CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NILS WAHL

presentate il 10 luglio 2014 (1)

Causa C‑171/13

Raad van bestuur van het Uitvoeringsinstituut werknemersverzekeringen (Uwv)

contro

M.S. Demirci

D. Cetin

A.I. Önder

R. Keskin

M. Tüle

A. Taskin

[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Centrale Raad van Beroep (Paesi Bassi)]

«Associazione CEE‑Turchia – Decisione n. 3/80 del Consiglio di associazione – Sicurezza sociale dei lavoratori migranti – Prestazione integrativa attribuita in base alla legislazione nazionale – Requisito della residenza – Articolo 6, paragrafo 1, della decisione n. 3/80 – Esportabilità delle prestazioni – Beneficiari titolari di più cittadinanze – Cittadinanza di uno Stato membro dell’Unione europea – Articolo 59 del protocollo addizionale all’Accordo di associazione CEE‑Turchia – Clausola di trattamento non preferenziale»





1.        La presente domanda di pronuncia pregiudiziale concerne l’interpretazione dell’articolo 6 della decisione n. 3/80 del Consiglio di associazione CEE‑Turchia (in prosieguo: la «decisione n. 3/80») (2). Tale disposizione vieta l’introduzione di clausole di residenza in relazione al pagamento di determinati tipi di prestazioni in denaro in favore di lavoratori turchi.

2.        Più specificatamente, la causa riguarda l’applicazione di tale disposizione a ex lavoratori turchi che hanno nel frattempo ottenuto la cittadinanza dello Stato membro ospitante, mantenendo al contempo la cittadinanza turca. Sorgono le seguenti questioni: se l’acquisto della cittadinanza dello Stato membro ospitante privi tali lavoratori dei diritti che altrimenti deriverebbero loro in virtù dell’articolo 6. Se detti lavoratori abbiano ancora diritto ad una prestazione integrativa in denaro a carattere non contributivo (accessoria ad una prestazione per invalidità) concessa in base alla legislazione nazionale dello Stato membro ospitante (3) anche laddove essi siano tornati in Turchia e tale legislazione nazionale imponga un requisito di residenza. In caso contrario, in quale momento la prestazione integrativa possa essere soppressa.

I –    Contesto normativo

A –    L’associazione CEE‑Turchia

3.        Il 12 settembre 1963 è stato firmato un accordo con cui veniva istituita un’associazione tra la Comunità economica europea e la Repubblica di Turchia (in prosieguo: l’«Accordo di associazione») (4). L’articolo 9 di tale accordo prevede un divieto generale di discriminazione fondata della cittadinanza tra le parti dell’Accordo.

4.        Il 23 novembre 1970 è stato firmato un protocollo addizionale all’Accordo di associazione (in prosieguo: il «protocollo addizionale») (5), il cui articolo 39, paragrafo 4, garantisce che «le pensioni e le rendite di vecchiaia, di decesso e di invalidità» possano essere esportate in Turchia. Ai sensi dell’articolo 39, paragrafo 5, tale disposizione non può avere effetti su accordi bilaterali più favorevoli convenuti tra la Turchia e uno Stato membro.

5.        L’articolo 59 del protocollo addizionale proibisce il trattamento preferenziale, stabilendo che nei «settori coperti dal presente protocollo, la Turchia non può beneficiare di un trattamento più favorevole di quello che gli Stati membri si accordano reciprocamente (…)».

6.        Il 19 settembre 1980 il Consiglio di associazione ha adottato la decisione n. 3/80. Tale decisione mira a coordinare i regimi di previdenza sociale degli Stati membri al fine di concedere prestazioni nel campo della previdenza sociale ai lavoratori turchi e ai loro familiari e superstiti.

7.        Ai sensi dell’articolo 2 della decisione n. 3/80, le disposizioni di tale decisione si applicano, inter alia, «ai lavoratori che sono o sono stati soggetti alla legislazione di uno o più Stati membri e che sono cittadini della Turchia».

8.        L’articolo 3, paragrafo 1, della decisione n. 3/80 garantisce parità di trattamento con riguardo «agli obblighi e (...) al beneficio della legislazione di ciascuno Stato membro».

9.        L’articolo 4 della decisione n. 3/80 definisce il campo di applicazione ratione materiae dello strumento. Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), la decisione si applica alle «prestazioni di invalidità, comprese quelle dirette a conservare o migliorare la capacità di guadagno».

10.      L’articolo 6, paragrafo 1, della decisione n. 3/80 stabilisce che:

«Salvo quanto diversamente disposto dalla presente decisione, le prestazioni in denaro per invalidità, vecchiaia o ai superstiti, nonché le rendite per infortunio sul lavoro o malattia professionale, acquisite in base alla legislazione di uno o più Stati membri, non possono subire alcuna riduzione, né modifica, né sospensione, né soppressione, né confisca per il fatto che il beneficiario risiede in Turchia o nel territorio di uno Stato membro diverso da quello nel quale si trova l’istituzione debitrice.

(…)».

B –    Regolamento (CE) n. 1408/71 (6)

11.      Il regolamento n. 1408/71 coordina i regimi previdenziali degli Stati membri al fine di garantire che i lavoratori che si spostano all’interno dell’Unione europea siano sempre coperti dalla legislazione sulla previdenza e assistenza sociale.

12.      L’articolo 4 delimita il campo di applicazione ratione materiae del regolamento. Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, il regolamento n. 1408/71 si applica alle «prestazioni di invalidità, comprese quelle dirette a conservare o migliorare la capacità di guadagno».

13.      Più specificatamente, l’articolo 4, paragrafo 2 bis definisce le «prestazioni speciali in denaro a carattere non contributivo», vale a dire la categoria in cui rientra la prestazione in esame nelle cause pendenti dinanzi al giudice del rinvio.

14.      Mentre l’articolo 10, paragrafo 1, osta a che gli Stati membri impongano un requisito di residenza, l’articolo 10 bis, paragrafo 1, esclude da tale divieto determinate prestazioni speciali in denaro a carattere non contributivo. L’articolo 10 bis, paragrafo 1, dispone quanto segue:

«Le disposizioni dell’articolo 10 e del titolo III non si applicano alle prestazioni speciali in denaro a carattere non contributivo di cui all’articolo 4, paragrafo 2 bis. Le persone cui si applica il presente regolamento beneficiano di queste prestazioni esclusivamente sul territorio dello Stato membro nel quale risiedono e in base alla legislazione di tale Stato, purché tali prestazioni siano menzionate nell’allegato II bis. Tali prestazioni sono erogate dall’istituzione del luogo di residenza e a suo carico».

