"Sono nato e cresciuto a Roma. Ora l’Italia mi vuole cacciare" - Il portale dell'immigrazione e degli immigrati in Italia - Stranieri in Italia

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Luca Neves, alias Fat Negga, figlio di immigrati. Gli hanno negato la cittadinanza, gli è scaduto il permesso di soggiorno, è arrivata l'espulsione. "Io sono italiano, questa non è solo la mia battaglia"

 

Roma  - 22 marzo 2016 - Luca Neves è stato a Capo Verde una sola volta, da bambino, in vacanza con i genitori. Ora l’Italia vorrebbe mandarcelo a tempo indeterminato, per fargli scontare su un’isola nell’ Atlantico un ignobile esilio da  figlio non riconosciuto. 

“Vogliono sbattermi fuori dal mio Paese con un calcio nel sedere. Usino pure la forza, ma non l’avranno vinta. Piuttosto mi mordo la lingua e affogo nel sangue” dice a Stranieriiinitalia.it. Sai che fa il rapper (sul palco è Fat Negga), sospetti che esageri con la potenza delle parole, poi però conosci la sua storia e comprendi la sua rabbia e la sua disperazione.

È nato 28 anni fa all’ospedale Regina Elena, periferia di Roma. È figlio di immigrati capoverdiani. Il padre ha lavorato per una vita in un maneggio, prima di finire su una sedia a rotelle per una serie di problemi di salute, la madre era casalinga, oggi non c’è più. 

Quando era ragazzino, il suo mondo era tutto a Trigoria. “Vivevamo nel maneggio e io giocavo con i pulcini della Roma. Incontravamo spesso Totti e Aldair, De Rossi qualche volta ha anche riaccompagnato a casa me e mia madre con le borse della spesa” racconta. Nella Capitale ha fatto tutte le scuole, dall' asilo all' istituto alberghiero, qui è diventato cuoco e ha iniziato a lavorare. 

Intanto, per lo Stato, rimaneva uno straniero, prima inserito nel permesso di soggiorno dei genitori (“sono sempre stati in regola”), poi con un permesso tutto suo. A 19 anni è andato in Comune a chiedere la cittadinanza, ma quella stessa burocrazia che si prende sempre tutto il tempo che vuole gli ha risposto che era tardi: “Avrei dovuto presentare la domanda a 18 anni”. Domanda respinta. 

A quel punto, seguendo un copione noto a molte seconde generazioni, ci ha riprovato con il ministero dell’Interno. Ha raccolto documenti per dimostrare, semplicemente, che era quello che era: un ragazzo nato e cresciuto in Italia che voleva diventare italiano anche per legge. “Ho presentato tutti i fogli possibili, non mi hanno fatto sapere più niente”. 

Per lo Stato Luca Neves rimaneva uno straniero, con l’aggravante di essere ormai maggiorenne. Mentre la famiglia era segnata dalle malattie e dai lutti (oltre alla madre, ha perso un fratello), non è riuscito a trovare un lavoro in regola che gli garantisse il rinnovo del permesso di soggiorno. Così, lui che di migrazioni non ne aveva fatta mai una, è diventato per la legge un immigrato irregolare. 

Tre anni fa, dopo un controllo di polizia alla stazione Termini, ha rimediato un foglio di via, con l’intimazione a lasciare l’Italia entro venti giorni. “Me ne dovevo andare da solo?”. Lo ha ignorato, non gli ha dato peso. Qualche settimana fa si è presentato in Questura per denunciare lo smarrimento della carta di identità e del passaporto. Un agente ha interrogato il terminale e ha sgranato gli occhi, poi  saggiamente ha fatto finta di non vedere.

“Mi sembrava assurdo, non sono un criminale. Gli ho chiesto cosa dovrei fare, ha scosso la testa e mi ha ripetuto che devo andare a Capo Verde, mi ha suggerito di chiedere da lì all’ambasciata italiana un visto d’ingresso per l’Italia. Tra l’altro a Capo Verde l’ambasciata italiana non c’è, dovrei andare a quella di Dakar, in Senegal”.

In realtà, con un’espulsione sulle spalle e le frontiere sigillate, la possibilità di prendere quel visto è molto remota. Luca Neves rimarrebbe a Capo Verde non si sa fino a quando e vivendo non si sa come, tra capoverdiani che, dice, “mi considerano italiano”. “Conosco la lingua dei miei genitori, ma anche il mio accento è strano. Sono italiano, l’Italia è in me, non posso scappare da questo, eppure l’Italia mi vuole cacciare”. 

Così oggi vive sospeso e sospesi sono i talenti e le passioni che potrebbe regalare a questo Paese:  “Qui ho tante cose buone da fare”. Come Fat Negga si stava facendo apprezzare, dopo alcuni  singoli di successo aveva iniziato a registrare un album, era invitato a esibirsi in Italia e in Europa. “Ora ho paura anche a prendere un treno, per non incrociare la Polizia”. 

È fermo anche il format “Chef Negga KS” un programma di cucina “all’istante”, abbinando i tre o quattro ingredienti che si trovano in frigo, che Neves aveva creato e proposto, pare con successo, a Sky. “C’erano da firmare contratti e liberatorie e io non ho documenti”. Per ora delle fantasiose pietanze del poliedrico rapper cuoco romano rimangono solo le foto su Instagram. Quanto poi a lavorare in qualche ristorante, solita storia: niente permesso di soggiorno? solo in nero

Luca Neves, nato e cresciuto in Italia, non può vivere in Italia alla luce del sole. Teme che un giorno, o una notte, i poliziotti bussino alla sua porta per trascinarlo via, gira tra avvocati per sapere come uscire da questa situazione, si conforta del sostegno dei tanti che stanno prendendo a cuore il suo caso. Tra gli artisti che lo conoscono è partita anche una mobilitazione a colpi di rime per sostenere la sua battaglia. 

È arrabbiato, è disperato, ma non cerca scorciatoie. La madre di un amico si è offerta di adottarlo, un’amica gli ha detto: ‘ti sposo, così prendi la cittadinanza’. “Ringrazio tutti, mi danno la forza per andare avanti. Io però questa battaglia la voglio vincere a testa alta, perché sono un italiano. E voglio vincerla anche per gli tutti gli altri che potrebbero trovarsi nella mia stessa condizione”. 

“Tutti gli altri” sono quel milione di figli di immigrati che secondo alcuni hanno più o meno gli stessi diritti dei figli degli italiani. Non è vero, i figli degli italiani non rischiano un’espulsione. Anche Luca Neves guarda alla riforma della legge sulla cittadinanza come a un salvagente tra le onde nelle quali sta annaspando: “Spero che si muovano. La riforma mi salverebbe, mi darebbe una vita migliore, nel mio Paese”.

Elvio Pasca