Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ELEANOR SHARPSTON

presentate l’8 giugno 2017 (1)

Causa C490/16

A.S.

contro

Repubblica di Slovenia

[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Vrhovno sodišče Republike Slovenije (Corte Suprema della Repubblica di Slovenia)]

e

Causa C646/16

Jafari

[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Verwaltungsgerichtshof Wien (Corte suprema amministrativa, Vienna) (Austria)]

«Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Frontiere, asilo e immigrazione – Determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo di un cittadino di un paese terzo – Criteri per determinare lo Stato membro competente per l’esame di domande di protezione internazionale – Interpretazione degli articoli 12, 13 e 14 del regolamento (UE) n. 604/2013 – Interpretazione dell’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), del regolamento (CE) n. 562/2006»






 Introduzione

1.        Se si osserva una carta geografica dell’Europa e le si sovrappone una carta geografica dell’Unione europea, evidenziando accuratamente le frontiere esterne dell’UE, emergono talune verità ovvie. Vi è un’estesa frontiera terrestre ad est che corre lungo nove Stati membri dell’UE (2). Spostandosi verso i Balcani la geografia – è così la storia – si complica leggermente (3). Il punto essenziale da sottolineare è che un «ponte di terra» collega direttamente la Turchia all’Unione europea. A sud del territorio dell’Unione europea si estende il Mediterraneo – attraversabile su imbarcazioni improvvisate se le condizioni del proprio paese d’origine sono così terribili da indurre a tentare quest’avventura disperata. I valichi di frontiera più vicini portano ad approdi in Grecia, Malta o Italia – o, all’estremità occidentale, in Spagna. I confini orientali e sud-orientali dell’Unione europea, pertanto, sono potenzialmente aperti alla migrazione via terra (4), mentre il confine meridionale è potenzialmente aperto alla migrazione attraverso il Mediterraneo.

2.        Il margine occidentale dell’Unione europea è significativamente meno aperto la migrazione. Qui si estende, in primo luogo, la costa atlantica lungo l’intero margine occidentale del territorio dell’Unione europea. Poi, verso nord, vi è ancora mare – il mare d’Irlanda, il canale della Manica e il mare del Nord (5); lo Skagerrak (6), il Kattegat e il mar Baltico (7). Oltre al mar Baltico lungo la frontiera meridionale, la Svezia ha una frontiera terrestre a nord con il suo paese limitrofo, la Norvegia. La Finlandia ha sia frontiere marittime (8) sia frontiere terrestri (9). Ad occidente e a settentrione, pertanto, la geografia e il clima si combinano rendendo la migrazione molto più difficoltosa.

3.        Il «sistema di Dublino» (10) non prende le mosse dalla carta geografica dell’Europa che ho appena descritto. Al contrario, esso presuppone implicitamente che tutti i richiedenti protezione internazionale arriveranno per via aerea. Qualora lo facessero, ci si avvicinerebbe in linea teorica alle stesse possibilità che (in termini molto approssimativi) gli stessi numeri di richiedenti arrivino in ciascuno dei 28 Stati membri (11). In un siffatto contesto il sistema realizzato appare estremamente sensato.

4.        Un altro elemento essenziale del sistema di Dublino è che esso è incentrato sul singolo richiedente protezione internazionale. È questo richiedente singolo [come definito nell’articolo 2, lettera c), del regolamento Dublino III] che diviene oggetto di valutazione secondo i criteri enunciati al capo III per stabilire quale sia lo Stato membro competente per l’esame della sua domanda di protezione internazionale. L’intero regolamento è articolato sulla singola persona. Ciò è senz’altro corretto e opportuno. Gli esseri umani che cercano protezione non sono statistiche; essi devono essere trattati umanamente e nel rispetto dei propri diritti fondamentali. In tempi normali l’attuazione dell’approccio sancito nel regolamento Dublino III potrebbe richiedere coordinamento e cooperazione amministrativi fra le autorità competenti di diversi Stati membri, ma ciò non presenta difficoltà intrinseche o insormontabili.

5.        Fra settembre 2015 e marzo 2016 i tempi sono stati tutt’altro che «normali».

6.        Ecco come il vicepresidente della Commissione europea ha descritto la causa profonda dell’improvvisa e travolgente ondata migratoria verso l’Unione europea:

«Sulla terra si è scatenato l’inferno: si chiama Siria. Il fatto che milioni di persone cerchino di fuggire da quell’inferno è comprensibile. Anche il fatto che cerchino di restare il più vicino possibile alle loro case è comprensibile. Ed è ovvio che, se ciò non è possibile, esse cerchino rifugio altrove (...) Un numero sempre crescente di persone è in fuga. La situazione nei paesi limitrofi offre poca, o talvolta nessuna, speranza. Così la gente cerca un rifugio sicuro [attraverso la Turchia, che da sola accoglie più di due milioni di rifugiati] in Europa. Il problema non si risolverà da solo. L’afflusso di rifugiati non si fermerà fintanto che la guerra continui. Occorre fare molto di più per porre fine a questo conflitto, e l’intero mondo sarà coinvolto. Nel frattempo dobbiamo cercare con ogni mezzo di gestire il flusso di rifugiati, di offrire alle persone un posto sicuro per soggiornare, nella regione, nell’UE e nel resto del mondo» (12).

7.        Moltitudini di profughi siriani, pertanto, hanno ingrossato le fila di coloro che già erano diretti verso l’Unione europea, provenendo dagli angoli del pianeta in cui infuria la guerra o la carestia (13): dall’Afghanistan e dall’Iraq. Le terribili tragedie del mare relative a gommoni sovraccarichi e precari, affondati durante la traversata del Mediterraneo nei mesi estivi del 2015, sono state oggetto della maggiore attenzione mediatica. Ma vi era una seconda, e molto importante, rotta migratoria via terra verso l’Unione europea: «la rotta dei Balcani occidentali».

8.        La suddetta rotta comportava un viaggio via mare e/o via terra dalla Turchia in direzione occidentale verso la Grecia e poi attraverso i Balcani occidentali. Le persone si spostavano principalmente attraverso l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia, la Serbia, la Croazia, l’Ungheria e la Slovenia (14). La rotta ha iniziato a diventare un corridoio popolare verso l’UE nel 2012, quando le restrizioni dei visti Schengen sono state snellite per cinque paesi balcanici – Albania, Bosnia‑Erzegovina, Montenegro, Serbia ed ex Repubblica jugoslava di Macedonia. Fino a marzo 2016 molte persone, pertanto, hanno potuto viaggiare lungo un’unica rotta principale che portava dalla Turchia alla Grecia e poi, in direzione nord, attraverso i Balcani occidentali (15).

9.        Coloro che viaggiavano lungo la rotta dei Balcani occidentali non intendevano soggiornare nei paesi che erano costretti ad attraversare per raggiungere la loro destinazione d’elezione. Neanche i suddetti paesi desideravano che queste persone rimanessero. Le autorità dell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia e della Serbia hanno fornito mezzi di trasporto (pagati dalle persone che ne usufruivano) (16) e hanno permesso alle persone che utilizzavano la rotta di varcare la frontiera con la Croazia, soprattutto dopo la chiusura della frontiera con l’Ungheria. Anche le autorità croate e slovene hanno fornito i mezzi di trasporto (questa volta gratis) e hanno permesso alle persone di varcare le rispettive frontiere in direzione Austria e Germania. La politica degli Stati dei Balcani occidentali, consistente nel consentire a questi cittadini dei paesi terzi di entrare nel proprio territorio e fornire facilitazioni, come mezzi di trasporto per portarli alla frontiera verso la loro destinazione d’elezione, è stata descritta come politica del «lasciar passare» o «permissiva».

10.      Il 27 maggio 2015 la Commissione ha proposto, fra l’altro, una decisione del Consiglio basata sull’articolo 78, paragrafo 3, TFUE finalizzata a istituire un meccanismo di emergenza per assistere principalmente l’Italia e la Grecia, in quanto questi paesi erano solitamente i primi Stati membri d’ingresso e, pertanto, dovevano affrontare un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi. Si è trattato della prima proposta effettuata per dare attuazione alla suddetta disposizione. Il 14 settembre 2015 il Consiglio ha adottato una decisione sulla base di tale proposta (17), osservando che la specifica situazione della Grecia e dell’Italia comportava implicazioni in altre regioni geografiche, come la «rotta migratoria dei Balcani occidentali» (18). Fra le finalità della decisione 2015/1523 vi era la ricollocazione dei richiedenti protezione internazionale che presentavano domande di asilo in uno dei suddetti Stati. Un altro obiettivo consisteva nel consentire la sospensione temporanea della vigenza delle disposizioni contenute nel regolamento Dublino III, precipuamente il criterio che attribuiva la competenza per l’esame delle domande di protezione internazionale allo Stato membro di primo ingresso nel caso in cui il richiedente avesse attraversato illegalmente la frontiera provenendo da un paese terzo. Lo scopo dichiarato del provvedimento era la ricollocazione in altri Stati membri di 40 000 richiedenti entro due anni. La decisione è stata adottata con voto unanime.

11.      Nell’arco di una settimana il Consiglio ha adottato una seconda decisione che istitutiva un piano di ricollocazione per 120 000 cittadini di paesi terzi che richiedevano protezione internazionale (19). La decisione 2015/1601, inoltre, ha introdotto un metodo di distribuzione indicando le modalità con cui i cittadini dei paesi terzi interessati dovevano essere collocati negli Stati membri (20). Detta decisione era controversa sotto il profilo politico ed è stata adottata con un voto a maggioranza qualificata (21). Il 25 ottobre 2015 si è svolta una riunione ad alto livello su invito del presidente della Commissione, che ha visto la partecipazione di Stati sia UE che extra-UE (22). I partecipanti hanno concordato una serie di misure (enunciate in una «dichiarazione») al fine di migliorare la cooperazione e stabilire consultazioni fra i paesi lungo la rotta dei Balcani occidentali. Essi hanno anche deciso misure (da attuarsi immediatamente) finalizzate a limitare i movimenti secondari, fornire strutture di ricovero per i cittadini di paesi terzi, gestire le frontiere e combattere il traffico e la tratta (23). Né la specifica base giuridica di detti provvedimenti né il loro specifico effetto giuridico sono chiari (24).

12.      Nel frattempo, il 21 agosto 2015 è stato affermato sulla stampa che la Germania aveva «esentato» i cittadini siriani dal regolamento Dublino III (25). Nel settembre 2015 detto paese ha ripristinato i controlli di frontiera con l’Austria dopo avere accolto centinaia di migliaia di persone in pochi giorni, e ha eliminato la cosiddetta «esenzione» nel novembre 2015.

13.      Il 15 settembre 2015 l’Ungheria ha chiuso la propria frontiera con la Serbia. Una conseguenza della chiusura è stato il dirottamento di un massiccio flusso di persone verso la Slovenia. Il 16 ottobre 2015 l’Ungheria ha costruito una recinzione lungo la propria frontiera con la Croazia. Fra novembre 2015 e febbraio 2016 l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia ha costruito una recinzione lungo la propria frontiera con la Grecia.

14.      Alla fine di ottobre 2015 circa 700 000 persone avevano viaggiato lungo la rotta dei Balcani occidentali dalla Grecia all’Europa centrale. I numeri sono stati descritti in vario modo come «inediti», un «afflusso massiccio» e «eccezionali». Le statistiche relative agli ingressi e alle registrazioni variano fra i paesi lungo la rotta. Gli arrivi quotidiani in Serbia sono stati pari a circa 10 000 (ottobre) e 5 000 (novembre) (26).

15.      L’11 novembre 2015 la Slovenia ha cominciato a costruire una recinzione lungo la propria frontiera con la Croazia. Nel dicembre 2015 l’Austria ha costruito una recinzione presso il principale valico di frontiera con la Slovenia. Nel frattempo, il 16 settembre 2015 l’Austria aveva reintrodotto temporaneamente i controlli presso le frontiere interne.

16.      Il 14 febbraio 2016 l’Austria ha annunciato che avrebbe ammesso esclusivamente persone provenienti dall’Afghanistan, l’Iraq e la Siria. Il 18 febbraio 2016 i responsabili di vari servizi di polizia hanno tenuto un incontro a Zagabria e hanno rilasciato una dichiarazione (27). La politica di lasciar passare le persone attraverso gli Stati dei Balcani occidentali è ha avuto termine quando l’Austria ha modificato la propria politica liberale di asilo (ossia nel febbraio 2016).

17.      Per quanto riguarda altri Stati, la Francia ha reintrodotto temporaneamente i controlli alle frontiere interne fra luglio 2016 e gennaio 2017. La Danimarca ha adottato un’iniziativa analoga, prorogando poi i controlli dal 4 gennaio 2016 al 12 novembre 2016. La Norvegia ha reintrodotto i controlli alle frontiere interne dal 26 novembre 2015 all’11 febbraio 2017 e la Svezia ha adottato misure di natura analoga dal 12 novembre 2015 all’11 novembre 2016.

18.      La mera entità numerica delle persone che hanno viaggiato lungo la rotta dei Balcani occidentali in un arco di tempo relativamente breve fra la fine del 2015 e l’inizio del 2016 accompagnata dalle conseguenti difficoltà politiche sono comunemente descritti in modo succinto come «la crisi dei rifugiati» o «la crisi umanitaria» nei Balcani occidentali. Si è trattato del più imponente movimento di massa di persone attraverso l’Europa dalla Seconda guerra mondiale. Queste sono le circostanze assolutamente straordinarie che caratterizzano il contesto delle due domande di pronuncia pregiudiziale oggetto di analisi.

 Diritto internazionale

 La Convenzione di Ginevra

19.      L’articolo 31, paragrafo 1, della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati (28) fa divieto di applicare sanzioni penali per ingresso o soggiorno irregolare a quei rifugiati che, fuggiti da un Paese in cui la loro vita o la loro libertà era minacciata, si trovano in uno Stato senza autorizzazione, purché si presentino senza indugio alle autorità e giustifichino con motivi validi il loro ingresso o il loro soggiorno irregolare. Ai sensi dell’articolo 31, paragrafo 2, gli Stati limitano gli spostamenti di tali rifugiati nel loro territorio soltanto nella misura necessaria. Le limitazioni devono essere applicate solo fintanto che lo status di rifugiato venga regolarizzato o che essi riescano a farsi ammettere in un altro paese. Gli Stati devono concedere ai rifugiati un termine adeguato e le facilitazioni necessarie affinché possano ottenere il permesso di ingresso in un altro paese.

 La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

20.      L’articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (29) stabilisce che nessuno può essere sottoposto a pene o trattamenti inumani o degradanti.

 Legislazione UE

 La Carta

21.      L’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (30) corrisponde all’articolo 3 della CEDU. L’articolo 18 della Carta garantisce il diritto d’asilo nel rispetto delle norme stabilite dalla Convenzione di Ginevra.

 Il sistema di Dublino

 Il regolamento Dublino III

22.      Le norme che disciplinano l’ambito di applicazione territoriale del regolamento Dublino III sono complesse. Il suo predecessore, il regolamento Dublino II, si applicava in Danimarca a partire dal 2006 in forza dell’accordo tra la Comunità europea e il Regno di Danimarca in merito ai criteri e ai meccanismi di determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in Danimarca oppure in uno degli altri Stati membri dell’Unione europea e in merito a «Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione della Convenzione di Dublino (31). Non vi è un accordo corrispondente in relazione al regolamento Dublino III. Ai sensi dell’articolo 3 e dell’articolo 4 bis, paragrafo 1, del protocollo n. 21 sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda rispetto allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, allegato al TUE e al TFUE, tali Stati membri hanno notificato la loro volontà di prendere parte all’adozione e all’applicazione del regolamento Dublino III. Il regolamento si applica ad altri Stati membri dell’UE nel modo ordinario, senza riserve.

23.      In base all’accordo tra la Comunità europea e la Confederazione Svizzera relativo ai criteri e ai meccanismi che permettono di determinare lo Stato competente per l’esame di una domanda di asilo introdotta in uno degli Stati membri o in Svizzera, il regolamento Dublino III si applica a detto Stato (32).

24.      Il preambolo del regolamento Dublino III comprende le seguenti dichiarazioni.

–        Il sistema europeo comune di asilo (in prosieguo: il «CEAS») rientra nell’obiettivo dell’Unione europea di istituire progressivamente uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia aperto a quanti, spinti dalle circostanze, cercano legittimamente protezione nell’Unione europea. Esso si basa sulla piena e completa applicazione della Convenzione di Ginevra. Il CEAS dovrebbe prevedere a breve termine un meccanismo per determinare con chiarezza e praticità lo Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale (33).

–        Tale meccanismo dovrebbe essere fondato su criteri oggettivi ed equi sia per gli Stati membri sia per le persone interessate. Dovrebbe, soprattutto, consentire di determinare con rapidità lo Stato membro competente al fine di garantire l’effettivo accesso alle procedure volte al riconoscimento della protezione internazionale e non dovrebbe pregiudicare l’obiettivo di un rapido espletamento delle domande di protezione internazionale (34).

–        Il sistema di Dublino è una pietra miliare del CEAS poiché ripartisce con chiarezza tra gli Stati membri la competenza per l’esame delle domande di protezione internazionale (35).

–        Nell’applicare il sistema di Dublino è necessario tenere conto delle disposizioni dell’acquis dell’UE in materia di asilo (36).

–        La tutela dell’interesse superiore del minore e il rispetto per la vita familiare costituiscono criteri fondamentali nell’applicazione del regolamento Dublino III (37). Il trattamento congiunto di domande di protezione internazionale degli appartenenti alla stessa famiglia da parte di un unico Stato membro è coerente con il rispetto del principio dell’unità familiare (38).

–        Al fine di assicurare una protezione efficace dei diritti degli interessati, si dovrebbero stabilire garanzie giuridiche e il diritto a un ricorso effettivo avverso le decisioni relative ai trasferimenti verso lo Stato membro competente, ai sensi, in particolare, dell’articolo 47 della Carta. Al fine di garantire il rispetto del diritto internazionale è opportuno che un ricorso effettivo avverso tali decisioni verta tanto sull’esame dell’applicazione del presente regolamento quanto sull’esame della situazione giuridica e fattuale dello Stato membro in cui il richiedente è trasferito. (39)

–        La progressiva instaurazione di uno spazio senza frontiere interne, entro il quale è garantita la libera circolazione delle persone in forza del TFUE e la definizione di politiche dell’Unione relative alle condizioni di ingresso e di soggiorno dei cittadini dei paesi terzi, compresi gli sforzi comuni per la gestione delle frontiere esterne, rende necessario instaurare un equilibrio tra i criteri di competenza in uno spirito di solidarietà (40).

–        Per quanto riguarda il trattamento di persone che rientrano nell’ambito di applicazione del regolamento Dublino III, gli Stati membri sono vincolati dagli obblighi che a essi derivano dagli strumenti giuridici internazionali, compresa la pertinente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (41).

–        Il regolamento Dublino III rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente nella Carta (42).

25.      Come indica l’articolo 1, il regolamento Dublino III «stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (“Stato membro competente”)».

26.      All’articolo 2 figurano le seguenti definizioni:

«a) “cittadino di un paese terzo”: qualsiasi persona che non è un cittadino dell’Unione ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 1, TFUE e che non è un cittadino di uno Stato che partecipa al [regolamento Dublino III] in virtù di un accordo con l’Unione europea;

b)      “domanda di protezione internazionale”: la domanda di protezione internazionale quale definita all’articolo 2, lettera h), della [direttiva qualifiche];

c)      “richiedente”: il cittadino di paese terzo o l’apolide che abbia manifestato la volontà di chiedere la protezione internazionale sulla quale non è stata ancora adottata una decisione definitiva;

d)       “esame di una domanda di protezione internazionale”: l’insieme delle misure d’esame, le decisioni o le sentenze pronunciate dalle autorità competenti su una domanda di protezione internazionale conformemente alla [direttiva procedure] e alla [direttiva qualifiche] ad eccezione delle procedure volte a determinare quale sia lo Stato competente in applicazione del [regolamento Dublino III];

(...)

l)      “titolo di soggiorno”: qualsiasi permesso rilasciato dalle autorità di uno Stato membro che autorizza il soggiorno di un cittadino di un paese terzo o di un apolide nel suo territorio, compresi i documenti che consentono all’interessato di soggiornare nel territorio nazionale nell’ambito di un regime di protezione temporanea o fino a quando avranno termine le circostanze che ostano all’esecuzione di un provvedimento di allontanamento, ad eccezione dei visti e delle autorizzazioni di soggiorno rilasciati nel periodo necessario a determinare lo Stato membro competente ai sensi del presente regolamento o durante l’esame di una domanda di protezione internazionale o di una richiesta di permesso di soggiorno;

m)      “visto”: l’autorizzazione o la decisione di uno Stato membro necessaria per il transito o per l’ingresso ai fini di soggiorno in tale Stato membro o in diversi Stati membri. La natura del visto è illustrata dalle seguenti definizioni:

–      “visto per soggiorno di lunga durata”: l’autorizzazione o la decisione, emessa da uno degli Stati membri conformemente al suo diritto interno o al diritto dell’Unione, necessaria per l’ingresso ai fini di un soggiorno nel territorio di tale Stato membro per una durata superiore ai tre mesi,

–      “visto per soggiorno di breve durata”: l’autorizzazione o la decisione emessa da uno Stato membro ai fini del transito o di un soggiorno previsto nel territorio di uno o più o tutti gli Stati membri la cui durata non sia superiore a tre mesi su un periodo di sei mesi a decorrere dalla data del primo ingresso nel territorio degli Stati membri,

–      “visto di transito aeroportuale”: visto valido per il transito nelle zone internazionali di transito di uno o più aeroporti degli Stati membri;

(...)».

27.      Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, gli Stati membri devono esaminare qualsiasi domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide sul territorio di qualunque Stato membro, compreso alla frontiera e nelle zone di transito. Una siffatta domanda deve essere esaminata da un solo Stato membro, che è quello individuato come Stato competente in base ai criteri enunciati al capo III.

28.      L’articolo 3, paragrafo 2, dispone quanto segue:

«Quando lo Stato membro competente non può essere designato sulla base dei criteri enumerati nel presente regolamento, è competente il primo Stato membro nel quale la domanda è stata presentata.

Qualora sia impossibile trasferire un richiedente verso lo Stato membro inizialmente designato come competente in quanto si hanno fondati motivi di ritenere che sussistono carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti in tale Stato membro, che implichino il rischio di un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della [Carta], lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione dello Stato membro competente prosegue l’esame dei criteri di cui al capo III per verificare se un altro Stato membro possa essere designato come competente.

Qualora non sia possibile eseguire il trasferimento a norma del presente paragrafo verso uno Stato membro designato in base ai criteri di cui al capo III o verso il primo Stato membro in cui la domanda è stata presentata, lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione diventa lo Stato membro competente».

29.      I criteri per determinare lo Stato membro competente (ai fini dell’articolo 1) sono stabiliti al capo III (in prosieguo: i «criteri di cui al capo III»). L’articolo 7, paragrafo 1, stabilisce che i criteri devono essere applicati nell’ordine gerarchico stabilito in detto capo. La determinazione dello Stato membro competente avviene sulla base della situazione esistente al momento in cui il richiedente ha presentato domanda di protezione internazionale per la prima volta in uno Stato membro, come stabilito all’articolo 7, paragrafo 2. Al vertice della gerarchia vi sono i criteri relativi ai minori (articolo 8) e ai familiari (articoli 9, 10 e 11). Detti criteri non vengono direttamente in questione in nessuno dei due procedimenti principali (43).

30.      Al livello gerarchico successivo si trova il criterio relativo al rilascio di titoli di soggiorno o visti, di cui all’articolo 12, che ne stabilisce le condizioni di applicazione. Ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, se il richiedente è titolare di un titolo di soggiorno in corso di validità, lo Stato membro competente per l’esame della domanda di protezione internazionale è quello che ha rilasciato tale titolo. A norma dell’articolo 12, paragrafo 2, se il richiedente è titolare di un visto in corso di validità, lo Stato membro competente per l’esame della domanda di protezione internazionale è quello che ha rilasciato il visto, a meno che il visto non sia stato rilasciato per conto di un altro Stato membro nel quadro di un accordo di rappresentanza ai sensi dell’articolo 8 del regolamento (CE) n. 810/2009 (44). In tal caso, l’esame della domanda di protezione internazionale compete allo Stato membro rappresentato.

31.      L’articolo 13 è rubricato «Ingresso e/o soggiorno». L’articolo 13, paragrafo 1, dispone quanto segue:

«Quando è accertato, sulla base degli elementi di prova e delle circostanze indiziarie di cui ai due elenchi menzionati all’articolo 22, paragrafo 3, del presente regolamento, inclusi i dati di cui al regolamento (UE) n. 603/2013 [(45)], che il richiedente ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale. Detta responsabilità cessa 12 mesi dopo la data di attraversamento clandestino della frontiera».

32.      Il penultimo criterio, enunciato all’articolo 14, riguarda l’«ingresso con esenzione dal visto». Questo è così formulato:

«1. Se un cittadino di un paese terzo o un apolide entra nel territorio di uno Stato membro in cui è dispensato dal visto, l’esame della domanda di protezione internazionale compete in questo caso a tale Stato membro.

2. Il principio di cui al paragrafo 1 non si applica se il cittadino di un paese terzo o l’apolide presenta la domanda di protezione internazionale in un altro Stato membro in cui è parimenti dispensato dal visto per l’ingresso nel suo territorio. In questo caso tale altro Stato membro è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale».

33.      Il criterio finale (articolo 15) riguarda le domande di protezione internazionale presentate in una zona internazionale di transito di un aeroporto e non è pertinente ai presenti rinvii pregiudiziali.

34.      Ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, gli Stati membri hanno la facoltà di derogare all’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento Dublino III e decidere di esaminare una domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo, anche se tale esame non compete allo Stato membro interessato.

