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Senato della RepubblicaXVII LEGISLATURA
N. 239
Dossier

Servizio studi

A.S. n. 2092

CITTADINANZA Note sull'A.S. n. 2092 trasmesso dalla Camera dei deputati

Riferimenti:

  • A.S. 2092

Classificazione Teseo: CITTADINI ITALIANI

INTRODUZIONE

L'unificazione legislativa ed amministrativa conseguente alla proclamazione del Regno d'Italia nel 1861 investì beninteso anche la disciplina della cittadinanza. Il codice civile del 1865 recò disposizioni al riguardo, nei suoi articoli 1-15.

Quella disciplina (mutuata dal codice civile del Regno di Sardegna) risultò presto obsoleta.

Il massiccio flusso migratorio di Italiani verso l'estero era seguito a volte dal rientro in patria, però con vincoli di cittadinanza nel frattempo contratti nel Paese di emigrazione. Né mancavano gli arrivi di persone con cittadinanza straniera, richiedenti la cittadinanza italiana. Sul duplice versante della doppia cittadinanza e della naturalizzazione, in particolare, quella normativa si rivelava non più rispondente ai tempi.

Seguirono alcuni interventi normativi (con la legge del 1901 sull'emigrazione e la legge del 1906 sulle naturalizzazioni).

Ma una disciplina compiuta della materia giunse solo nella XXIII legislatura statutaria, con la legge n. 555 del 1912 (il Parlamento giusto allora approvava la riforma giolittiana di estensione del suffragio).

La legge del 1912 pose una disciplina destinata ad avere solida durata. Pur con inevitabili rimaneggiamenti, essa rimase in vigore fino al 1992.

Indi intervenne la legge n. 91 del 1992, a dettare "Nuove norme sulla cittadinanza". E' la disciplina oggi vigente.

Questa legge ha segnato, rispetto alla disciplina del 1912, uno sviluppo ed un aggiornamento, non già una rottura. Essa ha 'innestato' nel precedente tronco normativo: il riconoscimento dell'uguaglianza tra uomo e donna, recependo indirizzi della giurisprudenza costituzionale (innanzi, le vicende della cittadinanza facevano perno sul pater familias); la doppia cittadinanza (invero presente anche nella legge del 1912, ma per limitate fattispecie); una forte rilevanza della manifestazione di volontà dell'interessato, ai fini dell'acquisizione della cittadinanza.

Immutata rimane la preminenza dello ius sanguinis rispetto allo ius soli, riconosciuto quest'ultimo in via residuale, per casi circoscritti.

Del resto, la legge del 1992 muoveva dal prevalente intento di rispondere ad istanze giungenti dagli Italiani all'estero, posta negli anni Ottanta l'instabilità politica o economica dei Paesi latino-americani di maggior emigrazione.

A finalità e contesto storico diversi pare rispondere il disegno di legge che giunge all'esame del Senato - approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati 13 ottobre 2015. L'A.S. n. 2092 guarda non già all'Italiano o discendente di Italiani, bensì allo straniero immigrato in Italia, privo di ascendenza italiana - in tempo di considerevoli e oramai 'strutturali' flussi di immigrazione verso l'Italia.

Il disegno di legge muove pertanto fuori dell'alveo dello ius sanguinis.

Esso prevede una duplice variazione rispetto alla normativa vigente: una espansione dell'ambito di applicazione dello ius soli; l'introduzione di una nuova fattispecie riconducibile allo ius culturae.

Questo, limitatamente ai giovani stranieri residenti in Italia (salvo una disposizione transitoria, su cui infra).

IL CONTENUTO DELL'A.S. N. 2092

In premessa vale ricordare (lo si approfondirà nel successivo capitolo, dedicato alla normativa vigente) come la legge n. 91 del 1992 prevede che acquisti di diritto alla nascita la cittadinanza italiana, colui che i cui genitori (padre o madre) siano cittadini italiani (cd. acquisto iure sanguinis).

La legge prevede altresì un diverso acquisto iure soli, ossia per il legame con il territorio italiano. Esso è circoscritto ad alcune particolari fattispecie.

Vale a dire:

-nascita in territorio italiano, ed entrambi i genitori siano ignoti o apolidi;

-nascita in territorio italiano, senza che sia acquistata la cittadinanza dei genitori secondo la legge dello Stato cui essi appartengono;

-permanenza nel territorio italiano, ed entrambi i genitori siano ignoti, e non sia trovato il possesso di altra cittadinanza.

Una nuova fattispecie di acquisto della cittadinanza italiana per nascita (ius soli)

Essa è oggetto dall'articolo 1, comma 1, lettere a) e b) del disegno di legge trasmesso dalla Camera dei deputati.

Vi si prevede che acquisti la cittadinanza per nascita, chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri, dei quali almeno uno sia in possesso del diritto di soggiorno permanente o del permesso di soggiorno di lungo periodo.

Dunque, si tratta di acquisto di diritto della cittadinanza. Decisivo suo requisito è il soggiorno per almeno cinque anni in Italia.

Il diritto di soggiorno permanente è riconosciuto infatti - ai sensi dell'articolo 14 del decreto legislativo n. 30 del 2007 - al cittadino dell'Unione europea e ai suoi familiari, che abbiano soggiornato legalmente e in via continuativa per cinque anni nel territorio nazionale.

Il diritto di soggiorno permanente si perde in ogni caso a seguito di assenze di durata superiore a due anni consecutivi.

Il permesso UE per soggiorno di lungo periodo è rilasciato - ai sensi dell'articolo dall'articolo 9 del decreto legislativo n. 286 del 1998 - allo straniero cittadino di Stati non appartenente all'Unione europea, in possesso dei seguenti requisiti:

  • titolarità, da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validità;
  • reddito non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale;
  • disponibilità di alloggio che risponda ai requisiti di idoneità previsti dalla legge;
  • superamento di un test di conoscenza della lingua italiana.

Tale permesso per soggiorno di lungo periodo non può essere rilasciato agli stranieri pericolosi per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato.

Esso è a tempo indeterminato (e deve essere rilasciato entro 90 giorni dalla richiesta).

Il permesso può essere rilasciato anche ai familiari purché ricorrano determinate condizioni previste dalla legge.

Disposizioni particolari vigono per i titolari di protezione internazionale.

Non hanno diritto al permesso gli stranieri che: a) soggiornino per motivi di studio o formazione professionale; b) soggiornino a titolo di protezione temporanea o per motivi umanitari; c) abbiano chiesto la protezione internazionale e siano in attesa di una decisione definitiva circa tale richiesta; d) siano titolari di un permesso di soggiorno di breve durata; e) godano di uno status giuridico particolare previsto dalle convenzioni internazionali sulle relazioni diplomatiche.

La nuova fattispecie di acquisto della cittadinanza italiana per nascita, prevista dal disegno di legge, si realizza mediante dichiarazione di volontà, espressa (all'ufficiale dello stato civile del Comune di residenza del minore) da parte di un genitore o di chi eserciti la responsabilità genitoriale.

La direzione sanitaria del punto nascita o l'ufficiale di stato civile cui sia resa la dichiarazione di nascita, informano il genitore di questa facoltà.

La dichiarazione della volontà di acquisire la cittadinanza italiana deve essere espressa entro il compimento della maggiore età dell'interessato.

Ove il genitore (o il responsabile) non abbia reso la dichiarazione di volontà, l'interessato può fare richiesta di acquisto della cittadinanza (all'ufficiale di stato civile), entro due anni dal raggiungimento della maggiore età.

Dunque siffatta modalità di acquisto della cittadinanza vale (alla prescritte condizioni) per i minori e per i giovani comunque con età non superiore a venti anni.

Il giovane può comunque rinunciare alla cittadinanza così acquisita - se in possesso di altra cittadinanza - formulandone richiesta, entro due anni dal raggiungimento della maggiore età.

Una novella circa l'acquisto della cittadinanza per ius soli vigente

L'articolo 1, comma 1, lettera c) reca una novella concernente l'acquisto della cittadinanza per nascita nel territorio nazionale, quale già previsto dalla normativa vigente.

Lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, diviene cittadino, se dichiara di voler acquistare la cittadinanza.

Così prevede l'articolo 4, comma 2, della legge n. 91 del 1992.

Il termine ivi previsto per siffatta dichiarazione di volontà è di un anno (decorrente dal raggiungimento della maggiore età).

La novella eleva questo termine a due anni.

Una fattispecie nuova di acquisto della cittadinanza italiana, a seguito di percorso formativo (ius culturae)

Essa è oggetto dall'articolo 1, comma 1, lettera d) del disegno di legge.

Si introduce una modalità di acquisto della cittadinanza, inedita per l'ordinamento italiano.

Beneficiario è il minore straniero, che sia nato in Italia o vi abbia fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età.

Egli acquista di diritto la cittadinanza, qualora abbia frequentato regolarmente (ai sensi della normativa vigente) un percorso formativo per almeno cinque anni nel territorio nazionale.

Tale formazione consiste in: uno o più cicli presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione; o percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali, idonei al conseguimento di una qualifica professionale.

Nel caso in cui la frequenza riguardi il corso di istruzione primaria, è altresì necessaria la conclusione positiva di tale corso.

Sulla falsariga della legge n. 91 del 1992, la cittadinanza si acquista - anche per tale nuova fattispecie - mediante dichiarazione di volontà.

Essa è espressa (all'ufficiale dello stato civile del Comune di residenza del minore) da un genitore legalmente residente in Italia o da chi eserciti la responsabilità genitoriale, entro il compimento della maggiore età dell'interessato.

Ai fini della presentazione della dichiarazione da parte del genitore, è dunque richiesta la sua residenza legale, la quale presuppone la regolarità del relativo soggiorno.

Anche per tale fattispecie l'interessato può rinunciare alla cittadinanza acquisita, entro due anni dal raggiungimento della maggiore età, purché in possesso di altra cittadinanza, e, viceversa, fare richiesta di acquisto della cittadinanza (del pari entro due anni dal raggiungimento della maggiore età), ove il genitore non abbia reso la dichiarazione di volontà.

Una nuova fattispecie di naturalizzazione

Le disposizioni fin qui sunteggiate hanno ad oggetto forme di acquisto di diritto della cittadinanza.

L'articolo 1, comma 1, lettera e) ha riguardo a diversa fattispecie, di concessione della cittadinanza (cd. naturalizzazione).

Beneficiario è lo straniero che abbia fatto ingresso nel territorio nazionale prima del compimento della maggiore età, ivi legalmente residente da almeno sei anni.

Egli può richiedere gli sia concessa la cittadinanza, a condizione che abbia frequentato regolarmente (ai sensi della normativa vigente) i Italia un ciclo scolastico, con il conseguimento del titolo conclusivo, presso gli istituti scolastici appartenenti al sistema nazionale di istruzione - ovvero un percorso di istruzione e formazione professionale, con il conseguimento di una qualifica professionale.

Tale fattispecie, pare di intendere, dovrebbe riguardare soprattutto il minore straniero che abbia fatto ingresso nel territorio italiano tra il dodicesimo ed il diciottesimo anno di età.

Rimane che qui si tratta di concessione della cittadinanza, con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del ministro dell'interno.

Infatti la disposizione si pone quale novella all'articolo 9 della legge n. 91 del 1992, che prevede tali modalità procedimentali per un novero di concessioni (improntate dunque a discrezionalità amministrativa) di cittadinanza.

Riguardo a siffatto procedimento, l'articolo 2, comma 1 del disegno di legge introduce altra novella, onde chiarire che l'autorità cui presentare la domanda di concessione della cittadinanza è il prefetto ovvero la competente autorità consolare.

Esonero da un contributo

La normativa vigente prevede che le istanze o dichiarazioni di elezione, acquisto, riacquisto, rinuncia o concessione della cittadinanza siano soggette al pagamento di un contributo di importo pari a 200 euro (così l'articolo 9-bis, comma 2, della legge n. 91 del 1991 nel testo vigente).

L'articolo 1, comma 1, lettera f) del disegno di legge esonera dal pagamento di questo contributo le istanze o dichiarazioni concernenti i minori.

Su un requisito dell'acquisto della cittadinanza da parte dei figli minori

La normativa vigente prevede che i figli minori di un genitore che acquista (o riacquista) la cittadinanza italiana, acquistino anch'essi la cittadinanza se conviventi col genitore (salvo potervi rinunciare, una volta maggiorenni, se in possesso di altra cittadinanza).

Così l'articolo 14 della legge n. 91 del 1992 nel testo vigente.

L'articolo 1, comma 1, lettera g) sopprime il requisito della convivenza col genitore.

E' posto, al contempo, il requisito della non decadenza del genitore dalla responsabilità genitoriale.

Alcune disposizioni interpretative

Sono poste dall'articolo 1, comma 1, lettera h) del disegno di legge.

Vale a dire:

  • il requisito della minore età si intende riferito al momento della presentazione dell'istanza da parte del genitore;
  • legalmente residente è considerato chi risieda nel territorio dello Stato ottemperando alle condizioni e adempimenti previsti dalla normativa sull'ingresso ed il soggiorno degli stranieri nonché sull'iscrizione anagrafica;
  • termine iniziale del periodo di residenza legale si considera la data di rilascio del primo permesso di soggiorno, se ad essa abbia fatto seguito l'iscrizione anagrafica;
  • eventuali periodi di cancellazione anagrafica non pregiudicano la residenza legale, se ad essi abbia fatto seguito la re-iscrizione nei registri anagrafici e qualora l'interessato dimostri di avere continuato a risiedere in Italia anche in tali periodi;
  • si considera che abbia soggiornato o risieduto in Italia senza interruzioni, chi abbia trascorso all'estero un tempo mediamente non superiore a novanta giorni per anno, calcolato sul totale degli anni considerati;
  • l'assenza dal territorio nazionale, ad ogni modo, non può essere superiore a sei mesi consecutivi - salvo sia dipesa dall'adempimento di obblighi militari o da gravi, documentati motivi di salute;
  • ai fini dell'acquisto della cittadinanza per nascita da uno straniero in possesso del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo, si considera in possesso del predetto permesso anche lo straniero che, avendo maturato i relativi requisiti, abbia presentato l'istanza prima della nascita del figlio e ottenga il rilascio del permesso successivamente alla nascita.

Comunicazione dell'ufficiale di anagrafe e termine per la dichiarazione di volontà relativa alla cittadinanza

È previsto l'obbligo per gli ufficiali di anagrafe di comunicare, nei sei mesi precedenti il compimento della maggiore età, ai residenti di cittadinanza straniera la facoltà di acquisto del diritto di cittadinanza per ius soli o ius culturae, con indicazione dei relativi presupposti e delle modalità di acquisto.

