12 maggio 2015

Ponte Mammolo, dopo il Papa arrivano le ruspe
il manifesto, 12-05-2015
Valentina Brinis, Associazione A Buon Diritto
A poche settimane dalla visita del Papa, gli abitanti dell’occupazione di Ponte Mammolo, a Roma, ieri ne hanno ricevuto un’altra, altrettanto importante ma un po’ meno gradita: quella delle ruspe pronte ad abbattere le loro abitazioni. Si trattava di alloggi abusivi, in cui vivevano principalmente richiedenti asilo e rifugiati eritrei, ma anche migranti di diverse nazionalità (Ucraina, Bangladesh, Russia, Romania) che con gli anni - addirittura quindici – avevano trasformato quegli spazi in vere e proprie case, rese graziose da fiori e tendine colorate, e impreziosite con gli oggetti più cari posseduti. In alcuni casi lì dentro c’erano i mobili ed effetti personali accumulati in un’intera vita e trovare un altro spazio in cui collocarli è un’operazione che richiede tempo. Ed è proprio questo l’elemento che è mancato ai duecento inquilini di Ponte Mammolo: il tempo.
Da anni si parla, in diverse sedi istituzionali, della necessità di trovare una soluzione abitativa dignitosa e di sgomberare l'insediamento. La scorsa settimana alcuni abitanti sono stati invitati a registrarsi presso una vicina parrocchia, in vista di un prossimo sgombero, che sarebbe avvenuto "in modo graduale e in presenza di soluzioni abitative concordate", racconta una donna latinoamericana. Nessuno si aspettava di trovare le ruspe ieri, senza alcun preavviso. Il motivo dell’allontanamento è legato alla precarietà di quelle soluzioni che, nonostante fossero molto curate, rimanevano sempre degli alloggi di fortuna. Una denuncia in tal senso era stata presentata più volte dalle associazioni che a vario titolo seguivano i residenti di quell’area, tanto da aver costruito un lavoro di concertazione con la Regione e il Comune proprio per avviare un percorso di uscita dalle occupazioni e di inserimento in altre strutture cittadine. Era un percorso che stavano portando avanti tenendo conto delle diversità che contraddistinguono gli abitanti, il tempo di permanenza lì dentro e le loro possibili prospettive. Certo è che la velocità con cui l’intervento delle forze dell’ordine si è svolto ha reso vano ogni tentativo di mediazione. E la maggior parte delle testimonianze raccolte ieri esprimevano un solo fatto: si sapeva dello sgombero (anche se non tutti conoscevano quando sarebbe avvenuto), ma non della demolizione. Ecco perché alcuni abitanti erano andati al lavoro credendo che si sarebbe trattato di un’operazione più simile a un trasloco che a un’invasione di campo con i bulldozer. La sorpresa è arrivata al loro rientro: ad attenderli uno scenario da post terremoto, di quelli di magnitudo fortissime, in cui si perde tutto. Anche i documenti, che di questi tempi per chi vive a Roma e si trova sprovvisto della residenza, non è semplice rinnovare. La risposta incoraggiante di uno dei vigili urbani presenti, in quel caso, è stata di denunciarne lo smarrimento.
L’assessore alle politiche sociali del Comune, insieme al presidente del municipio IV, motivano la scelta di intervenire sostenendo che le condizioni di vita in quello spazio erano diventate “insopportabili per una città dove nessuno dovrebbe vedersi privato della dignità personale”. E questo trova concordi un po’ tutti quelli che conoscono quella situazione. Così come non viene messo in dubbio che ci fosse un piano di inserimento nelle strutture di accoglienza del Comune. Ma durante l’azione di ieri mattina nessuno tra gli sfollati sapeva dove andare. E allora è il caso di chiedersi se tra la teoria e la messa in atto di quello sgombero qualcosa non sia sfuggito di mano.



Niente e nessuno fermerà quel bambino nel trolley
Internazionale, 12-05-2015
Luigi Manconi, sociologo
La favola crudele del “bambino nel trolley” – terribilmente vera come quasi tutte le favole – dovrebbe costituire un messaggio politico definitivo e un inappellabile monito morale.
Già Emanuele Trevi sul Corriere della Sera e Adriano Sofri su Repubblica hanno detto (magnificamente) tutto ciò che c’era da dire. Dunque, si tratta solo di evidenziare ulteriormente quanto già emerge dai nudi fatti. E che è incontrovertibile in Italia da tre decenni e, se si volesse guardare alla storia del mondo, da molti secoli: “il bambino nel trolley”, così come le storie di giovani arrivati in Europa aggrappati tra le ruote dei camion, a mezzo metro dal suolo, come le persone che soffocano per settimane ammassate nelle stive, o quelle che attraversano i deserti e quelle che viaggiano a piedi per tre anni; o, ancora quelle che percorrono centinaia di chilometri distese sul dorso di muli.
Tutti questi esseri umani, ridotti alla fragile materialità del loro corpo in fuga, dicono una sola cosa: niente e nessuno potrà fermare i movimenti migratori di bambini donne uomini e vecchi. Perché proprio questo è il messaggio politico e il monito morale di cui si diceva: niente e nessuno, nella storia dell’umanità, li ha fermati e nemmeno ne ha potuto ridurre o contenere il numero.
Non le frontiere o il filo spinato, non i muri e le motovedette, non i cani e i blocchi navali, non le polizie e le barriere elettroniche e i terreni minati. Se verifichiamo quanto accade sul confine tra gli Stati Uniti e il Messico o sulle alture del Sinai, possiamo renderci conto agevolmente che le parole di Matteo Salvini e dei suoi emuli (a destra, ma anche a sinistra) prima di essere efferate, sono puerili.