15.      Con modifica introdotta dal regolamento n. 647/2005 (7), la TW è stata aggiunta all’elenco delle prestazioni speciali in denaro a carattere non contributivo nell’allegato II bis del regolamento. Tale modifica è entrata in vigore il 5 maggio 2005.

C –    Diritto olandese

16.      La TW disciplina la concessione di prestazioni integrative nei Paesi Bassi. Tali prestazioni sono concesse al fine di assicurare a tutti un determinato livello minimo di sostentamento. Ai sensi della TW, l’Uitvoeringsinstituut werknemersverzekeringen (ente di previdenza per i lavoratori dipendenti; in prosieguo: l’«Uwv») è l’autorità che, ricevuta una richiesta da un individuo, stabilisce se sussista un diritto a tale prestazione integrativa.

17.      Con la Wet beperking export uitkeringen del 27 maggio 1999 (legge sulla limitazione all’esportabilità delle prestazioni; in prosieguo: la «Wet BEU»), è stata inserita nella TW una nuova disposizione che ha subordinato il diritto alle prestazioni integrative alla residenza nei Paesi Bassi. Pertanto, a partire dal 1° gennaio 2000, tutti i beneficiari di una prestazione integrativa devono risiedere nei Paesi Bassi.

18.      Ai sensi del regime transitorio istituito dall’articolo XI della Wet BEU, l’erogazione di prestazioni a norma della TW a beneficiari che già ricevevano una prestazione integrativa prima dell’entrata in vigore del nuovo regime e che all’epoca risiedevano fuori del territorio dei Paesi Bassi doveva essere soppressa gradualmente di un terzo ogni anno a partire dal 1° gennaio 2000. La medesima procedura di soppressione graduale doveva essere attuata dall’anno 2007 per i cittadini dell’Unione e del SEE dopo che la TW era stata aggiunta all’elenco di cui all’allegato II bis del regolamento n. 1408/71.

II – Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

19.      Il sig. Demirci e altri cinque ex lavoratori migranti (in prosieguo: i «resistenti») sono cittadini turchi che hanno lavorato e risieduto nei Paesi Bassi per diversi anni. Per ragioni d’invalidità, sono divenuti inabili al lavoro e hanno di conseguenza ottenuto l’erogazione di una prestazione d’invalidità (8), nonché una prestazione integrativa a carattere non contributivo a norma della TW. La prestazione integrativa di cui trattasi mira a garantire che il livello della prestazione di incapacità porti il reddito dei beneficiari il più vicino possibile al salario minimo. Prima del 2000, tutti i resistenti sono tornati in Turchia, benché avessero nel frattempo acquistato – oltre alla loro cittadinanza turca – la cittadinanza olandese e pertanto mantenuto il diritto a risiedere nei Paesi Bassi.

20.      Quando la Uwv ha soppresso progressivamente la prestazione integrativa sulla base della Wet BEU, i resistenti hanno impugnato le decisioni adottate a tal fine. A seguito di diverse decisioni giudiziarie, la Uwv ha continuato ad erogare la prestazione integrativa per diversi anni ma ha infine soppresso progressivamente la stessa dal 2004 o dal 2007, secondo le circostanze.

21.      Nutrendo dubbi in ordine alla legittimità dell’interruzione della prestazione integrativa, la Centrale Raad van Beroep (Corte d’appello in materia di previdenza sociale) (Paesi Bassi) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 6, paragrafo 1, della decisione n. 3/80, in osservanza dell’articolo 59 del protocollo addizionale, debba essere interpretato nel senso che esso osta ad un regime normativo di uno Stato membro, come l’articolo 4a della TW, che revoca la prestazione integrativa, conferita in virtù della normativa nazionale, qualora i beneficiari di detta prestazione non risiedano più nel territorio di tale Stato, anche nell’ipotesi in cui detti beneficiari, pur conservando la cittadinanza turca, abbiano acquisito la cittadinanza dello Stato membro ospitante.

2)      Qualora la Corte, nel rispondere alla prima questione, giunga alla conclusione che gli interessati possono invocare l’articolo 6, paragrafo 1, della decisione n. 3/80, ma che ciò possa avvenire nei limiti determinati dall’applicazione dell’articolo 59 del protocollo addizionale: se l’articolo 59 del protocollo addizionale debba essere interpretato nel senso che esso osta alla prosecuzione del versamento della prestazione integrativa a favore di cittadini turchi, come gli interessati, a partire dal momento in cui i cittadini dell’Unione, in base al diritto dell’Unione, non possono più riceverla, anche nel caso in cui, in virtù del diritto nazionale, i cittadini dell’Unione abbiano conservato la prestazione in causa per un periodo più lungo».

22.      La Uwv, i sigg. Demirci e Keskin, il governo dei Paesi Bassi, nonché la Commissione hanno presentato osservazioni scritte nel presente procedimento. All’udienza del 14 maggio 2014, dette parti e il sig. Cetin hanno presentato osservazioni orali.

III – Analisi

A –    Osservazioni preliminari

23.      La serie di problemi alla base delle cause dinanzi al giudice del rinvio («la presente causa») assomiglia molto alla complicata situazione che ha dato origine alla sentenza della Corte nella causa Akdas e a. (9). In sostanza, tanto la causa Akdas quanto la presente causa riguardano l’esportabilità dai Paesi Bassi di una prestazione in denaro a carattere non contributivo (una prestazione integrativa speciale) a norma della TW in circostanze nelle quali tale prestazione non può più essere esportata da cittadini dell’Unione in altri Stati membri.

24.      Esiste, tuttavia, una differenza fondamentale tra le due cause. Nella causa Akdas, gli ex lavoratori turchi interessati possedevano la cittadinanza turca. Nella presente causa, i resistenti hanno ottenuto, oltre alla cittadinanza turca, quella dello Stato membro ospitante. Come dimostra questa causa, la cittadinanza plurima dà luogo a difficoltà interpretative senza precedenti con riferimento all’articolo 6 della decisione n. 3/80.

