Newsletter periodica d’informazione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rassegna ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli
iscritti UIL

 

 

 

 

Anno XII n.8 del 27 febbraio 2014

 

Consultate www.uil.it/immigrazione

Aggiornamento quotidiano sui temi di interesse di cittadini e lavoratori stranieri

 

Politiche di integrazione……. Ministero cercasi

8 Marzo Giornata internazionale della Donna

Le donne UIL e le donne d'origine straniera si festeggiano insieme

Le donne UIL e le donne d'origine straniera si festeggiano insieme

 

UIL Nazionale, sala Bruno Buozzi

Ore 9,30 Saluto di:

Maria Pia Mannino

Responsabile nazionale Pari Opportunità e Politiche di genere

Guglielmo Loy

Segretario Confederale UIL, Responsabile Dipartimento Politiche Migratorie

Nahla Mohammed EFITU- Federazione Egiziana Sindacati Indipendenti

Nermin Nagi Sharif UGTL – Unione Generale Lavoratori Libici

HIND Muotu UGTM – Unione Generale Lavoratori Marocco

Naoufel Charfi Bouguerra UGTT – Unione Generale Lavoratori Tunisini

Kaur Sandeep UILTEC ITAL Vicenza

 

 

SOMMARIO

 

 

 

 

Appuntamenti pag. 2

 

Corsivo: ministero per l’integrazione…cercasi pag. 2

 

Tesi congressuali, dibattito su immigrazione pag. 3

 

Immigrati, primo marzo pag. 6

 

CCNL lavoratori domestici pag. 6

Scuola, classi sempre più multi etniche pag. 7

 

Meno detenuti stranieri per i CIE pag. 8

 

L’Italia addestra militari libici pag. 9

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil                                                   

 

Dipartimento Politiche Migratorie

Tel. 064753292- 4744753- Fax: 064744751

E-Mail polterritoriali2@uil.


Dipartimento Politiche

Migratorie: appuntamenti


 

 

 

 


Roma, 27 febbraio 2014, ore 10.30, Sala Convegni Monte dei Paschi di Siena

Convegno: la comunità peruviana nel mercato del lavoro italiano

(Giuseppe Casucci)

Roma, 4 marzo 2014, ore 10.o0, Comune di Roma Viale Manzoni

Convegno Opera Nomadi: il lavoro dei Rom e Sinti in Italia

(Giuseppe Casucci)

Roma, 08 marzo 2014, ore 09.30, sede UIL Nazionale

Le donne UIL e le donne d'origine straniera si festeggiano insieme

(Guglielmo Loy, Angela Scalzo, Giuseppe Casucci)


Corsivo

 


Cecile Kyenge se n’è andata… e con lei il Ministero per l’Integrazione

Dipartimento Politiche Migratorie della UIL


Il nuovo Governo, la cui colonna portante è il PD, ha deciso che i primi tagli da fare fossero sul fronte del numero dei Ministeri. Beninteso, la UIL non ha pregiudizi, augura al nuovo Premier il massimo di successo, e giudicherà dalle scelte del Governo e soprattutto dai fatti. Ma, per cominciare, vorremmo semplici risposte sulle scelte indicate a livello di Dicasteri: non tanto perché ci interessa il gioco delle caselle, ma perché a noi sembra ne manchi una principale: il Ministero per l’Integrazione. Scegliere di continuare a frammentare le complesse politiche che finora sono state incapaci di governare una materia così complessa come l’immigrazione, non ci sembra un’idea molto brillante. Da anni le competenze su questa materia vengono suddivise tra una miriade di Ministeri: Interno, Lavoro, Esteri, Istruzione, Sanità, ecc. Il tutto senza una cabina di regia capace di coordinare le politiche in materia seguendo una strategia chiara. Gli ultimi due governi avevano scelto di creare un ministero senza portafoglio e senza competenze: il Ministero per l’Integrazione. Non è stato facile per Riccardi e Cecile Kyenge lavorare in assenza di mezzi, personale e collaborazione da parte degli altri dicasteri: quello che traspariva, al contrario, era un’assoluta mancanza di coordinamento e poca collaborazione. Malgrado i quasi inesistenti mezzi messi a disposizione, i due titolari di questo Dicastero senza portafogli (e praticamente nullatenente) hanno fatto una battaglia soprattutto culturale, usando i mass – media, con l’obiettivo di spingere l’Esecutivo ad occuparsi di un problema annoso: l’incapacità cronica dell’Italia di governare i flussi migratori.

Da qui la campagna sulla cittadinanza, sull’abolizione del reato di immigrazione clandestina, sul superamento dei CIE, sui rifugiati e sull’urgenza di riformare la Bossi – Fini: una legge odiosa che non ha mai funzionato. Sforzi – questi di Riccardi e Kyenge – che non hanno prodotto grandi risultati, certo. Ma questi sarebbero dovuti venire dal Governo nel suo insieme, che invece ha vissuto i flussi di rifugiati ed immigrati e le tragedie di Lampedusa nella logica improduttiva dell’eterna emergenza. Possiamo capire che la scelta di un avere Ministero senza strumenti d’azione fosse solo un atto simbolico: dunque poco efficace per definizione. Ma simbolico (in negativo) lo è anche la scelta di decidere la sua abolizione, senza proporre nulla in alternativa. A nostro parere, cancellare il Ministero per l’Integrazione appare, dal punto di vista politico e culturale, un cattivo segnale, soprattutto visto il forte contributo che viene all’economia italiana dai nuovi cittadini. Vorremmo ricordare al Primo Ministro in carica che gli immigrati producono l’11% del PIL, dichiarano al fisco quasi 43,6 miliardi di € e pagano oltre 7 miliardi di euro in Irpef all’anno. Inoltre gli stranieri sono l’unica alternativa che gli italiani hanno al declino demografico ed economico del nostro Paese. Forse qualche diritto ad una governance seria ed a vere politiche di accoglienza ed integrazione 5 milioni di nuovi cittadini ce l’hanno. Altrimenti, in assenza di prospettive e lavoro, decideranno di andarsene. Molti già lo fanno e non è un buon segno per la salute della nostra economia. La scelta giusta, a nostro parere, non può essere ancora la frammentazione delle competenze tra 5 o più ministeri e, dunque, una gestione disordinata del fenomeno migratorio. Secondo la UIL sarebbe ora di accentrare le competenze in un unico Ministero o, almeno, di creare una cabina di regia capace di mettere ordine nel bailamme migratorio. Non va bene il Ministero dell’Integrazione? Venga proposta un’altra soluzione efficace. Si tenga conto che, invece, è in atto a livello parlamentare una proficua azione “trasversale” tendente a riportare il dibattito sui processi di integrazione e di cittadinanza in un ambito costruttivo e senza pregiudiziali. Percorso che un Governo, soprattutto se di coalizione , dovrebbe cogliere e non disperdere

