LOGO REPUBBLICA ITALIANA
 Home -   Giurisprudenza  - Ricerca sulle decisioni


PronunciaPronuncia e Massime Ricerca

vai a: Dispositivo A- A- A 
Ordinanza 206/2016
Giudizio
Presidente GROSSI - Redattore PROSPERETTI
Udienza Pubblica del 05/07/2016    Decisione  del 06/07/2016
Deposito del 21/07/2016   Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate: Art. 116 del decreto del Presidente della Repubblica 30/05/2002, n. 115.
Massime:
Atti decisi: ordd. 133, 134 e 168/2015

ORDINANZA N. 206

ANNO 2016


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Paolo GROSSI; Giudici : Alessandro CRISCUOLO, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,


ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 116 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), promossi dal Tribunale ordinario di Roma con ordinanze del 20, 23 e 17 aprile 2015, rispettivamente iscritte ai nn. 133, 134 e 168 del registro ordinanze 2015 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana nn. 27 e 36, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Visti l’atto di costituzione di R. R., nonché gli atti di intervento dell’Unione delle Camere penali italiane, dell’Associazione difensori d’ufficio Roma e del Presidente del Consiglio dei ministri.

udito nell’udienza pubblica del 5 luglio 2016 e nella camera di consiglio del 6 luglio 2016 il Giudice relatore Giulio Prosperetti;

uditi gli avvocati Beniamino Migliucci per l’Unione delle Camere penali italiane, Andrea Florita per l’Associazione difensori d’ufficio Roma, Francesco Tagliaferri per R.R. e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.


Ritenuto che, con ordinanze del 17, 20 e 23 aprile 2015, il giudice penale del Tribunale ordinario di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 116 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), per contrasto con gli artt. 3, 97 e 111 della Costituzione;

che il rimettente – chiamato a decidere sull’istanza di liquidazione del compenso professionale ai difensori, nominati d’ufficio, di soggetti irreperibili – osserva che la tutela del credito del difensore d’ufficio da parte dello Stato determinerebbe un’irragionevole disparità di trattamento rispetto ai difensori di fiducia, che sopportano l’alea dell’irreperibilità o dell’insolvenza dei propri assistiti;

che tale disparità non sarebbe bilanciata dall’esigenza di garantire il diritto di difesa, di cui all’art. 24 Cost., poiché esso tutela anche le parti che intendono avvalersi di un difensore di fiducia e la sua attuazione sarebbe, in ogni caso, assicurata dal meccanismo del patrocinio a spese dello Stato, di cui agli artt. 74 e seguenti del d.P.R. n. 115 del 2002;

che, l’illegittimità della previsione non sarebbe esclusa dall’obbligatorietà dell’assunzione dell’incarico, poiché l’iscrizione nelle liste dei difensori d’ufficio avviene su base volontaria e la valutazione del rischio di insolvenza non può essere anticipata al momento dell’iscrizione;

che l’irragionevole disparità di trattamento si determinerebbe, ad avviso del rimettente, anche rispetto al difensore di soggetto ammesso al patrocinio a spese dello Stato, poiché la disciplina dell’istituto prevede oneri e responsabilità a carico del richiedente, nonché limiti all’ammissibilità del beneficio e meccanismi di controllo e revocabilità, mentre il sistema delineato dall’art. 116 subordina il pagamento dell’onorario alla mera irreperibilità dell’assistito o alla sua insolvenza;

che, evidenzia ancora il rimettente, la certezza di veder remunerato il proprio operato potrebbe spingere il difensore a scelte di strategia processuale (quali la proposizione di impugnative palesemente infondate ovvero la scelta del rito ordinario in luogo di quello alternativo) non funzionali al miglior interesse dell’assistito, ma tese, invece, a lucrare un maggior compenso per sé, con conseguente aggravio dei carichi di lavoro degli uffici giudiziari e lesione dei principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97 Cost., e del principio di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost., la cui lesione è stata evocata nei giudizi iscritti ai nn. 133 e 134 del registro ordinanze 2015;