25.      Prima di passare ad esaminare tali difficoltà in modo più dettagliato, è utile ricordare che il regolamento n. 1408/71 ha previsto un regime specifico per «prestazioni speciali a carattere non contributivo» dal 1992. Pur se tali prestazioni rientrano nell’ambito di applicazione di detto regolamento, gli Stati membri possono, a norma dell’articolo 10 bis dello stesso [attualmente articolo 70 del regolamento (CE) n. 883/2004] (10), riservare tali prestazioni ai residenti. Ciò purché le prestazioni interessate siano elencate nell’allegato II bis del regolamento n. 1408/71 (attualmente allegato X del regolamento n. 883/2004). La TW è inclusa in detto allegato.

26.      In tale contesto, la Corte ha affermato, nella sentenza Akdas, che, nonostante il fatto che i cittadini dell’Unione che si muovono da uno Stato membro ad un altro non abbiano diritto di esportare le prestazioni integrative concesse a norma della TW, tale restrizione non si applica ai lavoratori turchi. Soprattutto, il fatto che i cittadini turchi possano esportare la prestazione integrativa in questione non è stato ritenuto incompatibile con l’articolo 59 del protocollo addizionale, che osta a un trattamento più vantaggioso dei cittadini turchi rispetto ai cittadini dell’Unione (11).

27.      Alla luce della sentenza Akdas, la questione che sorge ora è quali conseguenze abbia la naturalizzazione dei resistenti ai fini della decisione della presente causa. Come dimostrato dalle opinioni divergenti espresse dalle parti che hanno presentato osservazioni, la risposta a tale questione non è affatto evidente. Tuttavia, come cercherò di illustrare qui di seguito, credo che la situazione dei resistenti sia intrinsecamente diversa rispetto a quella dei lavoratori turchi nella causa Akdas. In definitiva, essi sono, in quanto cittadini olandesi, cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea.

B –    L’incidenza del possesso della cittadinanza di uno Stato membro dell’Unione

28.      Per i lavoratori migranti, come i cittadini turchi, che lavorano in uno Stato membro dell’Unione europea, l’acquisto della cittadinanza dello Stato membro ospitante rappresenta indubbiamente un passo importante per il raggiungimento dell’apice dell’integrazione (12). Per le ragioni che seguono, ritengo che la decisione n. 3/80 non trovi più applicazione dopo che un lavoratore turco ha acquistato la cittadinanza dello Stato membro ospitante. Detto lavoratore è, a tutti gli effetti, un cittadino dell’Unione. Pertanto, egli non può più fare una selezione tra le norme applicabili in base a ciò che sembra essere nel suo miglior interesse in ciascuna situazione data.

29.      A mio avviso, non appena i cittadini turchi, che sono giunti in uno Stato membro sotto il regime dell’associazione CEE‑Turchia, sono naturalizzati nello Stato membro ospitante, essi non traggono più i loro diritti in materia previdenziale dalla decisione n. 3/80. In qualità di cittadini dell’Unione (a pieno titolo), essi traggono i loro diritti dalla normativa dello Stato membro in questione e, ove applicabile, dal diritto dell’Unione. Diversamente, si applicherebbero nel contempo due serie di norme in materia di prestazioni d’invalidità.

30.      Per esempio, la decisione n. 1/80 (13) – uno strumento emanato per rilanciare e sviluppare i rapporti commerciali ed economici tra la Repubblica di Turchia e l’Unione europea (14) – mira a migliorare, in materia sociale, il regime di cui beneficiano i lavoratori e i loro familiari ai sensi del regime dell’associazione CEE‑Turchia (15). A tal riguardo, è unicamente in qualità di lavoratori o di familiari di un lavoratore che i cittadini turchi vengono presi in considerazione dall’Accordo di associazione e fruiscono di conseguenza dei diritti loro conferiti dalla decisione n. 1/80 (16). Diversa è la situazione, ai sensi del diritto dell’Unione, dei lavoratori (o peraltro di qualsiasi altra categoria di persone) che possiedono la cittadinanza di uno Stato membro e che hanno esercitato il loro diritto alla libera circolazione. I loro diritti sono conferiti dal diritto dell’Unione semplicemente in virtù della loro cittadinanza di uno Stato membro dell’Unione europea (17).

31.      Ciò è illustrato dalla sentenza Kahveci (18), emessa in un’altra causa richiamata dai resistenti. La causa Kahveci riguardava la corretta interpretazione dell’articolo 7 (19) della decisione n. 1/80. Il punto in esame era se i familiari di lavoratori turchi che – come i resistenti – possedevano la doppia cittadinanza olandese e turca, potessero invocare tale disposizione anche dopo che detti lavoratori avevano acquistato la cittadinanza dello Stato membro ospitante.

32.      Concordo pienamente con l’analisi dell’avvocato generale Sharpston in tale causa. Per quanto riguarda i lavoratori interessati, le autorità di uno Stato membro sono libere, nei loro rapporti con un lavoratore che ha la doppia cittadinanza, di considerarlo come se avesse solo la cittadinanza di tale Stato membro (20). Esse non possono però ignorare la cittadinanza turca della persona nei loro rapporti con i familiari che non sono cittadini dell’Unione. Ciò in quanto, dal punto di vista del rapporto delle autorità con il familiare interessato, il lavoratore avente più cittadinanze continua ad essere un cittadino turco legalmente inserito nel mercato del lavoro nei Paesi Bassi. Sebbene il lavoratore tragga i suoi diritti dal suo status di cittadino dello Stato membro interessato, egli tuttavia continua ad essere un «lavoratore turco» ai sensi dell’articolo 7 della decisione n. 1/80. In altri termini, purché detti lavoratori siano entrati legalmente nello Stato membro in questione, i loro familiari possono godere dei diritti di cui all’articolo 7, nonostante il fatto che la persona che è all’origine di detti diritti non possa più, a sua volta, beneficiarne, poiché nel trattare con tale persona le autorità dello Stato membro in questione hanno il diritto di non tenere conto di una metà del suo status di cittadinanza (21).

33.      In tale ambito, un punto che dovrebbe essere evidenziato è che il fatto di riconoscere a una certa categoria di cittadini dell’Unione (ossia, a coloro che possiedono sia la cittadinanza turca sia quella di uno Stato membro) un trattamento preferenziale in conseguenza della cittadinanza non dell’Unione comporterebbe in pratica una distinzione tra diverse categorie di cittadini dell’Unione. Pertanto, consentire l’esportabilità (all’interno dell’Unione europea) per alcuni cittadini dell’Unione, ma non per altri, sarebbe chiaramente contrario al principio generale di non discriminazione.