Al contrario, l’attuale decisione di abolire quel poco che c’era, ci sembra la peggiore delle scelte.


 

 

Congresso UIL

 


Riunione del gruppo Tesi su Immigrazione

Si è tenuto, lo scorso 25 febbraio, l’incontro del gruppo per l’elaborazione delle tesi, sulla tematica dell’immigrazione.


Roma, 26 febbraio 2014 – Si è tenuto, nella giornata di ieri presso la sede nazionale della UIL, l’incontro del gruppo per l’elaborazione delle tesi sulla tematica dei lavoratori e dei cittadini immigrati. I lavori erano stati preceduti dall’invio di una bozza di documento – curato dal Dipartimento Politiche Migratorie della UIL - che ha preso in considerazione:

a.     Natura e dinamiche dell’immigrazione italiana;

b.    L’impatto della crisi economica ;

c.     Gli stranieri nel mercato del lavoro;

d.    Sindacato e contrattazione etnica;

e.     Iscritti stranieri ed integrazione nella UIL;

f.     Nuove strategie per la UIL.

Presenti all’incontro rappresentanti della UILA, Uiltucs, Uilpa; Uil Fpl, Uilp, Ital UIM e UIL. Hanno anche partecipato ai lavori alcuni componenti del coordinamento nazionale immigrati. L’apertura è stata curata da Guglielmo Loy, Segretario confederale UIL, mentre la chiusura dei lavori è stata tratta a fine mattinata da Giuseppe Casucci, Coord. Nazionale del Dipartimento Politiche Migratorie.

Loy si è soffermato sulla particolare natura dell’immigrazione in Italia (“cresciuta anche in presenza di crescita economica pari a zero o negativa, in quanto dipendente dal gap demografico di cui soffre la popolazione italiana e dal fattore trainante dell’economia sommersa”), sul segmento del mercato del lavoro che l’immigrazione è andata ad occupare nello scorso decennio (“principalmente i settori dei servizi, delle costruzioni e dell’agricoltura, in funzioni a contenuto professionale medio –basso) e sulla “complementarietà” che si è creata tra lavoratori autoctoni e stranieri che ha evitato finora aperti conflitti tra lavoratori italiani e non. “Molte imprese – ha rilevato l’oratore – hanno utilizzato la forte presenza etnica nel mercato del lavoro in funzione di dumping lavorativo con compressione dei costi del lavoro, attraverso salari più bassi e condizioni lavorative a maggiore rischio infortunistico. Questa scelta ha permesso ad una parte delle imprese, in qualche caso, di salvarsi dalla competizione. Ma il non aver investito in innovazioni di processo e prodotto, si è tradotta in un gap competitivo maggiore nei confronti della concorrenza estera ed ha conseguentemente rallentato l’uscita dalla crisi del nostro sistema economico”. Nell’ultimo lustro, comunque, il forte impatto della crisi sugli italiani e sugli stessi lavoratori immigrati ha prodotto l’esclusione di milioni di persone dal mercato del lavoro, il dimezzamento dei rinnovi di permessi di soggiorno, il blocco virtuale dei flussi d’ingresso per lavoro, ma anche la fuori uscita di giovani italiani ed immigrati dall’Italia (oltre 100 mila nel 2012). “Il tasso di disoccupazione etnica – ha rilevato Loy è vicino al 18%, mentre 520 mila stranieri risultano disoccupati e quasi 1,3 milioni risultano “inattivi”: un quadro drammatico che se dovesse proseguire a lungo provocherebbe lo scivolamento di molti stranieri nell’economia sommersa o il loro abbandono del nostro Paese”. Loy ha poi tratteggiato la presenza dei lavoratori stranieri nel mercato del lavoro: 2,4 milioni di lavoratori iscritti all’INPS con forti presenti in settori come i servizi alla persona (80%), commercio (26,2%), edilizia (21,7%), agricoltura (15,9%), trasporti (12,1%). Con punte in alcune aree del Paese superiori al 30% del mercato del lavoro. Malgrado la crisi, ha aggiunto Loy, la presenza degli immigrati è destinata a crescere e potrebbe raddoppiare entro il 2015. “Una presenza così consistente di nuovi cittadini nel mercato del lavoro – ha rilevato l’oratore – non ci consente più di trattare questa importante tematica come un argomento secondario”. E’ necessario che la UIL aggiorni il suo approccio sul piano della trasformazione multi etnica dello stesso sindacato, e ne faccia un punto di forza delle sue strategie presenti e future. “In questo senso è necessario una maggiore collaborazione tra categorie, Confederazione, territori e patronato per offrire strumenti nuovi di crescita sindacale e proposte politiche e contrattuali volte a rafforzare la presenza ed il ruolo dei nuovi cittadini nella UIL”. Loy ha riconosciuto il grande lavoro fatto dall’ITAL in questi anni, che ha dato assistenza gratuita a centinaia di migliaia di cittadini stranieri; ed anche la crescita di impegno di alcune importanti categorie (Feneal, UILA e Uiltucs in particolare, ma non solo). L’oratore ha rilevato la necessità di rafforzare gli strumenti d’azione già consolidati (la creazione del Coordinamento nazionale Immigrati, la presenza di immigrate nelle istanze nazionali del nostro sindacato, nonché nei gruppi dirigenti a livello di categoria e di territorio), ma anche l’incisività delle sue proposte e campagne a livello di pubblica opinione: in particolare sul terreno dei diritti di cittadinanza, riforma dell’attuale legislazione sull’immigrazione, politiche attive per la creazione di posti di lavoro per italiani e stranieri regolari, diritto d’asilo. Per quanto riguarda il Coordinamento nazionale immigrati, ha concluso l’oratore, sarebbe auspicabile una sua maggiore strutturazione e la sua estensione a livello territoriale (“con la creazione di coordinamenti regionali”), grazie anche ad una maggiore collaborazione con e tra le categorie”.