35.      Il capo V contiene gli obblighi incombenti allo «Stato membro competente». Nell’ambito di detto capo, l’articolo 18 elenca taluni obblighi, che comprendono la presa in carico di un richiedente che abbia presentato una domanda in un altro Stato membro [articolo 18, paragrafo 1, lettera a)] o la ripresa in carico di un richiedente la cui domanda sia in corso di esame o che abbia presentato domanda in un altro Stato membro oppure che si trovi nel territorio di un altro Stato membro senza un titolo di soggiorno [articolo 18, paragrafo 1, lettera b)].

36.      L’articolo 20, paragrafo 1, dispone che la procedura di determinazione dello Stato membro competente deve essere avviata non appena una domanda di protezione internazionale è presentata per la prima volta in uno Stato membro. Le domande di protezione internazionale si considerano presentate non appena le autorità competenti dello Stato membro interessato ricevono un formulario presentato dal richiedente o un verbale redatto dalle autorità, secondo quanto stabilito dall’articolo 20, paragrafo 2 (46).

37.      A termini dell’articolo 21, lo Stato membro che ha ricevuto una domanda di protezione internazionale e ritiene che un altro Stato membro sia competente per l’esame della stessa può chiedere a tale Stato membro di prendere in carico il richiedente quanto prima e, al più tardi, entro tre mesi dopo la presentazione della domanda ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2. Ai sensi dell’articolo 22, paragrafo 1 (47), lo Stato membro richiesto procede alle verifiche necessarie e delibera sulla richiesta di presa in carico di un richiedente entro due mesi a decorrere dal ricevimento di detta richiesta. L’articolo 22, paragrafo 7, stabilisce che la mancata risposta entro la suddetta scadenza equivale all’accettazione della richiesta (48).

38.      Ai sensi dell’articolo 23, una richiesta di ripresa incarico di un richiedente che presenta una nuova domanda di protezione internazionale deve essere del pari presentata quanto prima. In virtù dell’articolo 25, lo Stato membro richiesto deve rispondere quanto prima – entro il termine di un mese dalla data in cui perviene la richiesta. Ai sensi dell’articolo 25, paragrafo 2, l’assenza di risposta equivale all’accettazione della richiesta.

39.      Agli articoli 26 e 27 sono stabilite talune garanzie procedurali. Il primo stabilisce che quando lo Stato membro richiesto accetta di prendere o riprendere in carico un richiedente, lo Stato membro richiedente deve notificare all’interessato la decisione di trasferirlo verso lo Stato membro competente. Detta decisione deve contenere informazioni sui mezzi di impugnazione disponibili.

40.      Ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, i richiedenti hanno diritto ad un ricorso effettivo avverso una decisione di trasferimento, o a una revisione della medesima, in fatto e in diritto, dinanzi a un organo giurisdizionale.

41.      L’articolo 29 così stabilisce:

«1. Il trasferimento del richiedente o di altra persona ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera c) o d), dallo Stato membro richiedente verso lo Stato membro competente avviene conformemente al diritto nazionale dello Stato membro richiedente, previa concertazione tra gli Stati membri interessati, non appena ciò sia materialmente possibile e comunque entro sei mesi a decorrere dall’accettazione della richiesta di un altro Stato membro di prendere o riprendere in carico l’interessato, o della decisione definitiva su un ricorso o una revisione in caso di effetto sospensivo ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 3.

(...)

2. Se il trasferimento non avviene entro il termine di sei mesi, lo Stato membro competente è liberato dall’obbligo di prendere o riprendere in carico l’interessato e la competenza è trasferita allo Stato membro richiedente. Questo termine può essere prorogato fino a un massimo di un anno se non è stato possibile effettuare il trasferimento a causa della detenzione dell’interessato, o fino a un massimo di diciotto mesi qualora questi sia fuggito.

(...)»(49).

42.      L’articolo 33 è rubricato «Meccanismo di allerta rapido, di preparazione e di gestione delle crisi». L’articolo 33, paragrafo 1, dispone quanto segue: «Qualora, sulla base in particolare delle informazioni ottenute dall’[Ufficio europeo di sostegno per l’asilo: “l’EASO”] a norma del regolamento (UE) n. 439/2010 [(50)], la Commissione stabilisca che l’applicazione del presente regolamento può essere ostacolata da un rischio comprovato di speciale pressione sul sistema di asilo di uno Stato membro e/o da problemi nel funzionamento del sistema di asilo di uno Stato membro, in cooperazione con l’[EASO], rivolge raccomandazioni a tale Stato membro invitandolo a redigere un piano d’azione preventivo.

(...)».

 Norme di attuazione del regolamento Dublino III

43.      Il regolamento (UE) n. 603/2013 (51) ha istituito il sistema Eurodac. Il suo obiettivo è aiutare a stabilire quale sia, a norma del regolamento Dublino III, lo Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno Stato membro da un cittadino di un paese terzo.

44.      L’allegato II del regolamento di esecuzione (UE) n. 118/2014 della Commissione, recante modalità di applicazione del regolamento Dublino III (52) contiene due elenchi che indicano gli elementi di prova per determinare lo Stato membro competente ai fini del regolamento Dublino III. L’elenco «A» riguarda le prove formali che determinano la competenza finché non siano confutate da prove contrarie. L’elenco «B» si riferisce alle prove indiziarie: elementi indicativi che, pur confutabili, potrebbero essere sufficienti in determinate circostanze per determinare la competenza.

 Schengen

45.      In una forma o nell’altra, la libera circolazione fra paesi europei è una realtà esistente sin dal Medioevo (53). L’Accordo di Schengen, firmato il 14 giugno 1985, ha previsto la graduale abolizione delle frontiere interne e ha istituito il controllo delle frontiere esterne degli Stati firmatari. Il 19 giugno 1990 è stata firmata la Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen (54). La Convenzione ha disciplinato aspetti quali l’organizzazione e la gestione della frontiera esterna e l’abolizione dei controlli alle frontiere interne, le procedure per il rilascio di un visto uniforme e l’operatività di una base di dati unica per tutti i membri (il Sistema d’informazione Schengen; in prosieguo: il «SIS»), nonché la creazione di uno strumento di cooperazione fra i servizi immigrazione dei membri. Le suddette materie sono state ricondotte nel quadro dell’acquis dell’UE dal Trattato di Amsterdam. Non tutti i 28 Stati membri dell’UE partecipano pienamente all’acquis di Schengen (55). Vi sono degli accordi particolari per l’Irlanda e il Regno Unito (56).

 Il codice frontiere Schengen

46.      Nei considerando del codice frontiere Schengen (57) figurano le seguenti dichiarazioni pertinenti. La creazione di uno spazio di libera circolazione delle persone deve essere accompagnata da altre misure, quali una politica comune in materia di attraversamento delle frontiere esterne (58). A tale riguardo, la realizzazione di un corpus legislativo comune è una delle componenti essenziali della politica comune di gestione delle frontiere esterne (59). Il controllo di frontiera è nell’interesse non solo dello Stato membro alle cui frontiere esterne viene effettuato, ma di tutti gli Stati membri che hanno abolito il controllo di frontiera interno.

47.      I considerando affermano poi che i controlli di frontiera dovrebbero contribuire alla lotta contro l’immigrazione clandestina e la tratta degli esseri umani, nonché alla prevenzione di qualunque minaccia per la sicurezza interna, l’ordine pubblico, la salute pubblica e le relazioni internazionali degli Stati membri (60). Le verifiche di frontiera dovrebbero essere effettuate nel pieno rispetto della dignità umana. Il controllo di frontiera dovrebbe essere eseguito in modo professionale e rispettoso ed essere proporzionato agli obiettivi perseguiti (61). Esso comprende non soltanto le verifiche sulle persone ai valichi di frontiera e la sorveglianza tra tali valichi, ma anche l’analisi dei rischi per la sicurezza interna e l’analisi delle minacce che possono pregiudicare la sicurezza delle frontiere esterne. È pertanto necessario stabilire le condizioni, i criteri e le regole dettagliate volte a disciplinare sia le verifiche ai valichi di frontiera sia la sorveglianza (62). Al fine di evitare eccessivi tempi di attesa ai valichi di frontiera occorrerebbe prevedere, in presenza di circostanze eccezionali ed imprevedibili, possibilità di snellimento delle verifiche alle frontiere esterne. Sebbene le verifiche di frontiera siano snellite, tuttavia, l’apposizione sistematica di un timbro sui documenti dei cittadini di paesi terzi rimane un obbligo. L’apposizione del timbro consente di determinare con certezza la data e il luogo dell’attraversamento della frontiera, senza accertare in tutti i casi se siano state eseguite tutte le misure di controllo dei documenti di viaggio prescritte (63).

48.      L’articolo 1 enuncia efficacemente il duplice obiettivo del codice frontiere Schengen. In primo luogo, esso prevede l’assenza del controllo di frontiera sulle persone che attraversano le frontiere tra gli Stati membri partecipanti. In secondo luogo, esso stabilisce le norme applicabili al controllo di frontiera sulle persone che attraversano la frontiera esterna degli Stati membri dell’Unione europea.

49.      All’articolo 2 sono enunciate le seguenti definizioni:

«(...)

2. “frontiere esterne”: le frontiere terrestri, comprese quelle fluviali e lacustri, le frontiere marittime e gli aeroporti, i porti fluviali, marittimi e lacustri degli Stati membri, che non siano frontiere interne;

(...)

5. “beneficiari del diritto alla libera circolazione ai sensi del diritto unionale”:

a)      i cittadini dell’Unione ai sensi dell’[articolo 20, paragrafo 1, TFUE], nonché i cittadini di paesi terzi familiari di un cittadino dell’Unione che esercita il suo diritto alla libera circolazione sul territorio dell’Unione europea, ai quali si applica la direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio [(64)];

b)      i cittadini di paesi terzi e i loro familiari, qualunque sia la loro nazionalità, che, in virtù di accordi conclusi tra l’Unione e i suoi Stati membri, da un lato, e tali paesi terzi, dall’altro, beneficiano di diritti in materia di libera circolazione equivalenti a quelli dei cittadini dell’Unione;

6. “cittadino di paese terzo”: chi non è cittadino dell’Unione ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 1, del trattato e non è contemplato dal punto 5 [dell’articolo 2];

7. “persona segnalata ai fini della non ammissione”: qualsiasi cittadino di paese terzo segnalato nel sistema d’informazione Schengen (SIS) ai sensi e per gli effetti dell’articolo 96 della [CAAS];

8. “valico di frontiera” ogni valico autorizzato dalle autorità competenti per il passaggio delle frontiere esterne;

(...)

9. “controllo di frontiera”: l’attività svolta alla frontiera, in conformità e per gli effetti del presente regolamento, in risposta esclusivamente all’intenzione di attraversare la frontiera o al suo effettivo attraversamento e indipendentemente da qualunque altra ragione, e che consiste in verifiche di frontiera e nella sorveglianza di frontiera;

10. “verifiche di frontiera”: le verifiche effettuate ai valichi di frontiera al fine di accertare che le persone, compresi i loro mezzi di trasporto e gli oggetti in loro possesso, possano essere autorizzati ad entrare nel territorio degli Stati membri o autorizzati a lasciarlo;

11. “sorveglianza di frontiera”: la sorveglianza delle frontiere tra i valichi di frontiera e la sorveglianza dei valichi di frontiera al di fuori degli orari di apertura stabiliti, allo scopo di evitare che le persone eludano le verifiche di frontiera;

(...)

13. “guardia di frontiera”: il pubblico ufficiale assegnato, conformemente alla legislazione nazionale, ad un valico di frontiera oppure lungo la frontiera o nelle immediate vicinanze di quest’ultima, che assolve, in conformità del presente regolamento e della legislazione nazionale, compiti di controllo di frontiera;

(...)

15. “permesso di soggiorno”:

a)      tutti i permessi di soggiorno rilasciati dagli Stati membri secondo il modello uniforme istituito dal regolamento (CE) n. 1030/2002 del Consiglio [(65)], e le carte di soggiorno rilasciate conformemente alla direttiva 2004/38/CE;

b)      qualsiasi altro documento rilasciato da uno Stato membro a cittadini di paesi terzi che autorizzi questi ultimi a soggiornare sul suo territorio, che sia stato oggetto di una comunicazione e di una successiva pubblicazione ai sensi dell’articolo 34, a eccezione:

i)      dei permessi temporanei rilasciati in attesa dell’esame di una prima domanda di permesso di soggiorno ai sensi della lettera a) o di una domanda d’asilo, e

ii)      dei visti rilasciati dagli Stati membri secondo il modello uniforme di cui al regolamento (CE) n. 1683/95:

(...)» (66)

50.      Ai sensi dell’articolo 3, il codice frontiere Schengen è applicabile «a chiunque attraversi le frontiere interne o esterne di uno Stato membro, senza pregiudizio: a) dei diritti dei beneficiari del diritto alla libera circolazione ai sensi del diritto unionale; e b) dei diritti dei rifugiati e di coloro che richiedono protezione internazionale, in particolare per quanto concerne il non respingimento.

51.      Ai sensi dell’articolo 3 bis [non figura nella versione del regolamento citata dall’avvocato generale, bensì all’articolo 4 del regolamento 2016/399, N.d.T.], in sede di applicazione del presente regolamento, gli Stati membri agiscono nel pieno rispetto del pertinente diritto dell’UE, compresa la Carta, la Convenzione di Ginevra e i diritti fondamentali. Ciò comprende l’obbligo di adottare decisioni su base individuale.

52.      L’articolo 5 è rubricato «condizioni d’ingresso per i cittadini di paesi terzi». Ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, le condizioni per una persona il cui soggiorno previsto non è superiore a 90 giorni per semestre (67) sono le seguenti: A) essere in possesso di uno o più documenti di viaggio validi che le consentano di attraversare la frontiera; b) essere in possesso di un visto valido; c) giustificare lo scopo e le condizioni del soggiorno previsto e disporre dei mezzi di sussistenza sufficienti, sia per la durata prevista del soggiorno sia per il ritorno nel paese di origine o per il transito verso un paese terzo nel quale l’ammissione è garantita, ovvero essere in grado di ottenere legalmente detti mezzi; d) non essere segnalato nel SIS ai fini della non ammissione; ed e) non essere considerato, fra l’altro, una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza interna (68).

53.      In deroga a detti requisiti, l’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), prevede che «i cittadini di paesi terzi che non soddisfano una o più delle condizioni di cui al paragrafo 1 possono essere autorizzati da uno Stato membro ad entrare nel suo territorio per motivi umanitari o di interesse nazionale o in virtù di obblighi internazionali. Qualora il cittadino di paese terzo interessato sia oggetto di una segnalazione di cui al paragrafo 1, lettera d), lo Stato membro che ne autorizza l’ingresso nel suo territorio ne informa gli altri Stati membri».

54.      L’articolo 8 consente alle guardie di frontiera di snellire le verifiche che devono essere effettuate alla frontiera esterna in circostanze eccezionali e impreviste. Tali circostanze eccezionali ed impreviste sono considerate sussistere quando eventi imprevedibili provocano un’intensità di traffico tale da rendere eccessivi i tempi di attesa ai valichi di frontiera e sono state sfruttate tutte le risorse in termini di organizzazione, di mezzi e di personale.

55.      L’articolo 8, paragrafo 3, tuttavia, dispone che anche in caso di snellimento delle verifiche di frontiera la guardia di frontiera deve comunque timbrare i documenti di viaggio dei cittadini di paesi terzi sia in ingresso che in uscita, a norma dell’articolo 10, paragrafo 1, il quale prevede che sui documenti di viaggio dei cittadini di paesi terzi deve sistematicamente essere apposto un timbro al momento dell’ingresso e dell’uscita. I timbri devono essere apposti: a) sui documenti dei cittadini di paesi terzi che consentono di attraversare la frontiera, muniti di un visto in corso di validità; b) sui documenti che consentono di attraversare la frontiera che sono in possesso di cittadini di paesi terzi ai quali sia stato rilasciato un visto alla frontiera da uno Stato membro; e c) sui documenti che consentono di attraversare la frontiera che sono in possesso di cittadini di paesi terzi non soggetti all’obbligo del visto.

56.      L’articolo 13 stabilisce che sono respinti dal territorio degli Stati membri i cittadini di paesi terzi che non soddisfino tutte le condizioni d’ingresso previste dall’articolo 5, paragrafo 1, e non rientrino nelle categorie di persone di cui all’articolo 5, paragrafo 4. Ciò non pregiudica l’applicazione di disposizioni particolari relative al diritto d’asilo e la protezione internazionale o il rilascio di visti per soggiorno di lunga durata.

 Il SIS

57.      Il SIS è sostanzialmente un sistema di informazioni a supporto del controllo alla frontiera esterna e della cooperazione a fini di contrasto negli Stati che aderiscono al codice frontiere Schengen (in prosieguo: gli «Stati Schengen»). Il suo obiettivo principale è contribuire a preservare la sicurezza interna in detti Stati in assenza di controlli alle frontiere interne (69). Ciò è assicurato, fra l’altro, attraverso una procedura automatizzata di ricerca che fornisce accesso alle segnalazioni sulle persone ai fini dei controlli di frontiera. Con riferimento ai cittadini di paesi terzi (ossia, persone che non sono cittadini UE o cittadini di Stati che, ai sensi di accordi conclusi tra l’Unione europea e gli Stati interessati, godono di diritti in materia di libera circolazione equivalenti a quelli dei cittadini dell’Unione europea) (70), gli Stati membri devono inserire una segnalazione nel SIS ove un’autorità competente o un organo giurisdizionale adotti una decisione di diniego dell’ingresso o del soggiorno, fondata su una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza pubblica o la sicurezza nazionale che la presenza della suddetta persona può costituire (71). Le segnalazioni possono inoltre essere inserite quando siffatte decisioni sono fondate sul fatto che il cittadino di un paese terzo è stato oggetto di una misura di allontanamento, rifiuto di ingresso o espulsione non revocata né sospesa (72).

 Regolamento (CE) n. 1683/95

58.      Il regolamento (CE) n. 1683/95 del Consiglio (73) istituisce un modello uniforme (adesivo) per i visti rilasciati dagli Stati membri che devono essere conformi alle prescrizioni di cui all’allegato del regolamento. Le prescrizioni riguardano «caratteristiche di sicurezza», quali una fotografia integrata, un elemento ottico variabile, il codice alfabetico dello Stato membro emittente, la parola «visto» e il numero nazionale a nove cifre.

 Regolamento (CE) n. 539/2001

59.      L’allegato I del regolamento (CE) n. 539/2001 del Consiglio elenca i paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne e l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo (74). Sono fatti salvi gli obblighi derivanti dall’accordo europeo relativo alla soppressione dei visti ai rifugiati (75). I cittadini dei paesi terzi provenienti dagli Stati elencati all’allegato II sono esentati da detto obbligo relativamente ai visti per soggiorni di breve durata. Gli Stati membri, inoltre, hanno il diritto di prevedere deroghe all’obbligo di visto per talune categorie limitate di persone (76).

 Sistema di informazione sui visti

60.      Il Sistema di informazione sui visti (in prosieguo: il «VIS») è stato istituito dalla decisione del Consiglio 2004/512/CE (77). Ai sensi dell’articolo 1 del regolamento (CE) n. 767/2008 (78), il VIS consente agli Stati Schengen lo scambio di dati sui visti in ordine alle domande di visto per soggiorni di breve durata e alle decisioni adottate al riguardo. L’articolo 2, lettera f), stabilisce che il VIS si prefigge, tra l’altro, di agevolare l’applicazione del regolamento Dublino II. Ai sensi dell’articolo 4, un «visto» è definito rinviando alla CAAS. Una vignetta visto è riferita al formato uniforme per i visti quale definito dal regolamento n. 1683/95. L’espressione «documento di viaggio» indica il passaporto o altro documento equivalente che autorizza il titolare ad attraversare le frontiere esterne e sul quale può essere apposto un visto.

61.      L’articolo 21 dispone che, ai soli fini della determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo, laddove ciò comporti di accertare se uno Stato membro abbia rilasciato un visto o se il richiedente protezione internazionale abbia «varcato irregolarmente la frontiera di uno Stato membro» (a termini degli odierni articoli 12 e 13 del regolamento Dublino III, rispettivamente), le autorità competenti devono essere abilitate a eseguire interrogazioni nella base di dati confrontando le impronte digitali del richiedente asilo interessato.

 Regolamento n. 810/2009.

62.      Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 810/2009, quest’ultimo è diretto a fissare le procedure e le condizioni per il rilascio dei visti di transito o per soggiorni previsti sul territorio degli Stati membri non superiori a 90 giorni su un periodo di 180 giorni. I requisiti valgono per qualsiasi cittadino di un paese terzo che deve essere titolare di un visto valido al momento dell’attraversamento delle frontiere esterne di uno Stato membro.

63.      L’articolo 2 definisce cittadino di paesi terzi chi non è cittadino dell’Unione europea. Per visto si intende l’autorizzazione rilasciata da uno Stato membro ai fini del transito o di un soggiorno previsto nel territorio degli Stati membri, la cui durata non sia superiore a tre mesi su un periodo di sei mesi dalla data di primo ingresso nel territorio degli Stati membri, ovvero del transito nelle zone internazionali degli aeroporti degli Stati membri. Per «visto adesivo» si intende il formato uniforme per i visti quale definito dal regolamento n. 1683/95. I documenti di viaggio riconosciuti sono documenti riconosciuti da uno o più Stati membri ai fini dell’apposizione di visti (79).

 La direttiva procedure

64.      Come suggerito dal titolo, la direttiva procedure istituisce procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale ai sensi della direttiva qualifiche. L’articolo 3 stabilisce che la direttiva è applicabile a tutte le domande presentate nel territorio dell’Unione europea.

65.      A termini dell’articolo 31, gli Stati membri devono provvedere affinché le domande di protezione internazionale siano trattate quanto prima possibile secondo la procedura d’esame stabilita nella direttiva (80). La regola generale è che la procedura d’esame dovrebbe essere espletata entro sei mesi dalla presentazione di una domanda. Tuttavia, qualora le domande siano oggetto della procedura stabilita nel regolamento Dublino III, il termine di sei mesi inizia a decorrere dal momento in cui si è determinato lo Stato membro competente per l’esame della domanda dell’individuo ai sensi di detto regolamento (81). Gli Stati membri possono prevedere che la procedura d’esame sia accelerata e/o svolta alla frontiera o in zone di transito, fra l’altro, se un richiedente entra «illegalmente» nel territorio dello Stato membro interessato o rifiuta il rilievo dattiloscopico ai sensi del regolamento Eurodac (82).

 La direttiva rimpatri

66.      L’articolo 1 della direttiva 2008/115/EC (83) afferma che la suddetta direttiva stabilisce norme e procedure comuni da applicarsi negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, nel rispetto dei diritti fondamentali in quanto principi generali del diritto dell’Unione e del diritto internazionale, compresi gli obblighi in materia di protezione dei rifugiati e di diritti dell’uomo.

67.      L’articolo 2 stabilisce che la direttiva si applica ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare. Gli Stati membri possono decidere di non applicare tale direttiva ai cittadini di paesi terzi sottoposti a respingimento alla frontiera conformemente all’articolo 13 del codice frontiere Schengen ovvero fermati o scoperti dalle competenti autorità in occasione dell’attraversamento irregolare via terra, mare o aria della frontiera esterna di uno Stato membro e che non abbiano successivamente ottenuto un’autorizzazione o un diritto di soggiorno in tale Stato membro.

68.      Ai sensi dell’articolo 3, per cittadino di un paese terzo si intende chiunque non sia cittadino dell’Unione né benefici dei diritti di libera circolazione, quali definiti all’articolo 2, paragrafo 5, del codice frontiere Schengen. L’espressione «soggiorno irregolare» è definita come «la presenza nel territorio di uno Stato membro di un cittadino di un paese terzo che non soddisfi o non soddisfi più le condizioni d’ingresso di cui all’articolo 5 del codice frontiere Schengen o altre condizioni d’ingresso, di soggiorno o di residenza in tale Stato membro» (84).

 Le domande di pronuncia pregiudiziale

69.      In queste due domande di pronuncia pregiudiziale si chiedono alla Corte orientamenti circa l’interpretazione del regolamento Dublino III e il codice frontiere Schengen. A.S. (85) è un rinvio pregiudiziale proposto dal Vrhovno sodišče Republike Slovenije (Corte Suprema della Repubblica di Slovenia). La causa Jafari (86) è stata proposta dal Verwaltungsgerichtshof Wien (Corte suprema amministrativa, Vienna) (Austria).

70.      Le questioni sollevate dai due giudici del rinvio presentano importanti collegamenti e sovrapposizioni. Affronterò pertanto entrambe le cause nelle stesse conclusioni. Utilizzerò il termine «migrazione» in modo generico per descrivere l’afflusso di cittadini di paesi terzi che ha avuto luogo fra settembre 2015 e marzo 2016 («l’epoca dei fatti»). Detto afflusso comprendeva sia rifugiati o persone che intendevano richiedere protezione internazionale all’interno dell’Unione europea sia migranti nell’accezione più generale del termine(87).

 Causa C490/16 A.S.

 Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

71.      Il giudice del rinvio afferma che il sig. A.S., cittadino siriano, ha lasciato la Siria per dirigersi in Libano e, da lì, si è recato in Turchia, poi in Grecia, nell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia, in Serbia, Croazia e Slovenia. Le parti concordano sul fatto che ha viaggiato attraverso la Serbia in modo organizzato con ciò che viene descritto come un «treno dei migranti», ha poi fatto ingresso in Croazia dalla Serbia e che, nel valico stabilito del confine di Stato, è stato preso in carico dagli organi statali serbi. È stato affidato alla sorveglianza delle autorità nazionali croate di controllo delle frontiere. Queste ultime non gli hanno impedito l’ingresso in Croazia, non hanno avviato alcun procedimento per la sua uscita dal territorio croato, né hanno verificato se egli soddisfacesse i requisiti per l’ingresso regolare in Croazia. Le autorità croate ne hanno invece organizzato il trasferimento verso il confine di Stato sloveno.