34.      In altri termini, una volta che i lavoratori turchi, come i resistenti, hanno acquistato la cittadinanza dello Stato membro ospitante, essi cessano semplicemente di essere «lavoratori turchi» ai sensi della decisione n. 3/80 (o, in termini più generali, ai sensi del regime dell’Associazione). Da quel momento in poi, essi non traggono più i loro diritti a prestazioni in materia di previdenza sociale delle norme del regime dell’Associazione, ma piuttosto del diritto nazionale e, ove applicabile, del diritto dell’Unione.

35.      Ritengo perciò che la decisione n. 3/80 non sia applicabile nelle circostanze dei procedimenti pendenti dinanzi al giudice del rinvio, ove i lavoratori interessati abbiano ottenuto la cittadinanza dello Stato membro ospitante, mantenendo al contempo la cittadinanza turca.

36.      Tuttavia, il giudice del rinvio e le parti che hanno presentato osservazioni hanno scelto prevalentemente una prospettiva diversa da cui affrontare le questioni interpretative sottese alla presente causa, segnatamente l’articolo 6 della decisione n. 3/80 (e della sentenza della Corte nella causa Akdas). A fini di completezza, mostrerò in prosieguo – anche a rischio di confondere inutilmente il quadro – che, anche in base all’articolo 6 della decisione n. 3/80, letto in combinato disposto con l’articolo 59 del protocollo addizionale, la presente causa deve essere distinta dalla causa Akdas.

C –    Argomentazioni sulla base della causa Akdas

1.      La causa Akdas e l’articolo 6 della decisione n. 3/80

37.      Nella sentenza Akdas, la Corte ha confermato che l’articolo 6, paragrafo 1, della decisione n. 3/80 ha efficacia diretta nei confronti delle persone che rientrano nel campo di applicazione ratione personae della decisione (22). L’articolo 2 della decisione n. 3/80 riguarda, tra l’altro, i lavoratori che sono stati soggetti alla legislazione di uno Stato membro e che sono cittadini turchi. Ipotizzando che la decisione n. 3/80 sia ancora applicabile, i resistenti (come le persone interessate nella causa Akdas) soddisfano tale criterio: essi sono cittadini turchi che sono stati soggetti alla legislazione di uno Stato membro, segnatamente quella dei Paesi Bassi. Di conseguenza, tali ex lavoratori turchi dovrebbero – in linea di principio – poter invocare l’articolo 6 della decisione n. 3/80 per ottenere che la prestazione integrativa in questione nel procedimento principale continui ad essere erogata in Turchia.

38.      Dalla sentenza della Corte nella causa Akdas, risulta altresì chiaro che una prestazione integrativa in denaro a carattere non contributivo, come quella qui in esame, rientra nell’ambito di applicazione ratione materiae dell’articolo 6, paragrafo 1, della decisione n. 3/80 (23). Per quanto riguarda, più specificatamente, l’esportabilità della prestazione in questione, la Corte ha riconosciuto che ex lavoratori turchi, rientrati in Turchia, continuano ad aver diritto a ricevere, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della decisione n. 3/80, una prestazione previdenziale come la predetta prestazione integrativa (anche se i cittadini dell’Unione non godono di un diritto equivalente) (24). La Corte è giunta a tale conclusione per i seguenti motivi.

39.      In primo luogo, l’articolo 39, paragrafo 4, del protocollo addizionale prevede espressamente l’esportabilità di talune prestazioni previdenziali, tra cui le pensioni di vecchiaia e le rendite d’invalidità ottenute dai lavoratori turchi in forza della legislazione di uno o di più Stati membri. In secondo luogo, come ricordato in precedenza, l’articolo 2 della decisione n. 3/80 riguarda i lavoratori turchi che «sono stati soggetti» alla legislazione di uno o più Stati membri, senza ulteriori specificazioni. I lavoratori turchi rientrano nell’ambito di applicazione della decisione n. 3/80 in base al mero fatto di essere stati soggetti alla legislazione di almeno uno Stato membro (25).

40.      In terzo luogo – e forse ancor più fondamentale – l’applicazione nell’ambito della decisione n. 3/80 del sistema attualmente in vigore ai sensi del regolamento n. 1408/71, relativo a prestazioni speciali a carattere non contributivo si tradurrebbe in una modifica di tale decisione. Ciò, tuttavia, è una prerogativa riservata al Consiglio di associazione.

41.      Ciò che interessa in modo particolare ai presenti fini è, tuttavia, lo status dei cittadini turchi dopo che essi abbiano cessato di lavorare nello Stato membro ospitante. Sulla base della giurisprudenza derivante dalla sentenza Bozkurt (26), la Corte ha statuito che un cittadino turco che in precedenza era inserito nel regolare mercato del lavoro di uno Stato membro – ai sensi dell’articolo 6 (27) della decisione n. 1/80 – non gode automaticamente del diritto di rimanere nel territorio di detto Stato dopo aver subito un infortunio sul lavoro. Ciò è vero in particolare ove l’infortunio abbia comportato un’inabilità permanente al lavoro e lo escluda quindi definitivamente dal regolare mercato del lavoro (28).

42.      Posto che le persone interessate nella causa Akdas non potevano più essere considerate, da nessun punto di vista, come inserite nel mercato regolare del lavoro, esse non avevano diritto – in base alla decisione n. 1/80 – a rimanere nel territorio dello Stato membro ospitante (29). Pertanto, ai fini dell’articolo 59 del protocollo addizionale, la situazione di tali persone non poteva essere utilmente paragonata a quella dei cittadini dell’Unione. Ciò era dovuto, essenzialmente, al fatto che i cittadini dell’Unione hanno diritto – in ragione del possesso della cittadinanza di uno Stato membro dell’Unione europea – di circolare e risiedere (a certe condizioni) nel territorio di un altro Stato membro. Perciò, i cittadini dell’Unione mantengono anche il loro diritto di risiedere nello Stato membro che ha concesso loro la prestazione in questione. In altre parole, essi possono scegliere di lasciare il territorio di tale Stato e, per tale motivo, perdere la prestazione. D’altro lato, però, essi mantengono anche il diritto di ritornare nello Stato membro interessato.