E’ seguito un partecipato dibattito che proviamo a riassumere:

La resp.le immigrazione della Campania, ha rilevato la necessità di un maggiore impegno da parte delle categorie, in particolare quelle a forte presenza etnica. Ha sollecitato un maggiore impegno della Confederazione, non solo sul piano della proposta politica, ma riconoscendo anche formalmente il ruolo del Coordinamento, rafforzandone la struttura e mezzi d’azione.

La segretaria nazionale Uiltucs: ha richiamato anche lei alla necessità di una maggiore collaborazione tra categorie e confederazione. L’oratrice ha ricordato la difficoltà nel settore del lavoro domestico di contattare le lavoratrici e coinvolgerle nell’azione del sindacato a tutela dei propri diritti. In questo senso – ha rilevato – il rapporto con le comunità straniere si sta rivelando prezioso, così come i servizi offerti da CAF e patronato. La dirigente sindacale ha ricordato l’importante ruolo svolto dalla UIL nella ratifica da parte dell’Italia della Convenzione ILO sul lavoro domestico, e gli importanti risultati raggiunti dalla UILTUCS a livello di rinnovo contrattuale ed azione di tutela contro gli infortuni e contro lo sfruttamento praticato attraverso cooperative di comodo che svolgono una funzione simile al caporalato, con compressione dei diritti contrattuali. Ivana Veronese ha concluso l’intervento richiamando anche alla necessità di occuparsi del futuro pensionistico di queste lavoratrici.

La resp.le Immigrazione per la UILA nazionale, ha apprezzato il lavoro fatto sul documento delle tesi, soprattutto sul piano dell’analisi della situazione, rilevando nel contempo la necessità di essere più incisivi sul piano delle proposte. Ha raccontato la difficoltà di lavorare nel settore agricolo con i lavoratori immigrati, soprattutto al sud dove continuano a prevalere i caporali, malgrado esista da due anni una nuova legge colpisce duramente questa attività. La dirigente sindacale ha rilevato la necessità di dare uno statuto e maggiore forza all’esistenza ed all’azione del Coordinamento nazionale immigrati , ma anche l’urgenza di una campagna culturale dentro la UIL per sensibilizzare sull’importanza del ruolo presente e futuro di quadri stranieri nella nostra organizzazione. A questo proposito l’oratrice ha raccontato delle difficoltà, ma anche delle buone pratiche, registrate a livello territoriale ai fini dell’inserimento nelle strutture dirigenti della UILA di quadri di origine straniera.

La resp.le immigrazione della UILTUCS Lombardia, ha richiamato l’attenzione sui molti cambiamenti che stanno interessando il mercato del lavoro, nonché l’impatto che la crisi sta avendo sul comportamento dei cittadini lavoratori stranieri. In relazione alla “complementarietà” tra lavoro italiano e quello etnico, l’oratrice ha sottolineato i pericoli sempre presenti di conflitto che la crisi sta creando in un settore in cui sono forti le discriminazioni dei confronti degli stranieri, ma in cui anche molti italiani hanno cominciato a competere per ottenere gli stessi posti di lavoro. Sul tema del Coordinamento nazionale immigrati, anche la dirigente lombarda richiama l’urgenza di un maggiore riconoscimento da parte della UIL delle funzioni e ruolo di questo strumento. “Pur ringraziando l’ITAL per il lavoro che sta svolgendo a favore degli immigrati – ha sottolineato la dirigente UILTUCS – l’azione che deve venire dalla UIL è qualcosa di più dell’offerta di servizi, perché il nostro impegno si propone di influire sulle stesse politiche migratorie, sulle leggi e sulle decisioni dell’Esecutivo in materia”. In materia di censimento sul numero degli iscritti alla sua categoria, la dirigente ha ricordato la difficoltà di avere numeri esatti sull’affiliazione in un settore così frammentato, augurandosi che il nuovo accordo sulla rappresentanza sindacale possa essere di aiuto anche in questo senso.

La resp.le immigrazione della UIL Roma e Lazio, ha condiviso il giudizio di molti sul ruolo che il Coordinamento deve avere “non delegando l’azione della UIL all’ITAL in materia di immigrazione”. Anche per l’oratrice il Coordinamento va maggiormente strutturato e la sua azione deve essere rafforzata. “Il ruolo importante che ha avuto questo strumento in questi anni – ha detto – è stato quello di mettere a confronto l’azione delle categorie con quelle realizzate dalla UIL a livello territoriale”. Per la dirigente laziale il Coordinamento dovrebbe essere un organismo di consultazione, anche sul terreno dei rinnovi contrattuali, per arricchirli di quelle proposte ed obiettivi che hanno a che vedere con i nuovi cittadini. L’oratrice ha ricordato che la presenza di quadri e dirigenti stranieri nelle strutture territoriali e di categoria della UIL è ancora sottodimensionato: “ci sono città in cui la presenza di stranieri in alcuni settori è quasi maggioritaria, ma questo non si traduce necessariamente in una maggiore integrazione e promozione di dirigenti stranieri nelle strutture decisionali del sindacato”.