72.      Il 20 febbraio 2016 il sig. A.S. è entrato in Slovenia con il flusso di persone a bordo del «treno dei migranti» al valico di frontiera di Dobova, dove è stato registrato. Il giorno seguente (21 febbraio 2016), insieme ad altri cittadini di paesi terzi che viaggiavano attraverso i Balcani occidentali, è stato consegnato alle autorità austriache di sicurezza alla frontiera slovena con l’Austria, che li hanno rinviati in Slovenia. Il 23 febbraio 2016 il sig. A.S. ha presentato una domanda di protezione internazionale alle autorità slovene. Lo stesso giorno le autorità slovene hanno inviato una nota alle autorità croate ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, dell’Accordo fra i due paesi in materia di estradizione e rimpatrio di persone che entrano o soggiornano irregolarmente in territorio sloveno (un accordo internazionale). La Slovenia ha chiesto alla Croazia di riprendere in carico 66 persone, fra cui il sig. A.S. Con nota del 25 febbraio 2016, le autorità croate hanno confermato che avrebbero ripreso in carico dette persone. Il 19 marzo 2016 è stata formulata dalla Slovenia una richiesta formale di ripresa in carico ai sensi del regolamento Dublino III. Il 18 maggio 2016 le autorità croate hanno confermato di accettare che la Croazia fosse lo Stato membro competente.

73.      Con decisione del 14 giugno 2016, il ministero sloveno dell’Interno (in prosieguo: il «ministero sloveno») ha informato il sig. A.S. che la sua richiesta di protezione internazionale non sarebbe stata esaminata dalla Slovenia e che egli sarebbe stato trasferito in Croazia, in quanto Stato membro competente (in prosieguo: la «decisione del ministero sloveno»).

74.      Detta decisione era basata sul criterio di cui all’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III. Ai sensi di detta disposizione, quando un cittadino di un paese terzo ha varcato irregolarmente la frontiera di uno Stato membro, quest’ultimo è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale. L’attraversamento irregolare della frontiera è accertato nel singolo caso con riferimento agli elementi di prova e alle circostanze indiziarie menzionati nei due elenchi di cui all’allegato II del regolamento recante modalità di applicazione del regolamento Dublino III, che comprendono eventuali dati disponibili dell’Eurodac.

75.      Il ministero sloveno ha ritenuto che il sig. A.S. fosse entrato in Croazia irregolarmente nel febbraio 2016. Esso ha inoltre rilevato che, il 18 maggio 2016, le autorità croate avevano risposto affermativamente alla richiesta, rivolta dalle autorità slovene, di prendere in carico la richiesta del sig. A.S. ai sensi del regolamento Dublino III sulla base del criterio di cui all’articolo 13, paragrafo 1, del medesimo regolamento, e che, conseguentemente, la Croazia era lo Stato membro competente per l’esame della domanda del sig. A.S (88). Il sistema Eurodac non ha dato un risultato positivo per la Croazia nel caso del sig. A.S., tuttavia ciò non è determinante per l’interpretazione dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III. La condotta tenuta dalle autorità nazionali quando persone provenienti dal «treno dei migranti» sono entrate in Croazia attraversando la frontiera nazionale era stata la medesima di quella adottata nei casi in cui i migranti erano stati registrati nel sistema Eurodac.

76.      Il 27 giugno 2016 il sig. A.S. ha impugnato la decisione dinanzi all’Upravno sodišče (Tribunale di primo grado, Slovenia) adducendo l’erronea applicazione del criterio di cui all’articolo 13, paragrafo 1. Secondo il ricorrente, il comportamento tenuto dagli organi statali croati dovrebbe essere interpretato nel senso che il suo ingresso in Croazia sarebbe regolare.

77.      Il 4 luglio 2016 detta impugnazione è stata respinta, ma il sig. A.S. è riuscito ad ottenere la sospensione della decisione del ministero.

78.      Il 7 luglio 2016 ha presentato ricorso avverso la decisione di primo grado presso il giudice del rinvio. Quest’ultimo è dell’avviso che, per decidere quale Stato membro sia competente per l’esame della domanda di protezione internazionale presentata dal sig. A.S., esso necessita di orientamenti relativamente all’interpretazione del presupposto di cui all’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, secondo cui «il richiedente ha varcato illegalmente (...) la frontiera di uno Stato membro». Il giudice del rinvio desidera sapere, in particolare, se l’espressione «ha varcato illegalmente» debba essere interpretata in modo autonomo e indipendente o in collegamento con l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva rimpatri e con l’articolo 5 del codice frontiere Schengen. Il giudice del rinvio, inoltre, cerca di stabilire se il fatto che il sig. A.S. abbia attraversato il confine dalla Serbia alla Croazia sotto il controllo delle autorità croate, pur non soddisfacendo i requisiti di cui all’articolo 5, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen (in quanto non era in possesso dei documenti necessari, quali un visto valido), sia rilevante al fine di valutare l’irregolarità o meno del suo ingresso nel territorio dell’Unione.

79.      Il giudice del rinvio, inoltre, chiede orientamenti sull’applicazione di taluni aspetti procedurali del regolamento Dublino III, ossia se il diritto del sig. A.S. a un ricorso effettivo ai sensi dell’articolo 27 del medesimo regolamento riguardi la valutazione giuridica delle modalità di applicazione dell’espressione «ingresso irregolare o illegale» in uno Stato membro di cui all’articolo 13, paragrafo 1. In caso di risposta affermativa a detta questione, si rende poi necessario accertare come operino i termini di cui agli articoli 13, paragrafo 1, e 29, paragrafo 2, del regolamento Dublino III. In sostanza, il giudice del rinvio intende conoscere se i termini continuino a decorrere laddove si presenti un’impugnazione ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, in particolare laddove sia stato escluso il trasferimento.

80.      Il 13 settembre 2016, pertanto, il giudice del rinvio ha richiesto una pronuncia pregiudiziale sulle seguenti questioni:

«1)      Se la tutela giurisdizionale prevista dall’articolo 27 del [regolamento Dubino III] si riferisca anche all’interpretazione dei presupposti per l’applicazione del criterio di cui all’articolo 13, paragrafo 1, del medesimo regolamento, qualora si tratti della decisione di uno Stato membro di non esaminare una domanda di protezione internazionale, e un altro Stato membro abbia già riconosciuto la propria competenza ad esaminare la domanda del richiedente sulla medesima base, e qualora il richiedente si opponga a ciò.

2)      Se il presupposto dell’ingresso irregolare di cui all’articolo 13, paragrafo 1, del [regolamento Dublino III] debba essere interpretato in modo autonomo e indipendente, oppure se esso vada interpretato in collegamento con l’articolo 3, punto 2, della [direttiva rimpatri] e con l’articolo 5 del codice frontiere Schengen, i quali definiscono la nozione di attraversamento illegale di una frontiera, e un’interpretazione siffatta debba essere applicata in riferimento all’articolo 13, paragrafo 1, del [suddetto regolamento].

3)      Se, alla luce della risposta fornita al secondo quesito, occorra nelle circostanze della presente fattispecie interpretare la nozione di ingresso irregolare di cui all’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento [Dublino III] nel senso che non si configura un attraversamento irregolare della frontiera quando tale attraversamento sia stato organizzato dalle pubbliche autorità di uno Stato membro allo scopo di effettuare il transito verso un altro Stato membro dell’Unione europea.

4)      Nel caso in cui la risposta al terzo quesito fosse affermativa, se occorra di conseguenza interpretare l’articolo 13, paragrafo 1, [del regolamento Dublino III] nel senso che esso impedisce il rinvio del cittadino di uno Stato terzo verso lo Stato [membro] nel quale egli aveva fatto il suo primo ingresso nel territorio dell’Unione.

5)      Se l’articolo 27 del [regolamento Dublino III] debba essere interpretato nel senso che i termini previsti dagli articoli 13, paragrafo 1, e 29, paragrafo 2, non decorrono nel caso in cui il richiedente eserciti il diritto alla tutela giurisdizionale, più in particolare qualora ciò includa anche la proposizione di una domanda di pronuncia pregiudiziale, oppure qualora il giudice nazionale sia in attesa di una risposta della [Corte] ad una domanda siffatta presentata in un altro caso. In subordine: se, in un caso siffatto, i termini decorrerebbero, ma lo Stato membro competente non avrebbe il diritto di rifiutare la presa in carico dell’interessato».

 Procedimento dinanzi alla Corte

81.      Il giudice del rinvio ha chiesto alla Corte di trattare la causa con procedimento pregiudiziale d’urgenza. La Corte ha respinto tale richiesta con ordinanza del 27 settembre 2016. Con decisione del 22 dicembre 2016, tuttavia, si è stabilito di trattare la causa in via prioritaria, atteso che essa solleva questioni comuni alla causa Jafari, C‑646/16, che è sottoposta a procedimento accelerato.

82.      Sono state presentate osservazioni scritte dal sig. A.S., dalla Grecia, dall’Ungheria, dalla Slovenia, dal Regno Unito, dalla Svizzera e dalla Commissione europea. Viste le somiglianze con la causa Jafari, C‑646/16, la Corte ha deciso di predisporre un’udienza comune per le due cause (89).

 Causa Jafari, C646/16

 Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

83.      Le sig.re Khadija Jafari e Zainab Jafari sono cittadine afghane. Esse sono sorelle. La sig.ra Khadija Jafari ha un figlio, nato nel 2014, mentre la sig.ra Zainab Jafari ha due figlie, nate nel 2011 e nel 2007. Anche i figli sono cittadini afghani.

84.      Le due sorelle e i rispettivi figli (in prosieguo: le «famiglie Jafari») sono fuggiti insieme dall’Afghanistan perché i loro mariti erano stati presi dai Talebani e costretti a combattere nell’esercito talebano. Essendosi rifiutati di fare ciò, sono stati uccisi dai Talebani. I rispettivi suoceri delle due sorelle Jafari hanno poi segregato le donne in casa: uno riteneva che la segregazione in casa della nuora si confacesse ai dettami religiosi, l’altro riteneva che sarebbe stato più sicuro per la nuora non uscire dall’abitazione. Il padre delle sorelle Jafari è riuscito ad organizzarne la fuga dall’Afghanistan. Le sorelle temono che se tornassero in Afghanistan sarebbero nuovamente segregate dalle rispettive famiglie e sarebbero inoltre esposte al rischio di lapidazione.

85.      Le famiglie Jafari hanno lasciato l’Afghanistan nel dicembre 2015. Con l’aiuto di un «trafficante di esseri umani» si sono spostate inizialmente in Iran (dove hanno trascorso 3 mesi), poi in Turchia (dove hanno trascorso circa 20 giorni), giungendo infine in Grecia (dove hanno trascorso 3 giorni). Le autorità greche hanno rilevato i dati biometrici della sig.ra Zainab Jafari e trasmesso le sue impronte digitali attraverso Eurodac. Le famiglie Jafari hanno poi attraversato l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia, la Serbia, la Croazia e la Slovenia, giungendo infine in Austria. Tra la loro uscita della Grecia e il nuovo ingresso nel territorio dell’Unione non sono intercorsi più di cinque giorni.

86.      A partire dal 18 novembre 2015 la Croazia aveva cominciato a limitare il flusso in entrata di cittadini di paesi terzi. Ha consentito l’attraversamento del suo territorio soltanto alle persone provenienti dall’Afghanistan, dall’Iraq e dalla Siria, che avrebbero probabilmente soddisfatto i requisiti per accedere allo status di rifugiato. Le famiglie Jafari rispondevano ai suddetti criteri. In Croazia hanno chiesto di poter vedere un dottore perché prestasse cure sanitarie ad una delle figlie della sig.ra Jafari. Non è stata resa disponibile alcuna assistenza. Hanno atteso l’autobus per un’ora e sono state poi trasferite oltre il confine sloveno.

87.      Il 15 febbraio 2016 le autorità competenti slovene hanno redatto un documento nel quale sono stati registrati i dati personali delle famiglie Jafari. In esso figurava la dicitura «NEMČIJA/DEU» («destinazione del viaggio Germania») per la sig.ra Zainab Jafari. Per la sig.ra Khadija Jafari le lettere «DEU» erano state cancellate a mano e sostituite, sempre a mano, dalla scritta «AUT» (quindi: «NEMČIJA/AUT», «destinazione del viaggio Austria») (90). Il medesimo giorno le sorelle hanno attraversato insieme il confine austriaco e hanno presentato domanda di protezione internazionale per se stesse e per i propri figli in detto Stato. Le autorità austriache affermano che originariamente esse avevano indicato il proprio desiderio di recarsi in Svezia. Questo, tuttavia, è contestato dalle sorelle.

88.      Le competenti autorità austriache [l’ufficio federale austriaco per l’immigrazione e l’asilo (Bundesamt für Fremdenwesen und Asyl; in prosieguo: l’«ufficio federale» o il «BFA»)] non ha verificato il resoconto delle sorelle circa il loro volo dall’Afghanistan perché ha ritenuto che la Croazia fosse lo Stato membro competente per l’esame della loro domanda di protezione internazionale. Dopo essersi inizialmente rivolto alle autorità slovene, con lettera del 16 aprile 2016, il BFA ha chiesto alla competente autorità croata di prendere in carico le sorelle e i loro figli ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera a), del regolamento Dublino III. Il BFA ha affermato che, dal momento che le famiglie Jafari erano entrate illegalmente nel territorio degli Stati membri attraverso la Croazia, quest’ultimo Stato era competente ai fini dell’esame della loro richiesta di asilo. L’autorità croata competente non ha risposto a tale lettera. Pertanto il BFA, con lettera del 18 giugno 2016, comunicava a quest’ultima che, ai sensi dell’articolo 22, paragrafo 7, del regolamento Dublino III, la competenza per l’esame delle richieste di protezione internazionale spettava ormai irrevocabilmente alla Croazia.

89.      Con decisioni del 5 settembre 2016 l’ufficio federale ha respinto le domande di protezione internazionale in quanto «irricevibili», ha osservato che la Croazia era competente per l’esame delle richieste ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, ed ha emesso un provvedimento di espulsione che disponeva l’allontanamento in Croazia delle famiglie Jafari. Nella sua motivazione, l’ufficio federale partiva dal presupposto che le sorelle e i loro figli erano entrati nel territorio dell’Unione europea dapprima in Grecia. Secondo il BFA, essi avevano poi però nuovamente lasciato il territorio dell’Unione rientrando successivamente nel territorio degli Stati membri in Croazia. Gli ingressi in Grecia e in Croazia sono stati qualificati come irregolari. In Grecia, però, persistevano lacune strutturali nel procedimento di asilo. Pertanto, in applicazione dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, la Croazia doveva essere considerata come lo Stato membro competente. A quanto risultava, nel regime di asilo di tale Stato non esistevano lacune strutturali. Le sorelle contestano la suddetta conclusione (91).

90.      Sia le autorità amministrative sia il Bundesverwaltungsgericht (Tribunale amministrativo federale, Austria) che si sono pronunciati sul loro ricorso in cui venivano contestate le decisioni impugnate hanno considerato plausibili il resoconto delle famiglie Jafari e le informazioni fornite relativamente al loro viaggio dall’Afghanistan. Non è quindi contestato che l’odissea delle famiglie Jafari ha avuto luogo durante l’ingresso in massa di cittadini di paesi terzi nel territorio dell’Unione europea provenienti dai Balcani occidentali tra settembre 2015 e marzo 2016.

91.      Con decisione del 10 ottobre 2016, il Bundesverwaltungsgericht (Tribunale amministrativo federale) ha respinto i ricorsi delle famiglie Jafari. Nel fare ciò il suddetto giudice si è sostanzialmente associato alle considerazioni del BFA. Ha ritenuto che, quando le famiglie Jafari avevano fatto ingresso in Croazia dalla Serbia, avevano attraversato la frontiera senza un visto d’ingresso, sebbene avessero dovuto esserne in possesso in quanto cittadini afghani. Pertanto, il loro ingresso attraverso la suddetta frontiera era irregolare. A quanto è stato possibile accertare, anche l’ingresso in Austria era avvenuto senza un visto ed era, pertanto, parimenti «irregolare».

92.      Le due sorelle (ma non i loro figli) hanno impugnato la suddetta decisione dinanzi al giudice del rinvio. Esse sostengono che le specifiche circostanze dei loro rispettivi casi dovrebbero essere prese in considerazione nel determinare quale Stato membro sia competente ai fini delle loro richieste di protezione internazionale. Esse asseriscono di essere entrate nel territorio dell’UE ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), del codice frontiere Schengen (ossia per motivi umanitari). L’attraversamento della frontiera, pertanto, non era un «ingresso irregolare» ai fini dell’articolo 13, paragrafo 1 del regolamento Dublino III. Questo era il ragionamento a sostegno dell’accordo del 18 febbraio 2016 che consentiva ai cittadini di paesi terzi di entrare nel territorio dell’UE per attraversare gli Stati membri al fine di raggiungere il posto dove intendevano chiedere asilo (92). Ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 2, del regolamento Dublino III, pertanto, l’Austria è lo Stato membro competente ai fini dell’esame delle loro richieste di protezione internazionale.

93.      Il giudice del rinvio era a conoscenza del fatto che era già stato effettuato un rinvio da parte del Vrhovno sodišče Republike Slovenije (Corte suprema della Repubblica di Slovenia) nella causa A.S., C‑490/16. Esso ritiene, tuttavia, che le circostanze alla base della domanda di protezione internazionale delle famiglie Jafari siano diverse da quelle di cui alla causa A.S. Nel caso delle famiglie Jafari, le autorità croate competenti avevano omesso di rispondere alla richiesta di presa in carico effettuata ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera a), del regolamento Dublino III. Il giudice del rinvio ritiene che l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III sia il criterio pertinente di cui al capo III, applicabile per determinare lo Stato membro competente. Il suddetto regolamento, tuttavia, non definisce l’«attraversamento illegale» della frontiera. Il giudice del rinvio, pertanto, chiede orientamenti circa il fatto se la suddetta nozione debba essere interpretata indipendentemente o con riferimento agli altri atti dell’UE che dettano norme disciplinanti i requisiti relativi ai cittadini di paesi terzi che attraversano la frontiera esterna dell’UE, quali quelle di cui al codice frontiere Schengen. Avendo le autorità croate permesso alle famiglie Jafari di fare ingresso nel loro paese e controllato il loro trasporto alla frontiera slovena, il giudice del rinvio chiede se una siffatta condotta corrisponda in realtà ad un «visto» ai fini degli articoli 2, lettera m), e 12 del regolamento Dublino III.

94.      Le famiglie Jafari sostengono che il criterio pertinente di cui al capo III sia l’articolo 14 (esenzione dai requisiti del visto). Il giudice del rinvio non è convinto che la suddetta posizione sia corretta. Esso, pertanto, desidera sapere se la suddetta disposizione o l’articolo 13, paragrafo 1, sia il criterio adeguato per determinare lo Stato membro competente. Alla luce delle decisioni della Corte nella causa Ghezelbash e Karim (93), il giudice del rinvio osserva che un ricorrente può invocare l’errata applicazione dei criteri di cui al regolamento Dublino III in un ricorso avverso una decisione di trasferimento adottata sulla base del suddetto regolamento. È pertanto necessario accertare quale sia il criterio corretto da applicare.

95.      Il giudice del rinvio pone in dubbio anche la tesi delle famiglie Jafari, secondo cui esse rientrerebbero nell’ambito di applicazione dell’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), del codice frontiere Schengen. Conseguentemente, esso chiede alla Corte di pronunciarsi anche sulla corretta interpretazione della suddetta disposizione.

96.      Il giudice del rinvio sottopone pertanto le seguenti questioni:

«1.      Se, per la comprensione dell’articolo 2, lettera m), dell’articolo 12 e dell’articolo 13 del [regolamento Dublino III], si debbano prendere in considerazione altri atti giuridici, coi quali il suddetto regolamento presenta punti di contatto, ovvero se a tali disposizioni debba essere attribuito un significato indipendente da essi.

2.      Per il caso in cui le disposizioni del regolamento Dublino III debbano essere interpretate a prescindere da altri atti giuridici:

a)      se, nelle condizioni dei casi oggetto delle cause principali, caratterizzati dal fatto di rientrare in un periodo in cui le autorità nazionali degli Stati prevalentemente coinvolti si trovavano di fronte ad un numero straordinariamente elevato di persone che richiedevano il transito attraverso il loro territorio nazionale, sia da considerare come “visto” ai sensi dell’articolo 2, lettera m), e dell’articolo 12 del regolamento Dublino III, l’ingresso di fatto tollerato nel territorio nazionale di uno Stato membro, che doveva avvenire soltanto allo scopo del transito proprio attraverso tale Stato membro e della presentazione di una domanda di protezione internazionale in un altro Stato membro.

Nel caso in cui alla questione 2, sub a), debba essere data risposta affermativa:

b)      Se, alla luce della tolleranza di fatto dell’ingresso a scopo di transito, si debba ritenere che il “visto” abbia perduto la sua validità con l’uscita dallo Stato membro interessato.

c)      Se, alla luce della tolleranza di fatto dell’ingresso a scopo di transito, si debba ritenere che il “visto” continui ad essere valido ove l’uscita dallo Stato membro interessato non sia ancora avvenuta, ovvero se il “visto” perda la sua validità, indipendentemente dall’uscita non avvenuta, nel momento in cui un richiedente rinuncia definitivamente alla sua intenzione di recarsi in un altro Stato membro.

d)      Se la rinuncia, da parte del richiedente, all’intenzione di recarsi nello Stato membro originariamente considerato come meta, abbia come conseguenza che, ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 5, del regolamento Dublino III, si debba configurare come comportamento fraudolento successivo al rilascio del “visto”, di modo che lo Stato membro che ha rilasciato il “visto” non sia competente.

In caso di risposta negativa alla questione 2), sub a):

e)      Se l’espressione di cui all’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III “ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un paese terzo, la frontiera di uno Stato membro” debba essere intesa nel senso che nelle citate particolari condizioni dei casi oggetto della causa principale non deve considerarsi avvenuto un attraversamento illegale della frontiera esterna.

3.      Per il caso in cui le disposizioni del regolamento Dublino III debbano essere interpretate prendendo in considerazione altri atti giuridici:

a)      Se per valutare l’esistenza, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, di un “attraversamento illegale” della frontiera, debba prendersi specialmente in considerazione la questione se, in base al codice frontiere Schengen – in particolare in base all’articolo 5 [di detto atto giuridico] – ricorrano le condizioni di ingresso, questione particolarmente rilevante per il procedimento principale in considerazione del momento in cui ha avuto luogo l’ingresso.

In caso di risposta negativa alla questione 3), sub a):

b)      Quali disposizioni del diritto dell’Unione debbano in particolare essere prese in considerazione nel valutare se, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, sia riscontrabile un “attraversamento illegale” della frontiera.

Nel caso di soluzione affermativa della questione 3), sub a):

c)      Se, nelle condizioni dei casi oggetto del procedimento principale, caratterizzati dal fatto di svolgersi in un periodo in cui le autorità nazionali degli Stati prevalentemente coinvolti si trovavano di fronte ad un numero straordinariamente elevato di persone che richiedevano il transito attraverso il loro territorio nazionale, l’ingresso nel territorio di uno Stato membro – di fatto tollerato senza un esame delle circostanze del caso di specie – che doveva avvenire soltanto allo scopo del transito proprio attraverso tale Stato membro e della presentazione di una domanda di protezione internazionale in un altro Stato membro, debba essere considerato come autorizzazione all’ingresso ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), del codice frontiere Schengen.

Nel caso in cui alle questioni 3, sub a), e 3, sub c), debba essere data risposta affermativa:

d)      Se dall’autorizzazione all’ingresso ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), del codice frontiere Schengen consegua che si debba ritenere esistente un permesso equiparabile ad un visto ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), del codice frontiere Schengen e quindi un “visto” ai sensi dell’articolo 2, lettera m), del regolamento Dublino III, di modo che nell’applicazione delle disposizioni dirette all’accertamento dello Stato membro competente in base al regolamento Dublino III si debba prendere in considerazione anche l’articolo 12 di quest’ultimo.

Nel caso in cui alle questioni 3, sub a), 3, sub c), e 3, sub d), debba essere data risposta affermativa:

e)      Se, alla luce della tolleranza di fatto dell’ingresso a scopo di transito, si debba ritenere che il “visto” abbia perduto la sua validità con l’uscita dallo Stato membro interessato.

f)      Se, alla luce della tolleranza di fatto dell’ingresso a scopo di transito, si debba ritenere che il “visto” continui ad essere valido ove l’uscita dallo Stato membro interessato non sia ancora avvenuta, ovvero se il “visto” perda la sua validità, indipendentemente dall’uscita non avvenuta, nel momento in cui un richiedente rinuncia definitivamente alla sua intenzione di recarsi in un altro Stato membro.

g)      Se la rinuncia, da parte del richiedente, all’intenzione di recarsi nello Stato membro originariamente considerato come meta, abbia come conseguenza che, ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 5, del regolamento Dublino III, si debba configurare come comportamento fraudolento successivo al rilascio del “visto”, di modo che lo Stato membro che ha rilasciato il “visto” non sia competente.

Nel caso in cui debba essere data risposta affermativa alle questioni 3, sub a), e 3, sub c), ma risposta negativa alla questione 3, sub d):

h)      Se l’espressione, di cui all’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, “ha varcato illegalmente per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un paese terzo, la frontiera di uno Stato membro” debba essere intesa nel senso che, nelle citate particolari condizioni dei casi oggetto del procedimento principale, l’attraversamento della frontiera, da qualificare come autorizzazione all’ingresso ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), del codice frontiere Schengen non dev’essere considerato come attraversamento illegale della frontiera esterna».

 Procedimento dinanzi alla Corte

97.      Ai sensi dell’articolo 105 del regolamento di procedura, il giudice del rinvio ha richiesto che la presente causa fosse sottoposta a procedimento accelerato. La suddetta richiesta è stata accolta con ordinanza del Presidente del 15 febbraio 2017.