2.      La causa Akdas e l’articolo 59 del protocollo addizionale

43.      Come chiarito nelle considerazioni della Corte nella sentenza Akdas, l’articolo 59 del protocollo addizionale opera come un «meccanismo di ultima istanza» per garantire che l’interpretazione delle disposizioni del regime dell’associazione CEE‑Turchia non tratti indebitamente i cittadini dell’Unione in modo meno vantaggioso rispetto ai cittadini turchi. L’articolo 59, tuttavia, non costituisce una clausola generale di non discriminazione che possa essere invocata dai cittadini dell’Unione in qualsiasi circostanza in cui ai cittadini turchi vengono concessi diritti, ai sensi del regime dell’associazione CEE‑Turchia, di cui i cittadini dell’Unione non godono (30).

44.      Questo punto viene illustrato chiaramente dalla sentenza emessa nella causa Derin (31). In tale sentenza, la Corte ha sostenuto che l’articolo 59 del protocollo addizionale non ostava a un’interpretazione dell’articolo 7 della decisione n. 1/80 secondo cui un familiare di un lavoratore turco che conduceva una vita indipendente da tale lavoratore, dopo aver raggiunto l’età adulta, manteneva il diritto di risiedere nello Stato membro ospitante. E ciò avveniva anche se i cittadini dell’Unione non godevano di un diritto equivalente ai sensi delle norme applicabili dell’Unione.

45.      In effetti, tale interpretazione veniva giustificata in base al fatto che lo status giuridico dei cittadini turchi (ai sensi dell’articolo 7 della decisione n. 1/80) non poteva essere paragonato a quello dei cittadini dell’Unione [in conformità del regime istituito dal regolamento (CEE) n. 1612/68 (32)]. I diritti derivanti dalle norme del regime dell’Associazione sono inferiori rispetto a quelli che sono conferiti dal diritto dell’Unione a favore dei cittadini dell’Unione sotto molteplici aspetti (33). Di conseguenza, l’articolo 59 del protocollo addizionale non era considerato come un ostacolo alla concessione ai cittadini turchi di un diritto di cui non godono i cittadini dell’Unione, in un siffatto contesto. Da tale sentenza emerge che ciò che conta è lo status giuridico complessivo dei cittadini turchi e dei cittadini dell’Unione. In altre parole, l’articolo 59 prevede solamente che la posizione dei cittadini dell’Unione non possa – nel complesso – essere meno vantaggiosa di quella dei cittadini turchi in relazione a una particolare categoria di diritti (34).

46.      Invero, analogamente alle questioni sottese alla causa Derin, il regime giuridico predisposto per coordinare i regimi di sicurezza sociale istituiti dalla decisione n. 3/80 e che era oggetto di esame nella causa Akdas non è del tutto in linea con il regolamento n. 1408/71 (ora regolamento n. 883/2004). Mentre la decisione può garantire l’esportabilità di determinate prestazioni, si può ragionevolmente sostenere che essa preveda una protezione inferiore rispetto a quella che deriva complessivamente dalla cittadinanza dell’Unione (35).

47.      Per contro, dal punto di vista dei cittadini turchi, ove si ritenesse che i cittadini turchi si trovino in una situazione paragonabile a quella dei cittadini dell’Unione, l’applicazione dell’articolo 59 del protocollo addizionale potrebbe dar luogo a una situazione nella quale non sono applicabili i diritti che i cittadini turchi avrebbero altrimenti tratto dal regime dell’associazione CEE‑Turchia (36).

48.      La questione che si pone è se la posizione dei resistenti differisca sufficientemente da quella dei lavoratori turchi nella causa Akdas. Come già spiegato in precedenza, ritengo di sì. Tuttavia, anche a rischio di essere ripetitivo, analizzerò brevemente queste differenze alla luce della sentenza Akdas.

3.      La causa Akdas e il caso di specie

49.      Nella causa Akdas, gli ex lavoratori turchi interessati erano divenuti invalidi nei Paesi Bassi. Di conseguenza, essi non erano più inseriti nel regolare mercato del lavoro dello Stato membro ospitante così da vedersi attribuire il diritto a continuare a risiedervi. Mi sembra chiaro che – come evidenziato dal giudice del rinvio – la situazione di tali cittadini turchi non possa essere utilmente paragonata a quella dei cittadini dell’Unione, poiché questi ultimi hanno il diritto di circolare nonché di risiedere nel territorio degli Stati membri: diversamente dai lavoratori turchi, i cittadini dell’Unione possono liberamente scegliere, non solo di lasciare uno Stato membro, ma anche di ritornarvi. E, ciò che è forse ancora più importante, i cittadini di un particolare Stato membro possono sempre, in primo luogo, scegliere anche di non lasciare tale Stato.

50.      Nel caso di specie, i resistenti hanno il diritto di risiedere nei Paesi Bassi proprio perché hanno acquistato la cittadinanza di tale Stato, essi non sono stati obbligati a lasciare lo Stato membro della loro altra cittadinanza e possono sempre ritornarvi se lo desiderano. Qualora lo facciano, essi riceveranno anche la prestazione integrativa. Pertanto – in base a questo secondo aspetto del ragionamento – concordo, in particolare, con la Commissione e con il governo dei Paesi Bassi sul fatto che i resistenti si trovino in una posizione sostanzialmente diversa rispetto alle persone di cui trattasi nella causa Akdas. Per quanto riguarda il diritto di residenza dei resistenti, essi, in realtà, si trovano sullo stesso piano di qualsiasi altro cittadino dell’Unione. Essi sono, invero, cittadini dell’Unione.

51.      Già questo sembra giustificare la conclusione che, nel caso dei resistenti, l’articolo 59 del protocollo addizionale osta a un’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, della decisione n. 3/80 che permetterebbe loro di esportare la prestazione integrativa in questione oltre i confini dello Stato membro nel quale si trova l’istituzione debitrice. Tuttavia, poiché i resistenti, nelle loro osservazioni, richiamano la sentenza della Corte nella causa Kahveci, tornerò a occuparmi brevemente di tale sentenza. In sostanza, i resistenti deducono da tale sentenza che la cittadinanza plurima non possa di per sé comportare la perdita dei diritti di cui avrebbero altrimenti beneficiato in virtù del regime dell’associazione CEE‑Turchia.