che, nel giudizio iscritto al n. 134 del registro ordinanze 2015, si è costituito l’avvocato R.R. concludendo per la non fondatezza della questione, poiché le fattispecie messe a confronto non sono comparabili e l’illegittimità costituzionale della norma non può derivare dall’uso distorto e strumentale che di essa può essere fatto in concreto;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in tutti i giudizi, deducendo l’inammissibilità delle questioni per erronea interpretazione, da parte del rimettente, della norma che, per il pagamento del compenso, richiede, non la semplice irreperibilità dell’assistito, ma l’infruttuoso tentativo di recupero del credito professionale;

che la difesa erariale deduce, altresì, la non fondatezza della questione, poiché la situazione del difensore d’ufficio non è comparabile con quella del difensore di fiducia e con quella del difensore di soggetto ammesso a gratuito patrocinio, mentre l’incidenza sul buon andamento ed efficienza della pubblica amministrazione e sulla ragionevole durata del processo deriverebbero, in via ipotetica, dall’uso distorto della norma e non dalla disciplina da essa dettata;

che nei giudizi iscritti ai nn. 133 e 134 del registro ordinanze 2015 è intervenuta l’Associazione dei difensori d’ufficio che ha asserito di avere un interesse qualificato, inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, avendo, tra i propri fini statutari, quello di promuovere iniziative per garantire l’equa e sollecita retribuzione del difensore d’ufficio, e ha chiesto la declaratoria di inammissibilità ovvero di non fondatezza delle questioni;

che nel giudizio iscritto al n. 133 del registro ordinanze 2015 è intervenuta l’Unione delle Camere penali italiane, che ha rappresentato il proprio interesse al giudizio in considerazione del ruolo ad essa attribuito dall’art. 29, comma 1-bis, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, nella formazione e valutazione dell’idoneità degli avvocati che intendono esercitare la difesa d’ufficio, e ha chiesto la declaratoria di non fondatezza della questione.

Considerato che il giudice penale del Tribunale ordinario di Roma dubita della legittimità costituzionale dell’art. 116 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), nella parte in cui prevede la garanzia dello Stato per il pagamento delle spese e degli onorari spettanti al difensore d’ufficio, che non è stato in grado di reperire il proprio assistito, perché determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento con il difensore di fiducia e con quello di soggetto ammesso al beneficio del gratuito patrocinio e potrebbe indurre a scelte di strategia processuale lesive dei principi di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione e di ragionevole durata del processo;

che, in considerazione dell’identità della norma denunciata e della parziale identità delle censure, i giudizi vanno riuniti per essere trattati congiuntamente e decisi con un’unica pronuncia;

che, in via preliminare, deve essere confermata l’ordinanza letta nel corso dell’udienza pubblica e qui allegata, che ha dichiarato inammissibile l’intervento dell’Associazione dei difensori d’ufficio e dell’Unione delle Camere penali italiane;

che la questione è manifestamente infondata;

che la lesione dell’art. 3 della Costituzione per ingiustificata disparità di trattamento non sussiste quando, in considerazione della diversità delle fattispecie poste a confronto, la diversa disciplina delle situazioni si giustifichi in termini di ragionevolezza (ex multis, sentenza n. 146 del 2016);

che, con riferimento al confronto con il difensore di fiducia, la convenzione in ordine alla corresponsione degli onorari integra il rapporto di mandato libero professionale che lega il difensore all’assistito, esponendo sul piano privatistico il legale a rischio di inadempimento da parte del proprio cliente, situazione questa che non è in alcun modo comparabile al mandato difensivo del legale nominato d’ufficio, che è chiamato ad una prestazione ex lege, imposta dallo Stato per l’attuazione del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. e non rinunciabile;

che la diversità delle situazioni non è incisa dalla volontarietà dell’iscrizione nelle liste dei difensori d’ufficio, poiché essa non riguarda l’assunzione di uno specifico incarico defensionale, rispetto alla cui accettazione il legale nominato d’ufficio non ha alcuna disponibilità, non potendo rifiutare;