98.      Sono state presentate osservazioni scritte dalle famiglie Jafari, dall’Austria, dalla Francia, dall’Ungheria, dall’Italia, dalla Svizzera e dalla Commissione europea.

99.      All’udienza del 28 marzo 2017, che è stata celebrata congiuntamente alla causa A.S., C‑490/16, ai sensi dell’articolo 77 del regolamento di procedura, il sig. A.S. e le famiglie Jafari, nonché l’Austria, la Francia, la Grecia, l’Italia, il Regno Unito e la Commissione hanno svolto osservazioni orali.

 Analisi

 Osservazioni preliminari

 Il sistema di Dublino: una breve panoramica

100. Il sistema di Dublino definisce una procedura di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale (94). La possibilità che cittadini di paesi terzi potessero viaggiare liberamente all’interno dell’area Schengen (95) ha creato potenziali difficoltà ed è stato sviluppato meccanismo per garantire che, in via di principio, solo uno Stato partecipante fosse competente per esaminare ciascuna richiesta di asilo. Il sistema è finalizzato, fra l’altro, a determinare rapidamente lo Stato membro competente, a prevenire e a scoraggiare il «forum shopping» (96), a prevenire e a scoraggiare i movimenti secondari (97) e a evitare il fenomeno dei richiedenti asilo «in orbita» – ossia a evitare una situazione in cui ciascuno Stato membro sostenga di non essere competente perché un altro Stato membro rappresenta un paese terzo sicuro e, pertanto, dovrebbe essere responsabile (98). Il regolamento Eurodac è posto a fondamento del regolamento Dublino III.

101. La prima serie di criteri di cui al Capo III del regolamento Dublino III ripartisce la competenza per l’esame delle domande sulla base della garanzia del rispetto per l’unità familiare (99). I criteri successivi sono finalizzati a determinare quale Stato abbia contribuito maggiormente all’ingresso o al soggiorno del richiedente nel territorio degli Stati membri rilasciando un visto o un permesso di soggiorno, mancando di diligenza nel controllo delle proprie frontiere o dispensando il cittadino di un paese terzo interessato dal requisito della titolarità di un visto (100).

 Schengen

102. In base al codice frontiere Schengen, gli Stati membri hanno l’obbligo di preservare l’integrità delle frontiere esterne dell’UE, che dovrebbero essere attraversate solo in taluni punti autorizzati. I cittadini dei paesi terzi devono soddisfare taluni requisiti (101). Un cittadino di un paese terzo che abbia attraversato illegalmente la frontiera e che non abbia il diritto di soggiornare sul territorio dello Stato membro interessato deve essere fermato e sottoposto alle procedure di rimpatrio (102). In pratica, i cittadini di paesi terzi che arrivano alle frontiere esterne degli Stati membri spesso non intendono chiedere asilo in tale luogo e si rifiutano di sottoporsi ai rilievi dattiloscopici, se le autorità competenti cercano effettivamente di farlo (103). In linea di principio, a partire da quel momento le persone in questione potrebbero essere designate cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare e che non soddisfano le condizioni di ingresso enunciate all’articolo 5, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva rimpatri (104).

103. La procedura privilegiata secondo la direttiva rimpatri è il rimpatrio volontario. Nel caso di rimpatrio forzato, lo Stato membro interessato deve emettere un divieto di ingresso valido per l’intera Unione e può inserire dette informazioni nel SIS.

104. Il sistema di Dublino, l’acquis di Schengen e la direttiva rimpatri sembrano fornire un complesso esaustivo di misure. Le due cause in questione, tuttavia, evidenziano le lacune e le difficoltà pratiche nell’applicare dette regole ove numeri straordinariamente grandi di persone si spostano per via terrestre, piuttosto che per via aerea, nell’Unione europea in un arco di tempo relativamente breve per cercare rifugio. Ho già descritto le circostanze che si sono verificate fra settembre 2015 e marzo 2016 (105).

 Le tematiche generali relative alle questioni dei giudici del rinvio

105. Le questioni sottoposte dai due giudici del rinvio riguardano un certo numero di tematiche comuni.

106. In primo luogo, quale metodologia generale dovrebbe essere applicata all’interpretazione dei criteri di cui agli articoli 12, 13 e 14 del regolamento Dublino III? In particolare, le suddette disposizioni dovrebbero essere lette in collegamento con l’acquis di Schengen (106)? In secondo luogo, la cooperazione e le facilitazioni fornite dagli Stati di transito dell’UE (in particolare, Croazia e Slovenia) equivalgono effettivamente a visti nell’accezione degli articoli 2, lettera m), e 12 di detto regolamento? (La suddetta questione non viene sollevata espressamente nella causa A.S., ma la risposta della Corte può comunque essere di aiuto per il giudice del rinvio ai fini della pronuncia nel procedimento principale) (107). In terzo luogo, come dovrebbe essere interpretato l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III? In particolare, qual è il significato dell’espressione «varcato illegalmente (…) la frontiera» e qual è la relazione (ove esista) fra la suddetta disposizione con l’articolo 5, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen nonché con l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva rimpatri (108)? In quarto luogo, i cittadini di paesi terzi cui è stato consentito l’ingresso nell’area Schengen durante la recente durante la crisi umanitaria nei Balcani occidentali rientrano nell’eccezione di cui all’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), del codice frontiere Schengen alle condizioni di ingresso per i cittadini dei paesi terzi (109)? In quinto luogo, cosa costituisce «ingresso con esenzione dal visto» nell’accezione dell’articolo 14 del regolamento Dublino III?

107. Nella causa A.S. si chiede alla Corte di esaminare determinati aspetti procedurali del regolamento Dublino III (110). Infine, è necessario valutare le conseguenze pratiche dell’interpretazione delle disposizioni in questione per le due cause (111).

108. Dette questioni sono poste in un contesto in cui uno Stato membro è stato descritto come Stato che ha sospeso l’applicazione del regolamento Dublino III per un certo periodo di tempo, mentre altri come Stati che hanno «sospeso Schengen», nella misura in cui hanno eretto barriere lungo le proprie frontiere interne con altri Stati membri dell’UE che fanno parte anch’essi dell’area Schengen (112).

109. La funzione della Corte è esclusivamente giudiziaria: ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, TUE essa «[a]ssicura il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati». È palese che non spetta alla Corte scendere nell’agone politico per affrontare la questione (spinosa) delle modalità con cui, data la geografia dell’Europa, distribuire i richiedenti protezione internazionale tra gli Stati membri dell’Unione europea. Le circostanze inedite che si sono verificate nei Balcani occidentali tra settembre 2015 e marzo 2016, tuttavia, mettono in risalto l’incongruenza fra la geografia e gli elaborati criteri di cui al capo III del regolamento Dublino III. Per dirla schiettamente, alla Corte si chiede ora di fornire una soluzione giuridica e di adattarla retroattivamente ad una situazione di fatto su cui le norme di legge applicabili non sono in grado di incidere. Qualsiasi soluzione si scelga, essa sarà probabilmente controversa sotto qualche profilo.

 Prima tematica: metodologia da applicare all’interpretazione dei criteri di cui agli articoli 12, 13 e 14 del regolamento Dublino III

110. I giudici del rinvio nelle cause A.S. e Jafari chiedono di accertare se sia necessario tenere conto di altri atti giuridici con i quali il regolamento Dublino III presenta punti di contatto o se il suddetto regolamento [in particolare gli articoli 2, lettera m), 12, 13 e 14 dello stesso] debba essere interpretato indipendentemente da essi. Non vi è dubbio che il transito è stato organizzato con la cooperazione degli Stati interessati. Si pone pertanto necessariamente la questione se le norme relative ai cittadini dei paesi terzi che attraversano le frontiere esterne dell’Unione europea influiscano sull’interpretazione del regolamento Dublino III.

111. I ricorrenti nella causa Jafari, nonché l’Austria, la Francia, la Grecia, l’Ungheria, la Svizzera e la Commissione, sostengono che i criteri di cui al capo III dovrebbero essere interpretati in collegamento con altri atti giuridici, ossia il codice frontiere Schengen e la direttiva rimpatri.

112. Il sig. A.S. ritiene che l’interpretazione dei criteri di cui al capo III non dovrebbe essere basata esclusivamente sulle norme nazionali o internazionali. Essa deve tenere in considerazione la situazione di fatto e gli obblighi degli Stati di transito nell’Unione europea che hanno agito conformemente all’articolo 33 della Convenzione di Ginevra e all’articolo 3 della CEDU (proibizione della tortura), nonché agli articoli 4, paragrafo 2, e 5, paragrafo 4, del codice frontiere Schengen.

113. L’Italia ritiene che la questione fondamentale non sia se l’approccio generale all’interpretazione tenga conto o meno di altri atti giuridici dell’UE. Essa sostiene, in primo luogo, che fra settembre 2015 e marzo 2016 gli Stati di transito non hanno emesso visti per coloro che attraversavano il loro territorio. In secondo luogo, essa sottolinea che l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III dovrebbe essere interpretato alla luce della Convenzione di Ginevra.

114. Il Regno Unito è dell’avviso che il codice frontiere Schengen e la direttiva rimpatri non abbiano alcuna incidenza giuridica sull’espressione «attraversamento clandestino» di cui all’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III. Quest’ultima, pertanto, dovrebbe essere interpretata indipendentemente da detti atti giuridici.

115. Non ritengo che l’approccio per interpretare i criteri di cui al capo III sia una scelta polarizzata fra due opzioni: interpretare il regolamento Dublino III come un atto giuridico a sé stante ovvero secondo una modalità per cui i termini detto regolamento sono definiti mediante rinvio alle disposizioni attuative di altri atti giuridici dell’UE.

116. Secondo una giurisprudenza consolidata, nell’interpretare una norma del diritto dell’Unione si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (113). Il primo dei «principi generali» nella «guida pratica comune alla redazione dei testi legislativi dell’UE» (114) stabilisce che la legislazione deve essere formulata in modo chiaro, semplice e preciso, tale non lasciare alcuna incertezza nella mente del lettore. Nel caso in cui un atto condivida definizioni comuni con altri atti legislativi dell’UE sarebbe ragionevole aspettarsi di trovare un rinvio esplicito, in quanto la nozione di una definizione che debba essere integrata implicitamente è incoerente con il principio di certezza del diritto (115). Né il codice frontiere Schengen né la direttiva rimpatri contengono definizioni che rinviano ai criteri di cui al capo III del regolamento Dublino III.

117. La formulazione dell’articolo 12 del regolamento Dublino III differisce da quella degli articoli 13 e 14 in quanto opera un rinvio esplicito al codice visti, che fa parte dell’acquis di Schengen. Detto rinvio è sufficientemente chiaro, semplice e preciso per indicare che il codice visti è rilevante ai fini dell’interpretazione di detta disposizione (116). Ciò posto, non ne consegue che il termine «visto» di cui all’articolo 12 è limitato alla definizione rientrante nell’ambito d’applicazione del codice visti (117).

118. In primo luogo, il regolamento Dublino III si applica a Stati membri che non fanno parte dell’acquis di Schengen, in particolare l’Irlanda e il Regno Unito. Con riferimento a detti Stati, il termine «visto» si deve riferire a un documento riconosciuto come tale ai sensi delle normative nazionali. In secondo luogo, il termine «visto» contempla categorie di documenti esulanti dal visto per soggiorno di breve durata che rientra nell’ambito di applicazione del codice visti. È chiaro dalla formulazione dell’articolo 2, lettera m), del regolamento Dublino III che detto atto giuridico si applica a tre diversi tipi di visto (118).

119. Il suddetto ragionamento si applica del pari all’articolo 14, dove è altresì utilizzato il termine «visto». Anche detto termine deve essere interpretato allo stesso modo dell’articolo 12 a beneficio della coerenza.

120. Ne discende che l’acquis di Schengen è un elemento rilevante da tenere in considerazione nell’interpretazione del termine «visto», ma che esso non determina il significato di detto termine ai fini degli articoli 2, lettera m), e 12 del regolamento Dublino III.

121. L’articolo 13 del regolamento Dublino III non opera alcun rinvio esplicito a provvedimenti di cui all’acquis di Schengen o alla direttiva rimpatri.

122. Il contesto normativo, tuttavia, indica che il regolamento Dublino III fa parte integrante del CEAS, che si basa sulla piena e completa applicazione della Convenzione di Ginevra (119). Detta convenzione detta il contesto internazionale per la tutela dei rifugiati e per coloro che chiedono il riconoscimento dello status di rifugiato. Ai sensi dell’articolo 31, paragrafo 2, della stessa, gli Stati non dovrebbero, in linea di principio, limitare gli spostamenti dei rifugiati nel loro territorio; le limitazioni considerate necessarie, inoltre, dovrebbero essere applicate soltanto finché lo status dei rifugiati sia stato regolarizzato o finché essi siano stati ammessi in un altro paese. Gli Stati devono concedere ai rifugiati un periodo di tempo ragionevole e le facilitazioni necessarie affinché possano ottenere il permesso di entrata in un altro paese. È necessario tenere a mente la suddetta disposizione nell’interpretare il regolamento Dublino III (120). Analogamente, il regolamento dovrebbe essere interpretato alla luce del suo contesto e della sua finalità e in modo coerente con la Convenzione di Ginevra. Ciò discende dell’articolo 78, paragrafo 1, TFUE. È anche evidente dal considerando 39 che il regolamento Dublino III deve essere interpretato nel rispetto dei diritti riconosciuti dalla Carta (121).

123. Dal momento che il regolamento Dublino III è parte integrante del CEAS, anche l’acquis dell’UE in materia di asilo costituisce un fattore rilevante(122). Vi sono rinvii espliciti alla direttiva qualifiche, alla direttiva accoglienza e alla direttiva procedure (123). Il CEAS è stato concepito in un contesto che permetteva di attendersi ragionevolmente che l’insieme degli Stati partecipanti, siano essi Stati membri o paesi terzi, rispettassero i diritti fondamentali, compresi i diritti che trovano fondamento nella Convenzione di Ginevra e nel Protocollo del 1967, nonché nella CEDU (124), e che gli Stati membri potessero pertanto fidarsi reciprocamente a tale riguardo (125). «È proprio in ragione di tale principio di reciproca fiducia che il legislatore dell’Unione ha adottato [il regolamento Dublino III], al fine di razionalizzare il trattamento delle domande d’asilo e di evitare la saturazione del sistema con l’obbligo, per le autorità nazionali, di trattare domande multiple introdotte da uno stesso richiedente, di accrescere la certezza del diritto quanto alla determinazione dello Stato competente ad esaminare la domanda d’asilo e, così facendo, di evitare il “forum shopping”; tutto ciò con l’obiettivo principale di accelerare il trattamento delle domande nell’interesse tanto dei richiedenti asilo quanto degli Stati partecipanti» (126). Le suddette questioni riguardano l’essenza della nozione di «spazio di libertà, sicurezza e di giustizia» (127) e, più in particolare, del CEAS, fondato sulla fiducia reciproca e su una presunzione di osservanza, da parte degli altri Stati membri, del diritto dell’Unione e, segnatamente, dei diritti fondamentali (128).

124. Gli obiettivi principali del regolamento Dublino III testimoniano l’intenzione del legislatore dell’Unione di stabilire regole di carattere organizzativo che disciplinino i rapporti fra gli Stati membri al fine di stabilire lo Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo, proprio come nella precedente Convenzione di Dublino (129). I considerando 4, 5 e 7 del regolamento Dublino III fanno riferimento anche all’istituzione di un meccanismo per determinare rapidamente, con chiarezza e praticità, lo Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo al fine di garantire l’effettivo accesso alle procedure volte al riconoscimento dello status di rifugiato e non pregiudicare l’obiettivo di un rapido espletamento delle domande d’asilo (130).

125. Fino a che punto strumenti normativi che non rientrano nel CEAS, quali il codice frontiere Schengen e la direttiva rimpatri rilevano ai fini dell’interpretazione dei criteri di cui al capo III, agli articoli 12, 13, paragrafo 1, e 14?

126. Ho già spiegato che ritengo che gli articoli 12 e 14 dovrebbero essere interpretati autonomamente, sebbene il codice visti rilevi ai fini del significato del termine «visto» sotto taluni aspetti (131).

127. Per quanto riguarda l’interpretazione dell’espressione «attraversamento illegale» di cui all’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, non vi è alcun termine corrispondente nel codice frontiere Schengen. Non si pone, pertanto, la questione di cercare di trasporre detto termine dal codice frontiere Schengen al regolamento Dublino III.

128. L’ambito di applicazione ratione personae delle norme contenute nel titolo II, capo I, del codice frontiere Schengen, relative alle condizioni d’ingresso per i cittadini di paesi terzi che attraversano la frontiera esterna dell’Unione, inoltre, non è il medesimo di quello contenuto nel regolamento Dublino III. Quest’ultimo riguarda esclusivamente cittadini di paesi terzi richiedenti protezione internazionale (132): una categoria di persone che gode di uno status speciale ai sensi del diritto internazionale in virtù della Convenzione di Ginevra.

129. La genesi legislativa mostra che le modalità di determinazione della competenza per l’esame delle domande d’asilo, sostituite dalla Convenzione di Dublino, facevano inizialmente parte della Convenzione intergovernativa di Schengen (133), mentre le origini del regolamento Dublino III e del codice frontiere Schengen possono essere fatte risalire entrambe alla CAAS. L’ambito di applicazione dei due atti giuridici differisce e le rispettive finalità non sono identiche. Pertanto, non si dovrebbe presupporre che, data la sussistenza di un legame storico, i due atti giuridici debbano essere interpretati allo stesso modo.

130. Il Regno Unito sottolinea che il codice frontiere Schengen e la direttiva rimpatri non si applicano a determinati Stati membri (in particolare ad esso stesso). Esso ritiene che, pertanto, sarebbe errato interpretare il regolamento Dublino III in riferimento a strumenti normativi che non sono validi per l’intera Unione europea.

131. È vero che l’ambito di applicazione degli atti normativi che non si applicano a tutti gli Stati membri non dovrebbe essere esteso ad essi in maniera surrettizia. Tuttavia, la geometria variabile che si riscontra nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia – determinata, tra l’altro, dalla posizione speciale assunta dal Regno Unito – non ha creato un quadro regolare. Il Regno Unito ha aderito a taluni elementi dell’acquis di Schengen rifuggendo da altri (134). Il fatto che il Regno Unito non sia vincolato dal codice frontiere Schengen o dalla direttiva rimpatri non può modificare il carattere vincolante del regolamento Dublino III (135). L’assenza del Regno Unito da taluni strumenti dell’Unione non può nemmeno imporre delle restrizioni di fatto all’interpretazione che dovrebbe essere data per motivi logici a provvedimenti che fanno parte di un pacchetto. La coda del Regno Unito non può dimenare il cane dell’Unione europea.

132. Ciò posto, non vi è alcun rinvio alla direttiva rimpatri nell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III. Il legislatore ha effettuato un siffatto rinvio all’articolo 24 del regolamento, relativo alla presentazione di una richiesta di ripresa in carico qualora non sia stata presentata una nuova richiesta allo Stato membro richiedente. Pertanto, se il legislatore avesse voluto operare un rinvio espresso alla direttiva rimpatri nell’articolo 13, paragrafo 1, è presumibile che l’avrebbe potuto fare e lo avrebbe fatto.

133. La nozione di «soggiorno irregolare» di cui all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva rimpatri è applicabile a una categoria più vasta di persone rispetto a quelle che rientrano nell’ambito di applicazione soggettivo del regolamento Dublino III. La direttiva è applicabile a tutti i cittadini di paesi terzi (secondo la definizione). Il suo ambito di applicazione non è limitato alla particolare categoria di stranieri richiedenti protezione internazionale durante l’esame della loro domanda (136).

134. L’espressione «soggiorno irregolare» che figura nella direttiva rimpatri riguarda una situazione differente da quella di «attraversamento clandestino della frontiera» di cui all’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III. La Corte ha statuito, nella sentenza Affum (137), che un cittadino di un paese terzo che si trovava su un autobus in transito in uno Stato membro rientrava nell’ambito di applicazione dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva rimpatri, perché se la persona interessata è presente nel territorio di uno Stato membro in violazione delle condizioni d’ingresso, di soggiorno o di residenza «vi soggiorna in modo irregolare». Questa affermazione rimane valida, ma non è la questione in discussione nelle cause A.S. o Jafari. Nelle suddette cause i giudici del rinvio cercano di stabilire se i cittadini dei paesi terzi interessati abbiano attraversato irregolarmente le frontiere esterne dell’Unione.

135. È palese che vi possono talvolta essere delle sovrapposizioni fra le circostanze che determinano un attraversamento regolare delle frontiere e un «soggiorno irregolare» ai fini della direttiva rimpatri, ma non si tratta della stessa cosa (138). Fondere le due nozioni presenti in due atti giuridici distinti non può giovare alla chiarezza di giudizio.

136. Inoltre, ai sensi dell’articolo 288, secondo comma, TFUE, i regolamenti hanno portata generale, sono obbligatori in tutti i loro elementi e direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri. In ragione della loro stessa natura e della loro collocazione nel sistema delle fonti del diritto dell’Unione, i regolamenti sono pertanto atti ad attribuire ai singoli diritti che i giudici nazionali devono tutelare (139). In considerazione della gerarchia delle norme, sarebbe bizzarro interpretare un regolamento facendo riferimento a una direttiva che non fornisce nemmeno una definizione precisa dei termini utilizzati nell’uno o nell’altro atto.

137. Respingo pertanto la tesi secondo cui il regolamento Dublino III dovrebbe essere interpretato in riferimento al codice frontiere Schengen e all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva rimpatri.

138. Infine, mentre il regolamento Dublino III, il codice frontiere Schengen e la direttiva rimpatri rientrano tutti nel titolo V del TFUE relativo allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, la base giuridica non è la medesima per tutti e tre gli atti normativi. L’assenza di una base giuridica comune indica che il contesto e le finalità dei tre atti normativi non coincidono perfettamente (140).

139. Ciò posto, gli articoli 77, 78 e 79 TFUE riguardano politiche facenti parte del medesimo capo e l’articolo 80 TFUE chiarisce che dette politiche sono governate dal principio di «solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario». Il considerando 25 del regolamento Dublino III stabilisce del pari che le politiche dell’Unione relative alle condizioni di ingresso e di soggiorno dei cittadini dei paesi terzi, compresi gli sforzi comuni per la gestione delle frontiere esterne, rendono necessario instaurare un equilibrio tra i criteri di competenza in uno spirito di solidarietà.

140. Visto l’esplicito dettato del TFUE di garantire il coordinamento fra le diverse politiche nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, sarebbe anche, pertanto, palesemente errato interpretare il regolamento Dublino III come se l’acquis di Schengen fosse totalmente irrilevante.

141. Concludo pertanto che il regolamento Dublino III dovrebbe essere interpretato con riferimento alla lettera, al contesto e agli scopi perseguiti dal medesimo, considerato di per sé e non già in collegamento con altri atti giuridici dell’Unione, compresi in particolare il codice frontiere Schengen e la direttiva rimpatri, sebbene nell’interpretare detto regolamento le disposizioni dei citati atti giuridici dovrebbero essere prese in considerazione nella misura necessaria per assicurare la coerenza fra le varie politiche di cui al capo 2, titolo V, del TFUE.

 Seconda tematica: l’articolo 12 del regolamento Dublino III

142. Nel periodo compreso fra settembre 2015 e marzo 2016 le autorità croate e slovene, alle prese con un afflusso di cittadini di paesi terzi che chiedevano il transito attraverso il loro territorio, hanno concesso l’ingresso a coloro che intendevano presentare domande di protezione internazionale in un altro Stato membro (141). Nella causa Jafari il giudice del rinvio cerca di accertare se il permesso di attraversare il proprio territorio concesso dai suddetti Stati membri debba essere considerato un «visto» nell’accezione dell’articolo 2, lettera m), e dell’articolo 12 del regolamento Dublino III. Chiede inoltre quali possano essere le conseguenze di detto visto [questioni 2, da b) a d)].

143. Nella causa A.S. non viene posta una domanda esplicita circa il significato dell’articolo 2, lettera m), e dell’articolo 12 del regolamento Dublino III. Anche il sig. A.S., tuttavia, ha viaggiato lungo la rotta dei Balcani occidentali e gli è stato concesso l’ingresso nel territorio di diversi Stati membri per poter raggiungere la destinazione da lui scelta. La questione se l’approccio del «lasciar passare» equivalga ad un visto ai fini dei criteri di cui al capo III è, pertanto, ugualmente rilevante per la sua situazione ed è implicita nella questione 3) nel suo caso. Inoltre, sulla base di una costante giurisprudenza della Corte, il fatto che il giudice del rinvio abbia formulato una questione pregiudiziale facendo riferimento soltanto a talune disposizioni del diritto dell’Unione non osta a che la Corte fornisca a detto giudice tutti gli elementi di interpretazione che possano essere utili alla decisione della causa di cui è investito, indipendentemente dalla circostanza che esso vi abbia fatto riferimento o meno nella formulazione delle sue questioni (142).

144. Le ricorrenti nella causa Jafari, tutti gli Stati membri che hanno presentato osservazioni scritte e la Commissione concordano sul fatto che la risposta alla questione posta dal giudice del rinvio dovrebbe essere negativa. L’articolo 2, lettera m), e l’articolo 12 del regolamento Dublino III, letti congiuntamente, non comportano che se gli Stati membri consentono ai cittadini dei paesi terzi l’ingresso nel proprio territorio e il transito attraverso lo stesso verso uno Stato membro dove intendono presentare una domanda di protezione internazionale, essi abbiano emesso dei visti. La Svizzera non ha presentato osservazioni scritte su questo punto.

145. Condivido questo giudizio generale.

146. Le sorelle Jafari evidenziano in primo luogo che esse non erano titolari di permessi di soggiorno validi quando sono entrate nel territorio dell’Unione. L’articolo 12, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, pertanto, non rileva nel loro caso.

