N. 140
ORDINANZA 9 - 17 maggio 2001.
Pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale» n. 20 del 23 maggio 2001
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Fernando SANTOSUOSSO;
Giudici: Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria
FLICK;
ha pronunciato la seguente
Ordinanza
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 28, comma 6,
della legge 6 marzo 1998, n. 40 (Disciplina dell'immigrazione e norme
sulla condizione dello straniero), promosso con ordinanza emessa il
19 aprile 2000 dal tribunale di Parma sul ricorso proposto da Antwi
George Kwabena, iscritta al n. 311 del registro ordinanze 2000 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, 1ª serie
speciale, dell'anno 2000.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri.
Udito nella camera di consiglio del 29 novembre 2000 il giudice
relatore Riccardo Chieppa.
Ritenuto che il tribunale di Parma, nel corso del procedimento
promosso da un soggetto extracomunitario il quale, ai sensi
dell'art. 28, comma 6, della legge 6 marzo 1998, n. 40 (Disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aveva
presentato ricorso avverso il mancato rilascio da parte
dell'autorità amministrativa competente del visto di ingresso in
Italia al proprio figlio per il ricongiungimento con i genitori -
istanza presentata alla Questura di Parma il 2 gennaio 1998, quando
il figlio era ancora minore - ha sollevato, con ordinanza in data
19 aprile 2000 (r.o. n. 311 del 2000), questione di legittimità
costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della
Costituzione, dell'art 28, comma 6, della citata legge n. 40 del
1998, nella parte in cui prevede che contro il diniego del nulla osta
al ricongiungimento familiare l'interessato può presentare ricorso
al pretore del luogo in cui risiede, il quale provvede, dopo averlo
sentito, nei modi di cui agli artt. 737 e seguenti cod. proc. civ., e
che il decreto che accoglie il ricorso può disporre il rilascio del
visto anche in assenza del nulla osta;
che il giudice rimettente osserva che, pur non essendo
costituzionalizzato il principio della separazione dei poteri dello
Stato, e pur non ignorando l'ordinamento ipotesi normative, quali
quelle previste dagli artt. 454 e 2884 cod. civ., e 537 cod. proc.
pen., nelle quali è consentito al giudice ordinario di imporre un
facere specifico all'amministrazione, in deroga ai principi generali
espressi dalla legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, ciò accadrebbe
solo ove si tratti di "inderogabilmente conformare alla realtà
effettuale accertata la corrispondente segnalazione pubblicitaria
ovvero documentale", senza che residui in capo alla p.a. alcun
margine di discrezionalità in ordine alla ponderazione e al
bilanciamento degli interessi pubblici da perseguire con quelli
privatistici coinvolti;
che la disposizione impugnata, invece, consentirebbe al
giudice ordinario di sostituirsi alla p.a. nel compimento di
valutazioni squisitamente discrezionali, quali l'accertamento del
possesso di determinati requisiti in capo ai familiari di colui al
quale sia stato negato, o nei cui confronti si sia omesso di
concedere, il visto, e l'apprezzamento di particolari condizioni o
stati personali, come la sussistenza di precedenti penali nel Paese
di provenienza, ovvero di patologie epidemiche;
che, a norma della disposizione impugnata, che richiama gli
artt. 737 e seguenti cod. proc. civ., il giudice investito del
ricorso di cui all'art. 28, comma 6, della legge n. 40 del 1998
dovrebbe limitarsi all'assunzione di sommarie informazioni da
fornirsi, a termini dell'art. 213 cod. proc. civ., dalla stessa
amministrazione, sicché la inerzia e la mancata cooperazione di
questa non potrebbero essere in alcun modo superate dal giudice con
l'applicazione della regola decisoria posta dall'art. 2697 cod. civ.
o dall'art. 116 cod. proc. civ;
che sotto tale profilo emergerebbe, altresì, la
irragionevolezza del modulo procedimentale prescelto dal legislatore,
il quale non fornirebbe al giudice gli indispensabili poteri
istruttori al fine di consentirgli di esercitare consapevolmente la
funzione giurisdizionale in ordine alla decisione del ricorso di cui
si tratta;
che nel giudizio ha spiegato intervento il Presidente del
Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale
dello Stato, che ha concluso per la infondatezza della questione,
osservando che la tutela dei diritti ed interessi legittimi è
assicurata dagli artt. 24 e 113 della Costituzione: quest'ultimo, in
particolare, prevede che sia la legge a determinare quali organi di
giurisdizione possano annullare gli atti della p.a. nei casi e con
gli effetti previsti dalla legge stessa; che la legge n. 2248,
allegato E, del 1865 fa divieto al giudice ordinario di disporre tale
annullamento, salvo eccezioni, e che la tendenza dell'attuale
ordinamento è nel senso di moltiplicare dette eccezioni, in
corrispondenza con l'ampliamento dei casi di giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo;
che, pertanto, il diritto di difesa risulterebbe non già
vulnerato, ma, al contrario, potenziato dalla normativa in esame,
mentre in ordine alla pretesa lesione del principio di
ragionevolezza, l'autorità intervenuta rileva che nel conflitto tra
valori di rilevanza costituzionale spetta al legislatore la scelta
discrezionale del punto di bilanciamento e del momento di prevalenza:
nella specie, il legislatore avrebbe ritenuto di privilegiare il
valore dell'unità familiare.