E le loro politiche prima di manifestare xenofobia, esprimono una torva utopia regressiva, impotente e vana. Se questo è vero – ed è incontestabile che sia così – si deve partire dal presupposto che i grandi movimenti di esseri umani non possono essere bloccati, e agire di conseguenza.
Attraverso grandi politiche nazionali e sovranazionali e grandi investimenti: in economia e intelligenza, in cooperazione internazionale e accordi bilaterali, in progetti di partenariato e in corridoi umanitari, in piani di reinsediamento e di ammissione umanitaria. Tutto assai arduo, certamente, ma l’ostacolo principale non è la complessità dell’impresa e i lunghi tempi che richiede, bensì un altro. È il mancato riconoscimento di quel presupposto iniziale (niente e nessuno potrà fermare “il bambino nel trolley”) e le profonde implicazioni politiche che ne derivano.
In primo luogo, le insormontabili resistenze finora opposte da pressoché tutti i paesi europei rispetto a una prospettiva matura e razionale di accoglienza condivisa nei confronti degli stranieri. Risale solo a qualche ora fa il primo, ancorché incerto e contraddittorio, segnale di una diversa strategia politica. Il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, intenderebbe far approvare mercoledì prossimo un piano in cui si prevede la realizzazione in Italia di commissioni internazionali per la fotosegnalazione degli stranieri; e la creazione di centri di smistamento in cui i profughi resteranno fino a che non siano stati identificati.
Se questa condizione fosse realizzata, si porrebbe all’ordine del giorno l’approvazione di una proposta per rendere obbligatoria la ripartizione di quote di richiedenti asilo nei ventotto paesi europei. Indubbiamente, quest’ultima ipotesi è positiva, pur se soggetta a uno scambio insidioso, e ancora tutta da verificare e da mettere in pratica. Certo, sarebbe stato meglio se un simile progetto, possibilmente meno arcigno, fosse risultato da una vera e propria campagna intrapresa dal nostro governo, da una tenace e paziente opera iniziata nel corso del semestre a presidenza italiana, da un vero e proprio conflitto politico condotto all’interno dell’Unione europea. Purtroppo così non è stato, e ora l’Italia si trova in una condizione di drammatico ritardo e di debolezza di iniziativa: e costretta, dunque, ad attendere le mosse altrui. Dopo aver deciso, oltretutto, l’abbandono del solo piano davvero efficace e lungimirante, quello della missione Mare nostrum. Per l’ostilità feroce delle destre, per le pressioni di alcuni paesi europei e per l’ignavia del governo e della sinistra.
E c’è qualcosa di grottesco in quest’ultima decisione. È da decenni ormai che uomini retti, come Carlo Azeglio Ciampi, e anche qualche retore interessato, operano per rilanciare l’amor patrio, una certa fierezza dell’Italia come comunità nazionale e il senso di una identità collettiva ritrovata. Bene, proprio quando, grazie all’opera della marina e della guardia costiera, si profilano una sorta di orgoglio nazionale umanitario e qualcosa di simile a un “patriottismo sovranazionale” – fatto cioè non solo di soccorso in mare ma anche di capacità di controllo e perfino di un qualche ruolo geopolitico – quell’azione meritoria viene abbandonata.
E si preferisce tornare al vecchio e vano bellicismo: “bombardare i barconi” e “sparare sugli scafisti”. Forse è proprio vero che “il patriottismo è l’ultimo rifugio delle canaglie”.


 


La sinistra Pd tace sull’immigrazione
il manifesto, 12-05-2015
Luigi Manconi
Si fa un gran par­lare di «un vivace fer­mento nell’area oltre il Pd» e di «un labo­rioso can­tiere aperto a sini­stra» (ma forse si tratta di un gior­nale di due o sette o dieci anni fa). Sono un par­la­men­tare del Pd e, al pre­sente, non intendo lasciare quel par­tito. Per due ragioni. La prima è che è stato il Pd a can­di­darmi e a eleg­germi (una que­stione di lealtà); la seconda è che non saprei pro­prio dove andare (una que­stione di poli­tica). Quindi me ne sto qui, arra­bat­tan­domi come so e posso, per «limi­tare il diso­nore» (secondo il motto che ho rubato non so più se a Pier­gior­gio Bel­loc­chio o a Alfonso Berar­di­nelli). Cer­cherò di spie­gare, quindi, che cosa ho fatto a par­tire dal nau­fra­gio del 18 aprile scorso. Tutti i giorni, ma pro­prio tutti i santi giorni, nelle inter­vi­ste chie­stemi gra­zio­sa­mente da qual­che gior­nale o tv, negli arti­coli scritti e nei comu­ni­cati in rete, ho con­te­stato quanto il pre­mier diceva e faceva in mate­ria di immi­gra­zione; e non ho votato la mozione pre­sen­tata dal Pd sul tema.
Poi ho sol­le­ci­tato, mono­to­na­mente, una presa di posi­zione con­tro la poli­tica gover­na­tiva per l’immigrazione da parte dei lea­der della mino­ranza Pd: que­gli stessi che occu­pa­vano gior­nali, tv e agen­zie con inar­re­sta­bili flussi di sde­gno a pro­po­sito della legge elet­to­rale. Non c’è stato nulla da fare. Forse mi sono distratto e mi è sfug­gito qual­cosa, ma dav­vero non ho tro­vato, in tre set­ti­mane, una sola seria con­te­sta­zione nei con­fronti di un governo che ha ridotto l’intera que­stione dell’immigrazione al suo atto ultimo: il ruolo dei «mer­canti di carne umana». E che ha dichia­rato guerra al nemico asso­luto, lo Sca­fi­sta, rimuo­vendo total­mente cause lon­tane e pros­sime, anti­che e con­giun­tu­rali delle grandi migra­zioni in corso.