In caso di inadempimento di tale obbligo, è sospeso il termine di decadenza per la dichiarazione di "elezione" della cittadinanza.

Così l'articolo 1, comma 1, lettera h), capoverso: Art. 23-bis, comma 5 del disegno di legge.

La disposizione riprende quanto già previsto - per l'acquisto della cittadinanza per ius soli, in base alla normativa vigente - dall'articolo 33, comma 2, del decreto-legge n. 69 del 2013, che viene conseguentemente abrogato (dall'articolo 2, comma 2 del disegno di legge).

Nel caso di persona interdetta in via giudiziale

In tale caso, gli atti finalizzati all'esercizio dei diritti previsti dal disegno di legge - tra cui, saliente per incidenza sull'esercizio del diritto all'acquisto della cittadinanza, la dichiarazione di volontà - sono compiuti dal tutore, previa autorizzazione del giudice tutelare.

Così l'articolo 1, comma 1, lettera h), capoverso: Art. 23-bis, comma 6.

Esso ha riguardo altresì al caso di persona beneficiaria di amministrazione di sostegno.

Qui è previsto sia il giudice tutelare a disporre se il compimento degli atti finalizzati all'acquisizione della cittadinanza, debba esser da parte dell'amministratore di sostegno o del beneficiario con l'assistenza di quello o del beneficiario solo.

In caso di concessione di cittadinanza (ossia la naturalizzazione di cui all'articolo 9 della legge n. 91 del 1992, sopra richiamato), tutore o amministratore di sostegno - se siano loro chiamati al compimento degli atti - non sono tenuti al giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione e delle leggi dello Stato.

Tale giuramento è prescritto dalla legge n. 91, perché il decreto di concessione della cittadinanza abbia effetto.

Educazione alla cittadinanza

I Comuni, in collaborazione con gli istituti scolastici di ogni ordine e grado, promuovono a favore di tutti i minori, "iniziative di educazione alla conoscenza e alla consapevolezza dei diritti e dei doveri legati alla cittadinanza ed una giornata dedicata alla ufficializzazione dei nuovi cittadini".

Questo, senza oneri aggiuntivi di finanza pubblica.

Così l'articolo 1, comma 1, lettera h), cpv. Art. 23-ter.

Per un testo unico delle disposizioni regolamentari

E' autorizzato (dall'articolo 2, comma 4) il coordinamento, riordino ed accorpamento in un "unico testo", delle disposizione di natura regolamentare in materia di cittadinanza.

A tal fine è previsto si provveda con regolamento governativo, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente disegno di legge.

Sullo schema di regolamento governativo, è previsto il parere delle Commissioni parlamentari competenti (comma 5).

Altre disposizioni di coordinamento, transitorie, finali

I provvedimenti inerenti agli atti di stato civile sono esclusi da quelli per il cui rilascio sia necessaria l'esibizione da parte dello straniero del permesso di soggiorno (articolo 2, comma 3).

Le disposizioni del disegno di legge si applicano anche agli stranieri che abbiano maturato prima della sua entrata in vigore come legge i diritti previsti - purché non abbiano compiuto il ventesimo anno d'età (articolo 3).

Peraltro, il compimento del ventesimo anno d'età non vale quale termine per l'esercizio dell'acquisto della cittadinanza in un caso: la maturazione del diritto (prima dell'entrata in vigore del disegno di legge, si intende) a seguito di percorso formativo (ossia la fattispecie prevista dall'articolo 1, comma 1, lettera d) del disegno di legge: cd. ius culturae).

In questo specifico caso, quel che è richiesto al momento dell'entrata in vigore del disegno di legge, è il possesso dei requisiti (nascita in Italia o ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età; regolare frequenza del prescritto percorso formativo per almeno cinque anni nel territorio nazionale, con insieme la conclusione positiva del corso se esso sia di istruzione primaria).

Del pari, è richiesta la residenza legale e ininterrotta nel territorio nazionale per cinque anni.

Così l'articolo 4, comma 1.

E il comma 2 pone, per la presentazione della correlativa richiesta di cittadinanza, il termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore del disegno di legge.

L'ufficiale di stato civile che riceva siffatta richiesta, verifica i requisiti così prescritti; sospende l'iscrizione e annotazione nei registri dello stato civile; richiede al ministero dell'interno il nulla osta (che deve essere rilasciato nei successivi sei mesi) circa l'insussistenza di provvedimenti di diniego o di espulsione o di allontanamento, intervenuti per motivi di sicurezza.

Siffatte richieste non sono esonerate dal pagamento, da parte dell'interessato, del contributo di 200 euro (comma 3).

ALCUNI DATI (a cura dell'ISTAT)

Il 22 ottobre 2015 l'ISTAT ha pubblicato un breve rapporto intitolato: Cittadini non comunitari: presenza, nuovi ingressi e acquisizioni di cittadinanza.

Se ne riproduce qui di seguito un estratto, relativo ai profili dell'acquisto di cittadinanza.

" (...)

Sempre più (giovani) nuovi cittadini

Negli ultimi quattro anni è rapidamente cresciuto il numero di cittadini non comunitari che ogni anno diventano italiani: passati da meno di 50mila nel 2011 a oltre 120mila nel 2014 (+143%)(1) . In particolare nell’ultimo anno ha acquisito la cittadinanza italiana il 3,1% del totale dei cittadini non comunitari al 1°gennaio 2014; considerando soltanto i minori tale quota sale al 4,5%.

In questo periodo non solo sono aumentate le acquisizioni ma è anche cambiato notevolmente il profilo dei richiedenti e la tipologia di accesso alla cittadinanza italiana.

Se fino al 2008 i dati del Ministero dell’Interno davano come più numerose le acquisizioni per matrimonio rispetto a quelle per residenza, ormai queste ultime registrano stabilmente un numero maggiore di concessioni. La vera novità degli ultimi anni è rappresentata, invece, dal crescente numero di giovani immigrati e ragazzi di seconda generazione che diventano italiani.

Aumentano in maniera costante e molto sostenuta, da circa 10mila nel 2011 a quasi 48mila nel 2014, coloro che acquisiscono la cittadinanza per trasmissione dai genitori e coloro che, nati nel nostro Paese al compimento del diciottesimo anno, scelgono la cittadinanza italiana (Figura 7).

Naturalmente questo fenomeno ha riflessi importanti nella struttura per età di coloro che acquisiscono la cittadinanza italiana: in quasi la metà dei casi i neo-italiani hanno meno di 30 anni. Si tratta quindi di un numero non trascurabile di giovani neo-italiani che ogni anno ormai dalla cittadinanza straniera transitano in quella italiana; in molti casi il passaggio avviene senza che gli interessati abbiano mai vissuto l’esperienza migratoria.

Dal punto di vista territoriale le acquisizioni di cittadinanza interessano soprattutto le province del Nord-ovest e del Nord-est, mentre il loro numero risulta molto più contenuto nel Mezzogiorno. Le province con il maggior numero di acquisizioni sono Milano, Brescia, Roma, Vicenza, Torino e Treviso. Al Sud e nelle Isole hanno inoltre un peso relativo più consistente le acquisizioni di cittadinanza per matrimonio (Figura 8). Dal punto di vista relativo, tuttavia, anche alcune province del Mezzogiorno fanno registrare, con una popolazione straniera residente non particolarmente numerosa, un’incidenza non trascurabile di stranieri non comunitari che acquisiscono la cittadinanza italiana.

Il 52% di coloro che acquisiscono la cittadinanza italiana sono maschi. Le modalità di accesso alla cittadinanza restano differenti tra uomini e donne, anche se nell’ultimo anno si registrano cambiamenti interessanti. Per gli uomini la modalità più frequente di accesso alla cittadinanza è la residenza (55% dei casi nel 2014), mentre il matrimonio è una modalità residuale (meno del 5%).

Per il genere femminile la modalità principale di accesso alla cittadinanza nel 2014 è stata la trasmissione/elezione dai genitori (40%), come nel 2013. Nell’ultimo anno però, per la prima volta, anche per le donne l’acquisizione della cittadinanza per residenza (35%) è stata prevalente rispetto a quella per matrimonio (25%). Si tratta di una novità rilevante visto che tradizionalmente il matrimonio era sempre stato la modalità più diffusa tra le donne adulte. Nel 2014 si sono registrati, invece, circa 3mila provvedimenti in meno per matrimonio, mentre sono quasi raddoppiate, rispetto al 2013, le acquisizioni di cittadinanza per residenza da parte di donne (+9.500) (Figura 9).

Per quanto concerne le cittadinanze di origine, il numero maggiore di acquisizioni riguarda marocchini (29.025 acquisizioni nel 2014) e albanesi (21.148), collettività storicamente stanziate sul nostro territorio e che da sole arrivano a coprire oltre il 40% delle acquisizioni nel corso del 2014. Seguono, ma con un numero molto più contenuto di provvedimenti, Bangladesh (5.323) ed India (5.015). Tra i primi dieci paesi spicca l’assenza della Cina, la cui collettività è da tempo insediata sul territorio italiano e potrebbe aver maturato un periodo di presenza tale da consentire l’accesso alla cittadinanza per residenza. I cinesi, che fanno registrare allo stesso tempo un accesso più contenuto ai permessi di soggiorno di lungo periodo (cfr. sopra), si collocano, con circa 1.400 provvedimenti, solo al ventesimo posto per numero di nuovi italiani, mostrando poco interesse all’acquisizione della cittadinanza (Figura 10).


1) Le acquisizioni di cittadini comunitari nel 2014 sono state 8.887 e nel 2013 6.682. Nel testo si fa riferimento alle sole acquisizioni di cittadini non comunitari residenti in Italia.

LA DISCIPLINA VIGENTE: LA LEGGE N. 91 DEL 1992 (a cura del Servizio Studi della Camera dei deputati)

Acquisto della cittadinanza

La disciplina in materia di cittadinanza fa oggi capo principalmente alla legge 91/1992.

Ai sensi di tale legge, acquistano di diritto alla nascita la cittadinanza italiana coloro i cui genitori (anche soltanto il padre o la madre) siano cittadini italiani (L. 91/1992, articolo 1, comma 1, lettera a): si tratta della così detta modalità di acquisizione della cittadinanza jure sanguinis.

L’ordinamento italiano riconosce anche il criterio alternativo dello jus soli, pur prevedendolo soltanto in via residuale e per casi limitati a:

§ coloro che nascono nel territorio italiano e i cui genitori siano da considerarsi o ignoti (dal punto di vista giuridico) o apolidi (cioè privi di qualsiasi cittadinanza) (art. 1, co. 1, lett. b);

§ coloro che nascono nel territorio italiano e che non possono acquistare la cittadinanza dei genitori in quanto la legge dello Stato di origine dei genitori esclude che il figlio nato all’estero possa acquisire la loro cittadinanza (art. 1, co. 1, lett. b);

§ i figli di ignoti che vengono trovati (a seguito di abbandono) nel territorio italiano e per i quali non può essere dimostrato, da parte di qualunque soggetto interessato, il possesso di un’altra cittadinanza (art. 1, co. 2).

La cittadinanza italiana è acquisita anche per riconoscimento della filiazione (da parte del padre o della madre che siano cittadini italiani), oppure a seguito dell’accertamento giudiziale della sussistenza della filiazione: l’acquisto della cittadinanza nelle due ipotesi illustrate è automatico per i figli minorenni (art. 2, co. 1); i figli maggiorenni invece conservano la propria cittadinanza, ma possono eleggere la cittadinanza determinata dalla filiazione con un’apposita dichiarazione da rendere entro un anno dal riconoscimento, o dalla dichiarazione giudiziale di filiazione, o dalla dichiarazione di efficacia in Italia del provvedimento straniero nel caso in cui l’accertamento della filiazione sia avvenuto all’estero (art. 2, co. 2).

Sono previste modalità agevolate di acquisto della cittadinanza per gli stranieri di origine italiana: la cittadinanza italiana può essere acquistata dagli stranieri o apolidi, discendenti (fino al secondo grado) da un cittadino italiano per nascita, a condizione che facciano un’espressa dichiarazione di volontà e che siano in possesso di almeno uno di questi requisiti:

  • abbiano svolto effettivamente e integralmente il servizio militare nelle Forze armate italiane: in questo caso la volontà del soggetto interessato di acquisire la cittadinanza italiana deve essere espressa preventivamente (art. 4, co. 1, lett. a);

Il regolamento di attuazione della L. 91/1992 chiarisce che, ai fini dell’acquisto della cittadinanza italiana, si considera che abbia prestato effettivamente servizio militare chi abbia compiuto la ferma di leva nelle Forze armate italiane o la prestazione di un servizio equiparato a quello militare (ad es. il servizio civile), a condizione che queste siano interamente rese, salvo che il mancato completamento dipenda da sopravvenute cause di forza maggiore riconosciute dalle autorità competenti (D.P.R. 572/1993, art. 1, co. 2, lett. b).

  • assumano un pubblico impiego alle dipendenze, anche all’estero, dello Stato italiano (art. 4, co. 1, lett. b);
  • risiedano legalmente in Italia da almeno due anni al momento del raggiungimento della maggiore età; la volontà di conseguire la cittadinanza italiana deve essere manifestata con una dichiarazione entro l’anno successivo (art. 4, co. 1, lett. c).

Per l’acquisto della cittadinanza italiana, viene considerato legalmente residente nel territorio dello Stato chi vi risiede avendo soddisfatto le condizioni e gli adempimenti previsti dalle norme in materia d’ingresso e di soggiorno degli stranieri in Italia e da quelle in materia d’iscrizione anagrafica (DPR 572/1993, art. 1, co. 2, lett. a).

Lo straniero che sia nato in Italia può divenire cittadino italiano a condizione che vi abbia risieduto legalmente e ininterrottamente fino al raggiungimento della maggiore età e dichiari, entro un anno dal compimento della maggiore età, di voler acquistare la cittadinanza italiana (art. 4, co. 2).

Il decreto-legge c.d. “del fare” (D.L. 69/2013, art. 33) ha introdotto una disposizione di semplificazione del procedimento per l’acquisto della cittadinanza per lo straniero nato in Italia, secondo il quale ai fini di cui all’articolo 4, comma 2, della legge 91/1992, all’interessato non sono imputabili eventuali inadempimenti riconducibili ai genitori o agli uffici della pubblica amministrazione ed egli può dimostrare il possesso dei requisiti con ogni altra idonea documentazione.

Inoltre, gli ufficiali di stato civile sono tenuti al compimento del diciottesimo anno di età a comunicare all’interessato, la possibilità di esercitare tale diritto entro il compimento del diciannovesimo anno di età. In mancanza, il diritto può essere esercitato anche oltre tale data.

