N. 42
SENTENZA 31 GENNAIO-2 FEBBRAIO 1990
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: dott. Francesco SAJA;
Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo
CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
Renato DELL'ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3, secondo
comma, lettera a, del d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797 (Testo unico
delle norme concernenti gli assegni familiari), promosso con
ordinanza emessa il 6 giugno 1989 dal Tribunale di Reggio Emilia nel
procedimento civile vertente tra Veroni Davide e l'INPS, iscritta al
n. 372 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell'anno
1989;
Visti gli atti di costituzione di Veroni Davide e dell'INPS
nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 12 dicembre 1989 il Giudice
relatore Francesco Greco;
Uditi gli avvocati Franco Agostini per Veroni Davide, Giuseppe Li
Marzi per l'INPS e l'Avvocato dello Stato Sergio La Porta per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Veroni Dante chiedeva al Pretore di Reggio Emilia di
dichiarare, nei confronti dell'INPS, il suo diritto agli assegni
familiari per due fratelli minori conviventi, essendo i genitori
disoccupati senza la relativa indennità.
Il Pretore rigettava la domanda e l'attore appellava al Tribunale
locale. Questi, con ordinanza del 6 giugno 1989, sollevava questione
di legittimità costituzionale dell'art. 3, secondo comma, lett. a),
del d.P.R. n. 797 del 1955 il quale esclude dalla qualifica di capo
famiglia e dal diritto agli assegni familiari il fratello lavoratore
che abbia a carico fratelli o sorelle minori nella ipotesi in cui
entrambi i genitori siano disoccupati senza indennità di
disoccupazione.
Secondo il giudice remittente sarebbero violati: a) l'art. 3,
secondo comma, della Costituzione, per la disparità di trattamento
che si determina tra la disciplina dello stato di abbandono, che
comporta il diritto agli assegni familiari, e lo stato di
disoccupazione senza indennità che lo esclude, tanto più che, in
entrambi i casi, il minore non è più economicamente assistito dai
genitori e l'obbligo si trasferisce al fratello che lavora; b) l'art.
31 della Costituzione, che sancisce la tutela della famiglia, per cui
il legislatore deve disporre le opportune provvidenze, tra cui gli
assegni in esame; c) l'art. 38 della Costituzione, che impone la
tutela dei cittadini inabili al lavoro, disoccupati e sprovvisti dei
mezzi necessari per vivere.
2. - Nel giudizio dinanzi alla Corte si sono costituiti la parte
privata e l'INPS; è, altresì, intervenuta l'Avvocatura Generale
dello Stato in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei
ministri.
2.1 - La parte privata ha svolto argomentazioni analoghe a quelle
del giudice remittente.
2.2 - L'INPS e l'Avvocatura Generale dello Stato, concludendo per
l'infondatezza della questione, hanno rilevato che non sussiste la
denunciata disparità di trattamento essendo le due situazioni poste
a confronto del tutto disomogenee e che rientra nella
discrezionalità del legislatore l'apprezzamento delle condizioni del
trattamento previdenziale, la cui valutazione, peraltro, pone un
problema di politica legislativa e non di costituzionalità.
L'INPS, inoltre, ha ricordato che a favore del lavoratore
disoccupato sono previste altre forme di tutela previdenziale (art.
6, legge n. 1115 del 1968); che il precetto dell'art. 31 della
Costituzione non può condurre ad una dilatazione dei caratteri
propri degli assegni familiari, che sono diretti alla tutela dei
lavoratori, e che per l'attuazione del principio della tutela della
disoccupazione non può pretendersi il trasferimento su altri
soggetti delle provvidenze che si vogliono attribuire ai disoccupati.
3. - Nell'imminenza dell'udienza la parte privata ha presentato
memoria con cui ha osservato che gli assegni familiari consentono al
fratello maggiore che lavora l'attuazione della funzione alimentare
nei confronti dei fratelli minori nel caso che i genitori, non per
loro volontà, non possano adempiervi. Ha richiamato anche la
sentenza n. 291 del 1984, con la quale si è dichiarata la
illegittimità costituzionale dell'art. 8 dello stesso d.P.R. n. 797
del 1955, nella parte in cui non sono assimilati la morte e
l'abbandono del padre per il conseguente trasferimento della
qualifica di capo famiglia.