Ho sen­tito, piut­to­sto, le toni­truanti dichia­ra­zioni dei miei pugnaci com­pa­gni della cara mino­ranza Pd, che riven­di­ca­vano la pro­pria «schiena dritta» (qui, sulle colonne del Mani­fe­sto) e «un dis­senso poli­tico chiaro e forte» nei con­fronti della lea­der­ship del Pd. D’accordo, ma men­tre ci si bat­teva e ci si batte come leoni con­tro il pre­mio di mag­gio­ranza per la lista e con­tro i capi­li­sta bloc­cati, pos­si­bile che nes­suno di que­sti «schie­na­dritta» abbia tro­vato e trovi una parola per cri­ti­care le vacue minacce di tanti pic­coli ammi­ra­gli in pedalò («blocco navale», «affon­dare i bar­coni», «spa­rare sugli sca­fi­sti» …), pre­senti anche nel cen­tro sini­stra, e per soste­nere le posi­zioni così radi­cal­mente diverse di Ban Ki-moon?
Con­cen­trare la gran parte delle dichia­ra­zioni e delle ini­zia­tive, come ha fatto Mat­teo Renzi, sulla figura dello sca­fi­sta rischia di risul­tare un diver­sivo peri­co­loso. Se infatti, per ipo­tesi, tutti i traf­fi­canti venis­sero eli­mi­nati d’un colpo solo, che ne sarebbe di quelle cen­ti­naia di migliaia di per­sone che si rivol­gono loro per tro­vare una via di fuga? Certo, non li vedremmo più sulle coste sici­liane e sui bar­coni nel Medi­ter­ra­neo per­ché — sem­pli­ce­mente — sareb­bero in gran parte morti prima: nei paesi da cui fug­gono, nei deserti che attra­ver­sano, nei lager che li impri­gio­nano. Forse un con­forto per il nostro gusto este­tico, non più ferito da imma­gini così sgra­de­voli di ago­nia e di morte, e per la nostra tran­quil­lità d’animo non più tur­bata da tanto orrore: ma nes­sun van­tag­gio per la sta­bi­lità dell’Africa e del Medio Oriente e nem­meno per il livello di civiltà giu­ri­dica delle nostre democrazie.
E, infine, si arriva a uno dei punti cru­ciali. Io, indub­bia­mente, mostro scarso inte­resse e scarsa aggres­si­vità nei con­fronti dell’Italicum e della riforma costi­tu­zio­nale, ed è un mio limite. Ma non rie­sco a sot­trarmi a un inter­ro­ga­tivo. Quella sini­stra che la mino­ranza Pd vor­rebbe ride­fi­nire e aggre­gare, quel «grande can­tiere aperto» oltre il Pd, può tro­vare il suo asse por­tante nella bat­ta­glia con­tro la legge elet­to­rale (e per non but­tarla in caciara, evito di dire «a favore delle pre­fe­renze»)? E quella bat­ta­glia sarebbe dav­vero in grado di col­mare il vuoto (un vero bara­tro) creato dall’inerzia e dal silen­zio della sini­stra, den­tro e fuori il Pd, in mate­ria di immi­gra­zione? Come non com­pren­dere che l’identità stessa della sini­stra, oggi come mai, si qua­li­fica pro­prio sulla sua capa­cità di affron­tare que­sta ferita aperta del nostro tempo?



Mogherini chiama l`Onu all`azione Nella bozza non ci sono i raid aerei
«Serve una coalizione globale». Il ruolo chiave di russi e cinesi
Corriere della sera, 12-05-2015
Massimo Gaggi
NEW YORK Faccio appello all`Onu: dobbiamo agire insieme e subito per evitare altre stragi dei migranti nel Mediterraneo. È l`appello portato ieri al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite da Federica Mogherini, l`Alto rappresentante per la politica estera della Ue tornata al Palazzo di Vetro - è la seconda volta in pochi giorni - per chiedere l`approvazione di una risoluzione che autorizzi l`Europa a intervenire per bloccare il- traffico di essere umani, se necessario anche usando la forza: distruzione delle imbarcazioni degli scafisti prima che vengano usate per trasportare i clandestini. «L`Unione Europea - ha detto la Mogherini davanti al Consiglio di Sicurezza - è pronta a fare la sua parte. Non è stato sempre così, lo so. Ma ora è diverso, abbiamo rotto gli indugi». Un`occasione da non perdere, però Bruxelles vuole che le operazioni navali che metterà in cantiere nel vertice interministeriale del 18 maggio abbiano la copertura Onu perché «questa è una responsabilità internazionale, non solo europea».
Soddisfatto per quanto sta avvenendo all`Onu il premier Matteo Renzi: «Fino a qualche settimana fa eravamo da soli a fronteggiare una situazione d`emergenza. Ora, grazie all`insistenza e al ruolo assunto dall`Italia nella Ue, il tema dell`immigrazione e della Libia è diventato una priorità europea e internazionale».
Ma le perplessità di alcuni Paesi rimangono, mentre la bozza della risoluzione Onu continua ad essere limata dai quattro Paesi europei membri del Consiglio (Gran Bretagna, Francia, Spagna e Lituania) più l`Italia, alla quale viene riconosciuta una posizione di preminenza nella questione libica e del contrasto al traffico di esseri umani. La stesura del testo finale, affidata alla diplomazia inglese, non conterrà riferimenti alla possibilità di bombardare i barconi nei porti e la Mogherini, che ieri ha ribadito l`intenzione della Ue di arrivare alla distruzione di queste imbarcazioni, ha escluso anche lei, di fatto, attacchi dal cielo, parlando sempre e soltanto di azioni navali.