52.      Non sono convinto del fatto che i precetti enunciati dalla Corte nella sentenza Kahveci possano essere trasposti direttamente al caso in esame o che la sentenza Kahveci offra un punto di riferimento utile nella fattispecie. Come spiegato, la sentenza Kahveci verteva sulla corretta interpretazione dell’articolo 7 della decisione n. 1/80 con riferimento ai diritti dei familiari dei lavoratori turchi. In tale contesto, la Corte ha dichiarato che la finalità principale dell’articolo 7 è di rafforzare l’inserimento dei lavoratori turchi e dei loro familiari nello Stato membro ospitante (37).

53.      La finalità perseguita dall’articolo 7 della decisione n. 1/80 è duplice. Da un lato, mira a consentire la presenza dei familiari del lavoratore migrante presso quest’ultimo. Ciò mira a favorire, tramite il ricongiungimento familiare, l’occupazione e il soggiorno del lavoratore turco già regolarmente inserito nello Stato membro ospitante (38). D’altro lato, più rilevante, a mio parere, tale disposizione è diretta a favorire l’inserimento della famiglia del lavoratore migrante turco nello Stato membro ospitante. Il raggiungimento di tale obiettivo è garantito dal fatto che al familiare interessato viene accordata la possibilità di accedere al mercato del lavoro. La disposizione è quindi finalizzata a consolidare gradualmente la posizione del familiare nello Stato membro ospitante affinché egli possa infine raggiungere una posizione autonoma rispetto a quella del lavoratore migrante (39).

54.      Al contrario, l’articolo 6 della decisione n. 3/80 non mira a favorire il ricongiungimento familiare nello Stato membro ospitante. Esso (inter alia) fa sì che l’ex lavoratore turco, che sia ritornato in Turchia o che si sia trasferito in uno Stato membro diverso da quello nel quale si trova l’istituzione debitrice, mantenga il diritto a determinati tipi di prestazione (nonostante le possibili clausole di residenza introdotte dallo Stato membro ospitante), quali le prestazioni in esame dinanzi al giudice del rinvio. Esso è diretto ad agevolare il rientro dell’ex lavoratore turco, inter alia, in Turchia, nel caso in cui egli dovesse così decidere.

55.      In tal senso, il divieto delle clausole di residenza previsto dall’articolo 6 della decisione n. 3/80 può essere descritto come avente una finalità «compensativa». Tale divieto garantisce che gli ex lavoratori turchi che siano stati vittime di un infortunio sul lavoro o che abbiano sofferto malattie professionali ricevano un risarcimento decoroso per le avversità subite nello Stato membro ospitante. Ciò sembra ragionevole, posto che lo Stato ha tratto vantaggio dal contributo apportato da tali lavoratori.

56.      A prima vista, analizzato alla luce di tale finalità, l’approccio da me proposto può forse sembrare irragionevole. Invero, la conclusione logica del mio ragionamento è che gli ex lavoratori turchi che hanno acquistato la cittadinanza dello Stato membro ospitante rischierebbero di perdere i diritti di cui avrebbero altrimenti beneficiato ai sensi dell’articolo 6 della decisione n. 3/80. Ciò è quanto accadrebbe ove tale disposizione fosse letta alla luce dell’articolo 59 del protocollo addizionale.

57.      Tuttavia, tale obiezione non tiene conto di un elemento importante. Ribadisco che il regime dell’associazione offre ai lavoratori turchi – almeno in termini generali – una protezione inferiore rispetto a quella che il diritto dell’Unione offre ai cittadini dell’Unione. Mentre la perdita del diritto di esportare determinate prestazioni può certamente apparire non favorevole, la naturalizzazione nello Stato membro ospitante comporta altri diritti non accessibili ai lavoratori che abbiano la sola cittadinanza turca. A tal riguardo, i diritti previdenziali goduti da un ex lavoratore turco naturalizzato, che si trovi nella posizione dei resistenti, sono del tutto paragonabili a quelli di (altri) cittadini dell’Unione (e, nel caso in esame, a quelli dei cittadini olandesi). Diversa è la situazione nel caso degli ex lavoratori turchi che non abbiano ottenuto la cittadinanza dello Stato membro ospitante (come avveniva nella causa Akdas).

58.      Inoltre, come evidenziato da alcune parti che hanno presentato osservazioni, l’esportabilità della prestazione integrativa in Turchia può essere recuperata rinunciando alla cittadinanza olandese. È vero che tale soluzione può apparire problematica se rapportata all’obiettivo di garantire l’inserimento dei lavoratori turchi nello Stato membro ospitante. Essa potrebbe dissuadere detti lavoratori dall’acquistare la cittadinanza dello Stato membro ospitante. Tuttavia, non sono convinto del fatto che il rischio di perdere una prestazione integrativa come quella in esame nel caso di specie avrebbe, in concreto, l’effetto deterrente sostenuto. Ciò poiché, come detto sopra, la cittadinanza dello Stato membro ospitante comporta altri diritti (incluso quello della libera circolazione) che derivano dalla cittadinanza di uno Stato membro dell’Unione europea.

59.      Di conseguenza, anche laddove si seguisse il percorso interpretativo adottato dal giudice del rinvio, il risultato sostanziale sarebbe lo stesso. Ritengo pertanto che l’articolo 6, paragrafo 1, della decisione 3/80, alla luce dell’articolo 59 del protocollo addizionale, non possa essere interpretato nel senso che esso osta ad un regime normativo di uno Stato membro che revoca la prestazione integrativa, concessa in virtù della normativa nazionale, qualora i beneficiari di detta prestazione non risiedano più nel suo territorio e detti beneficiari pur mantenendo la cittadinanza turca, abbiano acquistato la cittadinanza dello Stato membro ospitante.

60.      Alla luce delle considerazioni sopra esposte, sorge la questione della data a partire dalla quale sia possibile far cessare l’erogazione della prestazione integrativa. Detta questione viene affrontata qui di seguito.

D –    Il momento appropriato in cui cessare l’erogazione della prestazione integrativa

61.      Al pari della prima questione sollevata, la seconda è inquadrata nei termini dell’articolo 59 del protocollo addizionale. Più in particolare, il giudice del rinvio chiede se tale disposizione osti alla prosecuzione dell’erogazione della prestazione integrativa a favore dei resistenti se i cittadini dell’Unione nelle medesime circostanze (che siano ritornati al loro paese di origine) non hanno più diritto a tale prestazione in base al diritto dell’Unione.