Il responsabile immigrazione della UIL di Prato ha censurato l’impostazione di molti partiti di avere quadri stranieri “come capitribù capaci di procurare voti ed iscritti”, allo stesso modo il sindacato deve sviluppare un approccio ugualitario nei confronti degli stranieri, trattandoli come lavoratori uguali agli altri, pure se con qualche problema specifico. “Anche la UIL deve affinare le proprie proposte e dare risposte sul piano dei bisogni materiali, ma dobbiamo anche sollecitare una maggiore integrazione di questi nuovi dirigenti nel nostro sindacato”. Per quanto riguarda l’ITAL, Qamil ha mostrato di apprezzarne il ruolo “che va però integrato da un’azione più completa del sindacato, capace di portare a maggiori affiliazioni”.

E’ anche intervenuto un Segr. Nazionale UIL Pubblica Amministrazione, che ha condiviso la necessità di garantire agli immigrati gli stessi diritti goduti dagli italiani. Il sindacalista ha ricordato la legge europea che ha imposto di garantire anche agli stranieri lungo residenti l’accesso al lavoro nella pubblica amministrazione. “Un miglioramento per ora solo sulla carta – ha ricordato il dirigente sindacale – che per ora non ha prodotto alcun cambiamento”. Il sindacalista ha condiviso il giudizio positivo sul lavoro svolto dal Coordinamento Nazionale Immigrati, a cui anche la UILPA ha partecipato attivamente. In quanto ad una maggiore collaborazione tra categorie e confederazione, l’oratore ha affermato che non sempre questa è stata richiesta. Il resp.le nazionale ITAL per il settore immigrazione, ha fatto un bilancio delle attività svolte dal nostro patronato a favore degli immigrati – sulla base dell’accordo sottoscritto nel novembre del 2007 con il Ministero dell’Interno al fine di offrire assistenza gratuita ai cittadini stranieri nelle pratiche relative alla loro presenza legale in Italia. Nel 2013 l’ITAL ha portato a termine oltre 65 mila pratiche relative a permessi di soggiorno e ricongiungimenti familiari, mentre negli ultimi sei anni sono state completate positivamente oltre 450 mila pratiche. “Certo questo non si è tradotto automaticamente in nuovi iscritti – ha rilevato il dirigente Ital - ruolo che è riservato all’azione degli uffici sindacali”. Rispondendo ad alcuni interventi che l’avevano preceduto, l’oratore ha ricordato che l’azione di assistenza dei patronati deve essere per legge completamente gratuita. “In questo senso – ha aggiunto – un’azione congiunta tra sindacato e patronato può valorizzare il lavoro svolto sul piano della tutela dei nuovi cittadini”. In relazione al ruolo del Coordinamento Nazionale Immigrati, l’oratore ne ha sottolineato l’importanza e la validità del lavoro svolto, augurandosi che la UIL investa di più in uomini e strumenti d’azione al fine di un’azione più incisiva in questo importante, ma complesso settore.

Una rappresentante della UILTEMP è intervenuta infine per ricordare il compianto amico Piero Gui, responsabile Immigrazione del Piemonte, recentemente scomparso. “Piero ha lasciato un grande vuoto nel cuore di noi tutti – ha detto Miranda – che abbiamo avuto il privilegio di conoscerlo ed apprezzarlo grandemente”.

Giuseppe Casucci ha concluso la mattinata di lavori traendo le conclusioni del dibattito. “Malgrado la crisi economica – ha detto l’oratore - è ben chiaro che il peso che avranno gli immigrati nel mercato del lavoro e nel sindacato è destinato a crescere”. In effetti, proprio la natura demografica della crescita migratoria indica – nel medio periodo – un ulteriore aumento della popolazione etnica, a prescindere dalla contingenza della crisi. Per l’oratore “ sarebbe un errore confinare un tema così grande e trasversale come quello della trasformazione multietnica del mercato del lavoro e della società ad una nicchia di azione dipartimentale. La UIL deve guardare alle grandi trasformazioni in corso dell’economia e del mercato del lavoro e fare dell’azione in materia migratoria parte delle proprie strategie da dibattere nel prossimo congresso”. “Il lavoro svolto dal Dipartimento Politiche Migratorie, dal Coordinamento Nazionale, dall’ITAL, da molti territori e da alcune categorie è stato prezioso ma va maggiormente strutturato e rafforzato: perché il futuro della UIL conta anche sulla presenza e ruolo che avranno i nuovi cittadini, assieme al resto del sindacato”. Malgrado il buon lavoro svolto, è necessario fare di più se si considera che porzioni importanti degli iscritti di alcune categorie e realtà territoriali sono rappresentate da cittadini di origine non italiana. In questo senso andrebbe favorita una maggiore consapevolezza tra la dirigenza UIL del ruolo strategico che l’Immigrazione è destinata a svolgere, oltre che per il futuro del nostro paese, anche per quello del nostro sindacato. Andrebbe proposto allora un piano formativo e di valorizzazione dei quadri stranieri con l’obiettivo di una loro maggiore presenza nelle strutture decisionali della UIL a tutti i livelli: nazionale, territoriale e categoriale.

“Per quanto riguarda il Coordinamento, ha rilevato Casucci, emerge dal dibattito la richiesta di un riconoscimento del suo ruolo e funzioni anche a livello formale da parte dell’Organizzazione, forse anche attraverso l’elaborazione di uno specifico statuto e regolamento interno. Naturalmente questa è una decisione che spetta all’attuale dirigenza UIL, al dibattito ed alle decisioni congressuali”. Andrebbe sicuramente continuata, e magari rafforzata, la partecipazione di dirigenti di origine straniera ad istanze politiche ed organizzative nazionali della UIL, come del resto era già stato deciso dal precedente congresso. Per favorire una maggiore collaborazione tra le diverse istanze dell’Organizzazione, è emersa la necessità di creare coordinamenti regionali sui temi dell’immigrazione, con l’obiettivo di un maggior dialogo e proposte tra le differenti strutture della UIL (Territori, Categorie, Servizi).