147. In quanto cittadine afghane, le famiglie Jafari erano tenute ad essere in possesso di visti all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione (143). Esse non soddisfacevano la suddetta condizione (144). Si pone la questione se, nelle circostanze del loro transito attraverso diversi Stati membri prima dell’arrivo in Slovenia o in Austria, a seconda dei casi, si debba ritenere che ad esse sia stato rilasciato un visto in considerazione dei termini della normativa applicabile.

148. Qualora si ritenga che sia stato rilasciato un visto, l’articolo 12 del regolamento Dublino III sarebbe il criterio rilevante per stabilire lo Stato membro competente.

149. Le norme che disciplinano il rilascio di visti sono complesse e comportano il rispetto di talune formalità. Vi sono validi motivi al riguardo. Il punto fondamentale è che esse prescrivono la consegna di un documento cartaceo. Nessuna delle ordinanze di rinvio, tuttavia, lascia intendere che uno Stato membro abbia rilasciato un visto secondo l’accezione ordinaria di dette parole: ossia che uno Stato membro si sia attivato inviando o consegnando formalmente un visto ad un ricorrente (145). È pacifico che nessuna delle condizioni abituali è stata rispettata. Non vi era nessun timbro ad indicare che la richiesta del visto fosse ricevibile, nessun periodo di validità e nessuna «vignetta visto» (146). Non si può ritenere, pertanto, che alcuno dei requisiti stabiliti nel regolamento n. 1683/95 sia stato soddisfatto.

150. Le formalità sono particolarmente importanti per l’adeguato funzionamento del VIS, il che consente alle guardie di frontiera di verificare se una persona che presenta un visto ne sia il legittimo titolare e di identificare le persone in possesso di documenti falsi all’interno dell’area Schengen (147).

151. Sono pertanto dell’avviso che le circostanze descritte dai giudici del rinvio nelle relative ordinanze di pronuncia pregiudiziale nelle cause A.S. e Jafari non possano essere interpretate come causa del rilascio di un «visto» ai fini dell’articolo 2, lettera m), e dell’articolo 12 del regolamento Dublino III.

152. Interpretare l’espressione «ha rilasciato il visto» di cui all’articolo 12 in senso diverso confliggerebbe con il suo significato naturale. L’argomentazione delle ricorrenti, secondo cui se il «far passare» equivalesse ad un visto sarebbe impossibile applicare l’articolo 12, paragrafi 4 e 5, del regolamento Dublino III, è molto forte. Sarebbe incoerente con il suddetto regolamento. Una siffatta interpretazione sarebbe inoltre devastante per le elaborate e complesse norme in materia di visti presenti nel relativo codice e negli atti collegati; essa, inoltre, pregiudicherebbe il funzionamento del VIS (148).

153. Pertanto, nelle circostanze assolutamente eccezionali in cui cittadini di paesi terzi hanno fatto ingresso in massa nell’Unione europea tra la fine del 2015 e l’inizio 2016 ed è stato loro concesso di attraversare la frontiera esterna dell’Unione europea provenendo da paesi terzi, il fatto che taluni Stati membri abbiano concesso ai cittadini dei paesi terzi interessati di attraversare la frontiera esterna dell’Unione europea e, successivamente, di transitare verso altri Stati membri per presentare richieste di protezione internazionale in un determinato Stato membro non equivale al rilascio di un «visto» ai fini dell’articolo 2, lettera m), e dell’articolo 12 del regolamento Dublino III.

154. Alla luce della conclusione che ho appena raggiunto, non è necessario rispondere alla questione 2, b), c), e d), nella causa Jafari.

 Terza tematica: interpretazione delle parole «ha varcato illegalmente (...) la frontiera di uno Stato membro» di cui all’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III

155. Entrambi i giudici del rinvio chiedono orientamenti relativamente al significato delle parole «il richiedente ha varcato illegalmente (...) la frontiera di uno Stato membro» di cui all’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III. In sostanza, essi intendono sapere se la situazione straordinaria all’epoca dei fatti, in cui gli Stati membri hanno espressamente consentito a cittadini di paesi terzi di entrare in massa nel proprio territorio al fine di permetterne il transito per chiedere protezione internazionale in uno Stato membro dell’Unione di loro scelta costituisca un «attraversamento irregolare» e, pertanto, rientri in detta disposizione.

156. La Francia, la Grecia, l’Ungheria, la Slovenia, il Regno Unito, la Svizzera e la Commissione sono dell’avviso che l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III sia applicabile in siffatte circostanze. L’Austria è dell’avviso che, date le circostanze all’epoca dei fatti, l’interpretazione di detta disposizione debba essere considerata in relazione all’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), del codice frontiere Schengen, che consente ai cittadini di paesi terzi che non soddisfano le condizioni di ammissione nel territorio dell’Unione europea di cui all’articolo 5, paragrafo 1, di essere comunque autorizzati ad entrare per motivi umanitari. L’Italia ritiene che non vi sia stato alcun «attraversamento irregolare» ai fini del regolamento Dublino III, dal momento che i criteri di cui al capo III dovrebbero esserere interpretati in riferimento all’articolo 31 della Convenzione di Ginevra.

157. I ricorrenti in entrambe le cause sottolineano di avere attraversato la frontiera esterna dell’Unione con l’esplicita autorizzazione ed assistenza delle competenti autorità nazionali. Essi, pertanto, non hanno «attraversato irregolarmente la frontiera» nell’accezione dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III.

158. Il contesto di queste due domande di pronuncia pregiudiziale solleva una questione complessa e controversa (149). Quando cittadini di paesi terzi attraverso una frontiera esterna dell’Unione con modalità che non soddisfano le disposizioni del codice frontiere Schengen ciò si ripercuote automaticamente all’interno del sistema di Dublino, per cui il primo Stato membro nel cui territorio essi accedono resta competente per l’esame delle rispettive domande di protezione internazionale? Sebbene dalla formulazione dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III risulti chiaramente che detto regolamento trova applicazione laddove un richiedente abbia attraversato irregolarmente la frontiera di uno Stato membro, non è affatto chiaro se il legislatore volesse che la suddetta disposizione fosse applicabile nelle circostanze eccezionali delle due cause in discorso.

159. I governi ungherese, italiano, sloveno e svizzero evidenziano che alcune versioni linguistiche del testo fanno riferimento a una frontiera «attraversata illegalmente» (150), mentre altre si riferiscono a «una frontiera attraversata irregolarmente» (151).

160. Gli aggettivi «irregolare» e «illegale» non sono considerati sinonimi nel diritto internazionale dei rifugiati, soprattutto nel contesto degli spostamenti di cittadini di paesi terzi attraverso le frontiere. Il termine «irregolare» è più ampio del termine «illegale». Esso, inoltre, ha il pregio di essere meno tendenzioso, in quanto non ha la connotazione o la sfumatura di (implicita) criminalità in relazione alla persona descritta in tal modo (152).

161. Ciò posto, concordo con le osservazioni delle parti circa il fatto che le differenze linguistiche non determinano ambiguità, nel senso che esse comportano necessariamente interpretazioni divergenti delle parole «an applicant has irregularly crossed the border into a Member State» («il richiedente ha varcato illegalmente (...) la frontiera di uno Stato membro») (153). Le differenze identificate sono il risultato di differenti traduzioni del testo originale. La suddetta opinione è confermata dal fatto che il testo inglese dell’allegato II del regolamento recante modalità di applicazione del regolamento Dublino III non è coerente con il testo inglese dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III. Il punto 7 dell’elenco A di detto allegato è intitolato «Illegal entry at an external frontier (Article 13(1))» [«Ingresso illegale nel territorio attraverso una frontiera esterna (articolo 13, paragrafo 1)»]. Esso enuncia le prove pertinenti in una siffatta valutazione (vedi supra, paragrafo 44) e opera un rinvio esplicito all’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, tuttavia la parola «illegal» è utilizzata al posto del termine «irregular» (termine che figura nello stesso articolo 13, paragrafo 1) [La versione italiana utilizza in entrambi i casi il termine «illegale», N.d.T.]. Non è credibile che il legislatore avesse intenzione di differenziare in modo sostanziale i due aggettivi nei due testi.

162. Aggiungo che il considerando 12 afferma che la direttiva procedure integra e lascia impregiudicate le disposizioni relative alle garanzie procedurali disciplinate nel regolamento Dublino III. L’articolo 31, paragrafo 8, lettera h), della suddetta direttiva stabilisce che una domanda di protezione internazionale può essere esaminata mediante una procedura d’esame accelerata e/o svolta alla frontiera o in zone di transito qualora il richiedente entri «unlawfully» («illegalmente») nel territorio dello Stato. Il termine «unlawfully» è infatti un terzo avverbio utilizzato dal legislatore per connotare il modo in cui il cittadino di un paese terzo interessato da tale disposizione ha attraversato la frontiera di uno Stato membro. Esso, presumibilmente, deve essere letto in modo coerente con le parole «irregularly crossed» («varcato illegalmente») di cui all’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, che sono sufficientemente ampie da comprenderlo (154).

163. Il regolamento Dublino III non definisce la nozione di «irregular border crossing» («attraversamento clandestino della frontiera»).

164. I riferimenti agli elementi di prova di cui all’articolo 22, paragrafo 3, del regolamento Dublino III e al regolamento relativo alle modalità di applicazione di Dublino indicano chiaramente che l’eventuale sussistenza di un ingresso illegale in un caso specifico è anzitutto una questione di fatto il cui accertamento spetta alle autorità nazionali.

165. Pertanto, la natura «irregolare» di un attraversamento della frontiera è accertata con riferimento all’allegato II del regolamento relativo alle modalità di applicazione di Dublino, in cui figurano due elenchi di criteri da utilizzarsi al fine di determinare lo Stato competente per una domanda di protezione internazionale (155). L’elenco A enuncia gli elementi pertinenti di prova formale. Gli elementi indicativi (o prove indiziarie) sono contenuti nell’elenco B (156). Fra le prove elencate figurano «timbro d’ingresso su un passaporto falso o falsificato, timbro di uscita di uno Stato confinante con uno Stato membro, considerato l’itinerario percorso dal richiedente asilo e la data di attraversamento della frontiera; titolo di trasporto che consente formalmente di stabilire l’ingresso attraverso una frontiera esterna, timbro d’ingresso o annotazione equivalente nel documento di viaggio».

166. Il sistema Eurodac è finalizzato anche a concorrere alla determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale ai sensi del regolamento Dublino III (157). Gli Stati membri sono tenuti a procedere tempestivamente al rilevamento delle impronte digitali dei richiedenti di età non inferiore a 14 anni e di trasmetterle (entro 72 ore dalla presentazione della domanda) al sistema centrale Eurodac (158). Gli Stati membri sono soggetti ad un obbligo analogo di rilevamento delle impronte digitali dei cittadini dei paesi terzi che siano fermati in relazione all’attraversamento irregolare della frontiera (159).

167. Il regolamento relativo alle modalità di applicazione di Dublino specifica che un risultato positivo fornito da Eurodac determina la presunzione di ingresso illegale (160).

168. Per l’area Schengen anche il codice frontiere Schengen rappresenta uno strumento utile per stabilire la regolarità dell’ingresso nel territorio dell’Unione di un cittadino di un paese terzo. Le condizioni d’ingresso sono stabilite all’articolo 5, paragrafo 1, mentre l’articolo 7 stabilisce le norme relative ai controlli di frontiera. È probabile che, nel caso in cui dai siffatti controlli risulti che le condizioni di cui all’articolo 5, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen non sono state rispettate, saranno fornite le prove elencate al punto 7 o le prove indiziarie di cui al punto 7 dell’elenco A di cui all’allegato II del regolamento relativo alla modalità di applicazione di Dublino.

169. Pertanto, nei casi in cui non siano stati rispettati i requisiti legali formali per l’attraversamento della frontiera esterna da parte di cittadini di paesi terzi, è di norma probabile che si sia verificato un attraversamento illegale.

170. È pacifico che i ricorrenti nei due procedimenti principali non hanno adempiuto alle formalità stabilite dal codice frontiere Schengen.

171. Il regolamento Dublino III, tuttavia, non è stato concepito come strumento per determinare lo Stato membro competente ai fini della protezione internazionale nel caso di un afflusso massiccio di persone (161). Le circostanze all’epoca dei fatti cadono in un vuoto normativo per cui non esiste una precisa disposizione di legge nei trattati o nel diritto derivato.

172. Le disposizioni esistenti possono essere interpretate in modo tale da disciplinare le suddette circostanze?

173. La Convenzione di Ginevra non contiene un modello di sistema per determinare lo Stato competente per l’esame delle domande di protezione internazionale(162). Detto atto giuridico (a differenze dell’acquis dell’Unione) è basato su un diverso sistema di diritto internazionale. Concordo, tuttavia, con il governo italiano sul fatto che, alla luce dell’articolo 78, paragrafo 1, TFUE, è corretto fare riferimento agli articoli 31 e 33 della Convenzione di Ginevra quale punto di partenza per l’interpretazione dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III. Pertanto, gli Stati che hanno consentito ai ricorrenti di transitare attraverso il proprio territorio con la loro condotta hanno agito conformemente ai propri obblighi discendenti dalla Convenzione di Ginevra.

174. Anche il diritto d’asilo sancito dall’articolo 18 della Carta e la proibizione della tortura e di trattamenti inumani [o] degradanti di cui all’articolo 4 dovrebbero essere tenuti in considerazione (163). Quest’ultimo è particolarmente rilevante per quanto riguarda il problema del rimpatrio di cittadini di paesi terzi richiedenti protezione internazionale in condizioni che sarebbero contrarie all’articolo 4 o della costrizione degli stessi a permanere in un limbo alle frontiere nazionali in condizioni degradanti (164).

175. La questione veramente difficile è: dove trovare un punto di equilibrio?

176. Appare chiaro, da un lato, che i cittadini di paesi terzi nella posizione del sig. A.S. e delle famiglie Jafari non avrebbero probabilmente soddisfatto i requisiti di cui all’articolo 5, paragrafo 1. Non si può, pertanto, ritenere che essi abbiano varcato «regolarmente» la frontiera esterna dell’Unione europea. È altrettanto chiaro, d’altro canto, che all’epoca dei fatti le autorità degli Stati membri di transito dell’Unione hanno non soltanto tollerato l’attraversamento in massa delle frontiere, pertanto autorizzandoli tacitamente; esse hanno facilitato attivamente sia l’ingresso sia il transito attraverso il proprio territorio. Detto attraversamento è «illegale» nel senso ordinario termine? Sicuramente non lo è. Ma come dovremmo definire il suddetto termine? E inoltre, descrive realmente in modo sensato ciò che stava accadendo?

177. L’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III è il criterio del capo III maggiormente utilizzato per determinare lo Stato membro competente per l’esame delle domande di protezione internazionale (165). Detta disposizione è finalizzata a spronare gli Stati membri a essere vigilanti nell’assicurare l’integrità della frontiera esterna dell’Unione. Essa, inoltre, mira a scoraggiare i movimenti secondari e il «forum shopping» da parte dei richiedenti (166).

178. Facciamo ora per un attimo un passo indietro e consideriamo la situazione «normale» ai sensi del regolamento Dublino III prima di tornare alle due cause in questione.

179. In circostanze normali, l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III si applica a una persona che, con sotterfugi o mezzi illegali, è entrata nel territorio di uno Stato membro senza che detto ingresso sia stato approvato (dal punto di vista procedurale e sostanziale) dalle autorità competenti. L’ingresso e il successivo soggiorno di detta persona sono palesemente «irregolari». Vi è una serie di regole che avrebbe dovuto essere rispettata ma non lo è stata. L’ingresso non è stato condonato dallo Stato membro in questione, ma questo non è riuscito ad impedire che si verificasse. Forse se lo Stato membro fosse stato più vigile relativamente alla difesa della frontiera esterna dell’Unione europea, la suddetta persona non sarebbe riuscita ad infiltrarsi nel territorio di quest’ultima.

180. In siffatte circostanze si può comprendere pienamente la logica che attribuisce allo Stato membro, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, la competenza per l’esame della successiva richiesta di protezione internazionale di detta persona.

181. Torniamo adesso alla crisi umanitaria che si è verificata nel periodo compreso tra settembre 2015 e marzo 2016.

182. Vi è una marea umana di persone disperate – coloro che fuggono dalla guerra in Siria ingrossano le fila di coloro che si sono spostati a piedi dall’Iraq e dall’Afghanistan. Si muovono per raggiungere il valico di frontiera croato a centinaia, a migliaia (167). Hanno poco o niente con sé. Se lasciati fuori, metteranno in piedi in qualche modo campi improvvisati, con l’assistenza internazionale – nei modi e nei tempi in cui è disponibile – da parte di organismi quali l’UNHCR, la Croce Rossa e Medici Senza Frontiere, che contribuiranno a fornire loro cibo, riparo e cure. Vi sarà una crisi umanitaria alle porte dell’Unione europea. Vi è un evidente rischio di destabilizzazione degli Stati balcanici limitrofi, con un conseguente pericolo reale per la pace e la sicurezza della regione. L’inverno avanza.

183. È la geografia e non la scelta a dettare quali Stati membri dell’Unione si trovino in prima linea. Detti Stati membri – come tutti gli Stati membri dell’Unione – hanno obblighi internazionali discendenti della Convenzione di Ginevra. Per motivi umanitari essi dovrebbero chiaramente consentire a questi esseri umani sofferenti l’accesso al proprio territorio. Ma se lo fanno, questi stessi Stati membri non saranno in grado di garantire a tutti condizioni di accoglienza adeguate (168), né tantomeno sono in grado di esaminare in modo tempestivo le richieste di protezione internazionale di ciascuno se le loro amministrazioni sono sommerse già solo dal numero di domande da gestire (169).

184. Sin da quando la Convenzione di Dublino è stata introdotta si è manifestata una tensione fra due diversi obiettivi (170). Da un lato, il sistema di Dublino cerca di istituire un sistema che offra un meccanismo interstatale per determinare velocemente il paese competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale. Nel perseguire detto obiettivo, gli Stati membri cercano di prevenire due fenomeni, il «forum shopping» e i movimenti secondari. La Commissione ha affermato recentemente: «È di estrema importanza che tutti gli Stati membri si impegnino a porre fine all’atteggiamento permissivo nei confronti di chi si mostra propenso a chiedere asilo in altri paesi. Le persone che arrivano nell’Unione devono sapere che se hanno bisogno di protezione la troveranno, ma che non spetta loro decidere dove» (171). Dall’altro, detto approccio contrasta con l’obiettivo fatto proprio da molte organizzazioni della società civile e dall’UNHCR, basato sulla ripartizione della competenza in base al luogo di presentazione di una domanda di protezione internazionale. Detto obiettivo non è mai andato lontano a causa della necessaria volontà politica che fino ad oggi non è stata manifestata (172).

185. Nulla induce a ritenere che il sig. A.S. o le famiglie Jafari intendano presentare più domande in diversi Stati membri (173). Non sono del pari giustificate le preoccupazioni circa i movimenti secondari in questi due casi. L’ingresso del sig. A.S. e delle famiglie Jafari nell’Unione europea è stato documentato. I loro rispettivi viaggi non sono stati illegali nelle modalità previste dalla normativa (174).

186. È evidente che gli attraversamenti della frontiera che hanno avuto luogo nelle cause di cui trattasi non sono stati «regolari». Non accetto, tuttavia, che sia corretto classificare detti attraversamenti della frontiera come «illegali» nell’accezione dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, con la conseguenza che lo Stato membro la cui frontiera è stata attraversata diventi competente per l’esame di una successiva domanda di internazionale.

187. Sottolineo su questo punto un’ulteriore difficoltà rispetto alle argomentazioni presentate in particolare dalla Francia e dalla Commissione. Il sig. A.S. e le famiglie Jafari sono entrati per la prima volta nel territorio dell’Unione provenendo da un paese terzo quando hanno attraversato la frontiera della Grecia, che è, pertanto, il primo Stato membro d’ingresso. Interpretando restrittivamente l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III la Grecia sarebbe, pertanto, lo Stato membro competente ai fini dell’esame delle rispettive richieste di protezione internazionale. Dal 2011 è pacifico, tuttavia, che i richiedenti protezione internazionale non possono essere trasferiti in Grecia (175).

188. Nell’ambito del medesimo viaggio via terra, il sig. A.S. e le famiglie Jafari hanno poi abbandonato per un breve periodo di tempo il territorio dell’Unione prima di rientrarvi attraverso la frontiera croata. Quest’ultimo paese, pertanto, è il secondo Stato membro in cui sono entrati provenendo da un paese terzo. Correndo il rischio di dire ovvietà, non tutti gli Stati membri dell’Unione hanno frontiere terrestri contigue con altri Stati membri (176). Niente nella lettera dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III corrobora l’interpretazione secondo cui la competenza in virtù della suddetta disposizione si trasferirebbe al secondo Stato membro d’ingresso.

189. La semplice verità è che l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III era stato concepito per disciplinare la normale situazione di attraversamenti individuali della frontiera e di domande individuali quando il cittadino di un paese terzo interessato entra illegalmente in uno Stato membro dell’Unione provenendo da un paese terzo. Né tale disposizione, né il regolamento Dublino III complessivamente considerato erano stati concepiti per coprire una situazione di attraversamenti della frontiera autorizzati da parte di un afflusso massiccio di potenziali richiedenti protezione internazionale. Tale regolamento non ha lo scopo di garantire una condivisione di responsabilità sostenibile per i richiedenti protezione internazionale all’interno dell’Unione europea in risposta a un siffatto afflusso di persone. Questo è, tuttavia, precisamente il contesto da cui hanno origine i presenti rinvii pregiudiziali (177).

190. Concludo pertanto che le parole «il richiedente ha varcato illegalmente (...) la frontiera di uno Stato membro» di cui all’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III non sono applicabili a situazioni in cui, a seguito di un afflusso in massa di cittadini di paesi terzi che chiedono protezione internazionale all’interno dell’Unione europea, gli Stati membri consentono ai cittadini dei paesi terzi interessati di attraversare la frontiera esterna dell’Unione europea e, successivamente, di transitare verso altri Stati membri dell’Unione per presentare domande di protezione internazionale in un determinato Stato membro.

 Quarta tematica: l’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), del codice frontiere Schengen

191. Il giudice del rinvio cerca di accertare se l’approccio permissivo comporta che i cittadini dei paesi terzi interessati siano stati «autorizzati» ad attraversare la frontiera esterna dell’Unione nell’accezione dell’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), del codice frontiere Schengen.

192. Dato l’approccio che propongo all’interpretazione del regolamento Dublino III (specificato supra al paragrafo 141), strettamente parlando non vi è necessità di esaminare detta disposizione del codice frontiere Schengen. Provvedo però a farlo per completezza.

193. Il sig. A.S. e le famiglie Jafari hanno inizialmente attraversato la frontiera esterna dell’Unione in Grecia. Hanno poi attraversato la frontiera esterna recandosi in uno Stato terzo, l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia. Infine, hanno attraversato il confine esterno dell’Unione europea per entrare in Croazia dalla Serbia. A prima vista essi sembrano rientrare nel campo di applicazione del codice frontiere Schengen (178).

194. L’articolo 5, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen enuncia le condizioni d’ingresso per i cittadini di paesi terzi in caso di «soggiorni di breve durata» (179): un cittadino di un paese terzo (nella fattispecie, segnatamente un cittadino dell’Afghanistan e della Siria) deve soddisfare le seguenti condizioni: i) essere in possesso di un documento di viaggio valido (180); ii) essere in possesso di un visto valido (181); e iii) essere in grado di giustificare lo scopo e le condizioni del soggiorno previsto (182). Il cittadino del paese terzo in questione, inoltre, non deve essere segnalato nel SIS né essere considerato una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna, la salute pubblica o le relazioni internazionali dello Stato interessato (183). Le condizioni elencate all’articolo 5, paragrafo 1, sono cumulative.

195. Il codice frontiere Schengen prevede che siano effettuate verifiche di frontiera ai sensi dei suoi articoli 6 e 7. Vi è una disposizione relativa all’attenuazione di dette verifiche in circostanze eccezionali e impreviste (184). I documenti di viaggio dei cittadini di paesi terzi dovrebbero tuttavia essere sistematicamente timbrati all’ingresso e all’uscita, a norma dell’articolo 10. Il controllo delle frontiere di cui all’articolo 12, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen si prefigge principalmente di impedire l’attraversamento non autorizzato della frontiera, di lottare contro la criminalità transfrontaliera e di adottare misure contro le persone entrate «illegalmente» (185). Ad un cittadino di un paese terzo che non soddisfa tutte le condizioni di cui all’articolo 5, paragrafo 1, deve essere rifiutato l’ingresso, purché non ricorra una delle eccezioni di cui all’articolo 5, paragrafo 4.

196. La prima frase dell’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), consente agli Stati membri di autorizzare l’ingresso, fra l’altro, per motivi umanitari o in virtù di obblighi internazionali.

197. La Francia e la Commissione ritengono che l’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), del codice frontiere Schengen non si applichino alle due cause in discorso. Esse sostengono che gli Stati membri sono tenuti ad effettuare una valutazione individuale in ciascun caso per stabilire se detta disposizione sia applicabile. Una siffatta valutazione non è stata effettuata né nella causa A.S. né nella causa Jafari. Pertanto esse concludono che l’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), non può essere invocato.

198. Non sono d’accordo.

199. In primo luogo, le parole utilizzate nella deroga di cui all’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), sono simili a quelle utilizzate nell’articolo 5, paragrafo 2, della CAAS. Il secondo comma di detta disposizione contiene il seguente testo aggiuntivo: «[t]ali regole non ostano all’applicazione delle disposizioni particolari relative al diritto di asilo (...)».

