COMMISSIONE STRAORDINARIA PER LA TUTELA E LA PROMOZIONE DEI DIRITTI UMANI
MARTEDÌ 15 NOVEMBRE 2016
106ª Seduta
Presidenza del Presidente
Intervengono, ai sensi dell'articolo 48 del Regolamento, Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International, e Matteo De Bellis, ricercatore.
La seduta inizia alle ore 13,35.
SULLA PUBBLICITA' DEI LAVORI
Il presidente MANCONI comunica che, ai sensi dell'articolo 33, comma 4, del Regolamento, è stata richiesta l'attivazione dell'impianto audiovisivo e che la Presidenza del Senato ha fatto preventivamente conoscere il proprio assenso.
Poiché non vi sono osservazioni, tale forma di pubblicità è dunque adottata per il prosieguo dei lavori.
PROCEDURE INFORMATIVE
Seguito dell'indagine conoscitiva sui livelli e i meccanismi di tutela dei diritti umani, vigenti in Italia e nella realtà internazionale: audizione di Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International, e di Matteo De Bellis, ricercatore, sul rapporto "Hotspot Italia: come le politiche dell'Unione europea portano a violazioni dei diritti di rifugiati e migranti"
Prosegue l'indagine conoscitiva in titolo, sospesa nella seduta dell'8 novembre scorso.
Il presidente MANCONI introduce l'audizione ricordando che il rapporto di Amnesty International sugli hotspot annunciato il 3 novembre scorso ha provocato reazioni piuttosto aspre da parte di rappresentanti del Ministero dell'interno e che alla seduta convocata per domani, 16 novembre, prenderà parte il capo del Dipartimento libertà civili e immigrazione, prefetto Mario Morcone.
Antonio MARCHESI, presidente di Amnesty International, ringrazia per l'invito a illustrare il nuovo rapporto dal titolo "Hotspot Italia" e ricorda in primo luogo come da alcuni anni il tema dei diritti dei rifugiati e dei migranti sia al centro dell'attenzione e dell'impegno di Amnesty International in tutto il mondo. La ricerca e l'azione di Amnesty su questo argomento hanno un'importante componente europea. E all'interno di questa vi è un capitolo significativo che riguarda il nostro paese. Per quanto riguarda l'Italia Amnesty si è occupata, negli ultimi anni, di sfruttamento lavorativo di migranti irregolarmente presenti sul territorio, la cui irregolarità evidentemente non comporta che non godano dei diritti umani internazionalmente riconosciuti. In particolare sono state condotte ricerche sulla situazione dei migranti impegnati in agricoltura in alcune regioni italiane. L'organizzazione si occupa poi dei diritti di coloro che fuggendo - chi dalla fame, chi dalla persecuzione, chi dalle bombe - attraversa il Mediterraneo (o tenta di attraversarlo) in cerca di protezione o semplicemente di una vita migliore. Costoro godono tutti, innanzitutto, del diritto alla vita e Amnesty ha sempre lodato gli sforzi dell'Italia nel salvataggio di vite in mare. Essi hanno altresì, se ne fanno richiesta, il diritto di accedere a una procedura equa per accertare se debbano o meno ricevere asilo o protezione internazionale. Di questo diritto di accesso a una procedura equa - e allo stesso tempo del diritto a non subire torture o del diritto alla vita - costituisce una violazione grave il refoulement, ovvero il respingimento verso paesi nei quali le persone respinte rischiano di subire torture o persecuzioni. Anche di allontanamenti forzati, quando questi sono in violazione del diritto internazionale, Amnesty si è occupata affrontando recentemente il tema della cooperazione con i paesi terzi, a cominciare dalla Turchia, nella gestione dei flussi di persone verso l'Europa, nella misura in cui questa cooperazione si è tradotta nella violazione del diritto di chiedere asilo o protezione internazionale, in detenzioni arbitrarie, maltrattamenti, espulsioni verso paesi nei quali la vita degli espulsi è in grave pericolo. In ogni occasione, l'organizzazione ha criticato il sistema europeo attualmente