Il lavoro svolto a livello decentrato verrebbe poi valorizzato da momenti di convocazione nazionale del Coordinamento, con l’obiettivo di arrivare in tempi ragionevoli all’organizzazione della Prima Assemblea Nazionale dei quadri Immigrati della UIL.


 


Immigrati, 1° marzo: "Ventiquattr'ore senza di noi"

Sarà la quinta edizione dello "sciopero" di badanti, infermieri, braccianti stranieri che lavorano, magari da molti anni, in Italia, ma ancora senza diritti di cittadinanza. Ecco tutti gli appuntamenti previsti.

Immigrati, 1° marzo: "Ventiquattr'ore senza di noi" di VLADIMIRO POLCHI, La Repubblica


Roma, 25 febbraio 2014 - Badanti? Scomparse. Infermieri? Introvabili. Braccianti? Svaniti nel nulla. Cosa accadrebbe al nostro Paese se tutti i migranti scioperassero? Il caos, o meglio, la paralisi. Ritorna lo sciopero degli immigrati. L'appuntamento è fissato per il 1° marzo 2014. "Ventiquattr'ore senza di noi": senza colf, badanti, babysitter, operai, ma anche infermieri, imprenditori, studenti.
Lo "sciopero dei migranti". In verità non si tratta di uno sciopero in senso tecnico (ben difficile da organizzare nel pianeta immigrazione), ma di una serie di iniziative e manifestazioni a livello locale (qui tutti gli appuntamenti). Una giornata per rispondere anche al "taglio" del ministero dell'Integrazione da parte del governo Renzi. "La giornata del Primo Marzo giunta nel 2014 alla V° edizione - si legge nell'appello del comitato - si è consolidata come un appuntamento per rinnovare l'impegno e la lotta per i diritti, contro il razzismo, le frontiere e lo sfruttamento. Una mobilitazione che da alcuni anni unisce migranti e autoctoni per affermare la dignità dell'essere umano, il diritto alla libera circolazione e quello di scegliere liberamente dove risiedere, il valore del meticciato".
Un "anno drammatico". "Il 2013 è stato un anno caratterizzato da eventi drammatici e dalla crisi economica: peggiorano le condizioni lavorative, aumentano precariato e disoccupazione. A trovarsi nella posizione più critica sono i soggetti più deboli e ricattabili. E la maggior parte dei migranti si colloca a pieno titolo in questa categoria, anche per effetto della legge sull'immigrazione in vigore, che continua a tenere legati permesso di soggiorno e contratto di lavoro. L'Italia è diventata per i richiedenti asilo un Paese di transito ma le sue frontiere, in molti casi passaggi obbligati per chi aspiri ad entrare nella Fortezza Europa, continuano a rivelarsi come luoghi di morte. La tragedia del 3 ottobre non è in questo senso che la punta dell'iceberg. Una legge organica sull'asilo, di cui tante volte è stata sottolineata la necessità, ancora non c'è. Gli accordi di Dublino sono stati modificati in peggio, senza intaccare il principio per cui il richiedente asilo dovrà permanere nel primo Paese dell'Ue in cui sarà identificato, a prescindere dai suoi progetti di vita, dai suoi legami e dalla sua volontà".
Cie e ius soli. "Il sistema Cie, unanimemente riconosciuto come disumano, costoso e persino incapace rispetto agli scopi assegnati, rimane in vita, sebbene giorno dopo giorno, l'implosione di vari centri, abbia portato a una riduzione di quelli operativi. La tanto attesa nuova legge sulla cittadinanza, che dovrebbe contemplare il passaggio dallo ius sanguinis allo ius soli, non c'è ancora. Di quella per riconoscere il diritto di voto amministrativo agli immigrati non si parla più. Eppure erano entrambe proposte di legge popolare a cui si era arrivati attraverso la campagna "L'Italia sono anch'io" con centinaia di migliaia di firme".
Le richieste del Primo Marzo. La Rete Primo Marzo chiede: una nuova legislazione in materia di immigrazione, la cittadinanza per tutti i figli di migranti nati o cresciuti in Italia, il diritto di voto amministrativo e regionale per stranieri residenti, instaurazione di corridoi umanitari, legge sull'asilo politico, abrogazione degli accordi bilaterali di respingimento, chiusura immediata di tutti i Cie.


 

 

Lavoro domestico

 


Contratto collettivo nazionale Fidaldo: retribuzione minima per collaboratori domestici

Giuseppe Dattis,

Nuova regolamentazione del salario minimo e riposo settimanale per colf,badanti e babysitters.


(http://news.supermoney.eu/) – Roma, 24 febbraio 2014 – Due giorni fa è stato convalidato il nuovo contratto collettivo nazionale per la definizione del riposo settimanale e del minimo contributivo per collaboratori domestici, badanti e babysitters. Il contratto è stato siglato dalla Federazione italiana datori di lavoro domestico della quale fanno parte le associazioni Assindatcolf, Nuova collaborazione, A.D.L.D, A.D.L.C. I provvedimenti all'interno del nuovo accordo mireranno a migliorare i rapporti di lavoro tra privati e collaboratori domestici come babysitters, badanti e assistenti per anziani non autosufficienti. Il contratto ha effetto retroattivo dal 1 luglio 2013 e conclusione in data 31 dicembre 2016. In particolare viene introdotta la nuova regolamentazione per il riposo settimanale di collaboratori conviventi, ad ore e per coloro i quali professano una religione che prevede il giorno di riposo diverso dalla domenica. Sarà prevista inoltre la possibilità di affiancare collaboratori con mansioni limitate agli assistenti già assunti.