Disposizioni particolari sono dettate per quanto riguarda l’acquisto della cittadinanza da parte di stranieri o apolidi che hanno contratto matrimonio con cittadini italiani (artt. da 5 a 8). Gli stranieri coniugi di cittadini italiani ottengono la cittadinanza, dietro richiesta presentata al prefetto del luogo di residenza dell’interessato, oppure, se residenti all’estero, all’autorità consolare competente, se possono soddisfare, contemporaneamente, le seguenti condizioni:

  • residenza legale nel territorio italiano da almeno due anni, successivi al matrimonio, o, in alternativa, per gli stranieri residenti all’estero, il decorso di tre anni dalla data del matrimonio tra lo straniero e il cittadino; i predetti termini sono ridotti della metà in presenza di figli nati dai coniugi;
  • persistenza del vincolo matrimoniale;
  • insussistenza della separazione legale;
  • assenza di condanne penali per i delitti contro la personalità internazionale e interna dello Stato e contro i diritti politici dei cittadini;
  • assenza di condanne penali per i delitti non colposi per i quali è prevista una pena edittale non inferiore a tre anni;
  • assenza di condanne penali per reati non politici, con pena detentiva superiore a un anno, inflitte da autorità giudiziarie straniere con sentenza riconosciuta in Italia;
  • insussistenza, nel caso specifico, di comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica.

Si ricorda che i requisiti per l’acquisto della cittadinanza per matrimonio sono il frutto delle modifiche apportate alla legge sulla cittadinanza dal cd. “pacchetto sicurezza” (legge 94/2009: art. 1, comma 11). In base a tali modifiche, la durata minima della residenza necessaria all’acquisto della cittadinanza da parte del coniuge straniero residente in Italia è stata raddoppiata in caso di matrimonio con prole (da sei mesi ad un anno) e quadruplicata in caso di matrimonio senza prole (da sei mesi a due anni); mentre la durata minima del matrimonio necessaria all’acquisto della cittadinanza da parte del coniuge straniero residente all’estero rimane immutata in caso di matrimonio senza prole (3 anni) e subisce un dimezzamento in caso di matrimonio con prole (da 3 anni a 18 mesi).

Si segnala, inoltre, che la direttiva del Ministro dell'interno 7 marzo 2012 ha attribuito alla competenza del prefetto l'accoglimento dell'istanza di acquisto della cittadinanza iure matrimonii presentata dal coniuge straniero legalmente residente in Italia e la sua reiezione per i motivi ostativi di cui alle lettere a) e b) dell'art. 6 della legge n. 91/1992.

Qualora il coniuge straniero abbia la residenza all'estero, l'organo competente a conferire o denegare la cittadinanza è, invece, il capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione. Resta ferma la competenza del Ministro dell'interno a denegare l'acquisto della cittadinanza nel caso sussistano ragioni inerenti alla sicurezza della Repubblica.

L’acquisto della cittadinanza può avvenire, infine, per concessione (L. 91/1992, art. 9): in questo caso, a differenza dei procedimenti finora illustrati, che riservano all’autorità margini di intervento molto ristretti, l’emanazione del provvedimento di concessione della cittadinanza è soggetto ad una valutazione discrezionale di opportunità da parte della pubblica amministrazione, pur attenuata dall’obbligo del parere preventivo del Consiglio di Stato.

Il periodo di residenza legale in Italia, graduato in funzione dello status degli stranieri richiedenti, che costituisce il requisito fondamentale per conseguire la cittadinanza secondo tale modalità, deve essere ininterrotto e attuale al momento della presentazione dell’istanza per la concessione della cittadinanza.

Può presentare domanda per ottenere la concessione della cittadinanza italiana il cittadino straniero che si trova in una delle seguenti condizioni:

  • residente in Italia da almeno dieci anni, se cittadino non appartenente all’Unione europea, o da almeno quattro anni, se cittadino comunitario (art. 9, co. 1, lett. f) e d);
  • Ai fini della concessione della cittadinanza italiana allo straniero va valutato il periodo di soggiorno in Italia assistito da regolare permesso, per cui va esclusa la rilevanza del periodo in cui lo straniero medesimo sia risultato anagraficamente residente nel paese (C. Stato, sez. IV, 7 maggio 1999, n. 799).
  • apolide residente in Italia da almeno cinque anni (art. 9, co. 1, lett. e);
  • il cui padre o la cui madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sono stati cittadini per nascita, o che è nato in Italia e, in entrambi i casi, vi risiede da almeno tre anni (L. 91/1992, art. 9, co. 1, lett. a);
  • maggiorenne adottato da cittadino italiano e residente in Italia da almeno cinque anni (art. 9, co. 1, lett. b);
  • abbia prestato servizio alle dipendenze dello Stato italiano, anche all’estero, per almeno cinque anni (L. 91/1992, art. 9, co. 1, lett. c).

Salvi i casi previsti dall’art. 4 della legge, nel quale si richiede specificamente l’esistenza di un rapporto di pubblico impiego, si considera che abbia prestato servizio alle dipendenze dello Stato chi sia stato parte di un rapporto di lavoro dipendente con retribuzione a carico del bilancio dello Stato (D.P.R. 572/1993, art. 1, co. 2, lett. c).

L’art. 10 subordina l’efficacia del decreto di concessione della cittadinanza alla prestazione da parte dell’interessato (entro sei mesi dalla notifica del decreto medesimo) del giuramento di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato.

La giurisprudenza amministrativa ha indicato alcuni ulteriori requisiti per l’ottenimento della cittadinanza e ha precisato i confini della discrezionalità della pubblica amministrazione con riferimento ai provvedimenti di concessione della cittadinanza, stabilendo inoltre quali siano gli obblighi di motivazione delle decisioni concernenti tali procedimenti.

Il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana è adottato sulla base di valutazioni ampiamente discrezionali circa l’esistenza di un’avvenuta integrazione dello straniero in Italia, tale da poterne affermare la compiuta appartenenza alla comunità nazionale; pertanto, ai fini della concessione del beneficio de quo ben possono avere rilievo considerazioni anche di carattere economico-patrimoniale relative al possesso di adeguate fonti di sussistenza (Consiglio di Stato, sez. IV, 16 settembre 1999, n. 1474).

L’amministrazione chiamata a decidere sulla domanda di concessione di cittadinanza italiana è tenuta a verificare la serietà sia dell’intento ad ottenere la cittadinanza italiana, sia delle ragioni che inducono ad abbandonare la comunità di origine. È inoltre necessario accertare il grado di conoscenza della lingua italiana, l’idoneità professionale, l’ottemperanza agli obblighi tributari e contributivi. Non può essere trascurata l’esigenza di ricomposizione di gruppi familiari, parte dei quali già residenti nel territorio italiano. L’amministrazione deve verificare eventuali cause ostative all’acquisto di cittadinanza, collegate a ragioni di sicurezza della Repubblica ed all’ordine pubblico (Consiglio di Stato, sez. I, parere n. 1423 del 26 ottobre 1988).

L’amministrazione, ai fini della concessione della cittadinanza italiana allo straniero legalmente residente in Italia da almeno dieci anni, può prendere in considerazione tutte le situazioni utili per valutare un’avvenuta integrazione dello straniero; pertanto, sono rilevanti eventuali sentenze penali intervenute a carico degli interessati, in relazione ai fatti a cui tali condanne si riferiscono sia al loro eventuale ripetersi (Consiglio di Stato, sez. I, parere n. 9374, del 20 ottobre 2004).

Per quanto riguarda il diniego della concessione della cittadinanza italiana, l’amministrazione competente, anche laddove disponga di un’ampia discrezionalità, deve indicare sia pure sinteticamente le ragioni poste a base delle proprie determinazioni (Consiglio di Stato, sez. IV, sent. n. 366 del 24 maggio 1995).

La cittadinanza può essere concessa, in casi eccezionali, per merito allo straniero che abbia reso notevoli servigi all’Italia, per elevate necessità di ordine politico connesse all’interesse dello Stato (L. 91/1992, art. 9, co. 2).

Doppia (o plurima) cittadinanza

La legge ammette espressamente la possibilità di conservare la cittadinanza italiana pur essendo già in possesso di una cittadinanza straniera ovvero dopo averla acquistata o riacquistata. Chi risiede o stabilisce la residenza all’estero può tuttavia rinunciare alla cittadinanza italiana (L. 91/1992, art. 11).

La disposizione consente, in particolare, il mantenimento della cittadinanza italiana agli italiani emigrati all’estero che acquistano volontariamente la cittadinanza dello Stato in cui risiedono per potersi inserire pienamente nel contesto sociale ed economico del Paese e usufruire del trattamento favorevole riservato ai cittadini.

Non è consentito il possesso di una doppia (o plurima) cittadinanza se vi sono norme internazionali pattizie o norme statali straniere che lo vietino (v. paragrafo successivo).

La possibilità di acquisire la doppia cittadinanza è prevista espressamente solamente in riferimento ai cittadini italiani, mentre nulla viene stabilito dalla legge nei confronti dei cittadini stranieri che acquistano la cittadinanza italiana.

La questione era disciplinata in via regolamentare e fino al 2004 era richiesta la rinuncia della cittadinanza di origine, attraverso l’esibizione del “certificato di svincolo” emesso dalle autorità dello stato di origine, documento indispensabile per l’acquisto della cittadinanza italiana. Nel 2004 è stato soppresso il riferimento a tale certificato e i cittadini stranieri sono stati di fatto equiparati a quelli italiani per quanto riguarda la disciplina della doppia cittadinanza.

L'istituzione del certificato di svincolo, ossia di rinuncia alla cittadinanza di origine, non trovava fondamento nella legge n. 91 del 1992 (come si detto) e nemmeno nel relativo regolamento di attuazione (D.P.R. n. 572 del 1993), ma nel D.P.R. n. 362 del 1994, recante il regolamento sulla disciplina del procedimento di concessione, il quale autorizzava il Ministero dell'interno a richiedere ulteriori documenti, oltre a quelli espressamente indicati dalle norme regolamentari (art. 1, comma 4). Il Ministero aveva quindi stabilito, con il decreto ministeriale 22 novembre 1994, che, ai fini della concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell'articolo 9 della legge n. 91, i naturalizzandi dovessero produrre un certificato di svincolo dalla cittadinanza posseduta, a meno che quest'ultima non venisse persa automaticamente con l'acquisto volontario di una cittadinanza straniera. La produzione, da parte dell'interessato, del certificato di svincolo costituiva quindi condizione indispensabile per procedere alla predisposizione del decreto di concessione della cittadinanza da sottoporre alla firma del Presidente della Repubblica. Come evidenziato dal sottosegretario di Stato on. Lucidi presso la I Commissione della Camera l’8 marzo 2007: “L'applicazione di detta norma regolamentare aveva peraltro evidenziato, nel tempo, vari profili di problematicità. Spesso gli aspiranti alla cittadinanza, per la normativa disciplinante la materia nei diversi Paesi, incontravano difficoltà per l'ottenimento del predetto certificato presso le autorità del proprio Stato di origine, con conseguente notevole allungamento dei tempi del procedimento di concessione. Peraltro, una volta ottenuto tale documento, l'interessato risultava privo della titolarità della cittadinanza di origine e non ancora in possesso di quella italiana: versava quindi in una condizione di apolidia di fatto, seppur temporanea, fino al momento del giuramento”. Successivamente, il decreto ministeriale 7 ottobre 2004, ha eliminato la richiesta di svincolo, “anche al fine di adeguare la procedura di concessione dello status civitatis a criteri di razionalizzazione e semplificazione, nonché di favorire una migliore integrazione sociale dei nuovi cittadini”.

Perdita della cittadinanza

I cittadini italiani possono rinunciare volontariamente alla cittadinanza italiana purché si trasferiscano, o abbiano trasferito, la propria residenza all’estero e siano titolari di un’altra o di altre cittadinanze (L. 91/1992, art. 11). La facoltà di rinuncia alla cittadinanza italiana in questo caso può essere esercitata soltanto dai cittadini maggiorenni.

Coloro che hanno ottenuto la cittadinanza italiana durante la minore età, in quanto figli conviventi con il genitore che ha acquistato o riacquistato la cittadinanza, hanno la facoltà di rinunciare ad essa (senza limiti di tempo), una volta divenuti maggiorenni, sempre che siano in possesso di un’altra cittadinanza (art. 14).

Può inoltre rinunciare alla cittadinanza italiana il soggetto maggiorenne in possesso di un’altra cittadinanza – anche se risiede in Italia – a seguito di revoca dell’adozione per fatti imputabili all’adottante. La rinuncia deve essere resa entro un anno dalla revoca (art. 3, co. 4).

La revoca dell’adozione per colpa dell’adottato ha come conseguenza la perdita automatica della cittadinanza acquistata da quest’ultimo in virtù dell’adozione, purché egli abbia un’altra cittadinanza o la riacquisti (art. 3, co. 3).

L’art. 12 della L. 91/1992 prevede due ulteriori ipotesi di perdita automatica della cittadinanza italiana:

  • la mancata ottemperanza all’intimazione del Governo italiano di lasciare un impiego pubblico o una carica pubblica che il cittadino abbia accettato da uno Stato o ente pubblico estero o da un ente internazionale cui non partecipi l’Italia, o la mancata ottemperanza all’invito di abbandonare il servizio militare che il cittadino presti per uno Stato estero (art. 12, co. 1);
  • l’assunzione di una carica pubblica o la prestazione del servizio militare per uno Stato estero, o l’acquisto volontario della cittadinanza dello Stato considerato, quando tali circostanze si verifichino durante lo stato di guerra con esso (art. 12, co. 2).

Per quanto riguarda gli effetti delle norme internazionali pattizie sull’ordinamento italiano, l’art. 26, co. 3, della L. 91/1992 fa salve, in via generale, le disposizioni previste dagli accordi internazionali, affermandone pertanto la prevalenza sulla disciplina interna.

In proposito, si ricorda che l’Italia ha sottoscritto e ratificato la Convenzione di Strasburgo del 6 maggio 1963 sulla riduzione dei casi di cittadinanza plurima e sugli obblighi militari in caso di cittadinanza plurima (L. 4 ottobre 1966, n. 876).

Il primo capitolo della Convenzione, inerente alla riduzione dei casi di cittadinanza plurima, stabilisce che i cittadini, residenti all’estero, degli Stati contraenti perdono la loro precedente cittadinanza qualora acquistino o riacquistino volontariamente la cittadinanza di un altro dei Paesi che hanno sottoscritto e ratificato la Convenzione: essi non possono essere autorizzati a conservare la cittadinanza precedente.

