile in quei settori e per quei lavori che, per ragioni durezza di condizioni, scarso prestigio, o bassa retribuzione, i lavoratori italiani hanno a lungo rifiutato. Da qui una sorta di “complementarietà” tra lavoro autoctono e lavoro etnico che finora ha evitato conflitti aperti tra le due anime del mercato del lavoro.

La presenza massiccia in molti settori di immigrati ha prodotto inevitabilmente fenomeni di dumping lavorativo e sociale con una compressione indiretta dei diritti contrattuali, in primo luogo della manodopera etnica, ma non solo. Inoltre, il prolungarsi della crisi potrebbe modificare gli equilibri tra occupazione italiana e straniera, la prima ormai non del tutto aliena a ricercare impieghi che da tempo sono di esclusivo appannaggio dei migranti.

Per il sistema delle imprese, l’aver cercato una competitività effimera nella compressione dei diritti dei lavoratori, piuttosto che nelle necessarie innovazioni è un errore che rallenterà notevolmente l’uscita dalla crisi della nostra economia.

2. L’impatto della crisi economica sull’immigrazione

Dal 2008 al 2013 si è assistito in Italia ad un aumento esponenziale del tasso di disoccupazione etnica, passato dall’8,1% a quasi il 18%. E contemporaneamente il tasso di occupazione straniera è calato di 6,5 punti percentuali arrivando al 58,1% nel II trimestre 2013 (contro il 55,4% degli italiani). Nel 2013, la crisi occupazionale ha registrato una forte impennata, con circa 511 mila stranieri iscritti alle liste di disoccupazione e oltre 1,25 milioni risultanti “inattivi”. Il tasso di disoccupazione “etnico” è oggi di ben 6,6 punti maggiore rispetto gli italiani. Dati forniti di recente dal Ministero del Lavoro.

Inoltre, la mancanza di lavoro a lungo termine produce una fuoriuscita di immigrati dall'Italia: infatti, i permessi di soggiorno concessi nel nostro Paese per motivi di lavoro sono passati dai 150.098 del 2007 ai 70.892 del 2013, dunque più che dimezzati. E non sono pochi gli stranieri che decidono di lasciare il nostro Paese per ritornare a casa o per cercare impiego in un’altra nazione: nel 2012 - secondo stime della Fondazione Moressa – l’uscita di 32 mila cittadini stranieri avrebbe privato – nel 2012 - le casse del nostro Stato di almeno 86 milioni di euro. Lo stesso anno ha visto anche l’uscita di circa 68 mila giovani italiani in cerca di un futuro all’estero.

Malgrado l’allungamento ad un anno del permesso di ricerca di occupazione e l’uso di ammortizzatori sociali la crisi produce effetti nefasti sulla componente straniera regolare, spingendola verso condizioni di irregolarità o ad abbandonare il Paese. In assenza di domanda di lavoro regolare si ricorre spesso a quello in nero, ancora fiorente malgrado l’applicazione della direttiva UE n. 52, che prevede provvedimenti più severi contro chi occupa stranieri irregolari.

Anche sul fronte del business dei permessi la nuova normativa non sembra aver inciso sensibilmente. Significativo è quanto è successo in occasione della regolarizzazione del settembre –ottobre 2012, che ha visto la presentazione di 134.576 domande di emersione dalla irregolarità (di cui 79.315 da colf, 36.654 da badanti e 18.607). Secondo dati recenti del Viminale, quasi la metà delle domande sarebbe stata rifiutata, o perché in difetto delle condizioni poste dalla procedura di emersione, ma anche in quanto alla domanda presentata non corrisponderebbe un posto di lavoro vero, ma solo documentazione fittizia fornita da imprese di comodo in cambio di un lauto compenso da parte degli immigrati (si parla di cifre che vanno dai 2 agli 8 mila euro). Invece che intermediazione di manodopera, dunque, si assisterebbe ad un mercato fittizio dei permessi. Stessa situazione sul fronte del decreto flussi per gli stagionali, con quote ridotte dal Governo a sole 10 mila unità nel 2013, proprio a causa dell’assenza di posti di lavoro reali.

3. Immigrazione e lavoro

I lavoratori immigrati oggi in Italia, malgrado la crisi, rappresentano sono 2,4 milioni e rappresentano più del 10% dell’occupazione nazionale, con un’incidenza particolarmente elevata nel comparto dei servizi, commercio, delle costruzioni e in agricoltura. Sono 4.387.721 gli stranieri legalmente residenti sul territorio nazionale (dati 2011 Istat), pari al 7,3% della popolazione complessiva. Producono l’11 % del PIL e pagano le imposte: in Italia si contano complessivamente 3,4 milioni di contribuenti nati all’estero (dati 2011) che dichiarano al fisco quasi 43,6 miliardi di €. Nel 2011 i nati all’estero hanno pagato 6,5 miliardi di € in Irpef. Per quanto riguarda i soldi mandati a casa, nel 2013 il volume delle rimesse è ammontato a 7,1 miliardi di €, pari allo 0,45% del Pil. Vi sono ormai settori che funzionano quasi solo grazie alla presenza degli stranieri, primo tra tutto il settore dei servizi alla persona (con oltre l’80% della manodopera composta da stranieri), seguito dal commercio (26,2%), edilizia (21,7%), agricoltura (15,9%), settore dei trasporti (12%).