Il ministero delle politiche economiche e sociali sulla base di dati Istat ha diffuso la tabella del minimo contributivo per le differenti classi di lavoratori. I minimi mensili previsti per collaboratori conviventi vanno da 613 euro a 1173 euro, per i dipendenti a ore la fascia di retribuzione minima sarà 4,47-7,93 a ora e per la presenza notturna è previsto un unico livello di contribuzione pari 645,61 euro. I presenti valori di contribuzione entrano in vigore dal 1 gennaio 2014 con effetto retroattivo.


 

Scuola


Scuola, classi sempre più multietniche: un alunno su 10 di origine straniera. E la metà è nata in Italia

Il documento di analisi del Ministero: a otto anni dalla prima stesura sono quasi raddoppiati, e sono ormai 200mila nelle scuole superiori. Rendendo non più rinviabile la questione dello jus soli.

di SALVO INTRAVAIA


Classi sempre più multietniche: un alunno su dieci di origini straniere, ma la metà è nata in ItaliaRoma, 26 febbraio 2014 - Aule scolastiche italiane sempre più multietniche e adesso quasi un alunno su dieci è di origini straniere. La presenza di alunni nati da genitori stranieri quest'anno ha raggiunto le 830mila unità. A certificarlo è lo stesso ministero dell'Istruzione. Un dato, quello comunicato da viale Trastevere in occasione dell'emanazione delle nuove Linee guida per l'accoglienza e l'integrazione degli alunni stranieri, che fa segnare l'ennesimo record di presenza straniera tra le mura scolastiche. Ma dalle ultime ricognizioni sulla presenza straniera nelle scuole italiane emerge che metà degli alunni censiti come stranieri sono in realtà nati nel nostro Paese. Bambini e ragazzi che parlano con inflessioni di tutte le regioni italiane. E che contribuiscono a rendere non più rinviabile la questione dello jus soli, il riconoscimento della cittadinanza italiana a coloro che nascono nel nostro Paese.  "A otto anni di distanza dalla prima stesura  -  spiegano da viale Trastevere  -  esce il nuovo documento che guarda agli alunni con cittadinanza non italiana tenendo conto di uno scenario profondamente mutato che ha richiesto di aggiornare le indicazioni operative per le scuole". "Il numero di alunni con cittadinanza non italiana nelle nostre scuole  -  proseguono dal ministero  -  è passato infatti dai 430mila del 2006 (anno di emanazione delle ultime Linee guida) agli 830mila di oggi". In appena otto anni sono quasi raddoppiati. Ed è anche cambiata la loro distribuzione "che si è progressivamente spostata dalla scuola primaria alla scuola secondaria di primo e secondo grado". Oggi, le scuole superiori del nostro Paese sono frequentate da "200mila studenti con cittadinanza non italiana di cui l'80 per cento frequenta istituti tecnici e professionali".  Nel 2005/2006 erano appena 83mila. Ma dagli esiti degli scrutini finali traspare che ancora in parecchi arrancano. E le nuove Linee guida propongono indicazioni aggiornate alle scuole sull'orientamento scolastico, sulla valutazione e sulla istruzione e formazione dei giovani e degli adulti. In altre parole, l'obiettivo del documento firmato questa mattina dal ministro Maria Chiara Carrozza "è quello di offrire alle scuole una selezione ragionata di soluzioni organizzative e didattiche elaborate e realizzate dalle scuole stesse. In questo senso il documento si propone come veicolo di disseminazione e condivisione delle migliori pratiche già messe in atto per l'accogliere ed accompagnare in modo ottimale i sempre più numerosi ragazzi di origine non italiana che le frequentano".


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Territori


Alunni stranieri, è record in provincia: sono oltre 6.500

E in alcuni istituti si supera il 30 per cento del totale

di Franco Veroli


Alcuni bambini, figli di immigrati, al loro primo giorno di scuola (Ansa)Alcuni bambini stranieri, al primo giorno di scuola (Ansa)

Macerata, 24 febbraio 2014 - Secondo i dati più aggiornati del Ministero dell’istruzione, relativi all’anno scolastico 2012-2013, sono 6.596 gli alunni stranieri che frequentano le diverse scuole di ogni ordine e grado della provincia di Macerata. Rappresentano il 14.3% del totale — la percentuale più alta tra le cinque marchigiane e una delle più alte d’Italia — e sono così distribuiti: 1.329 nella scuola dell’Infanzia (quasi il 16% del totale), 2.269 alla Primaria (il 16,3%), 1.447 alle medie (il 16,5%), 1.551 alle superiori (oltre il 10%). Una realtà composita, proveniente un po’ da tutte le parti del mondo, con in testa Albania (967), Romania (671), Marocco (597), Cina (437), India (285), ma già molto diversa rispetto a quella di qualche anno fa. Basti dire che ben 3.309 degli alunni stranieri (il 50% del totale) sono nati in Italia, siamo ormai cioè in presenza dei figli degli immigrati di seconda e terza generazione.

L’altro aspetto rilevante è dato dal fatto che aumenta il numero degli iscritti alle scuole superiori, tendenza che si lega strettamente a quanto appena detto, nell’ambito della quale pur essendo largamente prevalenti gli iscritti negli istituti professionali e tecnici, cresce il numero di quelli che si iscrivono ai licei. Nel quadro generale i dati confermano che le scuole dove si trova la maggiore concentrazione di stranieri riflettono la presenza di questi ultimi nel territorio in cui l’istituto ha sede. Niente di strano, dunque, che all’Istituto comprensivo Lorenzo Lotto di Monte San Giusto gli alunni stranieri rappresentano il 37% del totale (tanti gli immigrati che da anni lavorano e vivono nel paese e nei dintorni), altrettanto dicasi per l’istituto Medi a Porto Recanati, dove siamo attorno al 32%, tanto per citare due casi. Molte le iniziative che gli istituti scolastici hanno intrapreso per efficaci percorsi di integrazione, a partire proprio dall’istituto Lotto di Monte San Giusto. Tante esperienze che sono state raccolte in tutta Italia dall’ex ministro dell’istruzione, Maria Chiara Carrozza, che proprio il 19 febbraio, a distanza di otto anni dal primo testo, ha emanato «Le nuove linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri», offrendo alle scuole indicazioni, idee, proposte per gestire e governare una realtà complessa, che nell’arco di pochi anni ha cambiato il volto delle scuole italiane.