in vigore, il sistema di Dublino, fallimentare sia dal punto di vista degli effetti sui diritti fondamentali dei diretti interessati sia da quello dell'equa distribuzione tra stati membri dell'Unione degli oneri, con un carico spropositato sui paesi che si affacciano sul Mediterraneo a cominciare dall'Italia. E sono state chieste riforme che permettano sia canali legali e sicuri per accedere al diritto di asilo o alla protezione internazionale in Europa sia una modalità di individuazione del paese di destinazione dei richiedenti più equa di quello attuale, che valorizzi di più, tra le altre cose, la riunificazione familiare e più generale le possibilità di integrazione degli interessati. Da ultimo Amnesty si è concentrata sull'"approccio hotspot", voluto dall'Unione europea, sui suoi effetti negativi in fatto di diritti umani, ma anche sulla sua inefficacia. Questo rapporto, come tutti quelli che lo hanno preceduto, è il risultato del lavoro di Amnesty International, organizzazione che non ha una parte a Londra e una a Roma, ma è una sola e combina ricerca e azione per la protezione dei diritti umani. Il rapporto "Hotspot Italia" è frutto, come ogni rapporto reso pubblico da Amnesty International, di un lavoro condotto secondo metodi e criteri rigorosissimi: è il risultato, tra l'altro, di centinaia di ore di colloqui con rifugiati e migranti, con autorità e con operatori di organizzazioni non governative, svoltisi in dieci diverse città italiane. Il quadro che emerge da una lettura attenta e serena del rapporto è un quadro equilibrato, nell'ambito del quale si riconosce, come già in passato, il lavoro straordinario svolto dall'Italia nel salvataggio di vite in mare e il fatto che la stragrande maggioranza delle forze di polizia di siano comportate in maniera professionale, fornendo, al tempo stesso, i resoconti di alcuni casi di maltrattamento e alcuni casi di espulsione verso paesi a rischio, che meritano di essere approfonditi. Infine, va apprezzato l'atteggiamento di quelle istituzioni italiane, come la Commissione straordinaria per i diritti umani del Senato, che hanno voluto ascoltare Amnesty, mentre altri rappresentanti delle istituzioni hanno rifiutato il confronto sul testo del rapporto fornito loro in lago anticipo, per poi negarne la veridicità.
Matteo DE BELLIS, ricercatore e curatore del rapporto "Hotspot Italia. Come le politiche dell'Unione europea portano a violazioni dei diritti di rifugiati e migranti", ricorda come centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini, in fuga da conflitti, violazioni dei diritti umani e miseria, negli ultimi anni abbiano attraversato il Mediterraneo in cerca di un luogo sicuro o di una vita migliore. Normalmente tali persone sono approdate in Italia a seguito di salvataggi in alto mare, condotti sotto la guida delle autorità italiane - un'attività per la quale Amnesty International ha espresso apprezzamento in svariate occasioni. Tra queste persone, sono moltissime quelle che fuggono da violazioni di diritti umani, conflitti, persecuzioni - e vi è un'altissima incidenza di abusi (tortura, violenze sessuali, detenzione arbitraria, rapimenti) tra coloro che passano dalla Libia - perpetrati sia da gruppi criminali sia in centri di detenzione governativi. Nonostante le continue richieste in tal senso dalla quasi totalità delle organizzazioni di protezione dei diritti umani e dagli operatori umanitari coinvolti, e nonostante qualche apertura in tal senso contenuta nell'Agenda europea sulla migrazione, l'Europa ha fondamentalmente rifiutato di aprire o allargare canali sicuri e legali di accesso alla protezione ad esempio attraverso resettlement, accesso umanitario, e ricongiungimenti familiari. In assenza di canali sicuri e legali di accesso all'Europa, le persone hanno viaggiato in maniera irregolare, con un considerevole rischio per le loro vite.