62.      Come confermato sia dalle osservazioni scritte che dalle difese orali, esiste una notevole confusione circa il corretto termine di paragone in tale contesto. A tal riguardo, una delle circostanze su cui è stata posta particolare enfasi è che i cittadini dell’Unione – che nel momento in cui è stato introdotto il criterio della residenza risiedevano in un altro Stato membro – hanno nondimeno mantenuto tale prestazione durante un periodo transitorio, in base alla legislazione nazionale (40).

63.      Comunque sia, desidero chiarire che nel caso di specie si tratta, in realtà, di cittadini olandesi che si sono spostati dai Paesi Bassi in un paese terzo e che desiderano esportare (o, invero, che sia esportata) la prestazione integrativa da tale Stato membro oltre i confini dell’Unione europea. Sono pertanto pienamente convinto del fatto che il termine di paragone corretto non sia un cittadino dell’Unione (per esempio, un tedesco) che rientra nel suo paese d’origine dopo aver lavorato nei Paesi Bassi. I resistenti devono essere messi invece a confronto con qualsiasi altro cittadino dei Paesi Bassi che desideri esportare la prestazione integrativa in un paese terzo (sia esso la Turchia o qualsiasi altro paese).

64.      In tali circostanze, a mio avviso, la determinazione del momento appropriato nel quale far cessare l’erogazione resta una questione di diritto puramente nazionale e la chiave per risolverla non è rinvenibile nell’interpretazione dell’articolo 59 del protocollo addizionale (41). In altri termini, posto che si tratta di cittadini olandesi che esportano una prestazione integrativa in un paese terzo, sembra non esservi una connessione apparente con il diritto dell’Unione. I resistenti non hanno esercitato il loro diritto alla libertà di circolazione all’interno dell’Unione europea (42).

65.      Ritengo pertanto che, nelle circostanze del caso di specie, l’articolo 59 del protocollo addizionale non offra un’indicazione appropriata per determinare il momento in cui far cessare l’erogazione della prestazione integrativa in questione. Si tratta di una questione di diritto nazionale, che va risolta dal giudice nazionale.

IV – Conclusione

66.      Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di giustizia di rispondere alle questioni pregiudiziali proposte dal Centrale Raad van Beroep di Utrecht nei seguenti termini:

1)      La decisione n. 3/80 del Consiglio di associazione, del 19 settembre 1980, relativa all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale degli Stati membri delle Comunità europee ai lavoratori turchi ed ai loro familiari, non è applicabile nelle circostanze delle cause pendenti dinanzi al giudice del rinvio, in cui le persone interessate hanno ottenuto la cittadinanza dello Stato membro ospitante pur mantenendo la cittadinanza turca.

2)      In tali circostanze, la determinazione del momento in cui far cessare il versamento della prestazione integrativa è una questione di diritto nazionale che pertanto spetta al giudice nazionale decidere.


1 –      Lingua originale: l’inglese.


2 –      Decisione n. 3/80 del Consiglio di associazione, del 19 settembre 1980, relativa all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale degli Stati membri delle Comunità europee ai lavoratori turchi ed ai loro familiari (GU 1983, C 110, pag. 60).


3 –      Toeslagenwet del 6 novembre 1986. (Legge sulle prestazioni integrative del 6 novembre 1986; in prosieguo: la «TW»).


4 –      Tale accordo è stato concluso, approvato e confermato a nome della Comunità dal Consiglio della Comunità europea con decisione 64/732/CEE del Consiglio, del 23 dicembre 1963 (GU 1964, 217, pag. 3685).


5 –      Il protocollo addizionale è stato firmato a Bruxelles il 23 novembre 1970 ed è stato concluso, approvato e confermato a nome della Comunità con regolamento (CEE) n. 2760/72 del Consiglio, del 19 dicembre 1972 (GU L 293, pag. 1).


6 –      Regolamento (CEE) n. 1408/71 del Consiglio, del 14 giugno 1971, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità (GU L 149, pag. 2), come modificato.


7 –      Regolamento (CE) n. 647/2005 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 aprile 2005, che modifica i regolamenti del Consiglio (CEE) n. 1408/71 relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità, e (CEE) n. 574/72 che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento (CEE) n. 1408/71 (GU L 117, pag. 1).


8 –      Essa è stata concessa sulla base della Wet op de arbeidsongeschiktheidsverzekering (legge sulle prestazioni d’invalidità).


9 –      Sentenza C‑485/07, EU:C:2011:346 («Akdas»).


10 –      Regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU L 166, pag. 1).


11 –      V. sentenza Akdas (EU:C:2011:346, punto 88 e la giurisprudenza ivi citata).


12 –      V. conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nella causa Kahveci (C‑7/10 e C‑9/10, EU:C:2011:673, paragrafi da 61 a 63) sulla nozione di integrazione nello Stato membro ospitante e le complessità inerenti a detto processo.


13 –      V. decisione del Consiglio di associazione, del 19 settembre 1980, sullo sviluppo dell’associazione.


14 –      Tale finalità è precisata nel primo considerando di detta decisione.


15 –      A tal fine, v. il terzo considerando di tale decisione.


16 –      V. conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa Ziebell (C‑371/08, EU:C:2011:244, paragrafo 49).


17 –      V, per analogia, sentenza Micheletti e a. (C‑369/90, EU:C:1992:295). In tale causa, la Corte ha statuito che le autorità spagnole erano tenute a trattare una persona con doppia cittadinanza argentina e italiana come un cittadino dell’Unione. A mio avviso, da tale sentenza si può dedurre che, nei loro rapporti con quelli tra i propri cittadini che hanno più cittadinanze (come nel presente caso), le autorità dello Stato membro in questione devono considerare dette persone come cittadini di tale Stato.


18 –      Sentenza Kahveci (C‑7/10 e C‑9/10, EU:C:2012:180).


19 –      L’articolo 7 disciplina i diritti dei familiari di lavoratori turchi regolarmente residenti nello Stato membro ospitante. Esso statuisce, inter alia, che tali familiari hanno il diritto di rispondere a qualsiasi offerta di impiego se risiedono regolarmente da almeno tre anni in tale Stato membro e beneficiano del libero accesso a qualsiasi attività dipendente di loro scelta, a condizione che essi risiedano regolarmente nello Stato membro ospitante da almeno cinque anni.