200. La genesi legislativa mostra che la proposta del codice frontiere Schengen presentata dalla Commissione spiegava che la proposta di regolamento riprendeva essenzialmente gli articoli da 3 a 8 del capo 1 della CAAS (186). Il testo dell’articolo 5, paragrafo 2, della CAAS era enunciato all’articolo 5, paragrafo 6, e all’articolo 11, paragrafo 1, della proposta della Commissione. Il Parlamento europeo ha introdotto la deroga che è attualmente l’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), al fine di chiarire le regole (187).

201. Non interpreto l’assenza di un rinvio specifico alle «disposizioni particolari relative al diritto di asilo» nel senso che detta deroga non possa essere applicata in circostanze quali quelle verificatesi fra settembre 2015 e marzo 2016. È possibile che il legislatore abbia considerato sufficientemente chiaro il tenore letterale dell’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), letto congiuntamente all’articolo 3, lettera a), e alla luce del considerando 7 del codice frontiere Schengen, senza l’inserimento di ulteriori termini.

202. In secondo luogo, l’espressione «motivi umanitari» non è definita nel codice frontiere Schengen. L’avvocato generale Mengozzi ha recentemente espresso l’opinione secondo cui detta espressione sarebbe una nozione autonoma del diritto dell’Unione (188). Concordo con lui. Si tratta di un’espressione ampia che copre la posizione di persone che fuggono dalla persecuzione e che sono soggette al principio di non respingimento. L’interpretazione di detta espressione di cui all’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), inoltre, dovrebbe tenere conto dell’obbligo di cui all’articolo 3 bis – gli Stati membri sono tenuti ad agire nel pieno rispetto del diritto pertinente dell’Unione, compresa la Carta, la Convenzione di Ginevra e i diritti fondamentali.

203. Mi sembra, pertanto, che le rispettive situazioni del sig. A.S. e delle famiglie Jafari rientrino nella prima frase dell’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), del codice frontiere Schengen.

204. Nulla indica che sia stata effettuata una valutazione individuale nell’uno o nell’altro caso. Molto probabilmente non è stata effettuata. La suddetta disposizione si applica comunque?

205. Credo che la risposta debba essere affermativa.

206. Vero è che la seconda frase dell’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), del codice frontiere Schengen prescrive una valutazione individuale per accertare se la persona interessata sia oggetto di una segnalazione SIS. Stando al tenore letterale, tuttavia, non si afferma che la prima frase di detta disposizione possa essere applicata solamente se la condizione di cui alla seconda frase sia già stata soddisfatta. Le due parti dell’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), sono indubbiamente collegate, ma la prima può essere letta indipendentemente dalla seconda.

207. Sono pertanto dell’avviso che, benché il criterio di cui all’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III debba essere letto in collegamento con il codice frontiere Schengen, uno Stato membro di frontiera avrebbe avuto il diritto di scegliere di basarsi sulla deroga di cui all’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), dello stesso per autorizzare cittadini di paesi terzi ad attraversare la propria frontiera esterna senza effettuare una valutazione individuale nelle circostanze verificatesi all’epoca dei fatti. Posto che un siffatto Stato membro dovrebbe, se possibile, trovare il modo per ottemperare anche alla seconda frase di detta disposizione, l’applicazione della prima frase dell’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), non dipende da tale ottemperanza.

208. Laddove uno Stato membro autorizza un cittadino di un paese terzo ad entrare nel proprio territorio sulla base dell’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), la persona interessata è qualcuno che, per definizione, non soddisfa le condizioni d’ingresso stabilite dall’articolo 5, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen. Nella misura in cui le suddette condizioni d’ingresso non sono soddisfatte, l’attraversamento della frontiera esterna da parte del cittadino di un paese terzo interessato deve, in senso formale, essere irregolare. L’ingresso di detta persona, tuttavia, è autorizzato di fatto, e la base giuridica per la suddetta autorizzazione è la deroga di cui all’articolo 5, paragrafo 4, lettera c).

209. Detta autorizzazione non può essere ignorata ai fini dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III.

210. Pertanto, concludo in subordine che, laddove uno Stato membro autorizzi un cittadino di un paese terzo ad entrare nel proprio territorio ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), del codice frontiere Schengen, il suddetto cittadino, per definizione, non soddisfa le condizioni d’ingresso stabilite all’articolo 5, paragrafo 1, del medesimo regolamento. Nella misura in cui le suddette condizioni d’ingresso non sono soddisfatte, l’attraversamento della frontiera esterna da parte del cittadino di un paese terzo interessato è, in senso formale, necessariamente irregolare. L’ingresso di detta persona, tuttavia, sarà stato autorizzato di fatto, e la base giuridica per la suddetta autorizzazione è la deroga di cui all’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), del codice frontiere Schengen.

 Quinta tematica: l’articolo 14 del regolamento Dublino III

211. Delle mie conclusioni ai paragrafi 152 e 190, supra, consegue che ritengo che i criteri enunciati al capo III, articoli 12 (visti) e 13 (ingresso illegale) del regolamento Dublino III non si applichino alle circostanze verificatesi nei Balcani occidentali da settembre 2015 a marzo 2016.

212. Le ricorrenti nella causa Jafari asseriscono che l’articolo 14 del regolamento Dublino III (ingresso con esenzione dal visto) sia il criterio rilevante.

213. Tale opinione non mi convince.

214. In primo luogo, il regolamento n. 539/2001 stabilisce regole che elencano i paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne in ingresso nel territorio dell’Unione. Dove dette regole siano applicabili (come nel caso di specie) il cittadino del paese terzo interessato deve essere in possesso del visto richiesto (189). Il regolamento contiene talune esenzioni dal suddetto requisito generale, come quelle applicabili ai cittadini di paesi terzi degli Stati elencati nell’allegato II del medesimo regolamento che intendono effettuare un «soggiorno breve» nell’Unione europea (190). È anche possibile effettuare deroghe alla regola generale ove le condizioni di cui all’articolo 4 di detto regolamento siano applicabili (191). Tuttavia, con l’eccezione di queste deroghe espresse alla regola generale, non vi sono altre circostanze in cui un cittadino di un paese terzo possa essere esentato dall’obbligo di visto.

215. In secondo luogo, in assenza di un dettato espresso nell’articolo 14 del regolamento Dublino III, mi sembra che l’espressione «[il cittadino di un paese terzo] è dispensato dal visto» non possa essere interpretata nel senso che uno Stato membro è autorizzato a disapplicare unilateralmente, per motivi diversi o aggiuntivi, l’obbligo generale di essere in possesso di un visto sancito dall’articolo 1 del regolamento n. 539/2001 (letto congiuntamente all’allegato I dello stesso per taluni paesi terzi). Il regolamento, dopotutto, è direttamente applicabile in tutti gli Stati membri ai sensi dell’articolo 288 TFUE. Interpreto piuttosto queste parole come riferite in primo luogo agli obblighi di visto non disciplinati dal regolamento n. 539/2001, come i visti per i soggiorni di lunga durata.

216. In terzo luogo, in quanto cittadini afghani incombeva alle famiglie Jafari l’obbligo di essere in possesso di visti per entrare nell’Unione europea (192). Il suddetto requisito è obbligatorio sia per il cittadino di un paese terzo sia per lo Stato membro interessato relativamente ai paesi elencati nell’allegato I del regolamento n. 539/2001. Sembrerebbe pacifico che le famiglie Jafari non rientrino nelle deroghe di cui agli articoli 1, paragrafo 2, o 4 di detto regolamento (193).

217. In alternativa si potrebbe interpretare l’articolo 14 del regolamento Dublino III nel senso che uno Stato membro ha la facoltà di dispensare dall’obbligo di visto in uno specifico caso singolo, riconoscendo che in tal modo si attribuisce la competenza a decidere della domanda di protezione internazionale della suddetta persona. Ritengo tuttavia che tale dispensa richiederebbe una valutazione individuale. Non risulta che una siffatta valutazione sia stata effettuata nel caso di specie. In realtà le circostanze depongono per il contrario, ossia che è stata attuata una politica di autorizzazione dei cittadini di paesi terzi provenienti dall’Afghanistan, dall’Iraq e dalla Siria ad attraversare i confini interni degli Stati membri senza valutazione individuale (194).

218. Respingo, pertanto, la tesi secondo cui, nelle circostanze del caso delle famiglie Jafari, l’autorizzazione di cittadini di paesi terzi ad entrare nel territorio degli Stati membri dell’Unione dà luogo a un ingresso con esenzione dal visto ai fini dell’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento Dublino III. Non accetto nemmeno che l’articolo 14, paragrafo 2, trovi applicazione con riferimento alla posizione dell’Austria (lo Stato membro in cui la domanda di protezione internazionale è stata presentata). Mi sembra che il medesimo ragionamento si applichi logicamente sia per l’articolo l4, paragrafo 1, sia per l’articolo 14, paragrafo 2.

 Applicazione del regolamento Dublino III ai due casi in questione

219. I criteri di parentela di cui agli articoli da 8 a 11 e all’articolo 15 del regolamento Dublino III non rilevano nelle circostanze del sig. A.S. o delle famiglie Jafari.

220. Sono convinta che nessuno dei criteri di cui al capo III sia applicabile a questi due casi nelle circostanze che si sono venute a creare fra settembre 2015 e marzo 2016 nei Balcani occidentali. Tali criteri non possono esser interpretati e applicati in modo da conseguire la finalità descritta nel considerando 5 del regolamento Dublino III, ossia un «meccanismo (...) fondato su criteri oggettivi ed equi sia per gli Stati membri sia per le persone interessate. Dovrebbe, soprattutto, consentire di determinare con rapidità lo Stato membro competente al fine di garantire l’effettivo accesso alle procedure volte al riconoscimento della protezione internazionale e non dovrebbe pregiudicare l’obiettivo di un rapido espletamento delle domande di protezione internazionale».

221. Nel capo III non vi è alcun criterio che affronti specificamente la situazione in cui uno o più Stati membri si trovino ad affrontare un improvviso afflusso massiccio di cittadini di paesi terzi. Sembra improbabile che il legislatore, nell’adottare un nuovo regolamento per aggiornare il regolamento Dublino II e nel mantenere l’approccio di quest’ultimo nell’individuare lo Stato membro responsabile (basato sulla considerazione isolata di ciascuna richiesta individuale di protezione internazionale), si sa mai prefigurato l’eventualità del verificarsi di una siffatta situazione.

222. È vero che l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE fornisce una base giuridica per un’azione comune dell’Unione europea volta ad affrontare una siffatta situazione emergenziale. È anche vero che vi sono state talune iniziative, come i provvedimenti adottati per ricollocare cittadini di paesi terzi dalla Grecia e dall’Italia (195). Vi sono state anche iniziative meno formali come l’incontro su «la rotta migratoria dei Balcani occidentali», svoltosi a Bruxelles il 25 ottobre 2015 su invito della Commissione che ha portato a formulare una dichiarazione finalizzata a migliorare la cooperazione e la consultazione fra gli Stati interessati (196). È stato chiesto alla Commissione di sorvegliare l’attuazione della dichiarazione.

223. Fondamentale è stata l’assenza di consenso politico su una soluzione per i Balcani occidentali (197).

224. La posizione liberale della Germania è stata descritta sui titoli dei giornali nel seguente modo: «La Germania sospende l’accordo di Dublino per i rifugiati siriani» (198) e il regolamento Dublino III è stato stigmatizzato come «fallito». La politica inizialmente adottata dalla Germania (v. supra, paragrafo 12) di ammettere senza limiti i siriani che chiedevano protezione internazionale è stata qualificata come «la Germania ha smesso di utilizzare [Dublino]» (199). La Germania, tuttavia, non è stata l’unico Stato membro ad adottare iniziative all’epoca dei fatti. Altri hanno adottato un approccio differente.(200)

225. Gli Stati membri, pertanto, hanno agito talvolta unilateralmente, talvolta bilateralmente, e talvolta in gruppi, con o senza Stati terzi. Il preciso status giuridico dei vari accordi in relazione al quadro normativo dell’Unione non è interamente chiaro, anche se le disposizioni che disciplinano lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel titolo V del TFUE attribuiscono un certo margine di flessibilità.

226. In ogni caso, resta il fatto che nessun criterio ad hoc è stato inserito nel regolamento Dublino III per disciplinare la situazione dei Balcani occidentali all’epoca dei fatti. Non sono stati nemmeno proposti o adottati altri atti giuridici per colmare il vuoto.

227. Questo è il contesto in cui alla Corte si chiede ora di dare un’interpretazione coerente del regolamento Dublino III.

228. Da un lato (e in contrasto con le opinioni che ho espresso precedentemente) la Francia e la Commissione sostengono che l’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), del codice frontiere Schengen non trovi applicazione e che il criterio di cui all’articolo 13, paragrafo 1, del capo III rilevi e debba essere applicato in modo restrittivo. Da detta tesi discende che i cittadini dei paesi terzi che hanno attraversato la frontiera esterna dell’Unione devono presentare domande di protezione internazionale negli Stati membri di frontiera in cui sono arrivati «illegalmente» per la prima volta.

229. Dall’altro, se la politica del «lasciar passare» comporta che i cittadini dei paesi terzi sono autorizzati ad attraversare uno o più Stati membri per presentare le proprie domande di protezione internazionale in uno Stato membro successivo di loro scelta, ciò potrebbe contrastare con le finalità del regolamento Dublino III di prevenire i movimenti secondari e il «forum shopping»?

230. Di nuovo, si tratta di trovare il punto di equilibrio fra due approcci (201).

231. La difficoltà principale che presenta l’interpretazione restrittiva suggerita dalla Francia e dalla Commissione è che essa non tiene realisticamente conto delle circostanze verificatesi nei Balcani occidentali all’epoca dei fatti e ignora gli elementi di fatto relativi agli attraversamenti della frontiera. In virtù della loro posizione geografica, gli Stati membri situati alla frontiera esterna dell’Unione – in particolare la Croazia e la Slovenia (che non confina con un paese terzo) ma è il primo Stato Schengen (202) – sarebbero stati sommersi dal numero di richiedenti che avrebbero dovuto accogliere e dal corrispondente numero di domande di protezione internazionale che sarebbero stati tenuti a trattare. Nel periodo compreso fra il 16 settembre 2015 e il 5 marzo 2016 sono entrate complessivamente 685 068 in Croazia. La media degli arrivi giornalieri era pari a circa 5 500 cittadini di paesi terzi; il 17 settembre 2015 la cifra è balzata a 11 000 (203).

232. Un siffatto esito non può essere considerato conforme alle finalità di basare la determinazione su «criteri oggettivi ed equi sia per gli Stati membri sia per le persone interessate».(204) Laddove il sistema nazionale di asilo di uno Stato membro è sovraccaricato, detto Stato membro non è in grado di assicurare l’effettivo accesso alle procedure volte al riconoscimento della protezione internazionale; l’obiettivo di esaminare le domande di protezione internazionale rapidamente, stabilito nella direttiva procedure, ne risulta inoltre inevitabilmente compromesso. Per lo Stato membro interessato sarà probabilmente difficile, se non impossibile, rispettare la normativa della direttiva accoglienza che stabilisce norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale negli Stati membri (205).

233. Nella causa NS e a. (206), la Corte ha affermato che una violazione della direttiva procedure o della direttiva accoglienza non costituisce un fattore da prendere in considerazione nel determinare lo Stato membro competente, in quanto fare ciò che aggiungerebbe, in maniera surrettizia, un criterio a quelli elencati nel capo III del regolamento Dublino II (207). La Corte, tuttavia, ha aggiunto che «nell’ipotesi in cui si abbia motivo di temere seriamente che sussistono carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo nello Stato membro competente, che implichino un trattamento inumano o degradante, ai sensi dell’articolo 4 della Carta, dei richiedenti asilo trasferiti nel territorio di questo Stato membro, tale trasferimento sarebbe incompatibile con [il regolamento Dublino II]» (208). Detta causa riguardava la situazione in Grecia e il predecessore del regolamento Dublino III.

234. Avverto il rischio reale che qualora agli Stati membri situati alla frontiera esterna, come la Croazia, venga attribuita la responsabilità di accettare e gestire numeri eccezionalmente elevati di richiedenti asilo, essi troveranno a dover far fronte ad un onere sproporzionato relativamente al rimpatrio di cittadini di paesi terzi che sono stati lasciati passare fra settembre 2015 e marzo 2016. Alcuni di questi richiedenti, come il sig. A.S. e le famiglie Jafari, sono successivamente divenuti oggetto di richieste di trasferimento che lo Stato membro interessato situato alla frontiera esterna deve poi elaborare. È altamente probabile che tale Stato membro dovrà poi esaminare la domanda sostanziale di protezione internazionale. È chiaro che già l’aumento del numero di richiedenti asilo rimpatriati ai sensi del regolamento Dublino III ha posto ulteriormente sotto pressione il sistema d’asilo croato (209). È più che possibile che la Croazia – come già si verifica per la Grecia – semplicemente non sarà in grado di far fronte alla situazione se ad essa viene inoltre richiesto di accogliere una moltitudine di richiedenti precedentemente transitati attraverso tale Stato membro.

235. La Slovenia ha dovuto gestire numeri simili di persone che cercavano accesso attraverso il proprio territorio e anche le sue strutture amministrative per l’accoglienza dei richiedenti sono state sottoposte ad una pressione eccessiva (210). Il governo sloveno ha definito la situazione come una delle più grandi sfide umanitarie che si è trovata a dover affrontare dalla seconda guerra mondiale (211). Ciò, a sua volta, potrebbe anche determinare l’impossibilità per detto Stato membro di rispettare i propri obblighi discendenti dall’articolo 4 della Carta e dall’articolo 3 della CEDU (212).

236. Non ritengo che all’epoca dei fatti ci si sarebbe potuti ragionevolmente aspettare o pretendere che i richiedenti protezione internazionale presentassero una richiesta di protezione internazionale nel primo Stato membro di arrivo, come è sembrata suggerire la Commissione in udienza. È vero che il sistema di Dublino è pensato per funzionare su detta premessa e che le impronte digitali dei singoli richiedenti sono rilevate e inserite in Eurodac su detta base. Niente di tutto ciò, tuttavia, riflette la realtà della situazione verificatasi fra settembre 2015 e marzo 2016, quando le autorità competenti hanno dovuto far fronte ad un afflusso in massa di persone. Aggiungo che non è pensabile costringere le persone a sottoporsi a rilievi dattiloscopici in base alla normativa attuale (probabilmente perché sia il regolamento Dublino III sia il regolamento Eurodac rispettano i diritti fondamentali e una siffatta pratica potrebbe non essere compatibile con detto scopo) e, tuttavia, questo sarebbe stato probabilmente l’unico modo per garantire la rilevazione delle impronte digitali di ciascuna persona al suo passaggio.

237. Proprio perché la situazione era così eccezionale, non penso che le preoccupazioni (legittime) riguardanti i movimenti secondari e il «forum shopping» si concretizzino allo stesso modo in cui lo farebbero in circostanze normali. Le presenti cause non riguardano persone che sono entrate nel territorio dell’Unione attraversando clandestinamente la frontiera. In entrambi i casi gli attraversamenti sono stati autorizzati. Le persone interessate hanno comunicato le proprie intenzioni alle autorità e sono state registrate (213). Qui non ci troviamo ad affrontare movimenti secondari illeciti. Non vi è nulla nel materiale sottoposto alla Corte che induca a ritenere che i richiedenti volessero darsi al «forum shopping». Essi volevano semplicemente presentare le rispettive domande in Stati membri specifici che avevano espresso la volontà di trattare ed esaminare tali domande. La situazione non si attaglia agli archetipi esistenti. Pertanto, non ne consegue necessariamente che timori di movimenti secondari e di «forum shopping» – legittimi nel caso del tipico richiedente singolo – rilevino in questo caso.

238. I criteri di cui al capo III non sono stati pensati avendo in mente la situazione dei Balcani occidentali (214). Insistere sull’applicazione rigorosa di detti criteri confligge con un altro obiettivo dichiarato del regolamento Dublino III, ossia assicurare che gli Stati membri non mantengano i richiedenti protezione internazionale «in orbita» (215).

239. Questo vuol dire che il regolamento Dublino III è «fallito»?

240. Non mi sembra.

241. L’articolo 3 del regolamento Dublino III introduce determinati principi e garanzie generali di cui gli Stati membri si possono avvalere. Il disposto di cui all’articolo 3, paragrafo 1, secondi cui le domande devono essere esaminate da un solo Stato membro, continua ad essere valido. L’articolo 3, paragrafo 2, stabilisce che «[q]uando lo Stato membro competente non può essere designato sulla base dei criteri enumerati nel presente regolamento, è competente il primo Stato membro nel quale la domanda di protezione internazionale è stata presentata». Gli Stati membri possono inoltre decidere di avvalersi della clausola discrezionale di cui all’articolo 17, paragrafo 1, in base alla quale possono esaminare domande di protezione internazionale presentate da cittadini di paesi terzi anche se tale esame non compete loro in base ai criteri stabiliti al capo III.

242. Alla luce delle circostanze assolutamente eccezionali verificatesi nei Balcani occidentali nel periodo compreso tra settembre 2015 e marzo 2016, lo Stato membro competente può essere determinato sulla base di una delle suddette disposizioni del regolamento Dublino III. In nessun caso attualmente all’esame della Corte lo Stato membro interessato ha dichiarato volontariamente la propria competenza ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1. Pertanto, lo Stato membro competente dovrebbe essere designato ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2. Detto parere onora la salvaguardia dei diritti fondamentali sancita dal legislatore dell’Unione europea ed è coerente con l’obiettivo generale di cui al considerando 7, in quanto ripartisce con chiarezza tra gli Stati membri la competenza per l’esame delle domande di protezione internazionale.

243. Concludo che i fatti di cui ai procedimenti principali non consentano di designare uno «Stato membro competente» ai sensi del capo III del regolamento Dublino III. Ne discende che le relative domande di protezione internazionale dovrebbero essere esaminate dal primo Stato membro in cui queste domande sono state presentate ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, di detto regolamento.

 Causa A.S., C‑490/16.

244. Il giudice nazionale solleva un ulteriore problema in questo rinvio pregiudiziale relativamente al diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva e alle modalità di calcolo dei termini.

245. Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede in sostanza se il sig. A.S. abbia il diritto di contestare, ai sensi dell’articolo 27 del regolamento Dublino III, la decisione dell’autorità slovena competente di richiedere alla Croazia di assumere la competenza per l’esame della sua domanda di asilo ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, di detto regolamento.

246. Alla luce della decisione di questa Corte nella causa Ghezelbash (216), la risposta alla suddetta questione deve essere inequivocabilmente affermativa. In detta sentenza la Corte ha statuito che «l’articolo 27, paragrafo 1, del [regolamento Dublino III], letto alla luce del considerando 19 di tale regolamento, deve essere interpretato nel senso che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, un richiedente asilo può invocare, nell’ambito di un ricorso proposto avverso una decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti, l’errata applicazione di un criterio di competenza di cui al capo III di detto regolamento (...)» (217).

247. Concludo che, quando un richiedente protezione internazionale impugna una decisione di trasferimento sulla base dell’erronea applicazione del criterio di cui all’articolo 13, paragrafo 1, l’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento Dublino III dev’essere interpretato nel senso che detto richiedente può invocare, nell’ambito di un ricorso proposto avverso una decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti, l’errata applicazione di detto criterio di determinazione della competenza enunciato al capo III di detto regolamento.

248. Con la sua quinta questione il giudice del rinvio chiede di accertare se i termini previsti dagli articoli 13, paragrafo 1, e 29, paragrafo 2, del regolamento Dublino III continuino a decorrere nel caso in cui un richiedente protezione internazionale impugni una decisione di trasferimento ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1.

249. L’articolo 13, paragrafo 1, stabilisce che, nei casi in cui la determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale si basi sul fatto che il richiedente abbia varcato illegalmente la frontiera e sia entrato in detto Stato in provenienza da un paese terzo, la competenza per l’esame della domanda cessa 12 mesi dopo la data di attraversamento clandestino della frontiera.

250. Atteso che il sig. A.S. ha esercitato il proprio diritto d’impugnare la decisione di trasferimento, il termine di cui all’articolo 13, paragrafo 1, sarebbe scaduto prima della soluzione della controversia. Ciò è ancora più evidente dal momento che il procedimento nazionale è attualmente sospeso in attesa della decisione di questa Corte.

251. Dal tenore letterale mi sembra che il termine di cui all’articolo 13, paragrafo 1, è finalizzato esclusivamente ad assicurare che lo Stato membro che chiede il trasferimento («lo Stato membro richiedente») verso lo Stato in cui il cittadino del paese terzo ha varcato per la prima volta la frontiera esterna ed è entrato nel territorio dell’Unione agisca tempestivamente (218). Se lo Stato richiedente non agisce entro 12 mesi, esso diviene automaticamente lo Stato membro competente per l’esame della domanda di protezione internazionale. Detto termine non è collegato con il diritto d’impugnazione del richiedente. Interpretare il termine di 12 mesi in tal senso sarebbe contrario all’obiettivo di determinare prontamente lo Stato membro competente nell’ambito del sistema di Dublino.

252. L’articolo 29, paragrafo 2, stabilisce che, nei casi in cui il trasferimento di un richiedente protezione internazionale dallo Stato membro richiedente (nella fattispecie la Slovenia) allo Stato membro competente (nella fattispecie, la Croazia) non avviene entro il termine di sei mesi dall’accettazione della richiesta di trasferimento, lo Stato membro competente è liberato dal suo obbligo. Ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 3, la presentazione di un ricorso o di una domanda di revisione avverso una decisione di trasferimento ha effetti sospensivi per il ricorrente. Il regolamento, tuttavia, tace riguardo al fatto se un’impugnazione di tale natura sospenda i termini stabiliti all’articolo 29, paragrafo 2, del regolamento Dublino III.

253. Se i ricorsi avverso le decisioni di trasferimento ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento Dublino III hanno effetti sospensivi nell’accezione dell’articolo 27, paragrafo 3, lettere a) e b), qualsiasi decisione di trasferimento è sospesa secondo il dettato espresso di dette disposizioni. Appare chiaro che, in siffatte circostanze, il termine di cui all’articolo 29, paragrafo 2, non decorre.