Per ottenere ìl varo di una risoluzione che autorizzi l`uso della forza, la Ue deve convin- cere Russia e Cina. Ieri la Mogherini ha avuto colloqui coi rappresentanti di vari Paesi e alla fine si è detta fiduciosa, anche se la risoluzione quasi certamente non verrà approvata prima del vertice europeo del 18 maggio. I cinesi sembrano orientati a non ostacolare l`azione di Bruxelles, mentre l`ambasciatore russo, pur restando contrario a un testo nel quale si parli esplicitamente di distruzione dei barconi, ha fatto capire che è possibile un accordo su un testo un po` più sfumato.
Insomma, l`ipotesi di bombardare i barconi nei porti coi droni (mai formulata esplicitamente dalla Ue) è rientrata: meglio il blocco navale setacciando le imbarcazioni, o missioni di incursori delle marine europee nei porti. Missione militare a guida italiana? «È tutto ancora da decidere» ha messole mani avanti la Mogherini, ma è chiaro che l`Italia avrà un ruolo centrale. Lady Pesc ha insistito sulla necessità di fare presto. Dall`inizio dell`anno i naufragi dei barconi hanno già fatto circa 1.800 vittime e nei mesi estivi il bilancio rischia di aumentare in modo esponenziale. Il segretario ge- nerale dell`Onu, Ban Ki-moon, fin qui si è mostrato molto prudente sull`uso della forza, ma ieri il suo rappresentante speciale per le migrazioni, Peter Sutherland - dopo aver dato atto all`Italia e alla sua Marina di «essere state attivissime, da Mare Nostrum a Triton, nel salvataggio di vite umane in mare» - ha chiesto un`azione urgente per bloccare il traffico, «altrimenti entro l`autunno ben zo mila persone potrebbero perdere la vita in mare».
Ad opporsi all`intervento contro gli scafisti è il governo libico di Tobruk: controlla meno della metà del territorio del Paese, ma al momento è l`unico riconosciuto dall`Onu e, secondo il suo ambasciatore a New York, non è stato coinvolto nei piani Ue. La Mogherini ieri ha parlato anche con questo diplomatico: la Ue vuole agire col consenso dei libici, ma chiede che le varie fazioni creino un governo d`unità nazionale col quale negoziare. Il tempo però stringe e la Ue deve operare: magari avviando ricognizioni a tappeto e un lavoro comune d`«intelligence» in attesa della risoluzione Onu.



Quote Ue, il contro-piano dell`Italia «250milioni e via 25mila profughi»
La bozza Juncker non convince il Viminale: non risolve. Alfano: siamo un Paese sovrano
Domani a Bruxelles la stesura definitiva  delle misure: pesa il no della Gran Bretagna
Il Messaggero, 12-05-2015
Valentina Errante Marco Ventura
L`EMERGENZA
ROMA Le parole del ministro Angelino Alfano sono chiarissime: «Prima l`Europa dimostri di essere aperta e solidale perché sin qui abbiamo fatto tutto da soli». E` il segno che la trattativa è aperta e che per l`Italia la bozza del "piano Juncker", al quale la Gran Bretagna ha già detto no, è lontana dal costituire una soluzione in materia di immigrazione. A fronte del documento, che prevede un commissariamento delle nostre procedure sull`immigrazione e nessuna certezza in merito alle "quote obbligatorie di accoglienza", l`Italia chiede certezze. A partire dalla cosiddetta "relocation" dei richiedenti asilo: almeno 25.000 dei "nostri" ridistribuiti sul territorio europeo. Poi i fondi. Lo scorso anno abbiamo destinato oltre 630 milioni di euro all`accoglienza, nel 2015 la cifra rischia di superare gli 800milioni. Gli stanziamenti proposti da Bruxelles non bastano. «Abbiamo colto il segnale della presenza delle navi europee con l`operazione Triton, ma ora prima di chiedere altre cose, l`Europa sia solidale sia dal punto di vista economico che da quello dell`accoglienza», dice Alfano.
LA CONTROPROPOSTA
La proposta europea, che segnala alcuni "hotspot" e prevede una sorta di commissariamento della nostra immigrazione non dà ga- ranzie altrettanto chiare. E se il ministro si limita a dire: «L`Italia è un Paese sovrano», c`è già un`ipotesi alternativa al piano Juncker. A fronte dei 60milioni di euro previsti per supportare l`accoglienza, in tutti gli stati membri, l`Italia chiede 250 milioni per se stessa. E anche per le cosiddette quote di accoglienza si parte dalle cifre. Il piano prevede una distribuzione dei richiedenti asilo in base al pil, alla densità e al numero di rifugiati già presenti nei paesi Ue, criteri che, di per sé, destinerebbero ai nostri centri un numero minimo di migranti. Ma alla teoria, il Viminale oppone richieste concrete, punta alla "relocation": lo spostamento di alineno 25mila rifugiati presenti sul nostro territorio, negli altri paesi. La trattativa sarà lunga e riguarderà anche i tempi. Il rischio è che i controlli arrivino prima del sostegno.