20 –      Invero, come è noto, gli Stati membri conservano il potere di stabilire le condizioni per l’acquisto e la perdita della loro cittadinanza. Lo stesso vale con riguardo all’esercizio da parte degli Stati membri dei loro poteri in materia di cittadinanza in generale. Tuttavia, ciò è subordinato al limite che tali poteri siano esercitati nel rispetto non solo del diritto dell’Unione, ma anche del diritto internazionale.


21 –      V. conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nella causa Kahveci (EU:C:2011:673, paragrafo 74). Tale ragionamento sembra essere stato accolto – quantomeno implicitamente – dalla Corte (v. punto 35 della sentenza in tale causa). Secondo la Corte, la principale finalità della decisione n. 1/80 – ossia migliorare in materia sociale il regime di cui beneficiano i lavoratori turchi nello Stato membro ospitante – «sarebbe ostacolata se il fatto di ottenere la cittadinanza dello Stato membro ospitante obbligasse un lavoratore avente ancora la cittadinanza turca a rinunciare al beneficio delle condizioni favorevoli al ricongiungimento familiare in tale Stato membro ospitante».


22 –      V. sentenza Kahveci (EU:C:2012:180, punto 74).


23 –      V. sentenza Akdas (EU:C:2011:346, punti da 89 a 91).


24 –      Idem, v., in particolare, i punti 74 e da 89 a 96.


25 –      La situazione è un po’ diversa per i familiari di tali lavoratori. Infatti, ai sensi dell’articolo 2, secondo trattino, della decisione n. 3/80, tale decisione si applica «ai familiari di tali lavoratori, che risiedono nel territorio di uno degli Stati membri».


26 –      V. sentenza Bozkurt (C‑434/93, EU:C:1995:168).


27 –      L’articolo 6 disciplina le condizioni dell’impiego concreto nello Stato membro ospitante, che sono finalizzate a contribuire all’inserimento graduale del lavoratore turco interessato nello Stato membro ospitante. Ai sensi di tale disposizione, un lavoratore turco regolarmente inserito nel mercato del lavoro di uno Stato membro ha il diritto, in tale Stato membro, dopo un anno di regolare impiego, al rinnovo del suo permesso di lavoro presso lo stesso datore di lavoro, se vi è un lavoro disponibile. Dopo tre anni di regolare impiego in un dato Stato membro, tale lavoratore ha il diritto di rispondere – purché siano soddisfatte determinate altre condizioni – ad un’altra offerta d’impiego. Infine, dopo quattro anni di regolare impiego, la persona interessata beneficia del libero accesso nello Stato membro interessato a qualsiasi impiego retribuito di suo gradimento.


28 –      V. sentenza Bozkurt (EU:C:1995:168, punto 42).


29 –      EU:C:2011:346, punto 94. Perciò le persone interessate non avevano lasciato lo Stato membro ospitante di propria scelta e senza motivi legittimi. Invero, per giurisprudenza costante, partire senza motivi legittimi può comportare la perdita di diritti acquisiti in virtù del regime dell’associazione CEE‑Turchia. V., al riguardo, sentenza Er (C‑453/07, EU:C:2008:524, punto 30). V. anche sentenza Genc (C‑14/09, EU:C:2010:57, punto 42).


30 –      Invero, come sostenuto da due commentatori, «le due categorie sono soggette a regimi giuridici differenti, aventi basi legali differenti, e sono disciplinate da due legislatori differenti». V. Eisele, K., e van der Mei, A., «Portability of Social Benefits and Reverse Discrimination of EU Citizens vis-à-vis Turkish Nationals: Comment on Akdas», 37(2012) European Law Review, pagg. da 204 a 212, a pag. 211.


31 –      Sentenza Derin (C‑325/05, EU:C:2007:442).


32 –      Regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità (GU 1968, L 257, pag. 2).


33 –      V., in particolare, sentenza Derin (EU:C:2007:442, punti da 62 a 67). V. altresì paragrafo 52 delle conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa Ziebell (EU:C:2011:244), relative allo status di cittadini dell’Unione che circolano da uno Stato membro ad un altro.


34 –      V. Eisele e van der Mei, cit., pag. 208.


35 –      È vero che tanto la decisione n. 3/80 quanto il regolamento n. 1408/71 mirano ad assicurare il coordinamento dei regimi della sicurezza sociale nelle situazioni di mobilità dei lavoratori. Tuttavia, pur se la decisione fa riferimento a molte prestazioni di cui al regolamento n. 1408/71, essa non riguarda, a differenza del regolamento, le prestazioni di disoccupazione. È anche interessante osservare che la sentenza della Corte nella causa Akdas ha indotto la Commissione ad adottare una proposta per modificare la decisione n. 3/80 e includere nella nuova decisione una norma sulla non esportabilità di prestazioni speciali in denaro a carattere non contributivo. V. la proposta della Commissione, del 30 marzo 2012, COM(2012) 153 definitivo, pag. 8.


36 –      Tornerò su questo punto infra, al paragrafo 55 e segg. Per quanto riguarda la giurisprudenza pertinente della Corte, v., per esempio, sentenza Soysal e Savatli (C‑228/06, EU:C:2009:10), e ordinanza Commissione/Paesi Bassi (C‑92/07, EU:C:2007:402).


37 –      V. sentenza Kahveci (EU:C:2012:180, punto 33). V. anche le conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nella causa Kahveci (EU:C:2011:673).


38 –      V., in tal senso, sentenza Kahveci (EU:C:2012:180, punto 32 e la giurisprudenza ivi citata).


39 –      Ibidem (punto 33 e la giurisprudenza ivi citata).


40 –      Come detto sopra, l’esportazione della prestazione integrativa all’interno dell’Unione europea è stata limitata dal 5 maggio 2005, data in cui è entrato in vigore il regolamento n. 647/2005. Dopo tale data, sono state applicate norme transitorie nazionali (che prevedono un periodo di soppressione graduale) in relazione agli altri Stati membri dell’Unione.


41 –      Al riguardo, dalla decisione di rinvio emerge che l’erogazione della prestazione integrativa ai beneficiari che avevano già ricevuto tale prestazione prima dell’entrata in vigore del nuovo regime e che allora risiedevano fuori dal territorio dei Paesi Bassi doveva essere soppressa gradualmente a partire dal 1º gennaio 2000.


42 –      In tal caso, si sarebbe potuto derivare un diritto all’esportazione dal diritto dell’Unione solo fino al 5 maggio 2005. A partire da tale data, sono stati applicati diversi accordi bilaterali.