Considerato che non esiste un principio costituzionale che
escluda la possibilità per il legislatore ordinario, in determinati
casi (rimessi alla scelta discrezionale dello stesso legislatore), in
sede di affidamento della tutela giurisdizionale dei diritti
soggettivi nei confronti della pubblica amministrazione, di
attribuire al giudice ordinario anche un potere di annullamento e
speciali effetti talora sostitutivi dell'azione amministrativa,
inadempiente rispetto a diritti che lo stesso legislatore considera
prioritari, anche se ciò può comportare la necessità da parte del
giudice di valutazioni ed apprezzamenti non del tutto vincolati, ma
sempre riguardanti situazioni regolate da una serie di previsioni
legislative, che prevedano espressamente l'esercizio di tali poteri;
che anzi la norma in discussione può inquadrarsi - come
ritenuto anche dalla Avvocatura generale dello Stato - come esempio,
ormai non del tutto isolato, applicativo della specifica previsione
dell'art. 113, terzo comma, della Costituzione, soprattutto nella
tendenza di rafforzare la effettività della tutela giurisdizionale,
in modo da renderla immediatamente più efficace, anche attraverso
una migliore distribuzione delle competenze ed attribuzioni
giurisdizionali, a seconda delle esigenze delle materie prese in
considerazione (e ciò può valere sia per il giudice ordinario, sia
per il giudice amministrativo);
che al giudice ordinario il legislatore ha voluto affidare la
tutela relativa al diritto all'unità familiare (comprensiva della
protezione dei minori: art. 26 della legge 6 marzo 1998, n. 40,
divenuto art. 28 del t.u. delle disposizioni concernenti la
disciplina della immigrazione e norme sulla condizione dello
straniero, emanato con d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286) espressamente
riconosciuto agli stranieri regolarmente presenti in Italia, titolari
di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non
inferiore ad un anno, rilasciato per lavoro (oltre ad altre ipotesi);
che i casi di ricongiungimento familiare sono
dettagliatamente previsti dalla legge e accompagnati dalla
prescrizione che lo straniero dia dimostrazione di requisiti sia di
disponibilità di alloggio, sia di reddito adeguato (artt. 27 e 28
della legge n. 40 del 1998; v., in precedenza, l'art. 4 della legge
30 dicembre 1986, n. 943, cui fa riferimento l'istanza dello
straniero presentata alla Questura competente);
che lo straniero, che invochi il ricongiungimento familiare,
ha l'onere di dare ogni collaborazione all'autorità amministrativa
cui abbia avanzato richieste, fornendo quelle indicazioni e
documentazione, in sua disponibilità, anche sugli altri presupposti
per il ricongiungimento, come ad esempio la prova del rapporto
familiare e la sussistenza di determinate situazioni previste dalla
legge, a seconda delle diverse ipotesi: per i figli, minore età,
vivenza a carico e stato libero (argomentando anche dall'art. 27,
comma 7, che prescrive che la domanda sia corredata dalla prescritta
documentazione);
che restano, in ogni caso, pienamente efficaci le altre
previsioni legislative (che esulano dall'ambito della tutela
giurisdizionale in esame), che inibiscono l'ingresso di stranieri in
via generale e sono applicabili per lo straniero, che invochi il
ricongiungimento familiare, anche al momento dell'ingresso in Italia:
la mancanza di possesso di passaporto valido o documento equipollente
(art. 4, comma 1), il fatto che il soggetto straniero sia considerato
una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di
uno dei Paesi con i quali l'Italia abbia sottoscritto accordi per il
controllo delle frontiere, o sia segnalato, ai fini del respingimento
o della non ammissione, per gravi motivi di ordine pubblico, di
sicurezza nazionale e di tutela delle relazioni internazionali
(art. 4, commi 3 e 6, della legge n. 40 del 1998; restando dette
ipotesi di "respingimento" sotto il controllo della polizia di
frontiera ex art. 8, comma 1, della legge n. 40 del 1998);
che deve essere sottolineato che le esigenze di tutela del
nucleo familiare, individuate dal legislatore, cedono di fronte a
quelle di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, che sono
affermate nell'art. 11, comma 1, della legge n. 40 del 1998,
richiamato espressamente dall'art. 17, comma 2. Infatti tale norma fa
comunque salvo, in tutti i casi, il potere del Ministro dell'interno
di disporre l'espulsione dello straniero (sentenza n. 376 del 2000);
per la cui tutela peraltro è previsto ricorso al Tribunale
amministrativo regionale del Lazio e non lo speciale ricorso nei modi
degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile
(art. 11, comma 11, della legge n. 40 del 1998);
che, allo stesso modo, i profili di ordine
sanitario-epidemico sono valutati dalle autorità sanitarie di