Per quanto riguarda l’assolvimento degli obblighi militari in caso di doppia (o plurima) cittadinanza, il secondo capitolo della Convenzione (artt. 5 e 6) stabilisce che i cittadini che appartengono a due o più Stati contraenti prestano il servizio militare soltanto nello Stato in cui essi hanno la residenza abituale.

Il 4 giugno 2009 l’Italia ha denunciato, con una comunicazione ufficiale al Segretario generale del Consiglio d’Europa, il primo capitolo della convenzione. (si veda: Ministero dell’interno, circolare 28 ottobre 2009, n. 14232). A partire dal 4 giugno 2010, data in cui ha acquistato piena efficacia la denuncia, il cittadino italiano residente all’estero che acquista volontariamente la cittadinanza di uno dei Paesi contraenti (con esclusione di quelli che hanno aderito soltanto al secondo capitolo della Convenzione, relativo agli obblighi militari in caso di cittadinanza plurima, e di quelli, come la Germania, la Svezia e il Belgio, che non aderiscono più alla Convenzione), non perde più la cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 1 della Convenzione.

L’Italia ha inoltre ratificato (legge 14 dicembre 1994, n. 703) il Secondo Protocollo di emendamento alla Convenzione di Strasburgo del 1963. In base a tale Accordo, quando un cittadino di una Parte contraente acquisisce la nazionalità di un’altra Parte contraente sul cui territorio è nato e risiede, oppure vi ha risieduto abitualmente a partire da una data anteriore al compimento del diciottesimo anno di età, ciascuna di queste Parti può disporre che conservi la sua nazionalità d’origine. In caso di matrimonio tra cittadini di Parti contraenti diverse, ciascuna di tale Parti può disporre che il cittadino che acquisisce di sua libera volontà la nazionalità del coniuge, conservi la sua nazionalità d’origine.

Riacquisto della cittadinanza

La legge disciplina le modalità per il riacquisto della cittadinanza a favore di coloro che l’hanno perduta e a prescindere dai motivi della perdita.

Il riacquisto avviene con condizioni di particolare favore rispetto a quelle stabilite dall’art. 9 della L. 91/1992 per l’acquisto della cittadinanza per naturalizzazione e, per alcuni aspetti, analoghe a quelle dettate dall’art. 4, co. 1, della L. 91/1992, le quali consentono allo straniero di origine italiana l’acquisto della cittadinanza per beneficio di legge.

Il riacquisto è subordinato, in via generale, alla sussistenza di un legame con l’Italia, che può concretizzarsi in un rapporto di servizio (civile o militare) con lo Stato o nello stabilire la residenza nel Paese.

Può riacquistare la cittadinanza italiana:

  • chi presta effettivamente servizio militare per lo Stato italiano e dichiara preventivamente di voler riacquistare la cittadinanza italiana (art. 13, co. 1, lett. a);
  • chi, assumendo o avendo assunto un pubblico impiego alle dipendenze dello Stato, anche all’estero, dichiara di voler riacquistare la cittadinanza italiana (art. 13, co. 1, lett. b);
  • chi dichiara di voler riacquistare la cittadinanza italiana ed ha stabilito o stabilisce, entro un anno dalla dichiarazione, la propria residenza in Italia (art. 13, co. 1, lett. c);
  • lo straniero (che sia stato cittadino italiano) il quale, dopo un anno dalla data in cui ha stabilito la residenza in Italia, non fa espressa rinuncia, nello stesso termine, al riacquisto della cittadinanza italiana. Soltanto in questo caso il riacquisto avviene automaticamente: la legge prevede comunque la possibilità di rinuncia da parte dell’interessato per tutelarne la volontà (art. 13, co. 1, lett. d);
  • chi, avendo perduta la cittadinanza italiana per non aver ottemperato all’intimazione di abbandonare l’impiego o la carica accettati da uno Stato, da un ente pubblico estero o da un ente internazionale, ovvero il servizio militare per uno Stato estero, dichiara di volerla riacquistare, a condizione che abbia stabilito la residenza da almeno due anni nel territorio della Repubblica e provi di aver abbandonato l’impiego o la carica o il servizio militare, assunti o prestati nonostante l’intimazione (art. 13, co. 1, lett. e).

La legge permette il riacquisto della cittadinanza, su loro dichiarazione in tal senso, alle donne italiane che l’hanno perduta al momento del matrimonio con uno straniero, avvenuto prima del 1° gennaio 1948, o in conseguenza del cambiamento di cittadinanza del marito (art. 17, co. 2).

Le persone originarie dei territori italiani facenti parte del cessato impero austro-ungarico, che emigrarono all’estero prima del 16 luglio 1920, e i loro discendenti, possono ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana qualora rendano una dichiarazione in tal senso all’ufficiale dello stato civile del comune in cui risiedono o intendono stabilire la propria residenza, oppure davanti all’autorità diplomatica o consolare del luogo di residenza, se residenti all’estero (L. 379/2000, art. 1). La dichiarazione va resa entro un termine che, inizialmente fissato al 20 dicembre 2005, è stato differito di cinque anni dall’art. 28-bis del D.L. 273/2005 per gli emigrati dai territori, già astro-ungarici, oggi appartenenti allo Stato italiano e per i loro discendenti.

Si tratta dei:

  • territori attualmente appartenenti allo Stato italiano;
  • territori già italiani ceduti alla Jugoslavia in forza:
    • del trattato di pace fra l’Italia e le Potenze alleate ed associate, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947 e reso esecutivo in Italia con decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 28 novembre 1947, n. 1430;
    • del trattato tra la Repubblica italiana e la Repubblica socialista federativa di Jugoslavia firmato ad Osimo il 10 novembre 1975, ratificato e reso esecutivo in Italia ai sensi della legge 14 marzo 1977, n. 73.

La L. 124/2006 ha infine introdotto due articoli (17-bis e 17-ter) nella L. 91/1992, che consentono il riconoscimento della cittadinanza agli italiani (e ai loro discendenti) che abitavano nei territori dell’Istria, Fiume e Dalmazia, già facenti parti del Regno d’Italia e passati, dopo la seconda guerra mondiale, sotto la sovranità della Repubblica jugoslava e successivamente di Slovenia e Croazia.

Il diritto alla cittadinanza italiana è riconosciuto ai soggetti che siano stati cittadini italiani e che abbiano risieduto nei territori facenti parte dello Stato italiano e successivamente ceduti alla Repubblica jugoslava in forza del Trattato di pace firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, reso esecutivo dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 28 novembre 1947, n. 1430, ratificato dalla legge 25 novembre 1952, n. 3054, ovvero in forza del Trattato di Osimo del 10 novembre 1975, reso esecutivo dalla legge 14 marzo 1977, n. 73. Tale diritto è riconosciuto anche ai figli e ai discendenti in linea retta dei soggetti di cui sopra, purché di lingua e cultura italiana.

La cittadinanza non è acquistata ex lege dai soggetti summenzionati, ma solo a seguito della presentazione (e dell’accoglimento) di una apposita istanza. Ciò differenzia l’ottenimento della cittadinanza prefigurato dalla disposizione in esame da quello in passato disposto dall’art. 17 della L. 91/1992, che avveniva automaticamente con la presentazione della apposita dichiarazione.

L’opzione per la cittadinanza italiana prevista dall’art. 17 della L. 91/1992 avrebbe dovuto essere esercitata entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge. Questo termine fu prorogato una prima volta, sino al 15 agosto 1995, dall’art. 1 della L. 736/1994; un’ulteriore proroga al 31 dicembre 1997 intervenne ad opera dell’art. 2, co. 195, della L. 662/1996 (legge collegata alla manovra finanziaria per il 1997).

Contributo per gli atti relativi alla cittadinanza

La legge 94/2009 (art. 1, comma 12), nell’ambito del cd. “pacchetto sicurezza”, ha introdotto il pagamento di un contributo di 200 euro per le istanze o dichiarazioni di elezione, acquisto, riacquisto, rinuncia o concessione della cittadinanza (art. 9-bis, comma 2, L 91/1992).

Il gettito derivante dal contributo è destinato (art. 9-bis, comma 3, L 91/1992):

  • per la metà, al finanziamento di progetti del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno diretti alla collaborazione internazionale e alla cooperazione e assistenza ai Paesi terzi in materia di immigrazione;
  • per l’altra metà, alla copertura degli oneri connessi alle attività istruttorie inerenti ai procedimenti in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza.

E’ stato inoltre previsto che alle istanze o dichiarazioni relative alla cittadinanza deve essere comunque allegata la certificazione comprovante il possesso dei requisiti richiesti per legge (art. 9-bis, comma 1, L 91/1992).

I tempi di conclusione dei procedimenti

Nel 2009, nel corso dell’esame dei progetti di legge sulla cittadinanza nella XVI legislatura, il Governo ha depositato una documentazione relativa ai tempi di conclusione dei procedimenti per le istanze di della cittadinanza per matrimonio o per residenza (8 gennaio 2009).

Per le istanze di cittadinanza per matrimonio, il termine di conclusione di due anni dalla data di presentazione della domanda (previsto dall’art. 8 L. n. 91/1992) è considerato perentorio per costante e consolidata giurisprudenza.

L'articolo 6 della citata legge consente, infatti, solo nell'ipotesi di pendenza di un procedimento penale in cui il richiedente è imputato, di sospendere ope legis detto termine fino alla conclusione del procedimento stesso, con il passaggio in giudicato della sentenza.

Pertanto, le istanze vengono seguite con particolare attenzione, proprio in considerazione del fatto che il superamento del termine perentorio - anche in presenza di elementi di pericolosità per la sicurezza dello Stato - non rende possibile il rigetto dell'istanza stessa.

I procedimenti di attribuzione della cittadinanza iure matrimonii si concludono dunque nei due anni prescritti dalla legge.

Per le istanze di cittadinanza per residenza, ai sensi dell'articolo 3 del D.P.R. n. 362/1994, il termine previsto per la conclusione del procedimento, è anch'esso fissato in due anni ma in tal caso, per consolidato orientamento della giurisprudenza, tale termine non riveste carattere perentorio.

Il procedimento di concessione presenta un carattere di maggiore complessità rispetto al precedente, in quanto l'istruttoria è finalizzata a verificare sulla base di vari indici (reddito, stabilità dell'attività lavorativa, raggiungimento di un sufficiente grado di integrazione, assenza di motivi ostativi attinenti alla sicurezza e di precedenti penali) la coincidenza tra l'interesse del richiedente la cittadinanza e l'interesse pubblico.

I tempi medi di conclusione del procedimento si aggirano intorno ai tre anni, considerata anche la sospensione dei termini derivante dall'applicazione dell'articolo 10-bis della legge n. 241 del 1990, che impone all'amministrazione di comunicare all'interessato i motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, dando, così, allo stesso la possibilità di formulare eventuali osservazioni.

Si ricorda infine che il decreto-legge c.d. “del fare” (D.L. 69/2013, art. 33, comma 2-bis) ha infine previsto, con finalità di semplificazione dei procedimenti, che gli uffici pubblici coinvolti nei procedimenti di rilascio della cittadinanza acquisiscono e trasmettono dati e documenti attraverso gli strumenti informatici.

ELEMENTI COMPARATISTICI (a cura del Servizio Biblioteca della Camera dei deputati)

FRANCIA

Riferimenti normativi

La cittadinanza (nationalité) francese è disciplinata dal Codice civile, agli articoli da 17 a 33-2, e dalla Convenzione del Consiglio d’Europa, del 6 maggio 1963, sulla riduzione dei casi di nazionalità plurima, di cui sono firmatari Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Olanda e Svezia.

Filiazione o nascita

In Francia la cittadinanza può essere acquisita in tre modi diversi:

il primo comprende sia l’acquisizione per filiazione (ius sanguinis) che quella per nascita (ius soli);

il secondo modo di acquisizione è rappresentato dal matrimonio con cittadino o cittadina francese;

il terzo si produce in seguito ad una decisione delle autorità francesi (naturalizzazione).

Per quanto riguarda l’attribuzione per filiazione, è francese il figlio, legittimo o naturale, di una coppia in cui almeno uno dei due genitori sia francese (art. 18 c.c.).

Analogamente, è francese per filiazione anche il minore oggetto di adozione piena da parte di un francese (art. 20 c.c.). La cittadinanza non spetta invece al minore che sia oggetto di un’adozione semplice (art. 21 c.c.). Egli ha tuttavia facoltà, sino al momento della maggiore età, di reclamare la cittadinanza francese con dichiarazione, purché risieda in Francia alla data di quest’ultima. L’obbligo di residenza è sospeso qualora i genitori non risiedano in Francia.

La nazionalità può essere richiesta anche da un minore abbandonato in Francia ed allevato da un cittadino francese o affidato ai servizi di assistenza sociale per l’infanzia, purché abbia ricevuto un’educazione improntata ai valori ed alla cultura nazionale per almeno cinque anni.

Per quanto riguarda l’acquisizione per nascita, è francese il figlio, legittimo o naturale, nato in Francia quando almeno uno dei due genitori vi sia nato, qualunque sia la sua cittadinanza (art. 19-3 c.c.).

La semplice nascita nel territorio nazionale non rileva ai fini dell’attribuzione della cittadinanza se non per i minori figli di apolidi o di genitori sconosciuti o che non trasmettono la loro nazionalità.

Inoltre, per effetto della legge di modifica del c.c., del 16 marzo 1998, che ha soppresso il regime della manifestazione di volontà, ogni bambino nato in Francia da genitori stranieri acquisisce automaticamente la cittadinanza francese al momento della maggiore età se, a quella data, ha la propria residenza in Francia o vi ha avuto la propria residenza abituale durante un periodo, continuo o discontinuo, di almeno 5 anni, dall’età di 11 anni in poi. Le autorità pubbliche e gli istituti di insegnamento sono tenuti ad informare le persone interessate sulle disposizioni normative in materia (art. 21-7 c.c.).

L’acquisizione automatica può essere anticipata a 16 anni dallo stesso interessato, con dichiarazione sottoscritta dinanzi all’autorità competente, o può essere reclamata per lui dai suoi genitori a partire dai 13 anni e con il suo consenso, nel qual caso il requisito della residenza abituale per 5 anni decorre dall’età di 8 anni.