Una presenza così massiccia di stranieri nel mercato del lavoro obbliga il sindacato a rivedere le proprie strategie, sia sul fronte contrattuale, quello dei servizi a tutela dei nuovi cittadini, come sul piano delle politiche migratorie e di cittadinanza. Non ultimo è necessario rivedere i canali di affiliazione ed integrazione di giovani quadri sindacali di origine straniera.

4.    Sindacato e contrattazione etnica (ruolo dei patronati)

Si è consolidata negli anni una strategia sindacale rivolta alla tutela contrattuale degli immigrati sui posti di lavoro, soprattutto in termini di contrasto alle discriminazioni, ma anche a partire dal presupposto che i tipi di lavoro che essi svolgono sono a più forte rischio infortunistico. La domanda di miglioramento delle condizioni di lavoro da parte degli immigrati, è cresciuta in parallelo con la loro partecipazione attiva alla vita politica, sociale e sindacale, spesso associata alla consapevolezza dell’importanza dell’accesso ai diritti di cittadinanza. Negli anni, il generale aumento delle iscrizioni degli stranieri al sindacato ha confermato l’efficacia dell’attività di contrattazione nazionale e territoriale, per combattere le disparità di trattamento tra lavoratori stranieri ed italiani, in materia di orari e salari. Questo è infatti – assieme all’accesso al lavoro - uno dei punti nodali su cui si gioca la lotta alle discriminazioni nei luoghi di lavoro.

Le più recenti rivendicazioni sindacali sono nate proprio dalla consapevolezza che la condizione dei lavoratori immigrati è una cartina di tornasole delle tendenze generali del mercato del lavoro rispetto alla precarietà e ricattabilità dei lavoratori che spesso si traduce in dumping lavorativo e sociale.

I Patronati. Da alcuni anni, sulla base di protocolli sottoscritti con il Ministero dell’Interno, i patronati (sindacali e non) hanno svolto un ruolo via, via sempre più importante nel supporto alla soluzione dei problemi burocratici ed amministrativi degli stranieri, ma anche relativi al loro inserimento nel tessuto sociale. Attualmente, oltre il 50% delle pratiche relative ai primi ingressi, rinnovo del permesso di soggiorno, carta di soggiorno, ricongiungimenti familiari e cittadinanze vengono svolti dai patronati, in forma totalmente gratuita ed in concorrenza con un mercato privato dei permessi spesso gestito da persone ed organizzazioni senza scrupoli. Oltre al sostegno relativo agli aspetti burocratici, viene dato agli immigrati – quando necessario - sostegno legale per le vertenze sul lavoro o procedura civile. Forte è anche l’attività legale a tutela dei comportamenti discriminatori o al rischio infortunistico sul luogo di lavoro.

I problemi oggetto di contrattazione

Le questioni problematiche maggiormente in rilievo sono state e sono:

a)     La discriminazione dei lavoratori stranieri nell’accesso al lavoro, specie pubblico;

b)    Assegnazione a loro dei lavori più pesanti, meno qualificati, e meno retribuiti;

c)     Sotto inquadramento delle funzioni, specie rispetto al titolo di studio e preparazione;

d)    Turni di lavoro più scomodi, allungamento degli orari, straordinari non retribuiti;

e)     Lavoro nero, caporalato e mancata erogazione dei contributi;

f)     mancata concessione di ferie e permessi, inadempienze in materia di tredicesime e liquidazioni;

g)     licenziamenti senza giusta causa né preavviso;

h)     scarsa attenzione alle esigenze religiose ed alimentari;

i)      Retribuzione inferiore agli italiani (in media del 25%) a parità di funzioni svolte.

5.    Iscritti ed integrazione nel sindacato

Una delle peculiarità dell’immigrazione italiana, nel contesto europeo, è l’alto tasso di sindacalizzazione (circa il 42%), un indicatore della tendenza alla stabilizzazione occupazionale e territoriale degli immigrati. In Italia tutti i lavoratori stranieri possono iscriversi ai sindacati, a prescindere dalla loro condizione giuridica o contrattuale.

Gli affiliati ai sindacati oggi superano quota 1 milione di tessere. Il tasso di affiliazione. Sono operai, impiegati e professionisti stranieri e, dunque, bisognosi di tutele extra, in un’Italia in cui la burocrazia la fa da padrona, dove fioriscono professionisti del “business” sui problemi degli immigrati e dove non mancano datori di lavoro senza coscienza.

La sindacalizzazione “etnica” è proporzionalmente più alta rispetto a quella degli autoctoni, visto che dei 27,7 milioni di dipendenti italiani (basandosi sui dati Istat 2012) i tesserati attivi sono un po’ meno di 6,4 milioni, quindi circa il 23,1 %. 
Perché una differenza così notevole? Il lavoratore straniero ha più difficoltà nel difendere i propri diritti e conquistarne di nuovi oppure si sente perso nel groviglio delle norme?