Questi flussi hanno posto sfide importanti all'Europa, e in particolare ai paesi periferici come l'Italia, che ha visto oltre 150mila arrivi irregolari all'anno, in ciascuno degli ultimi tre anni. L'approccio hotspot e il programma di relocation sono state presentate dall'Unione europea, a metà del 2015, come le principali risposte europee all'alto numero di arrivi nei paesi del sud Europa. Risposte proposte in raccomandazioni incluse nell'Agenda sulla migrazione della Commissione europea a maggio 2015, e poi in decisioni adottate dal Consiglio Ue tra giugno e settembre 2015. L'azione combinata di questi due meccanismi avrebbe dovuto associare, da una parte, maggiori controlli sui rifugiati e migranti all'arrivo, e dall'altra, la distribuzione di una parte dei richiedenti asilo in altri stati membri per un esame successivo delle loro domande di asilo. L'approccio hotspot è stato progettato per garantire l'immediata identificazione dei rifugiati e migranti arrivati irregolarmente, principalmente attraverso il rilevamento obbligatorio delle impronte digitali, un rapido screening per individuare necessità di protezione, e in seguito un incanalamento delle persone verso le procedure d'asilo - eventualmente in altri paesi, attraverso la relocation - o l'adozione di provvedimenti di allontanamento. Una drastica diminuzione degli spostamenti irregolari di rifugiati e migranti verso altri stati membri dell'Unione europea, uno degli obiettivi chiave, doveva essere raggiunto tramite l'acquisizione delle impronte digitali, nella prospettiva di assicurare la possibilità di un loro rinvio, in applicazione del Regolamento Dublino, verso l'Italia o altri paesi di primo ingresso. Il sistema di relocation sarebbe dovuto servire, di converso, per ridurre il peso che grava su questi stati, attraverso il trasferimento progressivo di circa 160mila richiedenti asilo (di cui 40mila dall'Italia) verso altri paesi Unione europea, per esaminare in quei paesi le loro richieste di asilo. Il Governo italiano ha cominciato ad attuare l'approccio hotspot nello stesso mese, con la trasformazione in hotspot del centro di prima accoglienza già esistente a Lampedusa e il dispiegamento di funzionari di diverse agenzie dell'Unione europea. Dopo un anno, è chiaro che solo il controllo è stato messo effettivamente in atto, mentre sono decisamente scarsi i progressi fatti in materia di condivisione delle responsabilità; e anzi questo principio ha incontrato una crescente resistenza a livello politico. Mentre la componente di solidarietà dei piani europei si è dimostrata ampiamente illusoria - con solo 1.196 persone ricollocate dall'Italia in altri paesi europei, sui 131mila arrivi a fine settembre 2016 - gli elementi repressivi, concepiti per prevenire spostamenti verso altri paesi europei e aumentare il numero dei rimpatri, sono stati attuati in modo aggressivo, con elevati costi in termini di diritti umani. Un anno dopo l'avvio ufficiale dell'approccio hotspot in Italia, è chiaro come esso sia servito principalmente a riaffermare il sistema di Dublino, aumentando piuttosto che riducendo il peso sulle spalle dei paesi di primo arrivo nel controllare i confini, proteggere i richiedenti asilo e tenere fuori i migranti irregolari. Mentre il numero degli arrivi in Italia è rimasto stabile, l'imposizione dell'approccio hotspot ha infatti portato a un aumento delle persone che richiedono asilo in Italia, mettendo a dura prova la capacità delle autorità di assistere in modo adeguato i nuovi arrivati. L'approccio hotspot consiste fondamentalmente in tre passaggi: il rilevamento delle impronte digitali di tutte le persone approdate nei porti italiani a seguito di attività di salvataggio in mare, e l'inclusione di tali impronte nei database Eurodac; lo screening (o pre-identificazione) per valutare attraverso una singola domanda se la persona possa essere incanalata verso un percorso di protezione internazionale oppure verso forme di allontanamento; l'adozione di provvedimenti di allontanamento, nella forma di respingimenti differiti o di espulsioni con accompagnamento alla frontiera, in applicazione dei nuovi accordi di riammissione che il Governo italiano ha cominciato a negoziare con altri paesi. La ricerca di Amnesty International offre un quadro preoccupante. La riaffermazione di vecchi principi con modalità più aggressive - attraverso l'implementazione dell'approccio hotspot - sta portando a un aumento delle violazioni dei diritti umani - per le quali le autorità italiane hanno una responsabilità diretta, ma i leader dell'Unione europea hanno una responsabilità politica. Nel cercare di raggiungere "un tasso di identificazione del 100%", l'approccio hotspot ha spinto le autorità italiane ai limiti di ciò che è ammissibile secondo il diritto internazionale. L'attuazione di misure coercitive per costringere le persone che non vogliono fornire le loro impronte digitali è diventata man mano la regola, attraverso la detenzione prolungata e l'uso della forza fisica. Ciò avviene nonostante non vi sia una previsione normativa a giustificare tali misure.