Matrimonio

La cittadinanza francese è aperta, con dichiarazione da sottoscrivere dinanzi all’autorità competente, a qualunque straniero o apolide che contragga matrimonio con un cittadino o una cittadina francese, dopo il termine di 4 anni dal matrimonio (l’innalzamento del termine, da 2 a 4 anni, è stato introdotto dallalegge n. 2006-911 del 24 luglio 2006, allo scopo di contrastare il fenomeno dei matrimoni a scopo di naturalizzazione), a condizione che alla data della dichiarazione la comunione di vita non sia cessata fra gli sposi, che il coniuge francese abbia conservato la propria nazionalità e che lo straniero dimostri una residenza effettiva e non interrotta in Francia per tre anni consecutivi (art. 21-2, comma 1 c.c.).

Il periodo di vita in comune, richiesto al momento della dichiarazione per l’acquisizione della cittadinanza, è portato a cinque anni quando lo straniero non provi la sua residenza ininterrotta e regolare in Francia per almeno tre anni consecutivi dopo il matrimonio o non sia in grado di fornire la prova che il suo coniuge francese sia stato iscritto, durante la loro comunione di vita, nel registro dei Francesi residenti all’estero. Inoltre il matrimonio celebrato all’estero deve essere stato in precedenza trascritto sui registri nazionali dello stato civile (art. 21-2, comma 2 c.c.).

Il coniuge straniero deve in ogni caso dimostrare una conoscenza sufficiente della lingua francese, il livello e le modalità di valutazione della quale sono fissati con decreto previo parere del Consiglio di Stato. La recente legge n. 2011-672 del 16 giugno 2011 relativa all’immigrazione, l’integrazione e la nazionalità ha infatti modificato le disposizioni precedenti riguardanti l’esigenza di una conoscenza sufficiente della lingua francese. Dal 1° gennaio 2012 chiunque richieda la cittadinanza francese deve produrre un diploma rilasciato da un’autorità francese (diploma universitario, diplomi certificati DELF o DALF, livello orale B1 secondo il Quadro comune europeo di riferimento per le lingue, che attestano il livello di conoscenza della lingua francese) oppure un certificato ufficiale rilasciato, da meno di due anni, da un organismo titolare del marchio “Français langue d’intégration” o da un organismo certificatore.

La dichiarazione viene registrata, dopo un controllo di ammissibilità, dal Ministro competente per le naturalizzazioni.

Il Governo può tuttavia opporsi all’acquisizione della nazionalità da parte del coniuge straniero, per indegnità o difetto di assimilazione, nel termine di due anni dalla dichiarazione di attribuzione. In caso di opposizione del Governo si considera l’acquisizione della cittadinanza come mai avvenuta, tuttavia la validità degli atti intervenuti tra la dichiarazione e il decreto di opposizione non può essere contestata sulla base della mancata attribuzione della cittadinanza (art. 21-4 c.c.).

Naturalizzazione

La naturalizzazione per decisione (decreto) dell’autorità pubblica può essere concessa solo allo straniero maggiorenne che dimostri la propria residenza abituale in Francia nei 5 anni precedenti la sua domanda, salvo che egli non abbia compiuto e ultimato due anni di studi in un istituto di istruzione universitaria francese o non abbia reso importanti servizi allo Stato, nel qual caso il criterio della residenza viene ridotto a 2 anni. Inoltre, per essere naturalizzato occorre avere la residenza in Francia al momento della firma del decreto.

Con residenza si intende una residenza fissa, che presenti cioè un carattere stabile e permanente e che coincida con il centro degli interessi materiali e dei legami familiari del richiedente.

Possono essere naturalizzati, prescindendo dal criterio della residenza, gli stranieri incorporati nelle forze armate francesi; chi abbia reso dei servizi eccezionali allo Stato o lo straniero la cui naturalizzazione presenti per la Francia un interesse eccezionale, nel qual caso viene richiesto il parere del Consiglio di Stato su rapporto motivato del Ministro competente. La naturalizzazione può inoltre essere concessa a chi abbia lo statusdi rifugiato concessogli dall’Ufficio francese di protezione dei rifugiati e degli apolidi (OFPRA). In ogni caso è richiesta la maggiore età dell’interessato.

La cittadinanza mediante naturalizzazione non può tuttavia essere concessa a chi sia stato condannato a una pena detentiva superiore o uguale a 6 mesi senza condizionale, o sia stato oggetto di un decreto di espulsione o di una interdizione dal territorio, o si trovi in una situazione irregolare, o sia stato condannato per atti di terrorismo.

In base alla citata legge n. 2011-672 dell’16 giugno 2011 che ha rafforzato nel territorio nazionale il controllo sul grado di assimilazione dell’aspirante cittadino francese, anche l’acquisizione della cittadinanza per naturalizzazione richiede all’interessato la dimostrazione di una conoscenza sufficiente della lingua francese, secondo le modalità descritte nel paragrafo precedente, ma anche della storia, della cultura e della società francese [1](2) , nonché dei diritti e doveri del cittadino francese, oltre all’adesione ai principi e valori essenziali della Repubblica francese (art. 21-24 c.c.). La condizione della conoscenza della lingua francese non è richiesta per i rifugiati o apolidi che risiedono sul territorio nazionale da almeno 15 anni ed abbiano un’età superiore ai 60 anni (art. 21-24-1 c.c.).

A conclusione della procedura per la naturalizzazione e del controllo sull’assimilazione del richiedente nella comunità francese, le disposizioni del Codice prevedono inoltre, dal 1° gennaio 2012, la firma della “Carta dei diritti e doveri del cittadino francese”, contenente i principi, i valori e i simboli essenziali della Repubblica francese (art. 21-24 c.c.), che sarà consegnata al nuovo cittadino durante la “Cerimonia di accoglienza nella cittadinanza francese”. La cerimonia, alla quale sono invitati anche i deputati e i senatori eletti nel dipartimento, è organizzata per i nuovi cittadini dal rappresentante dello Stato in ogni dipartimento, entro 6 mesi dall’acquisizione della nazionalità francese e (art. 21-28 e art. 21-29 c.c.).


2) La legge n. 2011-672prevede che anche il livello e le modalità di valutazione del grado di sufficiente conoscenza della storia, della cultura e della società francese, necessari per l’acquisizione della cittadinanza, siano fissati con decreto previo parere del Consiglio di Stato.

Effetto collettivo dell’acquisizione

A condizione che il suo nome sia menzionato nel decreto di naturalizzazione o nella dichiarazione di acquisizione, il figlio minore, legittimo o naturale, o il bambino oggetto di adozione piena, diventa francese di pieno diritto se uno dei due genitori ha acquisito la cittadinanza francese, purché egli abbia la stessa residenza abituale del genitore in questione. In caso di separazione o divorzio dei genitori, il bambino acquisisce la cittadinanza francese se risiede abitualmente o alternativamente con il genitore che diventa francese (art. 22-1 c.c.).

Doppia cittadinanza

Il possesso di una o più altre nazionalità non ha, in linea di principio, alcuna incidenza sulla cittadinanza francese.

La legge non richiede infatti che uno straniero diventato francese rinunci alla sua cittadinanza di origine o che un francese diventato straniero rinunci alla cittadinanza francese, salvo che fra gli Stati firmatari della Convenzione del Consiglio d’Europa, del 6 maggio 1963, sulla riduzione dei casi di nazionalità plurima. Questa convenzione prevede infatti la perdita automatica della cittadinanza precedente.

La Francia non stabilisce distinzioni fra coloro che hanno una doppia cittadinanza (non importa se straniero divenuto francese o francese divenuto straniero) e tutti gli altri francesi per quanto riguarda i diritti e i doveri legati alla cittadinanza. Tuttavia, un francese che possegga la doppia cittadinanza non può far valere la propria cittadinanza francese dinanzi alle autorità dell’altro Stato di cui possiede la cittadinanza, qualora risieda nel suo territorio.

Perdita della cittadinanza

Il Codice civile disciplina anche i casi di perdita e di decadenza della cittadinanza (articoli da 23 a 23-9 e da 25 a 25-1 c.c.).

La perdita della cittadinanza francese si verifica generalmente per atto volontario e deriva da una dichiarazione o da una decisione della pubblica autorità.

Casi di rinuncia alla cittadinanza francese sono previsti, in presenza di talune condizioni, a favore dei figli nati all’estero da un solo genitore francese o nati in Francia da un solo genitore nato in Francia.

Qualsiasi maggiorenne residente abitualmente all’estero, che abbia acquisito volontariamente una cittadinanza straniera, può, in presenza di talune condizioni, perdere la cittadinanza francese con dichiarazione sottoscritta davanti all’autorità competente.

In caso di matrimonio con uno straniero, il coniuge francese può rinunciare alla cittadinanza francese con dichiarazione, a condizione che abbia acquisito la cittadinanza del coniuge e che la residenza abituale della coppia sia stata fissata all’estero (art. 23-5, comma 1 c.c.).

In ogni caso i francesi minori di 35 anni non possono dichiarare la perdita della cittadinanza se non sono in regola con gli obblighi del servizio militare (art. 23-2 c.c.).

Le persone che non sono nelle condizioni previste dalla legge per la perdita della nazionalità per dichiarazione, possono essere autorizzate con decreto qualora abbiano acquisito la cittadinanza di un paese straniero.

Il codice civile prevede anche la decadenza della cittadinanza in caso di condanna per reati di particolare gravità, come ad esempio terrorismo o attentato agli interessi fondamentali della nazione. Il provvedimento di decadenza è adottato con decreto previo parere del Consiglio di Stato, ma non deve causare casi di apolidia (art. 25 c.c.).

È possibile inoltre la reintegrazione nella nazionalità francese per le persone che l’abbiano perduta a seguito di matrimonio con uno straniero o per acquisizione di cittadinanza straniera, qualora ne facciano richiesta. La condizione per ottenere di nuovo la nazionalità è quella di aver conservato dei legami, con la Francia, di ordine culturale, professionale, economico e familiare (art. 24-2 c.c.).

GERMANIA

Quadro normativo di riferimento

La Legge fondamentale tedesca (Grundgesetz) del 1949, all’articolo 16, comma 1, sancisce il principio della irrevocabilità della cittadinanza tedesca, specificando che la stessa si può perdere soltanto per effetto di una legge e, nel caso in cui il soggetto interessato manifesti una volontà contraria, solo se non diventi apolide.

Tra le disposizioni transitorie e finali della Legge fondamentale vi è poi l’articolo 116 che reca la definizione di “tedesco”, inteso come “colui che possiede la cittadinanza tedesca o colui che è stato accolto, come rifugiato o espulso di nazionalità tedesca o come suo coniuge o discendente, nel territorio del Reich tedesco secondo lo status del 31 dicembre 1937”. A coloro che sono stati privati della cittadinanza tedesca tra il 30 gennaio1933 e l’8 maggio 1945, per motivi politici, razziali o religiosi, è nuovamente concessa la cittadinanza sulla base di una richiesta di naturalizzazione. La stessa possibilità è offerta anche ai loro discendenti. Non sono considerati privi di cittadinanza coloro che dopo la fine della guerra hanno preso la residenza in Germania e non hanno manifestato una volontà contraria in merito.

La disciplina legislativa federale in materia di cittadinanza è contenuta principalmente nella Legge sulla cittadinanza (Staatsangehörigkeitsgesetz– StAG)(3) del 22 luglio 1913 che negli ultimi anni ha subito alcune rilevanti riforme. La prima, attuata con la Legge di riforma del diritto sulla cittadinanza (Gesetz zur Reform des Staatsangehörigkeitsrecht) del 15 luglio 1999, entrata in vigore il 1° gennaio2000, ha introdotto, quale ulteriore condizione per l’acquisizione della cittadinanza tedesca, il principio del luogo di nascita (ius soli o Geburtsortsprinzip), in aggiunta al principio di filiazione (ius sanguinis o Abstammungsprinzip).

Con la Legge sull’immigrazione (Zuwanderungsgesetz) del 30 luglio 2004, entrata in vigore il 1° gennaio2005, la regolamentazione del diritto alla naturalizzazione, prima contenuta nella Legge sugli stranieri (Ausländergesetz)(4) , è stata trasposta quasi integralmente in alcuni articoli della Legge sulla cittadinanza.

L’articolo 5 della Legge di attuazione delle direttive dell’Unione europea in materia di diritto d’asilo e di soggiorno (Gesetz zur Umsetzung von aufenthalts- und asylrechtlichen Richtlinien der Europäischen Union) del 19 agosto 2007, entrata in vigore il 28 agosto 2007, ha introdotto una nuova modalità di acquisizione della cittadinanza tedesca e ha modificato la normativa riguardante la naturalizzazione degli stranieri residenti in Germania.

Infine la Legge di modifica della legge sulla cittadinanza (Gesetz zur Änderung des Staatsangehörigkeitsgesetzes) del 5 febbraio 2009 ha introdotto la possibilità di revocare o annullare la naturalizzazione o l’autorizzazione a conservare la cittadinanza tedesca, qualora l’atto amministrativo sia stato ottenuto attraverso l’inganno, la minaccia o la corruzione o mediante il rilascio di informazioni false o incomplete.

Per quanto riguarda, più specificamente, le modalità di acquisizione della cittadinanza tedesca, il § 3 della Legge sulla cittadinanza prevede che si possa diventare cittadini tedeschi per nascita, per adozione, per naturalizzazione e, a partire dalla riforma del 2007, nel caso in cui il soggetto interessato abbia ricevuto il trattamento di cittadino tedesco per un lungo periodo (Ersitzung).

In base alle nuove disposizioni, infatti, può acquisire la cittadinanza tedesca anche colui che per dodici anni è stato considerato dalla Pubblica Amministrazione cittadino della Repubblica federale senza esserlo (§ 3 comma 2). Finalità della norma è quella di tutelare la certezza del diritto, soprattutto nei casi in cui la cittadinanza tedesca costituisce una condizione necessaria per l’esercizio di alcuni diritti (ad esempio il diritto di voto e quelli relativi alla disciplina del pubblico impiego).

Gli Uffici della Pubblica Amministrazione cui la legge fa riferimento sono da individuare nelle autorità statali federali e dei Länder competenti in materia di cittadinanza (per gli affari consolari, per il rilascio del passaporto e della carta di identità, per l’anagrafe e lo stato civile). Il riconoscimento dello status di cittadino tedesco può avvenire attraverso il rilascio di documenti che attestino l’identità tedesca del titolare (il passaporto o la carta di identità), l’iscrizione nelle liste elettorali per le elezioni nazionali, regionali e comunali, l’assunzione nell’ambito del pubblico impiego o l’abilitazione ad una determinata professione. Tale diritto si estende anche ai discendenti.


3) Testo aggiornato alle ultime modifiche apportate dall’art. 2 della legge del 1° giugno 2012.