La verità è che – con la legge Bossi – Fini ed il pacchetto sicurezza - “il sistema normativo ha di fatto voluto creare una categoria di persone più insicura, con diritti e tutele a termine, estremamente soggetta alle variazioni del sistema economico”. Da qui una maggiore richiesta di tutela.

Inoltre va anche considerato che l’età media degli immigrati è più bassa di quella degli italiani (32,2 anni contro i 44,7 degli stranieri, dati Istat 2012). La quota di lavoratori attivi, rispetto ai pensionati, è dunque molto più alta.
Insomma, è in questo contesto che si inseriscono i 408 mila immigrati iscritti alla Cgil nel 2012, i 384 mila della Cisl, i 209.000 tesserati stranieri della UIL. Per le confederazioni si tratta rispettivamente del  7,1 %, del 8,6% e del 9,5% del totale degli iscritti.

6. Nuove strategie per la UIL e maggior ruolo per i nuovi cittadini

Malgrado la crisi economica è ben chiaro che il peso che avranno gli immigrati nel mercato del lavoro e nel sindacato è destinato a crescere. Non è più possibile, dunque, confinare un tema così grande e trasversale ad una nicchia dipartimentale. E’ necessario invece un grande sforzo e collaborazione tra categorie, confederazione e patronato per mettere a disposizione strumenti di crescita sindacale e proposte politiche e contrattuali volte a rafforzare la presenza ed il ruolo dei nuovi cittadini nella UIL.

Il lavoro svolto dal Dipartimento Politiche Migratorie, dall’ITAL e da alcune categorie è stato finora prezioso ma va maggiormente strutturato e rafforzato: perché il futuro della UIL sta anche nella presenza e nel ruolo che avranno i nuovi cittadini, assieme al resto del sindacato.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Società

 


Verifica dell’accordo di integrazione

25 mila stranieri chiamati a documentare il grado di integrazione raggiunto in Italia


25 mila stranieri chiamati a documentare il grado di integrazione raggiunto in ItaliaRoma, 17 febbraio 2014 -Indicazioni operative agli Sportelli Unici Immigrazione - Con la circolare n. 824 del 10 febbraio 2014, la Direzione centrale per le politiche dell’immigrazione e dell’asilo, fornisce indicazioni operative agli Sportelli Unici Immigrazione per la verifica dell’accordo di integrazione. La procedura di verifica interessa quei cittadini stranieri entrati in Italia dopo il 10 marzo 2012 per motivi di lavoro e, quindi, obbligati a sottoscrivere l “accordo di integrazione” per avere il permesso di soggiorno cosiddetto “a punti”.  In base a quell’accordo i nuovi cittadini hanno due anni per integrarsi terminati i quali  dovranno dimostrare se hanno raggiunto l’obiettivo. Considerato che da due anni non è stato attivato dal Governo alcun decreto flussi (a parte gli stagionali), sono solo poche decine di migliaia per ora le persone interessate all’accordo di integrazione. Nei prossimi giorni, chi ha sottoscritto l’accordo a marzo del 2012, verrà convocato presso lo Sportello Unico per l’Immigrazione ai fini della verifica dell’accordo sottoscritto allora. Com’è noto, questo prevede un meccanismo a punti (max 30), che salgono con comportamenti considerati virtuosi, ma vengono decurtati quando non si rispettano le regole. Per esempio, un corso di studi, il rispetto della scuola dell’obbligo per i figli, la scelta del medico di base, la sottoscrizione di un contratto di affitto fa salire il punteggio,  mentre una condanna penale o una multa per evasione fiscale li fa scendere. Al momento della firma del contratto,  si ottengono d’ufficio 16 punti. Se entro due anni sono diventati 30 e si conoscono la lingua italiana e le basi della nostra cultura civica, l’accordo si considera rispettato. A chi si ferma tra 1 e 29 punti verrà dato un anno di tempo ulteriore per recuperare, se però i punti sono 0 o meno, il permesso di soggiorno rischia di essere revocato. La verifica è quindi un momento fondamentale, e qualche giorno fa il Ministero dell’Interno ha dato le prime indicazioni operative agli Sportelli Unici per l’Immigrazione. Questi nelle prossime settimane inizieranno a chiedere agli stranieri con l’accordo in scadenza di presentare tutta la documentazione sugli obiettivi raggiunti in questi due anni e controlleranno con casellario giudiziario, comuni, agenzia delle entrate ecc. se ci sono da fare decurtazioni. Chi non ha documenti per dimostrare che conosce l’ italiano e l’educazione civica potrà  in alternativa sostenere un test organizzato dagli stessi Sportelli Unici per l’Immigrazione. La domanda si presenterà online, tramite il sito   https://integrazione.dlci.interno.it , utilizzando  le credenziali ricevute quando si è sottoscritto l’accordo di integrazione. Importante: l’art 4 bis del T.U. Immigrazione esclude dalla verifica gli stranieri titolari di un permesso di soggiorno per motivi familiari o nei confronti dei quali è stato rilasciato un nulla osta al ricongiungimento familiare. Esclusi anche i richiedenti asilo o  titolari di protezione sussidiaria, per motivi umanitari. Infatti, anche se queste persone fossero a zero punti,  non sarebbero comunque espellibili. Si tratta della parte minore dei cittadini di paesi terzi entrati in Italia negli ultimi due anni, dal momento che gli ingressi per lavoro sono praticamente bloccati. Il Viminale ha contato 66 mila accordi in scadenza tra marzo e dicembre 2014, ma ne andranno effettivamente verificati solo 26 mila. Com’era prevedibile, i più impegnati saranno gli Sportelli Unici per l’Immigrazione di Roma (5mila verifiche ) e Milano (2mila). Il Patronato Ital UIL, con le sue sedi territoriali in tutto il Paese, è a disposizione degli stranieri interessati a verificare la documentazione e ad istruire la pratica in maniera corretta.