254. La posizione è meno chiara laddove si applichi l’articolo 27, paragrafo 3, lettera c). In un siffatto caso, gli Stati membri devono accordare al ricorrente la possibilità di richiedere la sospensione della decisione di trasferimento. Il termine di cui all’articolo 29, paragrafo 2, non può decorrere durante il periodo di sospensione. Nel caso in cui il ricorrente rimanga soccombente, tuttavia, la sospensione termina e il termine di 6 mesi comincia nuovamente a decorrere.

255. Mi sembra che interpretare gli articoli 27 e 29 nel senso che il termine di 6 mesi continua a decorrere nonostante l’impugnazione della decisione di trasferimento sia incompatibile con la finalità e l’impianto del regolamento. Ciò significherebbe che il processo di trasferimento potrebbe essere vanificato da un procedimento legale di lunga durata.

256. Ritengo pertanto che la decorrenza del termine di 6 mesi stabilito dall’articolo 29, paragrafo 2, del regolamento Dublino III venga interrotta ove un ricorso ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, abbia effetto sospensivo nell’accezione dell’articolo 27, paragrafo 3, di detto regolamento.

257. A non essere chiare sono proprio le possibili implicazioni per il sig. A.S. La Corte non dispone di informazioni circa le modalità di attuazione dell’articolo 27, paragrafo 3, del regolamento Dublino III da parte della Slovenia.

258. È tuttavia pacifico che le condizioni in cui il sig. A.S. è entrato nell’Unione europea erano straordinarie. È anche assodato che è stato autorizzato a entrare in Croazia dalle autorità croate e che gli è stato del pari concesso accesso autorizzato all’area Schengen quando ha varcato la frontiera slovena provenendo dalla Croazia. In udienza la Slovenia ha indicato che l’autorizzazione è stata concessa sulla base dell’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), del codice frontiere Schengen. In dette circostanze, come ho indicato, mi sembra che l’ingresso del sig. A.S. non sia stato «illegale» ai fini dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III. Egli è stato registrato all’atto di varcare la frontiera esterna e nulla indica che sia stato oggetto di una segnalazione SIS. Egli non può essere ritrasferito in Grecia (il suo punto d’ingresso originario nell’Unione europea) (219). Ne consegue che la Slovenia sia lo Stato membro competente per l’esame della domanda di protezione internazionale ai sensi del primo comma dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento Dublino III.

 Causa Jafari, C‑646/16

259. Dal paragrafo 243 supra si evince che ritengo che le domande di protezione internazionale presentate dalle famiglie Jafari debbano essere esaminate dalle autorità austriache sulla base dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento Dublino III. Non ritengo che la politica del «lasciar passare» attuata dagli Stati dei Balcani occidentali equivalesse ad un visto ai fini degli articolo 12 del regolamento Dublino III. Non vi è stata nemmeno una dispensa dal visto nell’accezione dell’articolo 14 del regolamento Dublino III.

260. L’ingresso delle famiglie Jafari nell’Unione europea in provenienza da uno Stato terzo, tuttavia, è stato autorizzato, così come lo sono stati i successivi attraversamenti delle frontiere interne dell’Unione. Non è chiaro se ciò si sia verificato espressamente sulla base giuridica di cui all’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), del codice frontiere Schengen. Ciò che è inconfutabile è che ad esse è stato permesso di entrare e nel fare ciò sono state effettivamente assistite dalle autorità nazionali competenti. Nelle circostanze inedite inerenti ai Balcani occidentali tra settembre 2015 e marzo 2016, ciò è sufficiente per rendere inapplicabile il criterio di cui all’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino IIIl.

261. Le famiglie Jafari non possono essere ritrasferite in Grecia (il loro punto d’ingresso originario nell’Unione europea) (220). Ne consegue che l’Austria è lo Stato membro competente per l’esame delle loro domande di protezione internazionale ai sensi del primo comma dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento Dublino III. Nelle circostanze inedite verificatesi nei Balcani occidentali fra settembre 2015 e marzo 2016, ciò è sufficiente per rendere inapplicabile il criterio di cui all’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III.

 Conclusione

262. Alla luce delle considerazioni di cui sopra propongo alla Corte di pronunciarsi nei seguenti termini:

Per quando riguarda sia la causa A.S., C‑490/16 sia la causa C‑646/16 Jafari:

1)      Il regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide dovrebbe essere interpretato con riferimento alla lettera, al contesto e agli scopi perseguiti dal medesimo, considerato di per sé e non già in collegamento con altri atti giuridici dell’Unione, compresi in particolare il regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) e la direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, sebbene nell’interpretare il regolamento n. 604/2013 le disposizioni dei citati atti giuridici dovrebbero essere prese in considerazione nella misura necessaria per assicurare la coerenza fra le varie politiche di cui al capo 2, titolo V, del TFUE.

2)      Nelle circostanze assolutamente eccezionali in cui cittadini di paesi terzi hanno fatto ingresso in massa nell’Unione europea tra la fine del 2015 e l’inizio 2016 ed è stato loro concesso di attraversare la frontiera esterna dell’Unione europea provenendo da paesi terzi, il fatto che taluni Stati membri abbiano concesso ai cittadini dei paesi terzi interessati di attraversare la frontiera esterna dell’Unione europea e, successivamente, di transitare verso altri Stati membri per presentare richieste di protezione internazionale in un determinato Stato membro non equivale al rilascio di un «visto» ai fini degli articoli 2, lettera m), e 12 del regolamento n. 604/2013.

3)      Le parole «il richiedente ha varcato illegalmente (...) la frontiera di uno Stato membro» di cui all’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013 non sono applicabili a situazioni in cui, a seguito di un afflusso in massa di cittadini di paesi terzi che chiedono protezione internazionale all’interno dell’Unione europea, gli Stati membri consentono ai cittadini dei paesi terzi interessati di attraversare la frontiera esterna dell’Unione europea e, successivamente, di transitare verso altri Stati membri dell’Unione europea per presentare domande di protezione internazionale in un determinato Stato membro.

4)      In subordine, laddove uno Stato membro autorizzi un cittadino di un paese terzo ad entrare nel proprio territorio ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), del codice frontiere Schengen, il suddetto cittadino, per definizione, non soddisfa le condizioni d’ingresso stabilite all’articolo 5, paragrafo 1, del medesimo regolamento. Nella misura in cui le suddette condizioni d’ingresso non sono soddisfatte, l’attraversamento della frontiera esterna da parte del cittadino di un paese terzo interessato è, in senso formale, necessariamente irregolare. L’ingresso di detta persona, tuttavia, sarà stato autorizzato di fatto, e la base giuridica per la suddetta autorizzazione è la deroga di cui all’articolo 5, paragrafo 4, lettera c), del codice frontiere Schengen.

5)      Nelle circostanze inerenti ai Balcani occidentali fra la fine del 2015 e l’inizio del 2016, l’autorizzazione di cittadini di paesi terzi ad entrare nel territorio degli Stati membri dell’Unione non dà luogo a un ingresso con esenzione dal visto ai fini dell’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013.

6)      I fatti di cui ai procedimenti principali non consentono di designare uno «Stato membro competente» ai sensi del capo III del regolamento n. 604/2013. Ne discende che le relative domande di protezione internazionale dovrebbero essere esaminate dal primo Stato membro in cui queste domande sono state presentate ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, di detto regolamento.

Per quando riguarda la causa A.S., C‑490/16:

7)      Quando un richiedente protezione internazionale impugna una decisione di trasferimento sulla base dell’erronea applicazione del criterio di cui all’articolo 13, paragrafo 1, l’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento n. 604/2013 deve essere interpretato nel senso che detto richiedente può invocare, nell’ambito di un ricorso proposto avverso una decisione di trasferimento adottata nei suoi confronti, l’errata applicazione di detto criterio di determinazione della competenza enunciato al capo III di detto regolamento.

8)       La decorrenza del termine di 6 mesi stabilito all’articolo 29, paragrafo 2, del regolamento n. 604/2013 è interrotta ove un ricorso ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, abbia effetto sospensivo nell’accezione dell’articolo 27, paragrafo 3, di detto regolamento.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      Spostandosi da nord a sud: Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Ungheria, Bulgaria e Romania. L’exclave russa dell’Oblast di Kaliningrad è circondata da Polonia, Lituania e dal Mar Baltico.


3      La Croazia, pertanto, oltre alle proprie frontiere con i propri vicini UE Slovenia e Ungheria, ha anche frontiere esterne con Bosnia-Erzegovina, Serbia e Montenegro. La Grecia ha una frontiera interna all’UE con la Bulgaria e frontiere esterne con l’Albania, l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia e la Turchia.


4 –      La Convenzione di Ginevra (v. infra paragrafo 19) definisce i rifugiati come persone che fuggono da un conflitto o dalla persecuzione; il termine «rifugiati» è utilizzato anche in senso lato per includere le persone che fanno parte di un flusso proveniente da un paese o da una regione colpita da un conflitto, prima che abbiano avuto la possibilità di chiedere formalmente e di vedersi riconosciuto lo status di rifugiati. La migrazione è un concetto molto differente. A livello internazionale non vi è una definizione universalmente accettata della parola «migrante». Si ritiene comunemente che il termine comprenda tutti i casi in cui la decisione di migrare è stata presa liberamente dalla persona interessata per motivi di «convenienza personale» e senza l’intervento di un fattore esterno schiacciante. Questa è la differenza cruciale fra «migranti» e «rifugiati». L’espressione «migrante» è utilizzata spesso nella stampa per includere i cosiddetti «migranti economici» – coloro che lasciano il proprio paese di origine per motivi meramente economici non collegati alla nozione di «rifugiato» per aspirare ad un miglioramento materiale della propria qualità della vita; v. glossario dell’Organizzazione internazionale per le Migrazioni e il glossario della Rete europea sulle migrazioni, nonché la dichiarazione effettuata dall’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati («UNHCR») l’11 luglio 2016 «“Refugee” or “migrant” – which is right?».


5 –      Fra (rispettivamente): Irlanda e Regno Unito; Regno Unito, Francia e Belgio; Regno Unito, Paesi Bassi e Germania.


6 –      Lo Skaggerak separa la Danimarca dal suo paese limitrofo SEE, la Norvegia.


7 –      Il Kattegat e il mar Baltico separano la Danimarca e la Germania dalla Svezia.


8 –      Il mar Baltico, il golfo di Botnia e il golfo di Finlandia.


9 –      Le frontiere terrestri della Finlandia la dividono dalla Svezia (anch’essa uno Stato membro dell’UE), dalla Norvegia (uno Stato SEE) e dalla Russia (un paese terzo).


10 –      Utilizzo questo termine per descrivere, nell’ordine, una successione di strumenti giuridici. Anzitutto la Convenzione di Dublino (Convenzione sulla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri delle comunità europee; GU 1997, C 254, pag. 1). Gli Stati membri hanno firmato la suddetta Convenzione a Dublino il 15 giugno 1990. La Convenzione di Dublino è entrata in vigore il 1° settembre 1997 per i dodici Stati firmatari iniziali, il 1° ottobre 1997 per la Repubblica d’Austria e il Regno di Svezia e il 1° gennaio 1998 per la Repubblica di Finlandia. È stata sostituita dal Regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo (GU 2003, L 50, pag. 1; in prosieguo: «il regolamento Dublino II»). Il regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (GU 2013, L 180, pag. 31, in prosieguo: il «regolamento Dublino III») ha abrogato il regolamento Dublino II ed è la versione attualmente in vigore.


11 –      Noto che, in pratica, lo Stato membro che è agevolmente servito da una determinata linea aerea in provenienza da una determinata destinazione influenzerà la determinazione di quale sarà lo Stato membro in cui un richiedente protezione internazionale in arrivo per via aerea sbarcherà per primo.


12 –      «Editorial Comments», Common Market Law Review 52, n. 6 del 6 dicembre 2015, pagg. 1437–1450, in cui è citata la lettera del primo vicepresidente Frans Timmermans al gruppo S & D nel Parlamento europeo del 21 ottobre 2015.


13 –      V. Comunicazione dalla Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio del 10 febbraio 2016 sullo stato di attuazione delle azioni prioritarie intraprese nel quadro dell’agenda europea sulla migrazione, [COM(2016) 85 final].


14 –      Descritti collettivamente come gli «Stati di transito».


15 –      «Migration to Europe through the Western Balkans – Serbia & the Former Yugoslav Republic of Macedonia, Report, December 2015 to May 2016», REACH, pag 4. La rotta è descritta come un passaggio relativamente semplice e sicuro rispetto ad altre rotte; v. pag. 19 di detta relazione.


16 –      «At the Gate of Europe» («Alle porte dell’Europa»), un rapporto sui rifugiati lungo la rotta dei Balcani occidentali di Senado Šelo Šabić e Sonja Borić. Una volta che la massa di cittadini di paesi terzi era giunta a Šid, una cittadina di confine lungo la frontiera croata, è stato fornito trasporto gratuito per portare le persone attraverso la frontiera in un centro di accoglienza in Croazia.


17 –      Decisione (UE) 2015/1523 del Consiglio, del 14 settembre 2015, che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia (GU 2015, L 239, pag. 146).


18 –      Considerando 7 della decisione 2015/1523.


19 –      Decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio, del 22 settembre 2015, che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia (GU 2015, L 248, pag. 80).


20 –      Alla fine di febbraio 2017 (a distanza di 18 mesi dal periodo di ricollocazione) erano stati ricollocati dalla Grecia e dall’Italia complessivamente 11 966 richiedenti asilo: v. la relazione della Direzione generale delle politiche interne «Implementation of the 2015 Council Decisions establishing provisional measures in the area of international protection for the benefit of Italy and of Greece» («Attuazione delle decisioni del Consiglio del 2015 che istituiscono misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia»), pubblicata dal Parlamento europeo. La Commissione ha descritto «insoddisfacente» il livello di attuazione del meccanismo di ricollocazione. Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio: Prima relazione sulla ricollocazione e il reinsediamento, 16 marzo 2016 [COM(2016) 165 final].


21 –      L’Ungheria non si è ritenuta Stato di frontiera e ha ritenuto di non beneficiare del provvedimento. La Repubblica ceca, l’Ungheria, la Slovacchia e la Romania hanno espresso un voto contrario, la Finlandia si è astenuta – Servizio ricerca del Parlamento europeo «Legislation on emergency relocation of asylum seekers in the European Union» (Legislazione in materia di ricollocazione d’emergenza dei richiedenti asilo nell’Unione europea)».


22 –      Hanno partecipato l’Albania, l’Austria, la Bulgaria, la Croazia, l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia, la Germania, la Grecia, l’Ungheria, la Romania, la Serbia e la Slovenia.


23 –      Comunicato stampa IP/15/5904 della Commissione del 25 ottobre 2015.


24 –      L’analisi più plausibile è che l’iniziativa potrebbe essere stata concepita come azione interstatale ai sensi del diritto internazionale e non del diritto dell’Unione. Ciò detto, non è chiaro se gli Stati membri avessero la competenza necessaria per compiere una siffatta azione.


25 –      Non mi sembra che ciò rifletta in modo perfettamente preciso la posizione, piuttosto dimostra la percezione che taluni avevano della situazione.


26 –      Fra le varie relazioni sulla situazione vi è «the Frontex statement on trends and routes concerning the Western Balkans Route» («il rapporto Frontex sugli andamenti e le rotte relativi alla rotta dei Balcani occidentali»).


27 –      L’incontro si è svolto fra i responsabili dei servizi di polizia di Austria, Croazia, ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Serbia e Slovenia. Ai punti 5, 6 e 7, di detta dichiarazione si legge che i partecipanti hanno convenuto di autorizzare il primo ingresso solo per le persone che soddisfano i requisiti d’ingresso stabiliti nel codice frontiere Schengen. Ai cittadini iracheni e siriani si doveva concedere l’ingresso per motivi umanitari a condizione che soddisfacessero determinati requisiti (quali la prova della nazionalità); venivano inoltre stabiliti criteri comuni da sottoporre a verifica durante la registrazione. Sono state assunte varie iniziative a livello dell’Unione europea e di vari Stati membri (riassunte supra ai paragrafi da 12 a 17). Ho citato questa specifica dichiarazione perché direttamente collegata alle questioni pregiudiziali.


28 –      Firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 ed entrata in vigore il 22 aprile 1954 [ Recueil des traités des Nations Unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954), come integrata dal protocollo relativo allo status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967 ed entrato in vigore il 4 ottobre 1967 (in prosieguo, unitamente: la «Convenzione di Ginevra»)].


29 –      Firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»).


30 –      GU 2010, C 83, pag. 389 (in prosieguo: la «Carta»). Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona il 1° dicembre 2009 la Carta è stata elevata al rango di diritto primario (articolo 6, paragrafo 1, TUE).


31 –      Decisione del Consiglio 2006/188/CE del 21 febbraio 2006 relativa alla conclusione dell’accordo tra la Comunità europea e il Regno di Danimarca, che estende alla Danimarca le disposizioni del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo e del regolamento (CE) n. 2725/2000 del Consiglio che istituisce l’«Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione della convenzione di Dublino (GU 2006, L 66, pag. 38).


32 –      L’accordo e il protocollo con la Confederazione Svizzera e il Principato di Liechtenstein sono entrati in vigore il 1° marzo 2008 (GU 2008, L 53, pag. 5). Esso è stato approvato mediante decisione del Consiglio 2008/147/CE del 28 gennaio 2008 (GU 2008, L 53, pag. 3) e decisione del Consiglio 2009/487/CE del 24 ottobre 2008 (GU 2009, L 161, pag. 6). Pertanto, il sistema di Dublino è applicabile anche al principato di Liechtenstein. L’Islanda e la Norvegia applicano il sistema di Dublino in virtù di accordi bilaterali con l’Unione europea, approvati mediante decisione del Consiglio 2001/258 del 15 marzo 2001 (GU 2001, L 93, pag. 38).


33 –      Considerando 2, 3 e 4.


34 –      Considerando 5.


35 –      Considerando 7.


36 –      I considerando 10, 11, e 12 rinviano ai seguenti atti giuridici: i) direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011 recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9; in prosieguo: la «direttiva qualifiche»); ii) direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 6; in prosieguo: la «direttiva procedure»); nonché iii) direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 96; in prosieguo: la «direttiva accoglienza»).


37 –      Considerando 13 e 14.


38 –      Considerando 15 e 16.


39 –      Considerando 19.


40 –      Considerando 25.


41 –      Considerando 32.


42 –      Considerando 39.


43 –      V. inoltre infra, paragrafo 88.


44 –      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, che istituisce un codice comunitario dei visti (GU 2009, L 243, pag. 1) (“il codice visto”)..


45 –      Il regolamento Eurodac: v. infra, paragrafo 43.


46 –      Il significato preciso di detta disposizione è oggetto della causa Mengesteab, C‑670/16, attualmente pendente dinanzi alla Corte.


47 –      L’articolo 22, paragrafo 3, conferisce il potere alla Commissione di adottare atti di esecuzione che stabiliscano elenchi nei quali figurano gli elementi di prova e le circostanze indiziarie pertinenti che determinano la competenza per l’esame di una domanda di protezione internazionale ai sensi del regolamento Dublino III; v. inoltre infra paragrafo 44.


48 –      Questioni relative all’interpretazione di dette disposizioni sono state del pari sollevate nella causa Mengesteab, C‑670/16 (pendente dinanzi alla Corte).


49 –      Questioni riguardanti l’interpretazione dell’articolo 29 del regolamento Dublino III sono state sollevate nella causa C‑201/16, Shiri (pendente dinanzi alla Corte).


50 –      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 maggio 2010, che istituisce l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (GU 2010, L 132, pag. 11).


51 –      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che istituisce l’«Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione del regolamento (UE) n. 604/2013 e per le richieste di confronto con i dati Eurodac presentate dalle autorità di contrasto degli Stati membri e da Europol a fini di contrasto, e che modifica il regolamento (UE) n. 1077/2011 che istituisce un’agenzia europea per la gestione operativa dei sistemi IT su larga scala nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia (GU 2013, L 180 pag. 1; in prosieguo: il «regolamento Eurodac»); v. articolo 1.


52 –      Regolamento del 30 gennaio 2014 che modifica il regolamento (CE) n. 1560/2003 recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo (GU 2014, L 39, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento relativo alle modalità di applicazione di Dublino»).


53 –      V. ad esempio la Lega anseatica, creata per tutelare determinati interessi commerciali e privilegi diplomatici nelle sue città e nei suoi paesi affiliati, che in tal modo ha facilitato e disciplinato la libera circolazione delle persone legata al commercio. Fondata ufficialmente nel 1356, le origini della Lega risalgono alla ricostruzione di Lubecca nel 1159 da parte di Enrico il Leone. Essa ha svolto un ruolo primordiale nella conformazione dell’economia, del commercio e delle politiche della regione del mare del Nord e del mar Baltico per più di 300 anni.


54 –      La Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen del 14 giugno 1985 tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni (GU 2000, L 239, pag. 19, in prosieguo: la «CAAS»). La Convenzione è tuttora in vigore, sebbene sia stata parzialmente sostituita dal codice frontiere Schengen, che ha abrogato gli articoli da 2 a 8. V., inoltre, infra paragrafo 46.


55 –      Dei 28 Stati membri dell’UE, 22 partecipano pienamente all’acquis di Schengen, e la Bulgaria, la Croazia, Cipro e la Romania sono in procinto di diventare partecipanti a pieno titolo. Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, dell’atto di adesione della Croazia all’Unione europea, determinate disposizioni dell’acquis di Schengen sono già applicabili a detto paese. Il SIS II non è ancora applicabile in Croazia, ma è stata ora presentata una proposta di decisione del Consiglio per modificare detta posizione: proposta di decisione del Consiglio sull’applicazione delle disposizioni dell’acquis di Schengen nel settore del sistema d’informazione Schengen nella Repubblica di Croazia del 18 gennaio 2017 [COM(2017) 17 final]. Anche il Liechtenstein, l’Islanda, la Norvegia e la Svizzera partecipano all’acquis di Schengen in base ad accordi bilaterali con l’Unione europea.


56 –      Ai sensi dell’articolo 4 del protocollo (N. 19) sull’acquis di Schengen, integrato nell’ambito dell’Unione europea, allegato al TUE e al TFUE, l’Irlanda e il Regno Unito hanno la facoltà di chiedere di partecipare, in tutto o in parte, alle misure di Schengen. Il Regno Unito è autorizzato a esercitare i controlli alla frontiera che ritenga necessari sulle persone che intendono entrare nel Regno Unito [articolo 1 del protocollo (N. 20) TFUE sull’applicazione di alcuni aspetti dell’articolo 26 TFUE al Regno Unito e all’Irlanda, allegato al TUE e al TFUE]. Al Regno Unito è riconosciuta una deroga espressa all’articolo 77 TFUE (relativamente alla politica dell’Unione sui controlli alle frontiere interne ed esterne). I Trattati, pertanto, riconoscono che il Regno Unito esercita controlli sulle proprie frontiere. Ai sensi dell’articolo 1 del protocollo (N. 22) sulla posizione della Danimarca, allegato al TUE e al TFUE, detto Stato membro non partecipa all’adozione da parte del Consiglio delle misure proposte a norma della parte terza del titolo V TFUE (Politiche e azioni interne dell’Unione nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia).


57 –      Regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) (GU 2006, L 105, pag. 1). Da allora detto regolamento è stato abrogato e sostituito dal regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016 (GU 2016, L 77, pag. 1), anch’esso intitolato codice frontiere Schengen. All’epoca dei fatti (ossia fra settembre 2015 e marzo 2016) era in vigore la versione precedente del codice frontiere Schengen, come modificata dal regolamento (UE) n. 1051/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2013 (GU 2013, L 295, pag. 1). Nelle presenti conclusioni farò riferimento a quella versione del codice frontiere Schengen.


58 –      Considerando 2.


59 –      Considerando 4.


60 –      Considerando 6.


61 –      Considerando 7.


62 –      Considerando 8.


63 –      Considerando 9.


64 –      Direttiva del 29 aprile 2004 relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (GU 2004, L 158, pag. 77).


65 –      Regolamento del 13 giugno 2002 che istituisce un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di paesi terzi (GU 2002, L 157, pag. 1).


66 –      L’articolo 34 del codice frontiere Schengen elenca i dati che gli Stati membri devono comunicare alla Commissione europea, come quelli relativi ai permessi di soggiorno e ai valichi di frontiera. V. infra, paragrafo 58 con riferimento ai visti.


67 –      La Corte ha parlato brevemente della relazione fra detti visti e il regolamento Dublino III al punto 48 della sua recente sentenza X e X, C‑638/16, PPU, EU:C:2017:173.


68 –      L’articolo 5, paragrafo 2, stabilisce che l’allegato I comprende un elenco non esauriente dei giustificativi che le guardie di frontiera possono chiedere ai cittadini di paesi terzi al fine di verificare il rispetto delle condizioni previste al paragrafo 1, lettera c).


69 –      Articolo 1 del regolamento (CE) n. 1987/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 2006, sull’istituzione, l’esercizio e l’uso del sistema d’informazione Schengen di seconda generazione (SIS II) (GU 2006, L 381, pag. 4) (in prosieguo: il «regolamento SIS II»). Il suddetto regolamento ha sostituito gli articoli da 92 a 119 della CAAS.


70 –      Articolo 3, lettera d), del regolamento SIS II.


71 –      Articolo 24, paragrafi 1 e 2, del regolamento SIS II. Commento in maniera approfondita il sistema di segnalazione SIS nelle conclusioni presentate nella causa Ouhrami, C‑255/16, EU:C:2017:398.


72 –      Articolo 24, paragrafo 3, del regolamento SIS II.


73 –      Regolamento del 29 maggio 1995 che istituisce un modello uniforme per i visti (GU 1995, L 164, pag. 1).


74 –      Regolamento del 15 marzo 2001 (GU 2001, L 81, pag. 1).