4) In sostituzione della Legge sugli stranieri è entrata in vigore la Legge sul soggiorno (Aufenthaltsgesetz) del 30 luglio 2004, da ultimo modificata dall’articolo 7 della legge del 17 giugno 2013.

La cittadinanza per nascita e per adozione

In base al principio di filiazione (ius sanguinis o Abstammungsprinzip), un bambino acquisisce la cittadinanza tedesca alla nascita se almeno uno dei suoi genitori è cittadino tedesco (§ 4, comma 1). È, tuttavia, necessario che la filiazione sia valida ai sensi della legge federale. Se, per esempio, la nazionalità tedesca è trasmessa dal padre e se questi non è coniugato con la madre del bambino, è necessario il riconoscimento (Anerkennung) o la constatazione di paternità (Festellung der Vaterschaft) prima che il minore abbia compiuto il ventitreesimo anno di età.

Dal 1° gennaio 2000 acquisiscono automaticamente la cittadinanza tedesca non solo i figli di cittadini tedeschi, ma anche i figli di stranieri che nascono in Germania (ius soli o Geburtsortsprinzip), purché almeno uno dei genitori risieda abitualmente e legalmente nel Paese da almeno otto anni e goda del diritto di soggiorno a tempo indeterminato (unbefristetes Aufenthaltsrecht) o, se cittadino svizzero, sia in possesso di un permesso di soggiorno (Aufenthaltserlaubnis) rilasciato sulla base dell’Accordo del 21 giugno 1999 tra la Comunità europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Confederazione elvetica, dall’altra, riguardante la libertà di circolazione (§ 4, comma 3).

Un bambino di genitori ignoti (Findelkind) che viene trovato in territorio tedesco è considerato figlio di cittadini tedeschi fino a prova contraria (§ 4, comma 2).

L’acquisizione della cittadinanza tedesca viene iscritta nel registro delle nascite (Geburtenregister) nel quale è stata annotata la nascita del minore (§ 4, comma 3).

I bambini nati prima del 1° luglio 1993 da padre tedesco e madre straniera possono acquisire la cittadinanza tedesca mediante una dichiarazione (Erklärung), da effettuarsi entro il compimento del ventitreesimo anno di età, se il riconoscimento o l’accertamento della paternità sono validi per la legge tedesca e se il minore stesso è residente legalmente e stabilmente in Germania da tre anni (§ 5).

I bambini che divengono cittadini tedeschi in base al principio del luogo di nascita acquisiscono contemporaneamente anche la nazionalità dei genitori stranieri. Dal compimento della maggiore età hanno cinque anni di tempo per dichiarare la loro volontà di mantenere la nazionalità tedesca o quella del Paese d’origine dei genitori. Tale dichiarazione deve avvenire in forma scritta (§ 29, comma 1). Nel caso in cui scelgano di conservare la nazionalità dei propri genitori o non facciano alcuna dichiarazione ufficiale entro i termini stabiliti, essi perdono la cittadinanza tedesca (§ 29, comma 2). Qualora l’interessato voglia mantenere la nazionalità tedesca deve dimostrare, entro gli stessi termini, di aver perso quella straniera (comma 3). Immediatamente dopo il compimento del diciottesimo anno età il soggetto interessato è informato dalle autorità competenti sullo svolgimento della procedura.

L’obbligo di rinuncia alla doppia cittadinanza non riguarda i minori che hanno acquisito la nazionalità tedesca in base al principio di filiazione. In tale caso, essi ottengono la cittadinanza di entrambi i genitori.

Infine, il § 6 disciplina l’acquisizione della cittadinanza attraverso l’adozione di un minore (Annahme als Kind) da parte di un cittadino tedesco. Tale diritto si estende anche ai suoi discendenti.

La cittadinanza per naturalizzazione

La legge di riforma del 2007 ha modificato le norme riguardanti la naturalizzazione (Einbürgerung) degli stranieri residenti in Germania e ne ha semplificato le procedure.

Le disposizioni sulla naturalizzazione sono contenute principalmente nei §§ da 8 a 16, da 36 a 38, 40b e 40c della Legge sulla cittadinanza.

Per tutti coloro che non sono tedeschi per diritto di nascita, ma che vogliono diventarlo perché stabilitisi in Germania, la naturalizzazione rappresenta la via principale per poter acquisire la cittadinanza tedesca. La naturalizzazione non avviene in modo automatico, ma previa un’apposita richiesta (Antrag) da parte dell’interessato.

Nella fattispecie della naturalizzazione rientrano gli stranieri residenti stabilmente e regolarmente in Germania, i coniugi stranieri di cittadini tedeschi e i figli minori.

Ai sensi del § 10 della Legge sulla cittadinanza, uno straniero che desideri ottenere la naturalizzazione deve possedere i seguenti requisiti:

otto anni di residenza stabile e legale sul territorio federale tedesco [il termine non si applica al coniuge straniero e ai figli minori, che possono essere naturalizzati contemporaneamente al richiedente anche se risiedono legalmente in Germania da un periodo di tempo inferiore (§ 1o, comma 2), e non si interrompe per soggiorni all’estero fino a sei mesi (§ 12b, comma 1)];

il possesso della capacità di agire (minimo 16 anni), in conformità con le disposizioni contenute nell’articolo 80, comma 1, della Legge sul soggiorno, o una rappresentanza legale;

il rispetto e l’osservanza dell’ordinamento libero e democratico stabilito nella Legge fondamentale tedesca;

il diritto di soggiorno a tempo indeterminato o un permesso di soggiorno rilasciato ai sensi del § 4, comma 3, della Legge sulla cittadinanza o un regolare permesso di soggiorno rilasciato per uno degli scopi previsti nei §§ 16, 17, 20, 22, 23, comma 1, 23a, 24 e 25, comma da 3 a 5 della Legge sul soggiorno;

la capacità di assicurare il mantenimento proprio e dei familiari a carico, senza far ricorso a sussidi sociali (Sozialhilfe) o all’indennità di disoccupazione (Arbeitslosengeld II). Con la riforma del 2007, anche le persone al di sotto dei 23 anni che aspirano alla naturalizzazione devono provvedere al proprio sostentamento senza ricorrere ai sostegni economici previsti nel Secondo Libro del Codice sociale (Sicurezza di base per le persone in cerca di lavoro) e nel Dodicesimo Libro del Codice Sociale (Pubblica assistenza);

la rinuncia o la perdita della cittadinanza d’origine. La legge di riforma del 2007 consente, tuttavia, a tutti i cittadini dell’Unione europea e della Svizzera di conservare la propria cittadinanza d’origine (§ 12, comma 2);

l’assenza di condanne penali per aver compiuto atti contrari alla legge o di misure di correzione e di sicurezza. La riforma ha reso più rigorosi i limiti per i reati penali minori: è escluso dalla procedura di naturalizzazione chi è stato condannato ad una pena pecuniaria che superi i 90 tassi giornalieri o una pena detentiva di durata superiore ai tre mesi;

la dimostrazione di una sufficiente conoscenza della lingua tedesca;

la conoscenza dell’ordinamento sociale e giuridico tedesco nonché delle condizioni di vita in Germania a cui il candidato alla naturalizzazione deve conformarsi.

La conoscenza della lingua tedesca rappresenta una delle condizioni fondamentali per ottenere la cittadinanza e per integrarsi nel tessuto sociale e politico del Paese. La riforma del 2007 ha stabilito che, per ottenere la naturalizzazione, il candidato deve superare un esame scritto ed orale di lingua tedesca e conseguire il Zertifikat Deutsch, equivalente al livello B1 del Quadro Comune Europeo di Riferimento per la conoscenza delle Lingue (per i minori fino a 16 anni è sufficiente una conoscenza della lingua adeguata alla loro età). Sono escluse da tale obbligo le persone impedite da malattie fisiche o mentali.

Il § 10, comma 3 della Legge sulla cittadinanza prevede la possibilità, per gli stranieri che abbiano frequentato e superato con successo un corso di integrazione (Integrationskurs) certificato dall’Ufficio federale per la migrazione e i profughi (Bundesamt für Migration und Flüchtlinge), di ridurre di un anno (da otto a sette) il periodo minimo di soggiorno richiesto per ottenere la naturalizzazione.

Infine, a partire dal 1 settembre 2008 è obbligatorio dimostrare di conoscere l’ordinamento sociale e giuridico tedesco nonché le condizioni di vita in Germania attraverso il superamento di un test di naturalizzazione (Einbürgerungstest), dal quale sono comunque esonerate le persone impedite da malattie fisiche o mentali. Per la preparazione dell’esame sono messi a disposizione corsi di naturalizzazione (Einbürgerungskurse) la cui partecipazione, tuttavia, non è obbligatoria (§ 10, comma 5).

Le disposizioni relative alla naturalizzazione degli stranieri si applicano anche nel caso di matrimonio o di convivenza registrata (Lebenspartnerschaft) con cittadini tedeschi, fattispecie detta della “naturalizzazione dovuta” (Soll-Einbürgerungo In-der-Regel Einbürgerung) regolata dal § 9. La naturalizzazione è concessa, nel rispetto delle condizioni previste al § 8, qualora si sia persa o si rinunci alla cittadinanza d’origine e si dimostri la conoscenza delle condizioni di vita in Germania nonché della lingua tedesca. Anche i figli minori dei coniugi o dei conviventi registrati stranieri possono essere naturalizzati. In questo caso, il periodo di soggiorno richiesto per presentare la relativa richiesta è ridotto da otto a tre anni, mentre la durata del matrimonio o della convivenza registrata deve essere di almeno due anni.

Per coloro ai quali viene riconosciuto il diritto di asilo ai sensi dell’art. 16a della Legge fondamentale, per i rifugiati ufficialmente riconosciuti in base alla Convenzione di Ginevra e per gli apolidi la procedura è più breve, essendo sufficienti sei anni di soggiorno per ottenere la cittadinanza.

I §§ 13 e 14 della Legge sulla cittadinanza riguardano altre due fattispecie di“naturalizzazione discrezionale” (Kann-Einbürgerungo Ermessenseinbürgerung). Si tratta, rispettivamente, della naturalizzazione di ex cittadini tedeschi che risiedono abitualmente all’estero e dei loro figli minori legittimi e adottivi, e della naturalizzazione di cittadini stranieri che vivono all’estero e mantengono legami particolari con la Germania, tali da giustificarne la naturalizzazione.

Le domande di naturalizzazione possono essere presentate alle competenti autorità locali dopo il compimento del sedicesimo anno di età.

In base al § 38, comma 2, della Legge sulla cittadinanza è richiesta una tassa di naturalizzazione (Gebühr) di 255 euro. Per i figli minori che non sono economicamente indipendenti l’importo è di 51 euro.

Al formulario, predisposto dalle autorità locali per la richiesta di naturalizzazione, devono essere allegati i seguenti documenti: una foto formato tessera, il passaporto con il permesso di soggiorno, il certificato di nascita, il certificato di matrimonio, se è richiesta anche la naturalizzazione del coniuge, un documento che indichi lo stipendio percepito (Verdienstbescheinigung) ed eventualmente un certificato del datore di lavoro, e per ultimo un certificato di un istituto (legalmente riconosciuto) che attesti le competenze linguistiche.

Infine, con la Legge di modifica della legge sulla cittadinanza (Gesetz zur Änderung des Staatsangehörigkeitsgesetzes) del 5 febbraio 2009, è stata introdotta la possibilità di revocare o annullare la naturalizzazione o l’autorizzazione a conservare la cittadinanza tedesca qualora l’atto amministrativo sia stato ottenuto attraverso l’inganno, la minaccia o la corruzione o mediante il rilascio di informazioni false o incomplete. Ai sensi del nuovo § 35 la revoca, che ha effetto retroattivo, può aver luogo fino alla scadenza del quinto anno dalla notificazione dell’avvenuta naturalizzazione o dal rilascio dell’autorizzazione al mantenimento della cittadinanza tedesca. In base alle nuove disposizioni, è punito con una pena detentiva fino a cinque anni o con una pena pecuniaria chi, allo scopo di ottenere la naturalizzazione per sé o per un altro soggetto, fornisce false o incomplete informazioni. Inoltre, nel valutare gli effetti dell’atto amministrativo di accettata contestazione della paternità su un figlio minore ai fini della revoca della cittadinanza tedesca, il legislatore ha stabilito che tale perdita non si verifica qualora il figlio abbia superato il quinto anno di età. Diversamente, per i figli al di sotto dei cinque anni la revoca è autorizzata poiché il minore, data la sua giovane età, non ha ancora sviluppato la consapevolezza della propria cittadinanza e, dunque, non viene violato il principio sancito all’articolo 16, comma 1, della Legge fondamentale.

La cittadinanza doppia o plurima

Nella normativa vigente resta valido il principio generale per cui non è ammessa la cittadinanza doppia o plurima (Vermeidung von Doppelter Staatsangehörigkeit - Mehrstaatigkeit). Coloro che intendono acquisire la cittadinanza tedesca attraverso la naturalizzazione devono, quindi, rinunciare a quella d’origine.

Esistono, tuttavia, delle circostanze, previste al § 12 della Legge sulla cittadinanza, che rappresentano un’eccezione alla regola generale, giustificate dal fatto che talvolta non è possibile rinunciare alla propria nazionalità, perché l’ordinamento del Paese di origine non lo prevede o perché lo Stato straniero regolarmente respinge le richieste(5) . La legge prevede alcune eccezioni anche nel caso di persone molto anziane, di profughi e rifugiati politici e qualora la rinuncia comporti il versamento di tasse particolarmente elevate o determini l’insorgenza di gravi pregiudizi di natura economica o patrimoniale. Inoltre, a partire dal 28 agosto 2007, la rinuncia alla nazionalità d’origine non è necessaria se il richiedente è un cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea, della Svizzera o di un altro Stato con il quale la Repubblica federale tedesca ha stipulato una convenzione di diritto internazionale (§ 12, commi 2 e 3). Sempre sulla base delle misure introdotte nel 2007, anche i cittadini tedeschi non perdono automaticamente la loro cittadinanza qualora acquisiscano quella di uno Stato membro dell’Unione europea, della Svizzera o di un altro Stato con il quale la Repubblica federale tedesca ha stipulato una convenzione di diritto internazionale (§ 25, comma 1).

I cittadini tedeschi che desiderino ottenere la cittadinanza di un altro Stato senza perdere quella del Paese di origine possono richiedere la cosiddetta autorizzazione al mantenimento della cittadinanza tedesca (Beibehaltungsgenehmigung) che può essere concessa a discrezione dalle competenti autorità nazionali dopo aver ponderato gli interessi pubblici e privati (§ 25, comma 2).