Circolare n. 824 del 10 febbraio 2014 Ministero dell'Interno



Tutte le bufale sugli immigrati in Italia

Dall'emergenza degli sbarchi ai costi per lo Stato, passando per le case popolari e il reddito minimo garantito: tutte le bufale sulla "dittatura" degli extracomunitari nel nostro Paese.


Tutte le bufale sugli immigrati in Italia.(http://www.fanpage.it/) Roma, 19 febrraio 2014 - La decisione dei cittadini svizzeri di sottoscrivere un referendum che impegna il Governo a rivedere le norme in materia di immigrazione ha finito inevitabilmente per il riaprire il dibattito anche in Italia. Tra emergenze vere e presunte, tra contraddizioni e vere e proprie sciocchezze, tra dati e impressioni, in effetti quello sull’immigrazione è un discorso complesso, affrontato spesso in maniera molto confusa e superficiale, ma soprattutto strumentalizzato dalla quasi totalità delle forze politiche. Che, sostanzialmente, avallano messaggi contraddittori, notizie prive di fondamento e vere e proprie bufale. Vediamone alcune, senza alcuna pretesa di esaustività, dal momento che sul tema le parole al vento sono praticamente infinite.

L’invasione dei clandestini - La percezione con la quale si assiste allo sbarco dei clandestini a Lampedusa e non solo è spesso, anzi sempre, influenzata dalle contingenze politiche ed economiche. Negli ultimi mesi la rappresentazione è stata quella dell’assedio (con una parentesi dopo la tragedia di Lampedusa, che ha “convinto” a mettere da parte un certo tipo di propaganda, per ragioni di decenza), anche se completamente smentita dai numeri. I dati sono quelli che il Governo pubblica nel rapporto di Ferragosto e testimoniano come i flussi migratori sostanzialmente seguano dinamiche proprie e, soprattutto, come non vi sia alcuna emergenza (per citare Alfano nel 2012, “flussi assolutamente gestibili”). Infatti, ecco il numero di migranti nei diversi intervalli di tempo:

·               2008 – 2009 = 29.076

·               2009 – 2010 = 3.499

·               2010 – 2011 = 48.032

·               2011 – 2012 = 17.365

·               2012 – 2013 = 24.277

L’esercito dei clandestini, la maggioranza degli irregolari - Le cifre di cui sopra andrebbero poi confrontate con il “complesso” dei dati sull’immigrazione in Italia, fosse solo per avere un’idea della fallacia logica dell’associazione fra “invasione” e “immigrazione”. Gli stranieri regolarmente residenti nel Belpaese sono infatti 3.863.264, i permessi di lavoro rilasciati sono stati 107.537 per lavoro autonomo e 752.715 per lavoro subordinato, mentre i ricongiungimenti sono stati 478.508.

L’esercito dei rifugiati - Anche in questo caso è smentita dai dati la pretesa “proporzione biblica” del numero di migranti che ottiene dallo Stato italiano protezione o qualche forma di agevolazione in quanto proveniente da zone di guerra (o particolarmente complesse dal punto di vista della stabilità politica). Stando ai dati diffusi dal Viminale nell’ultimo anno lo status di rifugiato politico è stato ottenuto da 1601 migranti, poco più di un decimo di coloro che ne avevano fatto richiesta (mentre sono 2.765 coloro che hanno ricevuto una protezione sussidiaria di 3 anni, 2.812 le protezioni umanitarie di un anno e 3.890 le domande non accolte).

Le case popolari vanno solo agli immigrati -
 Questo è evidentemente un problema di natura complessa, che fa sempre grande presa sull’opinione pubblica. I dati sono molto disomogenei per città, provincia e Regione (si va da un 40% circa di case popolari assegnate a migranti in alcune zone della Lombardia al 10% della

provincia di Bologna

) ed il discrimine andrebbe sostanzialmente rapportato alle domande: “A vedersi assegnare un alloggio, sono più spesso gli italiani rispetto agli stranieri, con il rapporto di 1 a 5 per le famiglie italiane e 1 a 10 fra gli stranieri che ne fanno richiesta”Ovviamente scontata è la constatazione sull’impossibilità di assegnare case popolari agli irregolari, così come anche superflua dovrebbe essere la constatazione del fatto che la presenza in graduatoria di una più alta percentuale di stranieri ha anche una radice nella condizione reddituale degli stessi che mediamente è ancora più bassa rispetto a quella degli italiani.
L’Europa non ci aiuta - Fatte salve le valutazioni di ordine politico e la riflessione di ordine complessivo (che pure per certi versi è discutibile) sulla necessità di una risposta europea ai fenomeni di immigrazione, risulta non fondata l’obiezione relativa ad un completo disimpegno delle istituzioni europee dal punto di vista economico finanziario. Come spiega il ministero dell’Interno, infatti, è in piena attuazione il “Programma Generale Solidarietà e gestione dei flussi migratori”, che si sostanzia di 4 fondi:

·                    Fondo Europeo per i Rifugiati: riguarda le politiche e i sistemi dell’asilo degli Stati membri e promuove le migliori prassi in tale ambito. In linea con l’obiettivo del Programma dell’Aja di costituire un sistema di Asilo unico europeo, il fondo mira a finanziare progetti di capacity building creando situazioni di accoglienza durevoli per i beneficiari.

·                    Fondo Europeo per i Rimpatri: destinato a migliorare la gestione dei rimpatri in tutte le sue dimensioni sulla base del principio della gestione integrata dei rimpatri nonchè a sostenere le azioni volte ad agevolare il rimpatrio forzato.

·                    Fondo Europeo per l’Integrazione di cittadini di Paesi Terzi: finalizzato a co-finanziare azioni concrete a sostegno del processo di integrazione di cittadini di Paesi terzi, a sviluppare, attuare, sorvegliare e valutare tutte le strategie e le politiche in materia di integrazione dei cittadini di Pesi terzi, nonché a favorire lo scambio di informazioni e di migliori pratiche e a sostenere la cooperazione interna ed esterna allo Stato.

·                    Fondo Europeo per le Frontiere Esterne: finalizzato ad assicurare controlli alle frontiere esterne uniformi e di alta qualità favorendo un traffico transfrontaliero flessibile anche mediante il co-finanziamento o di azioni mirate, o di iniziative nazionali per la cooperazione tra Stati membri nel campo della politica dei visti, o di altre attività pre-frontiera.

Gli extracomunitari rubano il lavoro agli italiani - La risposta a questa specie di quesito non può che partire da una considerazione di carattere, per così dire, ideologico. Tutte le economie occidentali presentano una alta percentuale di lavoratori “non autoctoni” e, come ricorda Zatterin su La Stampa, “le cifre della Commissione Ue rivelano che il flusso migratorio non danneggia i sistemi sani, anzi. Nell’Unione europea, fra il 2004 e il 2009, si stima che il Pil delle quindici principali economiche continentali abbia beneficiato di un punto percentuale come risultato della migrazione”. C’è poi un’altra considerazione da fare e che è relativa alla questione “gli stranieri fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare” (una semplificazione davvero eccessiva) ed è quella relativa alla questione delle retribuzioni. Il salario medio di un lavoratore italiano è di 1304 euro, quello di un lavoratore straniero di 968 euro: evidentemente, dunque, c’è un discorso relativo alla specializzazione del lavoratore ed alla tipologia di lavoro, ma c’è anche una certa “tendenza” dei datori di lavoro ad approfittarsene.

Gli extracomunitari devono venire in Italia solo se hanno la sicurezza di un lavoro - A tale obiezione ha risposto in modo perfetto Sergio Briguglio su www.LaVoce.info , “suggerendo” alcune riforme possibili: “Si tratta di tradurre in norme quello che tutti sanno: i rapporti di lavoro a bassa qualificazione non si costituiscono “a distanza”, ma richiedono un incontro diretto, sul posto, tra domanda e offerta. Significa consentire l’ingresso per ricerca di lavoro, che è già possibile, senza alcun limite e senza conseguenze negative per la nostra società, per i lavoratori comunitari. Per i lavoratori di paesi terzi si potrebbero introdurre limiti numerici e, per far fronte a possibili fallimenti delle avventure migratorie individuali, opportuni correttivi in sede di rilascio del visto di ingresso: la registrazione delle impronte digitali e di una copia del passaporto, per una identificazione immediata dello straniero; e il deposito vincolato (da parte dell’interessato o di un garante) di un ammontare di risorse sufficienti al sostentamento del lavoratore per il periodo di ricerca di lavoro e per l’eventuale viaggio di ritorno“.

Bisogna aiutarli nei loro paesi di origine - In questo caso, più che di una scusante tutta politica che sottende ad un ragionamento inficiato da una buona dose di paternalismo, vi è una considerazione di ordine essenzialmente pratico. Se l’obiettivo finale deve essere quello del miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni che vivono in zone particolarmente disagiate, allora non può sfuggire che, come rileva la Banca Mondiale, “le rimesse inviate dai migranti nei paesi in via di sviluppo hanno raggiunto i 283 miliardi di dollari, una somma superiore a quella disponibile tramite l’aiuto pubblico allo sviluppo o gli investimenti esteri diretti”. Anche per questi motivi, tra i programmi maggiormente incidenti, vi sono quelli di co – sviluppo, ossia gli investimenti di residenti in Italia (e comunità d’accoglienza) nei loro paesi di origine (come il MIDA, Migration for Development in Africa, lanciato da Oim e Fao più di dieci anni fa). Il tutto senza considerare nemmeno il fatto che ogni “aiuto nei paesi di origine” non può prescindere da considerazioni specifiche sulle condizioni geopolitiche di alcune aree, strette tra tumulti, guerre e, soprattutto, dirimenti interessi stranieri (sui danni del neo-colonialismo e sulle convenienze “occidentali” poi la discussione si fa necessariamente lunga e molto complessa).