LA COMMISSIONE
Nulla è deciso, e non è detto che l`Agenda per l`Immigrazione, iillustrata domani a Bruxelles, sarà approvata nella sua stesura da tutti e 28 i membri dell`Unione. Anzi. La Gran Bretagna ha già ribadito per e-mail ai partner la contrarietà al concetto stesso di una "redistribuzione obbligatoria per quote" dei richiedenti asilo. Germania, Francia e naturalmente Italia sostengono il "piano Juncker", ma resta, oltre a quella del Regno Unito, l`opposizione di alcuni Paesi del Nord e dell`Est
 Europa. L`aspetto forse meno problematico riguarda la nuova missione Triton, con più navi e più mezzi, che nella proposta della Commissione dovrebbero essere schierate già entro la fine di maggio. In questo caso, anche con la collaborazione della Gran Bretagna, che avrebbe messo a disposizione una portaelicotteri, un impegno che va al dí là dello schieramento europeo e che prevede una sorta di "rinforzo" nazionale alla missione Ue. Lo scetticismo è evidente nelle parole del portavoce della Commissione, Natasha Bertaud. «Juncker, il presidente, ha chiarito già in passato le sue intenzioni riguardo a Frontex che va rafforzata per la ricerca e il salvataggio di migranti, a un sistema di emergenza per condividere gli oneri sui richiedenti asilo arrivati nella Ue, e di persone in cerca di protezione all`esterno dei confini comunitari». Si fa molta confusione, nei media, tra i boat people che comprendono per lo più migranti economici, e i profughi dislocati nei paesi confinanti con la Siria che sono invece chiaramente in fuga dalla guerra. La disponibilità di alcuni Paesi riguarda questi ultimi, non gli altri. «Il testo - aggiunge la Bertaud - sarà discusso ma non è detto che sarà finalizzato nella forma attuale». Il termine di fine maggio vale anche per la "redistribuzione" dei richiedenti asilo fra gli Stati membri. L`obiettivo, si legge nella bozza che sarà resa ufficiale domani, è quello dí «assicurare una partecipazione equa, equilibrata di tutti gli Stati a questo sforzo comune». Quanto alla revisione degli accordi di Dublino, le regole saranno riviste soltanto nel 2016. Ma il tema è cruciale per l`Italia, perché Dublino prevede che si possa chiedere l`asilo solo nel Paese di primo approdo. Le regole di Triton indicano che il primo approdo sia quello del Paese dove le navi "sbarcano" i profughi. Ma che dire delle unità britanniche non inquadrate in Triton? Nebbia fitta a Bruxelles.



Juncker: sì alle quote Domani il piano Ue per ripartire i clandestini
il Sole 24 ore, 12-05-2015
Beda Romano
BRUXELLES
L`ipotesi di introdurre quote obbligatorie nella ricollocazione tra i paesi membri dell`Unione di immigrati clandestini arrivati in Europa si sta facendo strada. Se confermata nel pacchetto immigrazione atteso per domani dalla Commissione europea, dovrà essere successivamente approvata dai governi. Alcuni stati dell`Est Europa sono contrari ad accettare questa idea, che rappresenterebbe nei fatti un cambiamento notevole nella politica europea dell`immigrazione.
Il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker - ha ricordato ieri la portavoce Natasha Bertaud - ha detto nel suo recente discorso al Parlamento europeo che intende «rafforzare Frontex per ricerca e salvataggio; colpire i trafficanti; introdurre un sistema di quote per la ridistribuzione dei richiedenti l`asilo nell`Unione e per il reinsediamento di quanti hanno bisogno di protezione da fuori dall`Unione, e aprire canali legali per l`immigrazione qualificata» (si veda il Sole 24 Ore di domenica).
Secondo un canovaccio del piano comunitario, la Commissione vorrebbe introdurre quote obbligatorie per paesi nel ricollocare in giro per l`Europa immigrati clandestini già in territorio europeo. La ridistribuzione sarà basata su criteri come «il prodotto interno lordo, la popolazione del Paese, il tasso di disoccupazione e passate cifre sui richiedenti asilo». Il reinsediamento di stranieri ancora fuori dall`Unione avverrebbe invece su base volontaria (è circolata la cifra di 20mila persone).
Nei fatti, se l`idea si concretizzerà, il piano si tradurrà in una revisione del Principio di Dublino, secondo il quale ad accogliere il richiedente l`asilo è il paese di primo sbarco. La Commissione prevede la presenza di funzionari comunitari nei paesi di accoglienza per effettuare la redistribuzione. A Roma, l`ipotesi non piace al ministero degli Interni (il controllo del territorio nazionale è una  prerogativa nazionale), ma è il prezzo da pagare per una mutualizzazione del problema immigrazione.
Bruxelles ha avvertito ieri che la proposta è ancora tutta da finalizzare. Non è ancora stata decisa la base legale del provvedimento. Nel testo preliminare si prevede l`uso dell`articolo 78/3 dei trattati secondo il quale «qualora uno o più Stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare misure temporanee a beneficio dello Stato o degli Stati interessati».
La scelta della Commissione va oltre quanto promesso dai Ventotto che in aprile si erano messi d`accordo per una ricollocazione esclusivamente volontaria. La proposta dell`esecutivo comunitario andrà approvata dai governi - presumibilmente a maggioranza qualificata. Alcuni paesi sono visceralmente contrari a quote obbligatorie, come gli stati dell`Est Europa Il presidente ungherese Viktor Orbàn vuole mano libera su questo fronte. Francia, Germania e Italia sono invece favorevoli.



Appello di Mattarella "L`Uesia all`altezza i flussi dei profughi non sono un trauma"
la Repubblica, 12-05-2015
UMBERTO ROSSO
MADRID C`è un messaggio spedito a Londra. «Veti? Io non ne conosco...». Sergio Mattarella "smoscia" le ostilità di Cameron e anche dei leader di alcuni paesi dell`est Europa contro l`operazione-quote del piano Junker. «I paesi europei possono assorbire flussi di immigrati, che sono contenuti, senza subire pesi né traumi. Il rischio, seno, è che l`Europa finisca travolta da ben altre ondate. E che Libia diventi una base permanente del terrorismo». Il che sarebbe «una minaccia gravissima, non solo per l`Italia e la Spagna ma per tutta la Ue». E c`è un secondo messaggio, forte, anche ad uso interno. Niente utilizzo della forza per fermare la marea immigrazione senza il sì dei libici, «non si può fare nulla che sia contro di loro ma occorre il loro consenso». Il capo dello Stato in visita a Madrid, dove incassa «consenso pieno» dal premier Rajoy e re Felipe, stoppa le tentazioni alla spallata "militarista", aspettando invece che dall`Onu e da Bruxelles si apra un grande ombrello internazionale su un`emergenza che l`Italia non può più affrontare da sola.
