Corte costituzionale: edilizia residenziale pubblica, illegittimo il requisito di anzianità di residenza di otto anni

La previsione dell’obbligo di residenza da almeno otto anni nel territorio regionale, quale presupposto necessario per la stessa ammissione al beneficio dell’accesso all’edilizia residenziale pubblica (e non, quindi, come mera regola di preferenza), determina un’irragionevole discriminazione sia nei confronti dei cittadini dell’Unione, ai quali deve essere garantita la parità di trattamento rispetto ai cittadini degli Stati membri (art. 24, par. 1, della direttiva 2004/38/CE), sia nei confronti dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, i quali, in virtù dell’art. 11, paragrafo 1, lettera f), della direttiva 2003/109/CE, godono dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda anche l’accesso alla procedura per l’ottenimento di un alloggio.

Significativa pronuncia della  Corte costituzionale che con la sentenza n.168/2014    ha dichiarato l‘illegittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1, lettera b), della legge della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste 13 febbraio 2013, n. 3 (Disposizioni in materia di politiche abitative), nella parte in cui annovera, fra i requisiti di accesso all’edilizia residenziale pubblica, quello della «residenza nella Regione da almeno otto anni, maturati anche non consecutivamente».

La Corte, in precedenza, ricorda che “ha riconosciuto che «le politiche sociali delle Regioni legate al soddisfacimento dei bisogni abitativi ben possono prendere in considerazione un radicamento territoriale ulteriore rispetto alla sola residenza» (sentenza n. 222 del 2013), considerato che «l’accesso a un bene di primaria importanza e a godimento tendenzialmente duraturo, come l’abitazione, […] può richiedere garanzie di stabilità, che, nell’ambito dell’assegnazione di alloggi pubblici in locazione, scongiurino avvicendamenti troppo ravvicinati tra conduttori, aggravando l’azione amministrativa e riducendone l’efficacia» (sentenza n. 222 del 2013).

Un simile requisito, tuttavia, deve essere «contenuto entro limiti non palesemente arbitrari ed irragionevoli» (sentenza n. 222 del 2013), anche in linea con il principio che «se al legislatore, sia statale che regionale (e provinciale), è consentito introdurre una disciplina differenziata per l’accesso alle prestazioni assistenziali al fine di conciliare la massima fruibilità dei benefici previsti con la limitatezza delle risorse finanziarie disponibili» (sentenza n. 133 del 2013), tuttavia «la legittimità di una simile scelta non esclude che i canoni selettivi adottati debbano comunque rispondere al principio di ragionevolezza» (sentenza n. 133 del 2013) e che, quindi, debbano essere in ogni caso coerenti ed adeguati a fronteggiare le situazioni di bisogno o di disagio, riferibili direttamente alla persona in quanto tale, che costituiscono il presupposto principale di fruibilità delle provvidenze in questione (sentenza n. 40 del 2011) “.

Sotto questo profilo, un requisito di anzianità di residenza di otto anni sul territorio regionale non appare rispondente al criterio di proporzionalità rispetto alle finalità di razionalità dell’azione amministrativa che intende perseguire, con ciò invece determinando una discriminazione ‘indiretta’ o ‘dissimulata‘ vietata dal diritto comunitario (oggi “ diritto dell’Unione europea”), tanto nei confronti dei cittadini di altri Stati membri dell’Unione europea che hanno esercitato il diritto alla libera circolazione, in quanto detto requisito sarebbe in misura proporzionalmente maggiore più difficile da soddisfare per loro rispetto ai cittadini nazionali, così come per i cittadini di Stati terzi titolari dello status di lungo soggiornante, in quanto per questi il requisito di anzianità di residenza eccede temporalmente la durata di quello prescritto per l’accesso allo status.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 168/2014, non sembra dunque costituire un revirement, ma piuttosto uno sviluppo di quanto affermato dal giudice delle leggi con la sentenza n. 222/2013, ove la Corte aveva ritenuto ragionevole il requisito di residenza sul territorio regionale da almeno due anni al fini dell’accesso alle politiche sociale della Regione FVG legate al soddisfacimento dei bisogni abitativi.

La Corte infatti non mette in discussione la legittimità di un requisito di anzianità di soggiorno o di residenza sul territorio regionale al fine dell’accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica, che si aggiunga al requisito prescritto per la regolarità di soggiorno del cittadino dell’Unione che esercita la libera circolazione o del lungosoggiornante, purché detto requisito non preveda distinzioni fondate sulla nazionalità, e possa ritenersi ragionevole e proporzionato rispetto alle finalità di non inficiare la razionalità dell’azione amministrativa di assegnazione degli alloggi, ovvero all’obiettivo di evitare l’assegnazione di alloggi a persone che, non avendo ancora un legame sufficientemente stabile con il territorio, potrebbero poi rinunciarmi, rendendoli inutilizzabili per altri che ne avrebbero diritto.
Evidentemente la Corte ritiene che un requisito di due anni previsto dalla legislazione regionale del FVG sia ragionevole e proporzionato, mentre quello di otto anni voluto dal legislatore regionale della Valle d’Aosta, eccessivamente prolungato e dunque sproporzionato e discriminatorio.
Si ricorda che la Corte costituzionale, con l’ordinanza n. 32/2008 oramai risalente nel tempo e scarsamente motivata, aveva ritenuto ragionevole il requisito di anzianità di residenza quinquennale sul territorio regionale previsto dalla legislazione regionale di settore della Lombardia .

A cura del Servizio antidiscriminazioni dell’ASGI. Progetto con il sostegno finanziario della Fondazione italiana a finalità umanitarie Charlemagne ONLUS.

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