Per quanto riguarda la detenzione, la normativa italiana consente il trattenimento a fini identificativi di persone rintracciate sul territorio nazionale per un massimo di 24 ore - e la Costituzione stessa non prevede un trattenimento oltre le 48 ore senza che vi sia una convalida da parte dell'autorità giudiziaria. L'assenza di una normativa in materia di trattenimento ai fini di identificazione per le persone che hanno avuto accesso al territorio a seguito di salvataggio in alto mare è stata confermata anche da rappresentanti del governo. Ciononostante, è stato documentato da diverse organizzazioni - e da questa stessa Commissione - che persone sbarcate vengono spesso trattenute per diversi giorni, e quando le persone si rifiutano di dare le proprie impronte tale periodo può diventare di settimane o addirittura mesi - senza che vi sia un controllo giurisdizionale di alcun tipo, o alcuna via per appellarsi contro la legittimità di tale trattenimento. Per quanto riguarda l'uso della forza, di nuovo, il legislatore italiano non ha ritenuto di legiferare, mentre lo ha fatto per consentire il prelievo coattivo di capelli e saliva, con l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria. In questa situazione, la Commissione europea ha raccomandato all'Italia di adottare una norma che disciplini l'eventuale uso della forza - e nel frattempo il Governo sembrerebbe aver dato indicazioni a funzionari e agenti di polizia riguardo al fatto che in determinate circostanze l'uso di metodi coercitivi non sarebbe da escludere. Di ciò è fatta menzione in un volantino stampato dal Ministero dell'interno e distribuito alle persone sbarcate, ed è stata data conferma presso gli hotspot di Lampedusa e Taranto. Non risulta tuttavia evidente se al contempo siano state date indicazioni stringenti in merito a limiti e garanzie. Ciononostante, risulta purtroppo che le forse di sicurezza adoperino in alcuni casi mezzi coercitivi - sebbene in generale con molta moderazione - materialmente per spingere le mani delle persone sulla macchina per il rilevamento delle impronte. Questo potrebbe anche configurarsi come un uso proporzionato della forza e quindi in linea con gli standard internazionali, così come anche descritto in uno specifico documento della Fundamental Rights Agency della Unione europea - nei casi in cui tutti gli altri metodi non-violenti siano stati previamente esperiti senza successo e l'uso della forza sia lieve, ossia consista per esempio nella mera spinta della mano della persona sulla macchina che rileva le impronte.
Nella gran parte dei casi tale uso della forza è stato infatti proporzionato. Tuttavia, sono state raccolte un numero significativo di testimonianze che indicano come la forza sarebbe stata usata senza aver fornito previamente adeguata informativa legale e in assenza di un interprete che parlasse la lingua madre della persona soggetta a foto-segnalamento. In questi casi, l'uso della forza, per quanto moderato, sarebbe stato non necessario o sproporzionato. Nonostante non ci siano dubbi che la maggior parte degli agenti di polizia abbia continuato a fare il proprio lavoro in modo impeccabile, testimonianze coerenti raccolte da Amnesty International indicano che in alcuni casi persone soggette all'uso della forza per costringerle a dare le impronte sarebbero state oggetto di maltrattamenti. Amnesty International ha raccolto durante la sua ricerca 24 testimonianze di questo tipo: la maggioranza di tali testimonianze riferisce di percosse, talvolta anche con l'uso del manganello; ma vi sono anche diverse testimonianze di minacce, ed altre secondo le quali poliziotti avrebbero anche usato manganelli elettrici e, in due casi, sarebbero stati inferti colpi sui genitali. Amnesty International ha potuto visionare segni sui corpi delle persone che apparivano compatibili con le violenze descritte e ha potuto avere prova documentale della presenza di diverse persone nei luoghi in cui avrebbero sofferto abusi. Le persone che hanno rilasciato queste testimonianze lo hanno fatto mentre cercavano di lasciare l'Italia, e per questo motivo non hanno ritenuto di procedere alla denuncia formale dei fatti. Tale situazione ha reso impossibile una valutazione approfondita di ciascun caso, per esempio