Spiragli ci sono, «tutta questa attività internazionale fa ben sperare». È «molto cresciuta» la coscienza collettiva dentro l`Unione e dentro la comunità internazionale. «Io sono fiducioso, è importante far vedere un`Europa è all`altezza del proprio ruolo». E le resistenze al piano Junker? «Il presidente sta affrontando il tema con chiarezza e determinazione. Le migliaia di persone che arrivano sulle rive d`Italia arrivano cercando in realtà le rive d`Europa, e questo è un problema che riguarda l`intera Ue, non solo il  nostro paese». Una guida italiana per la missione delle Nazioni unite? Mattarella usa cautela. «Mi aspetto intanto che l`Onu aiuti il suo rappresentante Bernardino Leon, con una risoluzione che consenta di riportare ordine in Libia».



LE GEOMETRIE VARIABILI DELL'UNIONE
La Stampa, 12-05-2015
MARTA DASSU
Ci siamo: domani verrà resa pubblica la Strategia sull`immigrazione messa a punto dalla Commissione Juncker. Bruxelles un passo avanti lo fa, finalmente, mettendo nero su bianco quel principio di solidarietà più volte invocato dall`Italia. Sul piano tecnico si tratta di una Comunicazione. Dopo anni di marginalità rispetto al Consiglio (l`organo dove siedono gli Stati nazionali), la Commissione Juncker recupera così, proprio sul tema scottante dell`immigrazione, l`iniziativa legislativa (il «potere di iniziativa», direbbero anzi i cultori di istituzioni europee). Per essere più chiari e abbandonando espressioni gergali: è un buon risultato, per un`Europa priva fino ad oggi di una politica migratoria comune. Ma che andrà letto per quello che è. Non è ancora chiaro (il voto in Consiglio sarà a maggioranza) se il sistema di «ricollocazione» dei rifugiati sarà volontario; e varrà, in ogni caso, solo per le emergenze.
Scelte più radicali - come progetti di «quote obbligatorie» per tutti i Paesi europei - sono già state respinte al mittente dal nuovo David Cameron e dal vecchio Viktor Orban («a crazy idea», per entrambi).
Intanto a New York si discute l`altro lato - o meglio l`altro fronte - del problema migrazione: il mandato per l`uso della forza contro i trafficanti di essere umani. Federica Mogherini spinge in questo senso a nome dell`Ue. In modo paradossale, sembrerebbe quasi più semplice fare approvare una Risoluzione in Consiglio di sicurezza - dove Londra gioca la partita dell`Italia e dell`Europa - che non nel Consiglio europeo, dove Londra gioca invece la sua partita.
Vediamo meglio i due lati del problema. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite deve decidere se e in che limiti autorizzare azioni internazionali volte a stroncare il traffico illegale di migranti che parte della Libia. E` il fronte esterno del problema europeo. Qui, le riserve da superare vengono anzitutto da Mosca (favorevole al controllo in mare ma contraria ad azioni sulle coste libiche, anche per il precedente del 2011). L`Europa cerca invece - sulla base di una Risoluzione ispirata dall`Italia e presentata da Londra - di legittimare azioni eventuali sotto capitolo 7 (ricorso alla forza, appunto). L`ambasciatore libico a New York - che rappresenta se stesso e una delle parti in conflitto, il governo di Tobruk - ha intanto sottolineato che la Libia non ha chiesto interventi esterni. Per sottolineare meglio questo punto, le forze libiche che fanno riferimento al generale Haftar (protetto dell`Egitto) hanno bombardato ieri un mercantile turco davanti alle coste di Tobruk. In altri termini: sul fronte esterno l`Europa appare unita, ma è un`unità che - per servire - dovrebbe valere sul terreno più che a New York. E conterà la posizione di una parte degli attori regionali, che sulla Libia e attorno alla Libia si stanno scontrando: Turchia ed Egitto anzitutto, come si è appena visto.
Sul fronte interno europeo, la situazione resta politicamente delicata. Chi si illudeva che David Carneron, una volta vinte le elezioni, potesse moderare la propria opposizione a nuovi impegni vincolanti in materia di immigrazione, ha capito poco del problema inglese. Visti i risultati elettorali, Cameron deve all`opposto riuscire a negoziare duramente con Bruxelles; negoziare per restare alle sue condizioni nell`Ue, vincendo il referendum sull`Europa previsto per il 2017 (o prima). Il premier inglese sa perfettamente che restare nel mercato unico europeo conviene alla City, non solo all`economia europea. Ed è consapevole che - visto il trionfo del Partito/Stato nella Scozia filoeuropea - un`uscita di Londra dall`Ue trascinerebbe con sé, prevedibilmente, anche la fine della Gran Bretagna. Per tenere insieme la Nazione, Cameron ha insomma bisogno sia di vincere la partita sulla «devolution» (ossia quella con la nuova leader scozzese, Nicola Sturgeon) sia di ottenere risultati con Bruxelles sulla posizione inglese in Europa. Questo spiega perché la Londra dei Tories sia disposta a fare la sua parte (senza esagerare: un parziale ripiegamento investe anche la politica internazionale della Gran Bretagna) sul fronte esterno del problema migrazione; ma non su quello interno - dove Cameron tenderà a rafforzare le clausole di «auto-esclusione» già esistenti e a porre qualche limite in più alla libertà di circolazione delle persone. Resta il dato di fatto: un`Europa senza Gran Bretagna (lo scenario Brexit) sarebbe molto più debole in settori cruciali dell`economia o delle capacità di difesa. Se Cameron ha bisogno di Bruxelles, anche Bruxelles ha bisogno di Londra. Esserne consci significa anticipare una conclusione: con la strategia europea sull`immigrazione nascerà forse qualcosa di simile a una parziale solidarietà. Ma il futuro dell`Unione europea sarà da domani, ancora più di quanto non sia già oggi, a geometria variabile: solo con un tasso crescente di differenziazione interna, solo con cooperazioni rafforzate fra alcuni Paesi, ma non con altri, il Vecchio Continente avrà una vera speranza di vita.