 

Centri di espulsione

 


Lo "svuota carceri" è legge. Più detenuti rimpatriati senza passare per i Cie

Il Senato converte in legge il decreto del governo. Aumentano i casi di espulsione come alternativa alla detenzione, identificazione anticipata appena si entra in carcere


Roma - 20 febbraio 2014 - Ieri il Senato ha approvato ieri definitivamente, con 147 voti favorevoli, 95 contrari e nessun astenuto ,  il ddl n. 1288 di conversione del decreto-legge 146/2013, in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria. Un testo soprannominato “svuota carceri” che prevede interventi specifici anche per i detenuti stranieri. Non potrebbe essere altrimenti, se si considera che al 31 gennaio scorso, a fronte di una capienza regolamentare di 47.711 posti, nei penitenziari italiani erano presenti 61.449 detenuti e, tra questi, ben 21.167, il 34%, erano cittadini stranieri. Lo “svuota carceri” interviene sull' l’articolo 16 del testo unico sull’immigrazione, aumentando i casi in cui ai detenuti stranieri si applica l’espulsione come alternativa al carcere quando devono scontare una pena, anche residua, non superiore ai due anni. Vengono esclusi da questa procedura i condannati per reati particolarmente gravi e, specificatamente, i trafficanti di uomini. Un altro intervento significativo, che traduce in legge una prassi finora applicata con difficoltà nei nostri penitenziari, riguarda l’identificazione per l’espulsione di questi detenuti, che inizierà  appena entrano in carcere in modo da porterli effettivamente rimpatriare quando usciranno. La Polizia interesserà subito le autorità consolari dei Paesi di provenienza e il ministero dell’Interno si coordinerà con quello della Giustizia.

È una misura che dovrebbe ridurre uno dei problemi maggiori dei Centri di Identificazione ed Espulsione, dove transitano molti ex detenuti in attesa di rimpatrio. Questo genera sovraffollamento nelle strutture, costringe gli ex detenuti a un ingiusto “supplemento di pena” e fa convivere in condizioni già molto difficili persone che sono finite nei Cie solo perché erano prive di un permesso di soggiorno e persone che hanno commesso crimini di gran lunga più gravi.
Elvio Pasca, www.stranieriinitalia.it


Mediterraneo

 


Il Messaggero


Soldati libici libiaÈ già in Italia il primo contingente di militari libici che sarà addestrato principalmente in funzione di vigilanza e contrasto dei flussi migratori. Si tratta di 340 uomini che svolgeranno a Cassino (Fr), presso l’80° Reggimento addestramento volontari dell’Esercito italiano, un ciclo addestrativo di 14 settimane. L’attività è frutto dell’Accordo di cooperazione bilaterale tra Italia e Libia nel settore della Difesa, firmato a Roma il 28 maggio 2012. Secondo il portavoce del Ministero della difesa italiano, i cicli addestrativi prevedono la “formazione in Italia di più gruppi, scaglionati nel tempo, provenienti dalle regioni di Tripolitania, Cirenaica e Fezzan”. Il programma addestrativo a cura del personale misto di Esercito, Marina, Aeronautica e Arma dei Carabinieri, è inoltre parte delle iniziative di“ricostruzione” delle forze armate e di sicurezza libiche, decise in occasione del vertice G8 tenutosi a Lough Erne (Irlanda del Nord), nel giugno 2013. Nello specifico, Italia e Gran Bretagna si sono impegnati ad addestrare, ognuno, 2.000 militari libici all’anno; 6.000 militari saranno addestrati dagli Stati Uniti, mentre la Francia si occuperà della formazione delle forze di polizia.

Parte delle attività saranno realizzate direttamente in Libia da un team dell’Esercito integrato nella Missione Italiana in Libia (MIL), ufficialmente lanciata il 1° ottobre 2013 quale “evoluzione” dell’Operazione “Cyrene” che prese il via dopo la caduta del regime di Muammar Gheddafi. La MIL prevede infatti un sensibile aumento del numero del personale impiegato (sino a un centinaio di uomini) e delle finalità operative “La Missione Italiana in Libia ha lo scopo di organizzare, condurre e coordinare le attività addestrative, di assistenza e consulenza nel settore della Difesa”, ha spiegato il Capo di Stato Maggiore, ammiraglio Luigi Binelli Mantelli. “Si articola in una componente core interforze a carattere permanente, e in una componente ad hoc, costituita da mobile teams formativi, addestrativi e di supporto in base alle esigenze di volta in volta individuate dalle forze armate libiche”. Il salto strategico della nuova presenza italiana in Libia è sancito dalle risorse finanziarie messe in campo dal governo Letta: mentre nei primi nove mesi del 2013, “Cyrene” è costata 7,5 milioni di euro, nel trimestre ottobre-dicembre la missione MIL ha divorato oltre 5 milioni.