attraverso esami medici, e perciò non è stato possibile confermare ogni dettaglio delle testimonianze. Si ritiene però estremamente preoccupante che Amnesty abbia potuto raccogliere un numero così significativo di testimonianze coerenti tra loro, raccolte in città diverse, in mesi diversi, con l'aiuto di interpreti diversi. Di fronte a questa preoccupazione, il Ministero dell'interno è stato immediatamente informato delle testimonianze raccolte, con una lettera che ne riportava il testo in maniera dettagliata. A fronte della decisione del Ministero di non rispondere alle richieste di un incontro, si è deciso di pubblicare queste testimonianze. Inoltre, altre organizzazioni, avvocati - ad esempio l'avvocato Sciurba pochi giorni fa - medici e semplici attivisti che operano quotidianamente sul territorio, hanno riportato di aver ricevuto testimonianze del tutto simili a quelle raccolte nel rapporto. L'approccio hotspot ha anche richiesto l'introduzione di uno screening anticipato e rapido dello status di tutte le persone sbarcate nei porti italiani, per separare quelle considerate "richiedenti asilo", da quelle ritenute "migranti irregolari". Un processo di screening non fondato su alcuna legislazione e fatto con troppa fretta. Lo screening, infatti, è effettuato quando le persone sono ancora troppo stanche o traumatizzate dal viaggio, durante il quale hanno spesso sofferto gravi violazioni dei diritti umani - come ad esempio quando provengono dalla Libia - per poter prendere parte in modo consapevole a questo processo. Inoltre, esso è effettuato prima di dare alla persona una informativa adeguata, su base individuale, relativamente al suo status, diritti e doveri. La domanda contenuta nel foglio notizie, peraltro, è formulata in maniera non corretta: essa si riferisce alle ragioni del viaggio e non ai rischi che la persona correrebbe se fosse rimpatriata e fa riferimento a categorie che non hanno chiara rispondenza nel sistema giuridico italiano e questo può indurre in errore nella definizione dello status giuridico rischiando di negare ad alcune persone, che fuggono da conflitti e persecuzioni, l'accesso alla protezione alla quale hanno diritto.
Infine, l'enfasi posta dalle istituzioni e dai governi europei sulla necessità di aumentare le espulsioni ha portato a due sviluppi critici in Italia. Migliaia di decreti di respingimento differito (ossia ordini di lasciare il territorio nazionale entro 7 giorni) sono stati consegnati a persone considerate "migranti irregolari", in seguito allo screening viziato che è stato descritto. Queste persone in pratica non hanno alcuna possibilità di ottemperare all'ordine, anche se volessero, a causa della mancanza di documenti e di soldi. Di conseguenza, sono rimaste nel paese ma senza alcuna forma di assistenza, vulnerabili allo sfruttamento e agli abusi. Le autorità italiane hanno inoltre negoziato nuovi accordi bilaterali per consentire il rimpatrio di cittadini di diversi paesi, anche con governi responsabili di orribili atrocità, come il Governo sudanese. Sulla base di questi accordi, gruppi di persone considerate "migranti irregolari", ancora una volta in base a un processo di screening viziato e senza un'adeguata valutazione dei rischi che il loro rimpatrio comportava, sono stati rimandati verso paesi nei quali erano a rischio di maltrattamenti e altre gravi violazioni dei diritti umani. Inoltre, nuovi accordi di riammissione risulta siano stati conclusi direttamente tra forze di polizia, definiti "accordi light". Nessuno dei provvedimenti di allontanamento a cui Amnesty international ha avuto accesso include una minima analisi delle circostanze personali del soggetto che si intende allontanare. Mancano anche elementi essenziali, come per esempio una domanda sulla regione di provenienza: succede quindi che persone del Darfur, per esempio, possano essere rimpatriate, nonostante vi sia un rischio concreto per queste persone di essere soggette a violazioni una volta rimandate a Khartoum. Preoccupa peraltro che sia stato enunciato pubblicamente il principio che il Sudan è un Paese a cui non si applica l'articolo 19 del T.U. Immigrazione, quello che traspone il principio di non-refoulment, che evidentemente si applica su base individuale, non per nazionalità.