La solidarietà dell`Europa con se stessa
Corriere della sera, 12-05-2015
Maria Serena Natale
C'è una parola che risuona nelle cancellerie, pronunciata con soddisfazione da tecnici e parlamentari, «solidarietà». E un pilastro della strategia messa a punto in queste ore da Bruxelles per rispondere all`emergenza dei migranti, ma non è rivolta a loro, è per noi. La solidarietà invocata nelle dichiarazioni ufficiali è quella tra Stati Ue, deve ispirare la ripartizione dei migranti fra le capitali, è la base giuridica del sistema di quote vincolanti al quale si oppongono i Paesi del Nord e del Centro-Est. Tecnicamente corretta, poiché il «principio di solidarietà» incluso nel diritto dell`Unione Europea è stato formulato proprio per garantire la cooperazione tra tutti gli Stati di fronte a calamità storiche o naturali. Ma disincamata e surreale, senza memoria delle migliaia di corpi da identificare, registrare, distribuire. Venti, trenta, quarantamila per Paese... Necessario, questo dibattito numerico da mercato o mattatoio, ma disumano. E politicamente miope, poiché svuotare di compassione il discorso pubblico sull`emergenza, incentrarlo sulla contabilità dell`accoglienza, significa solleticare gli istinti che poi daranno slancio ai nazional-populisti in Svezia, Ungheria, Finlandia, Polonia... «Non chiamateci migranti» dicono gli stessi europei dell`Est per difendere, su un altro fronte, la libera circolazione nell`Unione Europea. Perché le parole pesano e nascondono, migranti, esseri umani.



Respinti o inseriti nel lavoro Ll bivio dei migranti in Liguria
Due mondi opposti a pochi chilometri: Cairo non li vuole, Calizzano li forma
MARCO MENDUNI INVIATO A CALIZZANO (SAVONA)
I 34 chilometri tra Calizzano e Cairo Montenotte, nella val Bormida alle spalle di Savona, dividono due mondi. I due paesi si sono scoperti lontani anni luce, da quando è esplosa l`emergenza migranti. Alle tre del pomeriggio, nella hall dell`hotel Lux di Calizzano, gli educatori fanno lezione d`italiano ai 38 profughi, la gran parte provenienti dal Mali, che hanno trovato lì una sistemazione dall`ottobre scorso, nei due piani più veranda del «due stelle» in pieno centro. Al loro arrivo l`atmosfera tra i poco più di 1.500 abitanti era elettrica. Poi li hanno visti, quando a dicembre è arrivata la neve, spalare i marciapiedi e i vialetti del cimitero. Oggi non c`è più allarme: «Non hanno mai creato problemi».
È pronto il progetto che, dai prossimi giorni, permetterà di utilizzarli come volontari nei compiti di utilità sociale. È stata dura mettere a punto tutte le carte burocratiche, perché la legge vieta loro di lavorare. Ma la via di uscita c`è: volontariato a costo zero, iscrizione a un ente, una cooperativa, un`associazione. Poi corsi mirati per avviarli a un mestiere. Soprattutto l`apertura di una posizione Inali: assicurazione obbligatoria, per loro e verso gli altri. Compiti ipotizzati? «Dallo spazzamento delle strade - spiega il sindaco - alla sistemazione delle piastrelle del centro storico».
A Cairo Montenotte la tensione rimane altissima. Quando la prefettura ha annunciato che sarebbero arrivati altri profughi, il sindaco Fulvio Briano che è anche segretario provinciale del Pd - ha preso carta e penna per protestare: «Interpreto il sentimento dei miei cittadini - ha scritto - e non ne faccio una questione politica, né tantomeno razzista. A settembre abbiamo inaugurato Villa Raggio come nuova Rsa psichiatrica, ora viene destinata ai profughi. Sa di presa in giro».
Poi, come qualche volta avviene, il problema si è risolto da solo: i 12 profughi arrivati il giorno successivo allo sbarco della Spezia del 6 maggio, molti eritrei, sono spariti la notte stessa dell`arrivo. Scappati dopo aver mangiato. «Nessuno mi ha avvisato di nuovi arrivi - insiste  Briano - ma è nelle cose che ne giungeranno altri». Briano è guida una lista di centrosinistra. «E qui - spiega - tanti sono di sinistra. Ma l`arrivo dei migranti si somma a un periodo di crisi gravissima. E la gente avverte con disagio l`impressione di un assistenzialismo eccessivo verso gli stranieri». Anche il collega di Calizzano si è trovato ad affrontare gli stessi problemi. Racconta Olivieri: «Mi hanno detto: ma non potete assumere degli italiani, che qui lavoro non ce n`è più? Dovete usare i migranti gratis?». Scuote la testa: «Ho spiegato che sono cose diverse, io avrei bisogno di 2 dipendenti e avrei anche i soldi per assumerli, ma non posso per il patto di stabilità. Probabilmente, non sono riuscito a convincere tutti e li capisco».