che, quanto alla disciplina del patrocinio a spese dello Stato, essa rinviene il suo presupposto nella non abbienza del beneficiario e l’onere di pagamento è posto definitivamente a carico dell’erario, mentre la liquidazione della difesa di ufficio, il cui presupposto si rinviene nella irreperibilità ovvero insolvenza dell’assistito, costituisce una mera anticipazione, che lo Stato è tenuto a recuperare (ordinanze n. 160 del 2006, n. 328 e n. 266 del 2003);

che il rischio di scelte difensive inutilmente onerose e comunque sanzionabili disciplinarmente non è direttamene riconducibile all’applicazione della norma, ma costituisce un inconveniente di fatto, non implicante un profilo di costituzionalità ai sensi degli artt. 97 e 111 Cost. (in tal senso, sentenza n. 157 del 2014);

che, inoltre, il riferimento all’art. 97 Cost. risulta estraneo alla concreta fattispecie denunciata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 116 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 97 e 111 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Roma con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 luglio 2016.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Giulio PROSPERETTI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 21 luglio 2016.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

Allegato:

Ordinanza letta all'udienza del 5 luglio 2016

ORDINANZA

Visti gli atti relativi al giudizio di legittimità costituzionale introdotto con le ordinanze emesse dal Tribunale ordinario di Roma, sezione IV penale, il 20 e 23 aprile 2015 (r.o. n. 133 e 134 del 2015).

Rilevato che l'Associazione difensori d'ufficio e l'Unione delle Camere penali italiane hanno depositato, rispettivamente in data 28 e 27 luglio 2015, atto di intervento, la prima in entrambi i giudizi, la seconda nel solo giudizio r.o. n. 133 del 2015;

che le predette associazioni non risultano essere parti nel giudizio a quo;

che le associazioni hanno rappresentato di avere un interesse qualificato ad intervenire nel giudizio;

che, in proposito, l'Associazione dei difensori di ufficio ha dichiarato di essere portatrice, sulla base delle disposizioni del proprio statuto, degli interessi dei difensori di ufficio e, in particolare, ha rappresentato che tra le finalità e l'oggetto sociale del proprio statuto vi è espressamente «la promozione di iniziative volte a garantire l'equa e sollecita retribuzione del difensore di ufficio»;

che, a sua volta, l'Unione delle Camere penali italiane ha affermato che la questione, nel coinvolgere in maniera diretta principi di portata costituzionale, quali il diritto di difesa (art. 24 Cost.), il giusto processo (art. 111 Cost.) e il buon andamento (art. 97 Cost.), incide sui diritti e i doveri e le prerogative dell'Avvocatura che costituiscono valori la cui difesa rientra tra gli scopi primari dell'Unione delle Camere penali italiane, anche in relazione al ruolo riconosciuto dalla legge nella formazione e idoneità degli avvocati ai sensi dell'art. 29 comma 1-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale.

Considerato che nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale sono ammessi a partecipare, oltre al Presidente del Consiglio dei ministri e al Presidente della Giunta regionale, per costante giurisprudenza di questa Corte, soltanto le parti del giudizio principale (ex plurimis, ordinanza letta all'udienza del 20 ottobre 2015 ed allegata alla sentenza n. 221 del 2015);

che l'intervento di soggetti estranei al giudizio a quo può essere ammesso, secondo la medesima giurisprudenza, esclusivamente quando questi risultino titolari di una situazione giuridica qualificata, inerente, cioè, in modo specifico al rapporto controverso e, perciò, suscettibile di essere direttamente e immediatamente incisa dagli effetti della pronuncia di questa Corte, distinguendosi dalla posizione di soggetti genericamente coinvolti, a qualsiasi titolo o ragione, nelle diverse vicende relative alle disposizioni oggetto di censura;

che, nel caso di specie, le predette associazioni sono portatrici di un interesse solo generico al rigetto della prospettata questione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili gli interventi spiegati dall'Associazione difensori d'ufficio e dall'Unione delle Camere penali italiane.

F.to: Paolo Grossi, Presidente