Considerato in diritto
1. - Il Tribunale di Reggio Emilia dubita della legittimità
costituzionale dell'art. 3, secondo comma, lettera a), del d.P.R. 30
maggio 1970, n. 797, il quale, negando la qualifica di capo famiglia,
con il diritto agli assegni familiari per fratelli o sorelle a
carico, al figlio lavoratore di genitori disoccupati senza
indennità, violerebbe:
a) l'art. 3, secondo comma, della Costituzione, per la
disparità di trattamento di tale situazione rispetto a quella
analoga dell'abbandono da parte del genitore, considerata, invece,
idonea all'attribuzione del diritto in favore dei suddetti soggetti;
b) l'art. 31 della Costituzione, perché la censurata
esclusione del diritto in parola nella ipotesi considerata si risolve
in una insufficiente tutela della famiglia;
c) l'art. 38 della Costituzione, in quanto verrebbero meno i
mezzi di sussistenza in danno di soggetti privi di redditi propri e
non in condizione di provvedere autonomamente al proprio
mantenimento.
2. - La questione è fondata.
Gli assegni familiari costituiscono una prestazione previdenziale
di carattere patrimoniale e, siccome si aggiungono alla retribuzione,
hanno funzione economica retributiva. Si fondano sull'impegno assunto
dallo Stato di agevolare, con misure economiche ed altre provvidenze,
la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi
(art. 31 della Costituzione).
Essi, in base alla norma censurata, sono corrisposti, tra gli
altri, anche a favore di fratelli o sorelle minori che sono a carico
del fratello maggiore che lavora, quando si verifica la materiale
impossibilità a provvedere al loro mantenimento da parte delle
persone che vi sono tenute in via principale (padre e madre); in tali
casi il fratello che lavora diventa capo famiglia.
Secondo la disposizione censurata, la detta impossibilità deriva
o dalla morte o dalla invalidità permanente o dall'abbandono del
padre: non è considerato lo stato di disoccupazione involontaria di
quest'ultimo, senza la relativa indennità, mentre esso è previsto,
tra le altre circostanze di fatto, ai fini dell'attribuzione del
diritto agli assegni alla madre.
Tale disciplina normativa crea effettivamente una irrazionale
disparità di trattamento specialmente tra due ipotesi:
dell'abbandono e della disoccupazione. Esse sono sostanzialmente
omogenee in quanto producono entrambe situazioni di bisogno per
alcuni dei figli minori, accentuate dalla mancata previsione del
diritto agli assegni familiari a favore del fratello maggiore che
lavora. Contrariamente a quanto sostenuto dall'INPS e dall'Avvocatura
Generale dello Stato, trattasi di situazioni temporanee e
reversibili. Invero, il padre può tornare in seno alla famiglia
così come può tornare ad occuparsi, facendo cessare lo stato di
disoccupazione ed il titolo alla percezione degli assegni familiari
per il figlio maggiorenne che lavora.
Né sussistono altri rimedi allo stato di disoccupazione, che
dovrebbero impedire, secondo l'INPS, la erogazione degli assegni
familiari, in quanto, nella specie, secondo il giudice remittente, il
padre e la madre disoccupati non percepiscono né indennità né
assegni di disoccupazione.
2.1 - Risultano, altresì, violati gli artt. 31 e 38 della
Costituzione in quanto, per i fratelli maggiorenni lavoratori con
genitori disoccupati senza indennità o assegno di disoccupazione,
viene meno quel trattamento previdenziale (gli assegni familiari)
che, come si è già detto, costituisce una delle provvidenze che lo
Stato eroga in osservanza degli invocati precetti costituzionali per
la tutela della famiglia e dell'attuazione dei suoi compiti. Tanto
più gravi sono le conseguenze della disposizione impugnata in quanto
le persone escluse dalla percezione degli assegni familiari sono
tenute per legge (artt. 433 e 441 del codice civile) al mantenimento
dei propri familiari che versano in stato di bisogno (nella specie,
fratelli e sorelle minori).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la illegittimità costituzionale del l'art. 3, secondo
comma, lett. a) del d.P.R. 30 maggio 1970, n. 797 (Testo unico delle
norme concernenti gli assegni familiari) nella parte in cui, ai fini
dell'attribuzione degli assegni familiari, non prevede anche
l'ipotesi dello stato di disoccupazione del padre senza indennità.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 31 gennaio 1990.
Il Presidente: SAJA
Il redattore: GRECO
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 2 febbraio 1990.
Il direttore della cancelleria: MINELLI
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