È il ritratto di una Liguria a macchia di leopardo, nell`accoglienza. Se a Ventimiglia la Curia ha messo a disposizione un palazzo intero per i migranti, nella vicina Bordighera il sindaco Giacomo Pallanca la mette giù dura: «Non siamo in grado di ospitare i rifugiati». Le prefetture cercano di individuare possibili rifugi, i Comuni, Alas- sio per prima, si mettono di traverso. A Levante il refrain dei primi cittadini è sempre lo stesso. Carlo Bagnasco, Rapallo: «Abbiamo fatto una mappatura, non c`è soluzione». Paolo Donadoni, Santa Margherita: «Solidarietà ai profughi, ma non abbiamo strutture». Da Recco, Golfo Paradiso, Dario Capurro alza i toni: «Con che coraggio lo Stato mi dà i soldi per gli stranieri, quando non ne trova per scolari e studenti italiani?». Mosca bianca Paolo Pezzana a Sori, operatore sociale alla Fondazione Auxilium di don Piero Tubino. Sì ai profughi. Ma pone una condizione: un fondo di emergenza del Ministero dell`Interno, per aiutare i piccoli Comuni . «Se i soldi arriveranno - dice - i nostri enti non avranno difficoltà». Altra eccezione: Borzonasca, entroterra di Chiavari. Nella località Belpiano il centro della Curia accoglie 100 profughi, ma sono esplose le tensioni: 40 di loro hanno bloccato la strada. Ottenuto il permesso di soggiorno, devono andarsene, ma non sanno dove. E anche La Spezia alza bandiera bianca: «Dopo l`ultimo sbarco abbiamo fatto tutto il possibile, ma ora non siamo in grado di fare di più».



Quote per i migranti sì da Francia e Spagna
Europa divisa, scoppia il caso Londra
Avvenire, 12-05-2015
Giovanni Maria Del Re
L’Europa dovrà essere all’altezza del suo ruolo sul fronte della migrazione. Mentre la Commissione Europea sta limando la comunicazione per un’Agenda europea per la migrazione, che sarà presentata domani, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in visita a Madrid, lancia un chiaro messaggio. «Credo – ha detto – che nessuno possa nascondersi quanto sia importante per l’Europa essere all’altezza del proprio ruolo, dovrà affrontare in modo intelligente il tema delle migrazioni ». Mattarella è in Spagna per incontrare i vertici di Madrid, il re Felipe IV e il premier Mariano Rajoy. Fonti italiane hanno parlato di «piena convergenza » tra Italia e Spagna sul fronte dell’immigrazione, «questo è il momento dell’azione, basta parole » ha detto Rajoy. La Spagna, insomma, è con l’Italia, anche se restano alcuni dubbi – fonti diplomatiche avvertono che Madrid (che pure ospita sul suo territorio appena 5.600 richiedenti asilo), punterà a sottolineare gli sforzi fatti per contenere la pressione migratoria – via terra – sulla sua exclave di Ceuta in Nord Il Capo dello Stato ha precisato che per trovare una soluzione alla crisi libica occorre «ascoltare i libici.
Occorre il loro consenso. Non sia fatto nulla che sia contro i libici».
«Prima – ha avvertito intanto il ministro dell’Interno, Angelino Alfano – l’Europa dimostri di essere aperta e solidale perché sin qui abbiamo fatto tutto da soli. Abbiamo avuto il primo segno della presenza dell’Europa con l’operazione Triton. Ora l’Europa dimostri di essere veramente con la coscienza scossa e gli occhi aperti».
Certo è che la discussione è partita a tutti i livelli politici in Europa, soprattutto dopo la diffusione di una bozza della comunicazione della Commissione. Diffusione che non è piaciuta a Bruxelles, «il testo cambia e cambierà di continuo fino a mercoledì – ha avvertito il portavoce Margheritis Schinas – fossi in voi starei molto attento». Già in occasione del summit straordinario a metà aprile il cancelliere tedesco Angela Merkel si è chiaramente posizionata a favore delle quote, ieri si fatto sentire il ministro dell’Interno Bernard Cazeneuve, intervistato dalla radio Rtl, ha detto che la Francia giudica 'normale' che ci sia «una ripartizione delle quote di immigrati fra i diversi paesi dell’Unione europea». Segnali di forte sostegno sono giunti anche dall’Austria e dalla Svezia. Il grande problema però è la Gran Bretagna, contrarissima alle quote. «Il Regno Unito – ha detto un portavoce del ministero dell’Interno – ha una orgogliosa storia di asilo offerto ai bisognosi, ma non riteniamo che un sistema obbligatorio di ricollocamento (dai Paesi Ue più esposti, ndr) sia la risposta.
Ci opporremo a qualsiasi proposta della Commissione di introdurre quote non volontarie ». Molto starà nel modo in cui sarà disegnata davvero la strategia. In effetti la Gran Bretagna (con Danimarca e Irlanda) gode proprio sul fronte del settore Giustizia e Affari interni, incluso la politica comune di asilo, di una 'clausola di eccezione' inserita esplicitamente nel trattato Ue. Si tratterà di garantire a Londra che possa usarlo anche per le quote.
Londra punta alla lotta ai trafficanti, non a caso è coinvolta in prima linea nella stesura di bozza di risoluzione Onu che dovrebbe consentire interventi contro di loro e le loro imbarcazioni. E sostiene il rafforzamento della presenza di navi militari nel Mediterraneo nella missione Triton. I tempi sembrano allungarsi: sia il triplicamento dei fondi, sia la modifica del mandato operativo della missione non sono infatti ancora ultimati. «Contiamo di arrivarci entro fine mese», dice una portavoce. Bruxelles ha da giorni annunciato l’estensione dell’operazione da 20 miglia marine a 30, in coordinamento con gli italiani. Già una settimana fa il ministro degli Esteri Gentiloni aveva detto che «l’Italia ha bisogno di misure significative».

Share/Save/Bookmark