Le prime significative attività addestrative in Libia hanno preso il via nel dicembre 2012, quando una ventina di ufficiali di polizia sono stati ammessi a un corso di 4 settimane organizzato dall’Arma dei carabinieri. Temi trattati: “gestione dell’ordine pubblico, tecniche di intervento operativo, check point, perquisizioni, ammanettamenti, maneggio e uso delle armi, primo soccorso, servizi di tutela e scorta, difesa personale, contrasto agli ordigni esplosivi improvvisati, ecc.”. Sono seguiti poi per tutto il 2013 altri corsi pianificati e gestiti da una training mission composta da ufficiali e sottufficiali della 2a Brigata Mobile dei carabinieri. L’Arma ha curato anche l’addestramento dei “battaglioni di ordine pubblico” libici e della Border Guard a cui è affidata la vigilanza dei confini e dei siti strategici nazionali. Una trentina di militari della neo-costituita guardia di frontiera sono stati invitati per un ciclo addestrativo di 10 settimane presso il Coespu (Centre of excellence for stability police units) di Vicenza, la scuola di formazione delle forze di polizia dei paesi africani e asiatici, di proprietà dei Carabinieri ma utilizzata pure da personale specializzato di Africom, il comando militare Usa per le operazioni in Africa. Un’altra trentina di ufficiali della Border Guard e della Gendarmeria libica hanno invece partecipato nella primavera 2013, presso la Scuola del Genio e del Comando logistico dell’Esercito di Velletri (Rm), a uncorso sulle “tecniche di bonifica di ordigni esplosivi convenzionali” e a uno sulla “manutenzione” dei blindati da trasporto e combattimento “Puma”. Venti di questi velivoli prodotti dal consorzio Fiat Iveco-Oto Melara erano stati consegnati “a titolo gratuito” ai libici il 6 febbraio 2013, in occasione della visita a Tripoli dell’allora ministro della difesa, ammiraglio Di Paola. In quella data fu pure raggiunto un accordo di massima tra Italia e Libia sui futuri programmi di formazione dei reparti militari e delle forze di polizia e, come spiegato dallo stesso Di Paola, “di cooperazione, anche tecnologica, nelle attività di controllo dell’immigrazione clandestina, di supporto nazionale alla ricostruzione della componente navale, sorveglianza e controllo integrato delle frontiere”.

Nell’ottica del rafforzamento dei legami italo-libici , una delegazione della Marina del paese nordafricano è stata ospite nel luglio 2013 dell’Accademia Navale di Livorno, della stazione elicotteri della Marina di Luni e del Comando delle forze di contromisure mine (Comfordrag) di La Spezia. E a fine ottobre, le autorità di Tripoli hanno annunciato di voler rinnovare la collaborazione con Roma e l’industria Selex ES (Finmeccanica) per installare un sistema di sorveglianza radar e monitoraggio elettronico delle coste libiche e delle frontiere con Niger, Ciad e Sudan, dal costo di 300 milioni di euro. Il contratto fu firmato il 7 ottobre 2009 all’epoca del regime di Muammar Gheddafi, ma fu interrotto nel 2011 con il completamento di solo una tranche di 150 milioni. Selex ES, con la collaborazione di GEM Elettronica, deve provvedere all’installazione di una rete radarLand Scout “in grado di individuare anche i movimenti di gruppi di persone appiedate”, e curerà la formazione degli operatori e dei manutentori libici.Secondo il sito specialistico Analisi Difesa, i libici avrebbero espresso la volontà di dotarsi pure di un non meglio precisato “monitoraggio aereo delle frontiere” che comprenderebbe l’acquisto dei droni di sorveglianza “Falco”, prodotti sempre dall’italiana Selex.

Che siano gli aerei senza pilota la nuova frontiera tecnologica per le guerre ai migranti e alle migrazioni lanciate dalle forze armate italiane e libiche lo prova l’ultimo “accordo tecnico” di cooperazione bilaterale sottoscritto a Roma il 28 novembre 2013 dai ministri della difesa Mario Mauro e Abdullah Al-Thinni. Il memorandum autorizza l’impiego di mezzi aerei italiani a pilotaggio remoto in missioni a supporto delle autorità libiche per le “attività di controllo” del confine sud del Paese. Si tratta dei droni Predator del 32° Stormo dell’Aeronautica militare di Amendola (Fg), rischierati in Sicilia a Sigonella e Trapani-Birgi nell’ambito dell’operazione “Mare Nostrum” di controllo e vigilanza del Mediterraneo. Grazie aiPredator, gli automezzi dei migranti saranno intercettati quanto attraversano il Sahara e i militari libici potranno intervenire tempestivamente per detenerli o deportarli prima che essi possano raggiungere le città costiere.

Sempre secondo quanto dichiarato dal Ministero della difesa italiano a conclusione del vertice bilaterale del 28 novembre scorso, “nell’ottica di uno sviluppo delle capacità nel settore della sorveglianza e della sicurezza marittima, è emersa anche la possibilità di imbarcare ufficiali libici a bordo delle unità navali italiane impegnate nell’Operazione “Mare Nostrum”, nonché di avviare corsi di addestramento sull’impiego del V-RMTC (Virtual Maritime Traffic Centre)”. Il governo Letta, cioè, pensa di consentire ai militari di un paese all’indice per le violazioni dei diritti umani, di partecipare a bordo della “San Marco” e delle fregate lanciamissili italiane alle (illegittime) operazioni di identificazione e agli (ancor più illegittimi) interrogatori di tutti coloro che saranno “salvati” nel Canale di Sicilia. “Con la stipula delle nuove intese tra il ministro della difesa libico e Mario Mauro viene svelato il vero senso della missione militare “Mare Nostrum”, sempre meno umanitaria”, ha commentato il giurista Fulvio Vassallo Paleologo dell’Università di Palermo. “Con i funzionari del ministero dell’interno già operativi potranno essere imbarcati agenti di polizia libici, con conseguenze devastanti per il destino dei naufraghi raccolti in mare, tutti ormai potenziali richiedenti asilo, che saranno sempre più esposti al rischio di identificazioni violente e di successivi respingimenti in Libia. Si potrà ripetere dunque quanto accaduto nel 2009, quando la Guardia di Finanza italiana riportò in Libia decine di migranti. Pratica per la quale l’Italia è stata condannata, nel 2012, dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo”.