 

Inchiesta


Quando gli immigrati siamo noi

Addio Lugano bella?
Corrado Bonifazi* 


Per meno di 20 mila voti i sì hanno prevalso nel referendum svizzeroIl 9 febbraio gli elettori svizzeri hanno approvato la proposta referendaria di reintrodurre il sistema delle quote nella gestione dell'immigrazione dall'Unione europea, abolito con gli accordi del 2002 tra Berna e Bruxelles. Al di là degli effetti diretti, questo risultato rischia di alimentare le campagne contro l'immigrazione da parte dei partiti della destra populista in vista delle prossime elezioni europee, ma dimostra anche come sia importante il consenso popolare nella gestione delle politiche migratorie. 
Il referendum svizzero

Per meno di 20 mila voti i sì hanno prevalso nel referendum proposto dal partito populista dell'Unione Democratica di Centro per la reintroduzione di limiti ai flussi di immigrazione provenienti dall'Unione europea, liberalizzati con l'accordo del 2002. Lo scarto è risultato minimo, i sì rappresentano infatti appena il 50,3% dei votanti contro il 49,7% raccolto dai no, ma la contemporanea vittoria in più della metà dei cantoni ha consentito l'approvazione di una proposta che vedeva contrari il governo, gli imprenditori e i sindacati, tutti preoccupati delle conseguenze negative di questa scelta sulle relazioni con l'Unione. Nonostante l'appoggio di questa ampia, ma forse poco determinata compagine, la proposta è stata approvata con un esito per altro identico a quello che nel 1992 bocciò il referendum sull'integrazione della Svizzera nello Spazio economico europeo. Al momento risulta impossibile stabilire le conseguenze pratiche della votazione, visto che il testo proposto assegna al governo tre anni di tempo per definire i criteri operativi e vista anche la decisa reazione da parte dell'Unione europea. Quest'ultima ha infatti immediatamente chiarito che una limitazione alla circolazione delle persone avrebbe conseguenze dirette anche sui movimenti di merci, servizi e capitali liberalizzati anch'essi con gli accordi del 2002. Tali limitazioni avrebbero evidenti e dirette conseguenze negative per l'economia elvetica, strettamente connessa con quella dell'Unione, effetti che però non risparmierebbero neanche i partner della Svizzera.
Il contesto migratorio svizzero

ingrandisci schermata2014-02-13a09.25.59.pngIl voto referendario rischia però di avere conseguenze politiche più dirette ed immediate alimentando, in prossimità delle elezioni europee, le campagne dei numerosi partiti populisti che hanno fatto della lotta all'immigrazione uno dei loro principali cavalli di battaglia. Dichiarazioni in tal senso non sono mancate, neanche nei casi, come quello italiano, in cui più direttamente colpite dalle limitazioni dovrebbero essere proprio le zone di confine dove più numeroso è l'elettorato della Lega. Per valutare appieno i risultati del referendum appare però necessario inquadrare il caso elvetico nelle sue reali dimensioni quantitative. Infatti, la Svizzera è in termini relativi, escludendo il piccolo Lussemburgo, il maggior paese d'immigrazione del continente (Fig. 1): quasi il 23% della popolazione residente è composto da stranieri e un residente su quattro è un immigrato di prima generazione nato all'estero. Sono valori decisamente superiori a quelli che si registrano negli altri paesi d'immigrazione del continente: la quota di nati all'estero, ad esempio, si ferma al 9% in Italia, all'11,3% in Francia, al 12,1 in Germania, al 14,2 in Spagna e al 15,8% in Austria. Agli 1,8 milioni di stranieri residenti (di cui il 60% è comunitario) vanno poi aggiunti i 277 mila frontalieri, tra cui 57 mila sono i tedeschi, 65 mila gli italiani e 145 mila i francesi. 
Non bisogna poi sottovalutare che dalla crisi in poi la Svizzera è diventato il paese con il saldo migratorio più elevato all'interno dell'area di libera circolazione (Fig. 2), scalzando decisamente i paesi dell'Europa meridionale in forte calo e sopravanzando decisamente anche Germania e Regno Unito.    