Nelle raccomandazioni contenute nel rapporto si chiedono istruzioni chiare sull'uso consentito della forza e una gestione della resistenza prolungata attraverso altre forme di risposta da parte delle forze di polizia, che escludano un maggior uso della forza. Il monitoraggio di questa procedura deve essere rafforzato ad esempio mediante il dispiegamento di osservatori indipendenti durante rilevamento impronte e screening. Le Procedure operative standard (Standard Operating Procedures - Sop) applicabili negli hotspot devono essere riviste per assicurare che nessuno screening avvenga immediatamente dopo lo sbarco e che tutte le persone in arrivo abbiano accesso a informazioni sufficienti prima dell'esame della loro situazione. Più in generale, e a livello europeo, le istituzioni e i governi devono assumersi delle responsabilità e favorire un cambiamento che promuova e difenda i diritti umani, invece di minacciarli. Le sfide attuali devono essere affrontate con misure nuove e coraggiose, compresa una revisione del sistema di Dublino che abbandoni il criterio del paese di primo ingresso - motivo principale per cui le persone si oppongono al rilevamento delle impronte digitali - e l'impostazione di un nuovo sistema che preveda un'effettiva redistribuzione dei richiedenti asilo appena arrivati in tutta Europa, garantisca che il livello di protezione e assistenza per i richiedenti asilo sia lo stesso in tutta la regione e permetta alle persone che hanno ottenuto protezione in un paese dell'Unione europea di muoversi liberamente in tutta l'Unione europea. Amnesty International ritiene anche che una riduzione significativa del numero di persone che intraprendono la pericolosa traversata del Mediterraneo centrale - e quindi una riduzione sia dei morti in mare sia degli spostamenti irregolari all'interno dell'Europa - possa e debba essere ottenuta attraverso l'apertura di canali sicuri e regolari, che forniscano alle persone e alle famiglie a rischio di gravi violazioni dei diritta umani la possibilità di trovare un luogo sicuro senza mettere a rischio le loro vite.
Il presidente MANCONI chiede se il numero di 24 testimonianze su maltrattamenti sia complessivo o se ve ne siano di ulteriori; chiede inoltre notizie più precise in merito alle informative fatte giungere da Amnesty International al Ministero dell'interno e se con tale Dicastero, dopo il confronto di cui ha riferito la stampa, siano ripresi i contatti.
Il senatore MAZZONI (AL-A) domanda dettagli, in particolare con riferimento all'hotspot di Taranto, presso cui si è recato in visita lo scorso giovedì 10 novembre, sottolineando che i manganelli elettrici non sono in dotazione alle nostre forze di polizia e che nel corso di quella visita non è stato fatto alcun riferimento ad episodi di violenza; chiede se dall'inchiesta sono emerse conferme anche indirette da parte delle forze di sicurezza e quali siano i paesi di provenienza dei migranti che hanno segnalato violenze.
La senatrice AMATI (PD) chiede chiarimenti in ordine alla metodologia impiegata per realizzare il rapporto, in particolare in che modo si sia proceduto alle 174 interviste di cui si dà conto.
Il dottor DE BELLIS precisa che il numero di 24 è da ricondurre alle persone che hanno rappresentato situazioni critiche, rispetto alle quali, purtroppo, si hanno diverse conferme. Informa che prima della pubblicazione del rapporto sono state inviate tre missive al Ministero dell'interno, relative alle procedure di pre-identificazione, ai maltrattamenti segnalati ed alle espulsioni di cittadini sudanesi, e questo a maggio, inizio agosto e inizio settembre 2016; inoltre sono state inviate altre lettere di carattere interlocutorio. La cosa che più sorprende, peraltro, è l'atteggiamento contraddittorio assunto in generale dai vertici rispetto alla questione. Per quanto riguarda Taranto, le segnalazioni di maltrattamenti solo in pochi casi indicavano nell'hotspot il luogo in cui si sono materialmente verificati, in altri casi sarebbero avvenuti in altri luoghi. Questo elemento, unito alle testimonianze riportate in altri centri, indurrebbe a non escludere che nel caso si intenda procedere con la forza verso i migranti, essi verrebbero condotti fuori dalle strutture in cui vengono identificati. Per quanto riguarda ancora Taranto la descrizione dei luoghi fatta da coloro che hanno descritto maltrattamenti coincide con la conoscenza che ne ha egli stesso. La provenienza dei migranti autori delle testimonianze è prevalentemente il Sudan e ciò si può spiegare considerando il fatto che i sudanesi più facilmente desiderano sottrarsi al rilevamento delle impronte digitali in quanto essi intendono lasciare al più presto l'Italia, ed una volta identificati, in virtù del regolamento di Dublino, rischierebbero di essere ricondotti in Italia; inoltre, diversamente dai cittadini eritrei, per esempio, essi non possono essere inclusi nelle procedure europee di relocation in altri paesi.
Il professor MARCHESI informa che ancora i contatti con il Ministero dell'interno non sono ripresi, ma ci si augura di poter procedere in tal senso al più presto.
Il presidente MANCONI ringrazia le personalità presenti in audizione e i senatori e dichiara conclusa la procedura informativa.
Il seguito dell'indagine conoscitiva è pertanto rinviato.
La seduta termina alle ore 14,35.