75 –      Articolo 3 del regolamento n. 539/2001.


76 –      Dette categorie sono elencate all’articolo 4, paragrafo 1: esse comprendono, ad esempio, i titolari di passaporti diplomatici.


77 –      Decisione dell’8 giugno 2004, che istituisce il sistema di informazione visti (VIS) (GU 2004, L 213, pag. 5).


78 –      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio 9 luglio 2008, concernente il sistema di informazione visti (VIS) e lo scambio di dati tra Stati membri sui visti per soggiorni di breve durata (regolamento VIS) (GU 2008, L 218, pag. 60).


79 –      V. rispettivamente, articolo 2, paragrafi 1, 2, 6 e 7, del codice dei visti.


80 –      Articolo 31, paragrafi 1 e 2.


81 –      Articolo 31, paragrafo 3.


82 –      Articolo 31, paragrafo 8, lettere h) e i), della direttiva procedure.


83 –      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU 2008, L 348, pag. 98; in prosieguo: la «direttiva rimpatri»).


84 –      Rispettivamente, articolo 3, paragrafi 1 e 2, della direttiva rimpatri.


85 –      Causa C‑490/16.


86 –      Causa C‑646/16.


87 –      V. nota 4 supra.


88 –      L’articolo 22, paragrafo 3, del regolamento Dublino III stabilisce che l’attraversamento illegale della frontiera è accertato sulla base degli elementi di prova e delle circostanze indiziarie ai sensi del regolamento relativo alle modalità di applicazione di Dublino. L’Upravno sodišče Republike Slovenije (giudice amministrativo di primo grado della Repubblica di Slovenia) evidenzia che, invero, non vi sono prove formali di un ingresso illegale in Croazia negli atti di causa relativi al sig. A.S..


89 –      V., inoltre, infra paragrafo 99 sulla partecipazione all’udienza comune e sulle osservazioni orali.


90 –      Nella misura in cui questa modifica (redatta esclusivamente in sloveno) sembra essere stata apportata da un funzionario che ha agito senza che le ricorrenti ne fossero a conoscenza o vi avessero acconsentito, ciò indica la pressione alla quale sono esposti i funzionari che operano nei posti di frontiera. Dividere in questo modo la famiglia solleverebbe problemi ai sensi degli articoli 7 e 24 della Carta relativamente al diritto alla vita familiare e ai diritti del bambino. Se le due sorelle, con i rispettivi figli fossero giunte in Stati membri diversi, sarebbero potute sorgere questioni in relazione ad altri criteri del capo III stabiliti dal regolamento Dublino III.


91 –      V. infra, paragrafi 231 e 232.


92 –      È possibile che si faccia riferimento alla dichiarazione rilasciata dai capi dei servizi di polizia del 18 febbraio 2016 (vedi supra, paragrafo 16). È possibile, tuttavia, che il riferimento sia alle conclusioni del Consiglio europeo in pari data. Non è chiaro dalla domanda di pronuncia pregiudiziale quale dei suddetti documenti sia invocato.


93 –      Sentenze Ghezelbash, C‑63/15, EU:C:2016:409, e Karim, C‑155/15, EU:C:2016:410.


94 –      Articolo 1 del regolamento Dublino III.


95 –      V. supra, paragrafo 45.


96 –      Il «forum shopping» si riferisce agli abusi in relazione alle procedure di asilo, come le domande multiple presentate da uno stesso richiedente in diversi Stati membri all’unico scopo di prolungare il soggiorno negli Stati membri.; v. ad esempio, la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide del 3 dicembre 2008 [COM(2008) 820 final].


97 –      Il termine «movimenti secondari» si riferisce al fenomeno di migranti, rifugiati e richiedenti asilo che, per diverse ragioni, si spostano dal paese in cui sono arrivati per la prima volta per cercare protezione o un reinsediamento permanente altrove (v. glossario sull’asilo e la migrazione della Rete europea sulle migrazioni).


98 –      Considerando 2, 3, 4 e 5 del regolamento Dublino III.


99 –      Articoli da 8 a 11 del regolamento Dublino III.


100 –      Articoli 12, 13 e 14 del regolamento Dublino III. Quando un cittadino di un paese terzo presenta una domanda di protezione internazionale nella zona internazionale di transito di un aeroporto di uno Stato membro, detto Stato è competente per l’esame della domanda (articolo 15 del regolamento Dublino III).


101 –      V. articoli 7 e 5, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen.


102 –      Articolo 12, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen. Detto obbligo fa salvi coloro che richiedono il riconoscimento dello status di rifugiato e il principio di non respingimento. V. articolo 9, paragrafo 1, della direttiva procedure in relazione al diritto di rimanere in uno Stato membro durante l’esame di una domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato e l’articolo 6 della direttiva rimpatri per quanto attiene agli obblighi degli Stati membri di rimpatriare i cittadini di paesi terzi che soggiornano illegalmente nel loro territorio.


103 –      In pratica il regolamento Eurodac non è applicato in modo uniforme e la Commissione ha indirizzato un certo numero di lettere amministrative agli Stati membri (la lettera inviata prima della contestazione degli addebiti che precede la procedura d’infrazione di cui all’articolo 258 TFUE). V. COM(2015) 510 final del 14 ottobre 2015; Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio «Gestire la crisi dei rifugiati: stato di attuazione delle azioni prioritarie intraprese nel quadro dell’agenda europea sulla migrazione».


104 –      Articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva rimpatri. Gli Stati membri possono decidere di non applicare la direttiva quando il respingimento è disposto ai sensi dell’articolo 13 del codice frontiere Schengen o quando una persona è fermata o intercettata all’atto di attraversale illegalmente la frontiera.


105 –      V. supra, paragrafi da 7 a 18.


106 –      Questione 2) nella causa C‑490/16 e questione 1) nella causa C‑646/16.


107 –      Questione 2, da a) a d), questione 3, e), f) e g) nella causa C‑646/16.


108 –      Questione 2 nella causa C‑490/16 e questioni 2, e), 3, a) e 3, b) nella causa C‑646/16.


109 –      Questione 3 nella causa C‑490/16 e questioni 3, da a) a h) nella causa C‑646/16.


110 –      Questioni 1 e 5.


111 – Questione 4 nella causa C‑490/16.


112 –      V. supra, paragrafi da 12 a 17 e 45.


113 –      Sentenza del 6 giugno 2013, MA e a., C‑648/11, EU:C:2013:367, punto 50 e giurisprudenza ivi citata; v. anche sentenza del 7 giugno 2016,. Ghezelbash, C‑63/15, EU:C:2016:409, paragraph 35.


114 –      Accordo interistituzionale del 22 dicembre 1998 sugli orientamenti comuni relativi alla qualità redazionale della legislazione comunitaria (GU 1999, C 73, pag. 1).


115 –      V., per analogia, sentenza Skoma-Lux, C‑161/06, EU:C:2007:773, punto 38.


116 –      V. infra, paragrafi da 142 a 153.


117 –      V. supra, paragrafi 62 e 63. Il “visto” di cui all’articolo 2, lettera m), del regolamento Dublino III è un concetto più ampio rispetto a quello contenuto nel codice.


118 –      V. supra, paragrafo 26.


119 –      Considerando 3 del regolamento Dublino III.


120 –      Considerando 3 del regolamento Dublino III.


121 –      V., per analogia, sentenza Kreis Warendorf e Osso, C‑443/14 e C‑444/14, EU:C:2016:127, punti 29 e 30.


122 –      Pertanto, nella relazione esplicativa che accompagna la sua proposta COM(2001) 447 definitivo, del 26 luglio 2001, di regolamento del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo, la Commissione descrive la normativa proposta come l’aggiunta di «una pietra alla costruzione del CEAS (...)». V. anche, per analogia, sentenza Mirza, C‑695/15 PPU, EU:C:2016:188, punto 41; v. anche considerando da 10 a 12 del regolamento Dublino III.


123 –      V., ad esempio, articolo 2, lettere b) e d), del regolamento Dublino III in relazione alla direttiva qualifiche e alla direttiva procedure, nonché l’articolo 28 relativo alla direttiva accoglienza.


124 –      Considerando 32.


125 –      Sentenze NS, C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punti 78 e 79, e Abdullahi, C‑394/12, EU:C:2013:813, punto 52.


126 –      Sentenza Abdullahi, C‑394/12, EU:C:2013:813, punto 53.


127 –      Sentenza NS, C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punto 83.


128 –      Sentenza MA e a., C‑648/11, EU:C:2013:367, punti da 56 a 58. V. anche considerando 2, 19 e 39 del regolamento Dublino III.


129 –      Sentenza Abdullahi, C‑394/12, EU:C:2013:813, punto 56.


130 –      Sentenza Abdullahi, C‑394/12, EU:C:2013:813, punto 59.


131 –      V. supra, paragrafi da 117 a 120.


132 –      Articolo 2, lettera c), del regolamento Dublino III.


133 –      V. la relazione esplicativa alla proposta della Commissione, COM(2008) 820 definitivo. Le disposizioni relative alla «Responsabilità per l’esame delle domande di asilo» figuravano agli articoli da 28 a 30 del capo 7 della CAAS.


134 –      V., ad esempio, Direttiva 2002/90/CE del Consiglio, del 28 novembre 2002, volta a definire il favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali (GU 2002, L 328, pag. 17).


135 –      V. articoli 3 e 4 bis, paragrafo 1, del protocollo N. 21 allegato al TUE e al TFUE, nonché il considerando 41 del regolamento Dublino III.


136 –      In questi casi il cittadino di un paese terzo interessato rientra nell’ambito di applicazione della direttiva procedure e beneficia della protezione di cui all’articolo 9 della stessa.


137 –      Sentenza C‑47/15, EU:C:2016:408, punti 48 e 49.


138 –      V. anche infra, paragrafi 136 e segg.


139 –      Sentenza Abdullahi, C‑394/12, EU:C:2013:813, punto 48.


140 –      Gli strumenti normativi del CEAS hanno la medesima base giuridica, ossia l’articolo 78, paragrafo 2, TFUE [in particolare: la direttiva qualifiche l’articolo 78, paragrafo 2, lettere a) e b), TFUE; la direttiva procedure l’articolo 78, paragrafo 2, lettera d), TFUE e la direttiva accoglienza l’articolo 78, paragrafo 2, lettera f), TFUE]. La base giuridica del regolamento Dublino III, ovviamente, è l’articolo 78, paragrafo 2, lettera e), FTUE. L’articolo 63, paragrafo 2, lettere a) e b), è citato come base giuridica della direttiva 2001/55/CE del Consiglio, del 20 luglio 2001, sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell’equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono i rifugiati e gli sfollati e subiscono le conseguenze dell’accoglienza degli stessi (GU 2001, L 212, pag. 12). Detto atto giuridico non è stato ancora aggiornato, la base giuridica adeguata sarebbe oggi l’articolo 78, paragrafo 2, lettera g), dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. La base giuridica del codice frontiere Schengen è l’articolo 77 TFUE, mentre quella della direttiva rimpatri è l’articolo 79 TFUE.


141 –      La Germania era solitamente la destinazione preferita dagli intervistati in un sondaggio condotto da REACH nel suo rapporto «Migration to Europe through the Western Balkans – Serbia & the Former Yugoslav Republic of Macedonia, December 2015 to May 2016» («Migrazione verso l’Europa attraverso i Balcani occidentali – Serbia ed ex Repubblica jugoslava di Macedonia, da dicembre 2015 a maggio 2016»).


142 –      Sentenza X e X, C‑638/16 PPU, EU:C:2017:173, punto 39 e giurisprudenza ivi citata.


143 –      Allegato I del regolamento n. 539/2001.


144 –      Lo stesso dicasi per il sig. A.S., in quanto la Siria figura nell’allegato 1 del regolamento n. 539/2001 come paese terzo i cui cittadini devono essere titolari di un visto al momento dell’attraversamento delle frontiere esterne dell’Unione se provengono da uno Stato terzo.


145 –      V. supra, paragrafi 62 e 63.


146 –      Come richiesto, rispettivamente, dagli articoli 20 e 24 del codice dei visti.


147 –      Articolo 21 del codice dei visti; vedi anche supra, paragrafo 60.


148 –      V. articolo 21 del regolamento n. 767/2008 e considerando 31 del regolamento Dublino III.


149 –      V. supra, paragrafi da 1 a 9.


150 –      Le versioni tedesca e slovena.


151 –      Le versioni inglese e francese.


152 –      Il Consiglio d’Europa opera una distinzione fra migrazione illegale e migrante irregolare. Con riferimento alla risoluzione 1509 (2006) dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, il termine «illegale» è preferito quando si riferisce a uno status o a un processo, mentre il termine «irregolare» è preferito quando si riferisce a una persona. Per effetto dell’associazione con la criminalità si ritiene che il termine «migrazione illegale» dovrebbe essere evitato, in quanto la maggior parte dei migranti irregolari non sono criminali. Trovarsi in un paese privi dei documenti richiesti non costituisce, nella maggior parte dei paesi, un reato bensì un’infrazione amministrativa. La Commissione ha preferito per lungo tempo il termine «immigrazione illegale», ma più recentemente si riferisce anche a «migrazione irregolare»; «illegale» e «irregolare» sembrano essere usati in modo intercambiabile nella raccomandazione della Commissione (EU) 2017/432 del 7 marzo 2017 «per rendere i rimpatri più efficaci nell’attuazione della [direttiva rimpatri]» (GU 2017, L 66, pag. 15).


153 –      Sentenza Kreis Warendorf e Osso, C‑443/14 P e C‑444/14 P, EU:C:2016:127.


154 –      Anche il testo francese utilizza un avverbio differente; il termine «irrégulièrement» è utilizzato nell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III. Nell’articolo 31, paragrafo 8, lettera h), della direttiva procedure viene utilizzata l’espressione «est entré ou a prolongé son séjour illégalement». Lo stesso dicasi per il testo tedesco, che utilizza «illegal» all’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III e «unrechtmäßig» nell’articolo 31, paragrafo 8, lettera h), della direttiva procedure.


155 –      La finalità degli elenchi consiste nel garantire continuità fra la Convenzione di Dublino e gli atti giuridici che l’hanno sostituita: v. considerando 2 del regolamento relativo alle modalità di applicazione di Dublino.


156 –      L’articolo 22 paragrafo 3, del regolamento Dublino III stabilisce che il requisito della prova non deve andare oltre quanto necessario ai fini della corretta applicazione del regolamento: v. anche articolo 22, paragrafo 5.


157 –      Articolo 1 del regolamento Eurodac.


158 –      Articolo 9 del regolamento Eurodac.


159 –      Articolo 14, paragrafo 1, del regolamento Eurodac.


160 –      Primo trattino del punto 7 nell’elenco A dell’allegato II del regolamento relativo alle modalità di applicazione di Dublino. Poiché lo Stato membro che rileva le impronte digitale diviene poi, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, competente a pronunciarsi sulle future richieste di protezione internazionale, ciò in realtà può fungere da disincentivo all’applicazione rigorosa del regolamento Eurodac.


161 –      La base giuridica del regolamento Dublino III è l’articolo 78, paragrafo 2, lettera e), TFUE. Osservo che l’articolo 78, paragrafo 2, lettera c), riguarda un sistema comune volto alla protezione temporanea degli sfollati in caso di afflusso massiccio: v. direttiva 2001/55/CE. Dal momento che la suddetta direttiva è stata adottata prima del trattato di Lisbona del 2009, la numerazione citata nei considerando di detto atto giuridico si riferisce all’articolo 63, lettere a) e b), CE.


162 –      L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) dichiara che «il sistema Dublino costituisce l’unico strumento regionale che regola l’attribuzione della competenza in materia di richieste di asilo, ed è un importante strumento per i richiedenti asilo al fine di ottenere il ricongiungimento familiare all’interno dell’Unione europea». I commenti dell’UNHCR sulla proposta, della Commissione europea, di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di paese terzo o da un apolide [COM (2016) 270], pag. 6.


163 –      L’articolo 3 della CEDU sancisce il diritto corrispondente.


164 –      Sentenza NS, C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punto 94.


165 –      «The Reform of the Dublin System», pubblicato dalla Direzione generale per la Migrazione e gli affari interni.


166 –      I criteri di cui al capo III relativi alle condizioni di accesso, in particolare ciò che oggi è l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, sono stati sviluppati dai medesimi principi contenuti nella CAAS [in particolare l’ex articolo 30, lettera e)], ossia l’idea che in uno spazio in cui la libera circolazione delle persone è garantita dal trattato, ciascuno Stato membro è responsabile nei confronti di tutti gli altri della sua politica in materia di ingresso e di soggiorno dei cittadini dei paesi terzi e deve assumerne le conseguenze con spirito di solidarietà e di leale cooperazione. V., con riferimento al regolamento Dublino II, la relazione esplicativa alla proposta della Commissione COM(2001) 447; v. anche la relazione esplicativa alla proposta della Commissione COM(2008) 820. V. inoltre supra, paragrafo 129 sul significato delle origini degli atti giuridici di Dublino.


167 –      L’afflusso ha visto coinvolte anche persone che non erano cittadini di detti Stati, insieme a coloro che non sono stati costretti a migrare per motivi di persecuzione; v., in particolare supra nota 4 e paragrafo 7.


168 –      In base alla direttiva accoglienza gli Stati membri sono tenuti a rispettare norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale che garantiscano un livello di vita dignitoso e condizioni di vita analoghe nell’intera Unione europea. Nel fare ciò, gli Stati membri sono vincolati dagli obblighi discendenti da strumenti di diritto internazionale, quali la Convenzione di Ginevra e la CEDU.


169 –      Vedi infra, nota 212.


170 –      Sentenza N.S., C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punto 86, ora codificato con l’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento Dublino III.


171 –      Comunicazione dalla Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sullo stato di attuazione delle azioni prioritarie intraprese nel quadro dell’agenda europea sulla migrazione, COM(2016) 85 final.


172 –      – COM(2008) 820 definitivo.


173 –      V. supra nota 96.


174 –      Il sig. A.S. è entrato in Croazia dalla Serbia attraverso un determinato valico di frontiera; v. supra, paragrafo 71. Le famiglie Jafari sono entrate in Croazia dalla Serbia dopo essersi sottoposte a determinati controlli preliminari finalizzati ad accertare che si trattasse effettivamente di cittadini afghani e, pertanto, che fossero probabilmente soddisfatti i requisiti per beneficiare della protezione internazionale; v. supra, paragrafo 86.


175 –      Sentenza N.S., C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punto 94; v., inoltre, infra, paragrafi da 231 a 242.


176 –       Vedi supra, paragrafi 1 e 2.


177 –      V. inoltre la relazione esplicativa della proposta di «regolamento Dublino IV» della Commissione – Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide [COM(2016) 270 final, del 4 maggio 2016].


178 –      Articolo 3 del codice frontiere Schengen.


179 –      Ossia l’ingresso per un periodo non superiore a 90 giorni per semestre (v. codice visti). Non vi sono regole per i soggiorni di lunga durata nel codice frontiere Schengen.


180 –      V. inoltre articolo 5, paragrafo 1, lettera a), del codice frontiere Schengen.


181 –      V. inoltre articolo 5, paragrafo 1, lettera b), del codice frontiere Schengen.


182 –      V. inoltre articolo 5, paragrafo 1, lettera c), del codice frontiere Schengen.


183 –      V., rispettivamente, articolo 5, paragrafo 1, lettere d) ed e), del codice frontiere Schengen.


184 –      V. supra, paragrafo 54.


185 –      Una persona che ha attraversato «illegalmente» la frontiera e che non ha il diritto di soggiornare sul territorio dello Stato membro interessato deve essere fermata ed essere sottoposta a procedure di rimpatrio a norma della direttiva rimpatri.


186 –      Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un «codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone» del 26 maggio 2004, COM(2004) 391 final, pag. 8.


187 –      La modifica introdotta dal Parlamento europeo è stata ritenuta necessaria per tenere conto delle «considerazioni umanitarie e delle situazioni d’emergenza quali ragioni valide per derogare alle disposizioni di base»; v. relazione del Parlamento europeo sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un «codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone», A6‑0188/2005 final, pagg. 71 e 74.


188 –      Conclusioni presentate nella causa X e X, C‑638/16 PPU, EU:C:2017:93, paragrafo 130, in riferimento all’articolo 25 del codice visti.


189 –      Articolo 1, paragrafo 1, del regolamento n. 539/2001.


190 –      Articolo 1, paragrafo 2, del regolamento n. 539/2001 e allegato II. Fra i paesi che figurano nell’elenco vi sono, fra gli altri, Albania, Andorra, Brasile, Canada, Israele e Giappone.


191 –      V. supra, paragrafo 59.


192 –      V. articolo 1 e allegato I del regolamento n. 539/2001 citato supra al paragrafo 59.


193 –      Il sig. A.S. non invoca l’articolo 14 del regolamento Dublino III. Ai fini di un’ordinata esposizione, osservo tuttavia che la posizione sarebbe identica nel suo caso, poiché in quanto cittadino siriano anch’egli è tenuto ad essere in possesso di un visto per entrare nell’Unione europea; v. allegato I del regolamento n. 539/2001 e v. a supra, paragrafo 194.


194 –      V. supra, paragrafo 16.


195 –      V. supra, paragrafi 10 e 11.


196 –      All’incontro hanno partecipato i leader rappresentanti di Albania, Austria, Bulgaria, Croazia, ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Germania, Grecia, Ungheria, Romania, Serbia e Slovenia. La dichiarazione ha assunto la forma di un «piano in 17 punti di misure programmatiche e operative per garantire che le persone non siano abbandonate a se stesse nella pioggia e nel freddo». È stata formulata come comunicato stampa IP/15/5904.


197 –      Sono state introdotte talune misure, considerate come atti di solidarietà nell’accezione dell’articolo 80 TFUE, ossia le decisioni del Consiglio 2015/1523 e 2015/1601. Non si è tuttavia fatto ricorso all’articolo 33 del regolamento Dublino III.


198 –      Der Tagespiegel (Andrea Dernbach) del 26 agosto 2015.


199 –      Financial Times del 20 gennaio 2016.


200 –      v. punti da 13 a 17 supra.


201 –      V. supra, paragrafo 175 relativamente alla valutazione dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento Dublino III.


202 –      V. supra nota 55.


203 –      «At the Gate of Europe» («Alle porte dell’Europa»), un rapporto sui rifugiati lungo la rotta dei Balcani occcidentali di Senado Šelo Šabić e Sonja Borić, pag. 11. Sulla base delle cifre fornite da Eurostat citate in «The Balkan route reversed – the return of asylum seekers to Croatia under the Dublin System» La rotta dei Balcani al contrario – il rimpatrio dei richiedenti asilo in Croazia secondo il sistema di Dublino»), il rapporto (del 15 dicembre 2016 e pubblicato dall’European Council for Refugees and Exiles e Asylum Information Database) afferma che il sistema di accoglienza e le procedure d’asilo croati per i cittadini di paesi terzi richiedenti protezione internazionale non erano stati organizzati con l’obiettivo di rispondere ad una «cospicua popolazione di richiedenti asilo».


204 –      V. Considerando 5 del regolamento Dublino III; v. anche articolo 31, paragrafi da 1 a 3, della direttiva procedure.


205 –      Direttiva accoglienza: v. anche considerando da 10 a 12 del regolamento Dublino III.


206 –      Sentenza NS, C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865.


207 –      Sentenza NS, C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punti 84 e 85.


208 –      Sentenza NS, C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punto 86. Detto principio è stato ora codificato nell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento Dublino III.


209 –      Nel 2015 vi sono state in tutto 943 richieste ai sensi del regolamento di Dublino di prendere in carico o riprendere in carico richiedenti protezione internazionale e non più di 24 trasferimenti [EUROSTAT]. Dal 1° gennaio al 30 novembre 2016 la Croazia ha ricevuto 3 793 richieste di questo tipo provenienti principalmente dall’Austria, dalla Germania e dalla Svizzera. Nel 2015 nel dipartimento croato responsabile dell’asilo lavoravano solo tre funzionari. All’apice della crisi il numero è stato portato a cinque per gestire i casi cui era applicabile il regolamento di Dublino. V. «The Balkan route reversed – the return of asylum seekers to Croatia under the Dublin System», citato alla nota 201, pag. 27.


210 –      «At the Gate of Europe», un rapporto sui rifugiati lungo la rotta dei Balcani occidentali di Senado Šelo Šabić e Sonja Borić, pagg. 14‑16.


211 –       Ben 447 791 cittadini di paesi terzi hanno attraversato la Slovenia fra la fine del 2015 e l’inizio del 2016, ma solo 471 hanno presentato domande di protezione internazionale in detto paese.


212 –      V., per analogia, sentenza NS, C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punti da 88 a 90, e giurisprudenza ivi citata. V., più recentemente, sentenza del 4 novembre 2014, Tarakhel c. Svizzera (EC:ECHR:2014:1104JUD 002921712). Non risultano -a tutt’oggi - difficoltà sistemiche nel sistema d’asilo con riferimento alla Croazia o alla Slovenia.


213 –      Con riferimento al sig. A.S., v. supra paragrafi da 71 a 72. Con riferimento alle famiglie Jafari, v. supra, paragrafi da 85 a 88.


214 –      V. supra, paragrafi da 186 a 189.


215 –      Gil Mogades, S., «The discretion of States in the Dublin III system for determining responsibility for examining applications for asylum» («La discrezionalità degli Stati nel sistema Dublino III per determinare la competenza per l’esame delle domande di asilo»), International Journal of Refugee law, vol. 27, n. 3, pp. 433‑ 456.


216 –      Sentenza Ghezelbash, C‑63/15, EU:C:2016:409.


217 –      Sentenza Ghezelbash, C‑63/15, EU:C:2016:409, punto 61.


218 –      V. articolo 18 del regolamento Dublino III; v. anche articolo 31 della direttiva procedure.


219 –      V. paragrafo 187 supra.


220 –      V. paragrafo 187 supra.