Politiche migratorie e consenso

ingrandisci schermata2014-02-13a09.29.23.png
È inevitabile che processi sociali di queste dimensioni determinino, oltre a un generale beneficio economico, anche conseguenze negative, soprattutto per le fasce più deboli della popolazione dei paesi d'arrivo. Nel caso svizzero, ad esempio, è stato evidenziato l'impatto negativo dell'immigrazione sul sistema di welfare e i casi di dumping salariale. In generale, è chiaro che in tempi di globalizzazione e di crisi economica la presenza di potenziali o effettivi concorrenti nel mercato del lavoro e nell'uso dei servizi sociali può creare preoccupazioni più o meno fondate. Il risultato del referendum svizzero dimostra che in un paese democratico queste preoccupazioni non vanno sottovalutate o peggio ignorate, ma vanno invece affrontate con determinazione, intervenendo sui problemi reali e rimuovendone le cause. Anche per le politiche migratorie è infatti fondamentale raccogliere un ampio consenso tra la popolazione, se non si vuole correre il rischio di lasciare troppo spazio alle iniziative di populisti e demagoghi.              
* Irpps - Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali


 

Crisi ed immigrazione

 


La crisi fa scappare gli italiani ma anche gli stranieri che tornano in patria o scelgono altri paesi


Roma, 17 febbraio 2014  - "Dall'inizio della crisi sono più che raddoppiati i trasferimenti dall'Italia. Un terzo è costituito da stranieri che lasciano il nostro Paese per rientrare in patria o proseguire il percorso migratorio altrove. Quanto ai nuovi emigranti italiani, quasi 70mila nel 2012, fuggono prevalentemente dalle regioni del Nord". È quanto scrivono i ricercatori dellaFondazione Leone Moressa in un'analisi sui trasferimenti dall'Italia effettuata all'indomani del referendum svizzero.
Il "caso Svizzera". Nel referendum di domenica 9 febbraio gli svizzeri hanno approvato l'iniziativa "Contro l'immigrazione di massa", che prevede un tetto alle quote di immigrati e la rinegoziazione del trattato di libera circolazione con l'Ue. Ma dove emigrano oggi gli italiani? Osservando i dati Istat sulle cancellazioni di residenza verso l'estero, i principali Paesi di destinazione sono Germania (11,3% dei trasferimenti totali), Romania (8,7%) e Svizzera (8,4%). Nel periodo 2007-2012, il Paese che ha registrato il più alto aumento di flussi dall'Italia è stata la Romania (+213,8%), seguita da Cina (+177,7%) e Francia (125,5%).
Vecchi e nuovi italiani. L'analisi degli ultimi undici anni delle cancellazioni per trasferimento di residenza all'estero mostra chiaramente un effetto "crisi economica" sia per i trasferimenti di cittadini italiani, che degli immigrati residenti. Se a livello di numero assoluto il fenomeno sembra colpire maggiormente gli italiani, negli anni è aumentata infatti l'incidenza degli stranieri sul totale: sono passati dal 29% (2007) dei trasferimenti al 36% del 2012. 
In fuga dal Nord. Il 64% delle cancellazioni per trasferimenti all'estero riguarda italiani e in particolare oltre la metà di queste (53%) si riferisce a residenti del Nord (per un indice sulla popolazione di 1,4 su 1.000) contro il 30% dei residenti al Sud (1 su 1.000). Infatti le prime 5 regioni italiane per trasferimenti di italiani verso l'estero sono tutte situate nel Nord Italia; il primato viene registrato nel Trentino Alto Adige (2 italiani su 1.000) trasferimenti probabilmente favoriti dalle vicinanze geografiche, seguono Lombardia (1,6 su 1.000) e Veneto (1,5 su 1.000). Nella parte finale della classifica troviamo Puglia e Campania. Da segnalare la forte crescita in Abruzzo e in Emilia Romagna dove i trasferimenti sono quasi raddoppiati rispetto al 2007.
Gli stranieri scappano dall'Italia. Nel 2012 oltre 38mila stranieri (9 stranieri residenti su 1.000) hanno deciso di lasciare l'Italia: rispetto al 2007 il valore è più che raddoppiato e il fenomeno sembra riguardare tutta la penisola. Tra le prime regioni per cancellazioni troviamo il Trentino Alto Adige e il Friuli Venezia Giulia, in queste zone di confine il trasferimento sembra più facile, ma la situazione non cambia in Veneto, Marche e Toscana. Calabria, Lazio e Campania sembrano essere meno interessate al fenomeno. di VLADIMIRO POLCHI, http://www.repubblica.it/


 

 

Stampa estera


Subire il razzismo causa invecchiamento precoce?

(articolo di Pierre Barthélémy, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 10/02/2014)