5) Il Ministero federale dell’interno, in collaborazione con il Ministero federale degli affari esteri, elabora periodicamente una lista dei paesi che non consentono la rinuncia alla cittadinanza. Attualmente, sono l’Afghanistan, l’Algeria, l’Eritrea, l’Iran, Cuba, il Libano, il Marocco, la Siria e la Tunisia.

REGNO UNITO

Riferimenti normativi

La cittadinanza britannica è disciplinata dal British Nationality Act 1981, entrato in vigore il 1° gennaio 1983 e più volte modificato nei decenni successivi, principalmente dalle seguenti leggi: British Overseas Territories Act 2002, Nationality, Immigration and Asylum Act 2002, Immigration, Asylum and Nationality Act 2006, UK Borders Act 2007 e Borders, Citizenship and Immigration Act 2009.

La disciplina generale della cittadinanza

L’istituto della cittadinanza si articola in modi distinti a seconda degli ambiti territoriali di provenienza della persona. Oltre alla cittadinanza britannica propriamente detta - relativa al Regno Unito, alle Isole del Canale e all’Isola di Man -, la legge contempla infatti altre forme di nazionalità, quali la British Dependent Territories Citizenship e la British Overseas Citizenship, disciplinate da disposizioni particolari. Norme specifiche si applicano, inoltre, alle peculiari condizioni di British subject e di British protected person, riconosciute ai cittadini di determinati Stati esteri per ragioni legate ai tradizionali rapporti dei loro Paesi di origine con il Regno Unito.

L’acquisizione della cittadinanza per nascita

La persona nata (o adottata) nel Regno Unito acquista la cittadinanza (attraverso l'apposita "registration") se uno dei genitori sia già cittadino britannico al momento della nascita; oppure se uno dei genitori, cittadino non britannico, si sia stabilito nel Regno Unito (“settled”), ovvero vi risieda a tempo indeterminato e senza soggiacere ai limiti temporali previsti dalla legislazione in materia di immigrazione (in precedenza collegati, di norma, al conseguimento di un permesso di lavoro).

Qualora al momento della nascita i genitori non siano cittadini britannici né siano stabiliti nel Regno Unito, la persona nata nel territorio nazionale ha titolo a richiedere il riconoscimento della cittadinanza nei casi seguenti:

qualora uno dei genitori divenga successivamente cittadino britannico o si stabilisca nel Regno Unito; in tal caso, però, il figlio deve farne espressa richiesta entro i 18 anni di età;

qualora il richiedente abbia vissuto nel Regno Unito per i dieci anni successivi alla nascita non assentandosi per più di 90 giorni; in tal caso non è previsto alcun limite di tempo per richiedere la cittadinanza;

qualora la persona abbia la cittadinanza britannica dei Territori d'Oltremare, e per almeno cinque anni abbia legalmente risieduto nel Regno Unito senza assentarsi per più di 450 giorni durante il quinquennio o per più di 90 negli ultimi dodici mesi.

In mancanza dei previsti requisiti, la concessione della cittadinanza britannica alla persona nata sul suolo nazionale è di competenza discrezionale del Ministro dell'Interno (Home Secretary).

Nel Regno Unito, pertanto, lo ius soli opera quale criterio abilitativo per il conferimento della cittadinanza al minore straniero se nato da genitore residente nel Regno Unito (e in regola con le norme sull’immigrazione) o se residente nel Paese nei dieci anni successivi alla nascita, mentre i tempi della residenza finalizzata alla naturalizzazione ammontano a cinque anni.

La naturalizzazione dei cittadini stranieri

La legislazione disciplina i casi di acquisto della cittadinanza britannica da parte della persona non nata sul suolo nazionale. Oltre alle norme specifiche previste per casi particolari (concernenti le persone nate nei Territori individuati dalle disposizioni del 2002 - a tale scopo denominati “qualifying territories” - e da genitori di cui almeno uno sia cittadino britannico oppure stabilito nel Regno Unito), la disciplina prevede particolari procedure di naturalizzazione degli stranieri (“naturalization”) provenienti da Stati appartenenti al Commonwealth oppure in possesso della cittadinanza irlandese.

Al di fuori di questi casi, la legislazione ha finora stabilito che il coniuge straniero di un cittadino britannico (così come il partner straniero di un’unione civile ai sensi del Civil Partnership Act 2004) possa conseguire la cittadinanza dopo aver vissuto legalmente e in modo continuativo per almeno un triennio nel Regno Unito, purché in possesso dei requisiti prescritti per la naturalizzazione, personali e “residenziali”. Oltre alla maggiore età e alle necessarie condizioni di salute mentale (sound mind and good character) e di onorabilità, l’aspirante cittadino deve comprovare di essere residente nel Regno Unito e di avervi soggiornato, in modo legittimo e continuativo, nei tre anni precedenti (con assenze non superiori a 270 giorni nel triennio e a 90 giorni nell’ultimo anno).

Più stringenti requisiti temporali sono previsti per l’acquisizione della cittadinanza al di fuori del matrimonio. Il richiedente, in tale ipotesi, oltre al possesso dei noti requisiti personali, deve dimostrare di essere stabilito nel Regno Unito da almeno un anno e di avervi vissuto regolarmente per i cinque anni precedenti senza rilevanti interruzioni (per non più di 450 giorni nel quinquennio e di 90 giorni nell’anno precedente la domanda).

Dal 1° novembre 2005, inoltre, è stato gradualmente introdotto per gli aspiranti cittadini l’obbligo di sottoporsi a due prove, predisposte l’una per verificare la loro sufficiente conoscenza della lingua inglese, gallese o gaelica scozzese (livello Entry 3 dell’English for Speakers of Other Languages - ESOL), l’altra il possesso di nozioni sulla vita nel Regno Unito (Life in the UK Test), svolta nella forma di domande sulle istituzioni sociali e civili del Paese (i due esami possono essere sostenuti dopo aver seguito appositi corsi a pagamento tenuti da organismi abilitati). I neo-cittadini sono infine chiamati a partecipare, a livello locale, a“cerimonie della cittadinanza” nella cui circostanza essi prestano un giuramento solenne (Oath and Pledge to the United Kingdom(6) ).

Nel sistema vigente la domanda di cittadinanza, in linea di principio, può essere respinta dal Ministero degli Interni (Home Office) senza l’obbligo di atto motivato, sebbene la giurisprudenza, pur senza affermare l’esistenza di un right of appeal in capo al richiedente, abbia in alcuni casi obbligato l’autorità ministeriale a rendere noti i motivi del rigetto e ad esaminare le deduzioni del richiedente prima della decisione definitiva. La legislazione antiterrorismo ha altresì previsto che, con decisione del Ministro competente, possa essere revocata la cittadinanza britannica alla persona che, dopo averla conseguita, sia stata riconosciuta responsabile di atti seriamente pregiudizievoli per gli interessi vitali del Regno Unito. Per tale decisione di revoca, che si aggiunge a quella già prevista in caso di frode, false dichiarazioni o occultamento di fatti, la legge ammette il diritto di ricorso.


6) Può essere utile riportare il testo del giuramento, articolato in tre parti, da pronunciare in occasione delle citizenship ceremonies (fonte: UK Borders Agency):
Oath of allegiance - I (name) swear by Almighty God that on becoming a British citizen, I will be faithful and bear true allegiance to Her Majesty Queen Elizabeth the Second, her Heirs and Successors, according to law.
Affirmation of allegiance - I (name) do solemnly, sincerely and truly declare and affirm that on becoming a British citizen, I will be faithful and bear true allegiance to Her Majesty Queen Elizabeth the Second, her Heirs and Successors, according to law.
Pledge - I will give my loyalty to the United Kingdom and respect its rights and freedoms. I will uphold its democratic values. I will observe its laws faithfully and fulfil my duties and obligations as a British citizen.

Il dibattito sulla riforma della cittadinanza

La disciplina introdotta dalla legge del 2009 costituisce l’approdo di un dibattito pluriennale sulla cittadinanza e sulle modalità della sua acquisizione, di cui è utile richiamare gli snodi essenziali.

Un primo antecedente del Borders, Citizenship and Immigration Act 2009 può individuarsi nei risultati dell’inchiesta sul tema della cittadinanza affidata, nel 2007, dal Governo Laburista allora in carica al coordinamento di Lord Goldsmith (in precedenza titolare dell’ufficio dell’Attorney General), nel quadro degli interventi annunciati nel più ampio programma di riforma istituzionale noto complessivamente come The Governance of Britain.

I principali termini di riferimento dell’indagine erano individuati nel sistema di diritti e doveri che, in una società democratica e aperta, debbono qualificare la cittadinanza britannica assieme ai diritti riconosciuti all’individuo dallo Human Rights Act 1998; nelle differenze tra le diverse categorie di nazionalità; nella relazione esistente tra residenza, nazionalità e cittadinanza, anche in prospettiva della previsione di incentivi per l’acquisizione del relativo status; nella partecipazione civica dei cittadini e dei residenti sul territorio nazionale, anche con riguardo all’esercizio del diritto di voto e alla partecipazione alle giurie popolari.

La relazione finale, presentata al Primo Ministro l’11 marzo 2008 ed intitolata Citizenship, Our Common Bond, si apriva con una ricostruzione storica del concetto politico e giuridico di cittadinanza come evolutosi nel Regno Unito, e, dopo aver delineato la sfera dei diritti e dei doveri implicati dallo status di cittadino (tradizionalmente delimitata dalle coordinate del diritto di protezione e del dovere di fedeltà e di obbedienza alla legge), proseguiva prendendo in esame la possibilità di estendere e garantire il godimento di alcuni dei diritti del cittadino a determinate categorie di residenti (diritto di elettorato attivo, accesso ai servizi sociali e all’istruzione).

Di tali innovazioni legislative il rapporto Goldsmith riconosceva, tuttavia, il rilievo solo parziale, nella convinzione che il consolidamento del legame sociale sotteso al rapporto di cittadinanza passasse anche attraverso il piano sociale e culturale. Per consentire il radicarsi di un senso di appartenenza nazionale (anche se non necessariamente esclusivo in rapporto a diverse provenienze culturali) veniva prospettata, tra l’altro, l’opportunità di non trascurare le forme esteriori e celebrative dell’identità nazionale: a tale scopo veniva raccomandata l’adozione di iniziative dirette ad istituire un“giorno nazionale”, ad introdurre un cerimoniale per l’acquisizione della cittadinanza e a favorire, in ogni caso, una divulgazione discorsivo-narrativa, oltre che un’esposizione di tipo giuridico-formale, dei diritti e doveri del cittadino. A questo riguardo, nella relazione finale dell’inchiesta era ampiamente sottolineato il ruolo dell’istruzione primaria.

Il tema della revisione delle regole sulla cittadinanza è stato oggetto di un ulteriore documento di consultazione, The path to citizenship: next steps in reforming the immigration system, pubblicato nel febbraio 2008 dalla UK Borders Agency (autorità indipendente investita di compiti regolamentari, ispettivi e consultivi in materia di disciplina dell’immigrazione). L’attribuzione della cittadinanza britannica vi era configurata quale risultato della graduale integrazione dello straniero nel Regno Unito, compiuta secondo determinate modalità procedimentali e sottoposta a puntuali verifiche. Veniva perciò messa in rilievo la modulazione del percorso per acquisire la cittadinanza a partire da una considerazione delle qualità personali degli stranieri sotto l’aspetto dell’esperienza, della capacità professionale e della partecipazione sociale, sottoposte ad una valutazione espressa mediante un punteggio basato su criteri prestabiliti.

Immigrazione e “sistema a punti”

Lo schema del Points-Based System (sistema a punti), introdotto nel 2008 con la riforma delle Immigration Rules(7) e mutuato dall’esperienza australiana, consiste nella previa valutazione - espressa in punti - di determinati requisiti dell’aspirante cittadino e rispecchia un criterio selettivo già operante per l’ingresso del lavoratore straniero immigrato nel Regno Unito. Esso si correla ad un percorso preordinato - secondo l’originaria impostazione del Governo laburista che lo introdusse - a consentire allo straniero l’acquisto della cittadinanza.

Le norme sull’immigrazione prevedono infatti che agli economic migrants venga attribuito un punteggio sulla base principale delle loro competenze ed esperienze professionali; il sistema risponde all’esigenza di regolare i flussi migratori verso il Regno Unito in funzione delle necessità del sistema produttivo nazionale e ad attrarre le persone dotate di maggiore qualificazione.

Adottato in sostituzione del precedente criterio fondato sulle chiamate nominative dei lavoratori stranieri(8) , il Points-Based System si articola nella predisposizione di cinque differenti “canali”, ciascuno corrispondente ad una particolare categoria di immigrati (provenienti da Paesi non appartenenti all’Area Economica Europea):

il primo è dedicato agli stranieri la cui elevata specializzazione professionale o culturale è considerata utile per la crescita economica e per la produttività nazionale (Tier 1);

al secondo accedono i lavoratori stranieri specializzati (skilled workers) di cui i datori di lavoro hanno bisogno e che non è possibile reperire sul mercato del lavoro interno (Tier 2);

il terzo è limitato a contingenti di lavoratori a bassa specializzazione, dei quali vi sia bisogno per colmare temporanee carenze (Tier 3);

il quarto è riservato agli studenti autorizzati a soggiornare nel Regno Unito per il periodo dei loro studi (Tier 4);

il quinto riguarda la mobilità giovanile e i lavoratori temporanei, in relazione al rilascio di permessi di soggiorno a tempo per le attività di organizzazioni con finalità culturali, religiose o di aiuto allo sviluppo (Tier 5)(9) .

In corrispondenza di ciascun canale di ingresso, il punteggio è attribuito in base a parametri che si correlano al titolo di studio, all’età, al reddito precedente, alla conoscenza della lingua inglese e delle istituzioni del Regno Unito, alla buona condotta, alla partecipazione civica (active citizenship).

L’ingresso attraverso i primi due canali consente il soggiorno nel Regno Unito per un periodo iniziale di tre anni, rinnovabile per altri due (in presenza di determinati requisiti); dopo il quinquennio lo straniero può fare richiesta di stabilirsi (settlement) nel Paese.

Su questa esperienza si sono innestati i successivi indirizzi di riforma enunciati dal Governo laburista [9], che durante il suo mandato prospettò la possibilità di acquisire la cittadinanza per naturalizzazione da parte degli stranieri stabiliti nel Regno Unito mediante il sistema a punti.