frontiera e non rientrano nelle competenze e nella verifica affidata
al giudice ordinario in sede di controllo sulla legittimità dei
motivi di rifiuto e sul diritto al ricongiungimento;
che il giudice della particolare procedura ex artt. 737 e
segg. cod. proc. civ., in camera di consiglio, per ragioni di
speditezza e semplificazione senza formalismi non essenziali, ma
comunque idonea ad assicurare il rispetto dell'essenzialità del
contraddittorio e delle altre generali regole processuali, con la
possibilità di partecipazione dell'interessato e
dell'amministrazione del cui rifiuto si discute la legittimità, si
può avvalere della documentazione che lo straniero deve aver
presentato, in sede di istanza originaria, alla questura competente e
da questa normalmente sottoposta all'esame del giudice in occasione
del ricorso (appena ne venga informata) nonché della documentazione
che in sede del ricorso o successivamente abbiano prodotto lo
straniero o la pubblica amministrazione, sulla base dei generali
principi di onere della prova e della disponibilità delle prove
stesse;
che il potere del giudice - previsto dalla legge - di
"assumere informazioni" senza alcuna ulteriore specificazione del
destinatario, dell'oggetto e del mezzo della richiesta anche
telematico o telefonico (rimesso in altri termini ad uno spirito di
iniziativa del giudice), deve intendersi molto più ampio di quello
dell'art. 213 cod. proc. civ. (previsto come richiesta esclusivamente
alla pubblica amministrazione di informazioni scritte relative ad
atti e documenti già in possesso dell'amministrazione stessa, che è
necessario acquisire al processo);
che, infatti, il potere di "assumere informazioni" è
utilizzabile nei confronti di qualsiasi soggetto od ente pubblico o
privato, operante nel settore dell'immigrazione e dell'assistenza ed
in grado di fornire elementi con il carattere di affidabilità per
una più sollecita definizione dei profili controversi del ricorso;
che la scelta e l'esercizio della facoltà di assumere
informazioni da parte del giudice, in sede di procedimenti in camera
di consiglio, in nessun caso può essere essere considerato come
unico sistema di acquisizione di elementi di prova nello speciale
procedimento, permanendo a carico dei soggetti interessati alla
definizione del ricorso gli ordinari oneri probatori e la
possibilità di valutazione da parte del giudice del comportamento
processuale degli stessi soggetti, tenendosi presente che
nella maggior parte dei casi gli oneri possono essere adempiuti
mediante produzioni documentali o, se riguardanti la materia della
famiglia, lavoro o reddito, mediante relazioni di assistenti sociali
o di incaricati di istituzioni che operano nel settore (degli enti
locali, degli uffici del lavoro, delle regioni e delle provincie
autonome, degli uffici fiscali);
che pertanto deve escludersi che vi sia una manifesta
irragionevolezza nel modulo procedimentale utilizzato dal legislatore
(che fornisce idonei strumenti), non potendosi dedurre sul piano
costituzionale la illegittimità di una norma sulla base di una
semplice previsione di cattiva o difficoltosa attuazione a seguito di
futuro inadempimento o malfunzionamento di altri organi della
pubblica amministrazione;
che detta inerzia o mancata cooperazione da parte della
pubblica amministrazione è peraltro allo stato di mera supposizione,
in mancanza, nell'ordinanza di rimessione e negli atti allegati dallo
stesso giudice, di qualsiasi menzione o traccia di richieste da parte
del giudice a quo sia alla Questura di Parma (Ufficio stranieri), sia
allo straniero richiedente che dovrebbe essere sentito, sia a locali
istituzioni per i presupposti verificabili in Italia (anche per la
indicazione del luogo di residenza o dimora del figlio e se a carico
o meno), sia alla "rappresentanza italiana diplomatico consolare
competente", anche per verificare se il soggetto interessato al
ricongiungimento (ormai non più minore) abbia attivato la procedura
di richiesta di visto di ingresso prevista dall'art. 27, comma 8,
della legge n. 40 del 1998 (come del resto da annotazione invito
sulla ricevuta di domanda);
che pertanto la questione sollevata deve essere dichiarata
manifestamente infondata sotto tutti i profili denunciati (artt. 3,
24 e 113 della Costituzione).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale dell'art. 28, comma 6, della legge
6 marzo 1998, n. 40 (Disciplina dell'immigrazione e norme sulla
condizione dello straniero), sollevata, in riferimento agli artt. 3,
24 e 113 della Costituzione, dal tribunale di Parma con la ordinanza
indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 maggio 2001.
Il Presidente: Santosuosso
Il redattore: Chieppa
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 17 maggio 2001.
Il direttore della cancelleria: Di Paola
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