E' uno studio apparso a gennaio e che pone una domanda nuova, alla quale nessuno vi aveva pensato spontaneamente e che acquisisce un'eco particolare all'inizio del 2014, dove l'odio dell'altro e' riapparso in modo tanto spettacolare quanto nauseabondo. LA DOMANDA E' LA SEGUENTE: SUBIRE IL RAZZISMO PROVOCA UN PRECOCE INVECCHIAMENTO? La discriminazione e gli atti razzisti hanno un impatto biologico misurabile presso coloro che ne sono vittime? Uno studio americano riportato dall'”American Journal of Preventive Medicine” non pretende di dare a questo una risposta definitiva ma solo aprire un confronto in virtù dei risultati.  Se questo studio attira oggi l'attenzione e' per il suo approccio originale e interdisciplinare e anche perché in calce vi e' anche la firma del Premio Nobel 2009 per la Medicina, Elizabeth Blackburn, che non ha la frequente abitudine di avventurarsi in cose frivole e incongrue.
Gli autori di questo lavoro sono partiti dalla constatazione che, in Usa, le persone di origine africana rappresentano la popolazione più duramente colpita da malattie gravi, essenzialmente quelle legate all'età, malattie che in genere, in quel Paese, appaiono più in là nel tempo. Le speranze di vita ne risentono enormemente: 69,7 anni per le persone di pelle nera rispetto a 75,7 anni per le omologhe di pelle bianca. Abitualmente, questa importante differenza e' messa nel conto delle ineguaglianze sociali (livello di vita, alimentazione, accesso alle cure, etc.). Ma da qualche anno diversi studi si domandano sul legame che potrebbe esistere tra, da un parte, questi dati sanitari e demografici e, dall'altro, lo stress psicosociale che e' conseguenza degli atti razzisti. Se questa ipotesi e' corretta, i ricercatori si sono domandati: come questa può essere riportata a livello biologico? Per rispondere alla domanda, hanno avuto l'idea di concentrarsi nell'ambito prediletto da Elizabeth Blackburn: i telomeri . Come si vede dall'immagine di questo articolo, i telomeri sono sequenze del DNA poste all'estremità dei cromosomi, e che formano una specie di cappuccio protettivo. Negli eucarioti (animali, vegetali, funghi e protozoi), quando le cellule si dividono e si duplicano, la copia dei cromosomi e' incompleta: tutte le ultime sequenze del DNA, quelle che si situano dopo i cromosomi, vengono perse nel corso dell'operazione. Da qui la necessità di avere in proposito un “margine di usura”. I telomeri, a loro volta, hanno la funzione di segnalare che si arriva dopo un cromosome ed evitare che informazioni genetiche indispensabili siano perse nel corso della propria duplicazione. Ogni anno, rispetto alle nostre divisioni cellulari, perdiamo anche un po' dei nostri telomeri. Queste erosioni cromosomiche sono anche associate ad alcune malattie cardiovascolari, all'artrosi o all'Alzheimer. I ricercatori hanno quindi deciso di servirsi di questa riduzione dei telomeri come un segnale di invecchiamento presso 92 afro-americani di 30/50 anni, in buona salute e provenienti da diversi contesti, ai quali hanno prelevato dei campioni di sangue. Parallelamente a queste analisi, sono stati fatti due test per valutare -se ci si può permettere questa espressione- l'esposizione di queste persone al razzismo. Un questionario e' stato proposto per valutare le discriminazioni subite nella vita quotidiana, sia che fosse stato rifiutato un impiego o un prestito bancario, l'affitto di una casa, l'accesso alle cure mediche. Alcune domande riguardavano anche il modo in cui le persone si sentivano trattate sul proprio posto di lavoro, nei negozi, nei ristoranti, dalla polizia o davanti a dei giudici. Un secondo test e' stato fatto per valutare gli angoli personali inconsapevoli di fronte a gruppi etnici. Si tratta di misurare la velocità con cui i soggetti associano alcune immagini di persone (bianche o nere di pelle) ad alcune parole che hanno caratteristiche positive o peggiorative. E' stato quindi stabilito che il 70% degli americani anno dei pregiudizi verso i Neri... pregiudizi che sono presenti anche nella metà degli afro-americani. L'esperimento ha messo in evidenza un effetto, modesto ma significativo, una correlazione tra riduzione dei telomeri ed “esposizione” al razzismo. Ma questo accade solo nelle persone che hanno una cattiva considerazione del proprio gruppo etnico. Così spiega il primo autore dello studio, David Chae (Università del Maryland): “le persone afro-americane che hanno una visione positiva del proprio gruppo etnico, potrebbero essere protette dall'impatto negativo della discriminazione razziale. Al contrario, coloro che hanno interiorizzato un angolo anti-Neri, potrebbero essere meno adatti a gestire le esperienze razziste, che potrebbero essere derivate da stress e telomeri più corti”. E' da notare che David Chae usa il condizionale. Nella conclusione del loro studio, gli autori rimangono molto prudenti sulla portata dei loro risultati, sottolineando il numero ristretto del loro campione. Bisognerebbe, secondo loro, rifare l'esperimento su un numero maggiore di soggetti e ripeterlo nel tempo. Occorrerebbe anche avere maggiori conoscenze sulla dimensione iniziale dei telomeri delle diverse popolazioni e sulla velocità media che questi utilizzano poiché i dati in merito sono contraddittori. Non solo ma essi insistono sul fatto che questo lavoro e' un punto di partenza, una strada di ricerca che si apre, facendo incrociare sociologia, medicina e genetica. Nel loro articolo, i ricercatori utilizzano, in merito all'effetto delle discriminazioni, l'espressione “tossine sociali”. Un modo per dire che se il razzismo e' un veleno in senso figurato, esso potrebbe anche esserlo di fatto.