Facendo riferimento ai differenti “canali” sopra richiamati, la cittadinanza britannica, nei propositi del Governo laburista, avrebbe potuto essere conseguita dagli economic migrants entrati nel Regno Unito attraverso i Tier 1 e 2 ed abilitati al soggiorno temporaneo (temporary residence). Ottenuto, successivamente, il riconoscimento dello status transitorio (e limitato nel tempo) costituito dalla probationary citizenship, essi avrebbero potuto procedere - dimostrando di aver“meritato” il relativo diritto - verso l’acquisto della cittadinanza pleno jure dopo non meno di un anno (oppure della permanent residence – da convertire in seguito nella piena cittadinanza - dopo non meno di un triennio). Nel regime così delineato, lo straniero avrebbe dunque potuto conseguire, procedendo con una condotta meritoria, la cittadinanza (si è infatti parlato, al riguardo, di earned citizenship); e a tal fine il legislatore aveva previsto che, a decorrere dal giugno 2011, si sarebbero applicate le nuove regole, dirette a rendere operante, per gli immigrati regolarmente soggiornanti nel Paese, il requisito della probationary citizenship in luogo di quello della residenza ultraquinquennale (permanent residence) quale titolo abilitativo per l’accesso alla cittadinanza.


7) Fonte normativa secondaria che il Governo è abilitato a modificare e ad integrare a partire dall’Immigration Act 1971. La previsione legislativa di un points-based system, rimesso alla normativa secondaria per la sua disciplina e agli uffici preposti al controllo dell’immigrazione quanto alla sua applicazione, è contenuta nell’UK Borders Act 2007(l’art. 19, modificando il Nationality, Immigration and Asylum Act 2002, vi introduce il nuovo articolo 85A).

8) Il sistema precedente prevedeva il rilascio di permessi di soggiorno a lavoratori stranieri designati nominativamente da parte del datore di lavoro stabilito nel Regno Unito; a provvedervi era la UK Borders Agencyattraverso la sua articolazione Work Permits.

9) Di questi criteri di determinazione dei flussi migratori (in particolare del Tier 2) il Governo aveva ipotizzato, nel 2009, una modifica restrittiva, motivata dalla congiuntura economica e diretta a limitare l’ingresso nel territorio nazionale ai soli lavoratori stranieri le cui caratteristiche corrispondano alle richieste del mercato del lavoro. Il tema è stato sottoposto al parere del Migration Advisory Committee(commissione consultiva operante in seno alla UK Borders Agency), affinché valutasse l’opportunità di tali misure e il loro impatto sull’economia nazionale.
Questa commissione ha pubblicato, nell’agosto 2009, un rapporto (Analysis of the Points Based System: Tier 2 and dependants) corredato da alcuni documenti di analisi, in cui si afferma la perdurante validità del “canale di ingresso” per i lavoratori stranieri specializzati (Tier 2) e si raccomanda l’aggiornamento di taluni parametri in base ai quali è formulato il punteggio (con riferimento, in particolare, alla valutazione del titolo di studio e del reddito). Un esame del “sistema a punti”, peraltro, è stato compiuto dalla Commissione Affari Interni della Camera dei Comuni, che il 15 luglio 2009 ha dedicato al tema la sua relazione Managing Migration: The Points Based System.
[9] Tali orientamenti sono enunciati nel documento di consultazione The path to citizenship: next steps in reforming the immigration system, citato in precedenza.

Il Borders, Citizenship and Immigration Act 2009

Un primo tassello della riforma annunciata dal legislatore si è avuto nel luglio 2009.

Il Borders, Citizenship and Immigration Act 2009 ha introdotto modifiche puntuali (entrate in vigore il 13 gennaio 2010) concernenti alcuni dei requisiti prescritti per l’acquisizione della cittadinanza per naturalizzazione (oltre ad innovare taluni profili relativi alle altre forme di acquisto della medesima). Tra le modifiche di maggior rilievo si segnalano le previsioni relative alla buona condotta (good character) e alla sufficiente conoscenza della lingua inglese (oppure scozzese o gaelica) e delle istituzioni e tradizioni del Regno Unito, di cui deve dimostrare il possesso colui che aspiri ad acquisire la cittadinanza per naturalizzazione (art. 39).

Il requisito del matrimonio o dell’essere membro di una civil partnership, d’altra parte, è stato sostituito dalla nuova legge con il più ampio riferimento alla necessaria esistenza di una “relazione familiare” (relevant family association) che abbia legato, per l’arco temporale previsto dalla disciplina dei termini (qualifying period), l’aspirante cittadino alla persona che già detiene tale status (art. 40); il requisito suddetto è ora aggiornato alla luce della recente introduzione del Marriage (Same Sex Couples) Act 2013.

In conclusione, può dirsi che un più ampio ricorso ai criteri valutativi prima sperimentati in materia di immigrazione e, in particolare, la loro applicazione nel quadro delle procedure di conferimento della cittadinanza agli stranieri, abbiano costituito le coordinate della nuova disciplina della cittadinanza, nel segno di una rigorosa valorizzazione del profilo qualitativo della presenza dello straniero sul territorio nazionale.

Recenti sviluppi

L’impianto generale della disciplina vigente è stato finora mantenuto da parte dell’attuale Governo di coalizione conservatrice-liberaldemocratica. Tuttavia, all’epoca del suo insediamento nel 2010, esso ha annunciato la decisione di non proseguire nell’attuazione del sistema cosiddetto di earned citizenship, ritenendo che il rilievo assuntovi dallo stabilimento (settlement) sia tale da rendere perseguibile con eccessiva facilità, da parte dell’immigrato, il passaggio dal regime di soggiorno temporaneo a quello di permanent residence, e con ciò il conseguimento dei requisiti per la successiva acquisizione della cittadinanza.

Il Governo, inoltre, il 6 aprile 2013 ha messo mano ad alcune modifiche delle Immigration Rules al fine di prevederne una serie di semplificazioni procedurali. Nel contempo, per il conseguimento dei titoli di soggiorno nel territorio nazionale è stata annunciata l’introduzione, a partire dal 28 ottobre 2013, di un test di conoscenza linguistica di più elevata complessità. Tale iniziativa si correla all’orientamento, ribadito più di recente dal Governo, di introdurre misure di contenimento degli attuali livelli di immigrazione attraverso una revisione dei criteri di soggiorno nel territorio nazionale.

SPAGNA

Riferimenti normativi

Costituzione spagnola del 27 dicembre 1978, art. 11

Codice civile, artt. 17-28

La cittadinanza d’origine

La Costituzione spagnola del 1978, all’articolo 11, rinvia a una legge attuativa per quanto concerne le modalità di acquisizione, conservazione e perdita della cittadinanza (nacionalidad), limitandosi a porre il principio generale del divieto della privazione della cittadinanza nei confronti degli spagnoli d’origine. Un’ulteriore disposizione riguarda la possibilità di sottoscrivere trattati internazionali sulla “doppia cittadinanza” (doble nacionalidad) con i Paesi ispano-americani o con altri Paesi che abbiano mantenuto particolari legami con la Spagna, sulla base del principio di reciprocità(10) .

La normativa specifica sul diritto di cittadinanza è contenuta nel codice civile, all’interno del Libro primo “Delle persone”, nel Titolo I “Degli spagnoli e degli stranieri” (artt. 17-28, modificati con la legge 36/2002, dell’8 ottobre 2002).

In particolare, sono spagnoli d’origine:

i nati da padre o madre spagnoli;

i nati in Spagna da genitori stranieri, se almeno uno di essi è nato in Spagna, ad eccezione dei figli di funzionari diplomatici o consolari accreditati in Spagna;

i nati in Spagna da genitori stranieri, se entrambi non possiedono alcuna cittadinanza o la legislazione dei loro Paesi d’origine non assegna al figlio la cittadinanza;

i nati in Spagna la cui filiazione non risulti accertata. In tal caso si considerano nati nel territorio nazionale i minori di età il cui primo luogo conosciuto di soggiorno sia la Spagna.

Nel caso in cui la filiazione o la nascita in Spagna siano accertate dopo il compimento del diciottesimo anno di età, l’interessato non acquista automaticamente la cittadinanza spagnola d’origine, ma ha due anni di tempo per optare in tal senso.

Nella circostanza opposta, cioè laddove si scopra successivamente la mancanza di uno dei requisiti fondamentali per il possesso della cittadinanza spagnola d’origine, se l’interessato, fatta salva la sua buona fede, è stato considerato cittadino spagnolo per almeno dieci anni ininterrotti, con iscrizione regolare presso i registri dello stato civile, mantiene la cittadinanza.

È infine cittadino d’origine lo straniero, minore di diciotto anni, che viene adottato da uno spagnolo.


10) Art. 11 della Costituzione spagnola:
“1. La nazionalità spagnola si acquista, si conserva e si perde conformemente a quanto stabilito dalla legge.
2. Nessun cittadino di origine spagnola potrà essere privato della sua nazionalità.
3. Lo Stato potrà concordare trattati sulla doppia nazionalità con i paesi ibero-americani o con quelli che abbiano mantenuto o che mantengono particolari legami con la Spagna. In questi stessi paesi, quantunque non riconoscano ai propri cittadini un diritto di reciprocità, gli spagnoli potranno naturalizzarsi senza perdere la nazionalità originaria”.

La cittadinanza mediante opzione

In aggiunta ai casi di possesso della cittadinanza d’origine, è possibile, come già accennato (accertamento della nascita o filiazione in Spagna dopo il compimento del diciottesimo anno di età), optare per la cittadinanza spagnola; tale possibilità è prevista, infatti, anche per gli adottati nella maggiore età, purché esercitino tale opzione entro i due anni dall’adozione.

Il codice civile individua inoltre altre due categorie che possono esercitare il diritto d’opzione:

le persone che siano, o siano state, soggette alla patria potestà di uno spagnolo;

coloro il cui padre o madre, nato in Spagna, abbia avuto in passato la cittadinanza spagnola(11) .

La dichiarazione di opzione va fatta dall’interessato, se maggiorenne e con piena capacità giuridica; per i minorenni, purché maggiori di quattordici anni, è richiesta l’assistenza di un rappresentante legale. Per i minori di quattordici anni, infine, è possibile soltanto la richiesta inoltrata da un rappresentante legale dell’optante, autorizzata dall’ufficiale di stato civile del domicilio del richiedente, ascoltato il parere del pubblico ministero e nell’interesse del soggetto.

In caso di dichiarazione effettuata direttamente dall’interessato in possesso della maggiore età, è previsto, anche per chi è stato soggetto alla patria potestà di un cittadino, il termine di due anni per far valere l’opzione, mentre tale termine non si applica nel caso di chi ha avuto un genitore nato in Spagna e che era stato, in passato, cittadino spagnolo.

Trascorso il termine di due anni è comunque ancora possibile ottenere la cittadinanza, ma attraverso la “acquisizione” della stessa e previo il requisito della “residenza legale”.


11) Si tratta di una delle modifiche al codice civile introdotte con la legge 36/2002. La finalità dichiarata della legge è quella di“facilitare la conservazione e la trasmissione della cittadinanza spagnola”, in ottemperanza a quanto previsto nell’art. 42 della Costituzione, che impegna lo Stato nella salvaguardia dei diritti economici e sociali dei lavoratori spagnoli all’estero e nel favorire il loro rientro in Patria.

L’acquisizione della cittadinanza

La cittadinanza spagnola può anche essere acquisita con due modalità: in primo luogo attraverso il rilascio di un “certificato di cittadinanza” (carta de naturaleza) mediante “Real Decreto”, emanato a discrezione dell’autorità competente, ma soltanto nei casi in cui il richiedente si trovi in “circostanze eccezionali”(12) , in secondo luogo, nella maniera più frequente, l’ottenimento della cittadinanza avviene con il requisito della “residenza in Spagna”, su concessione del Ministro della giustizia.

In entrambi i casi la domanda va inoltrata con gli stessi criteri già elencati per l’opzione a favore della cittadinanza spagnola, a seconda dell’età del richiedente.

Il requisito fondamentale, per la richiesta in base alla residenza, è appunto quello della “residenza legale e continuata” in Spagna per un periodo di 10 anni, come regola generale.

Per tale criterio di base sono tuttavia previste alcune eccezioni favorevoli:

per coloro che sono stati riconosciuti come rifugiati politici: 5 anni di residenza;

per i cittadini d’origine dei Paesi ispano-americani, per quelli di Andorra, Filippine, Guinea Equatoriale, Portogallo e per i sefarditi: 2 anni di residenza;

per coloro che sono nati in Spagna: 1 anno di residenza;

per coloro che sono sposati con un cittadino spagnolo da almeno un anno e non sono separati legalmente o di fatto: 1 anno di residenza;

per coloro che sono, o sono stati, soggetti legalmente alla tutela, alla custodia o all’affidamento di un cittadino o di un ente spagnolo per due anni consecutivi: 1 anno di residenza;

per i vedovi o le vedove di uno spagnolo o di una spagnola, se alla morte del coniuge non vi era separazione legale o di fatto: 1 anno di residenza;

per i nati fuori dalla Spagna, ma con un genitore o un nonno che ha avuto, in passato, la cittadinanza spagnola: 1 anno di residenza;

per coloro che non hanno fatto valere, in passato, il diritto di opzione per la cittadinanza spagnola: 1 anno di residenza.

La domanda, rivolta al Ministro della giustizia, va presentata presso l’ufficio di stato civile dove si trova il domicilio del richiedente, corredata dai diversi certificati richiesti per le differenti fattispecie sopra elencate e, in ogni caso, da un certificato della Direzione generale di Polizia che attesti la durata della residenza legale e continuata in Spagna.

L’interessato deve inoltre attestare “buona condotta civica e sufficiente grado di integrazione nella società spagnola”.

A tale proposito sono richiesti, oltre ai certificati concernenti i precedenti penali, in Spagna e nel Paese di provenienza, anche un certificato che attesti l’iscrizione a tutti i ruoli anagrafici e tributari (certificado de empadronamiento); lo straniero deve inoltre dimostrare quali sono i suoi mezzi di sostentamento in Spagna.

Il Ministro della giustizia può respingere la richiesta di cittadinanza con decisione motivata, per ragioni di ordine pubblico o d’interesse nazionale. Tale atto è impugnabile in via amministrativa.

La concessione della cittadinanza, sia mediante opzione sia a seguito di rilascio del “certificato di cittadinanza” o per acquisizione con residenza in Spagna, decade automaticamente dopo 180 giorni se la persona interessata, nel caso sia maggiore di quattordici anni e in pieno possesso della capacità giuridica ad agire, non compie i seguenti atti:

dichiara o promette fedeltà al Re e obbedienza alla Costituzione e alle leggi;

dichiara di rinunciare alla sua cittadinanza di origine, ad eccezione di coloro che provengono dai Paesi ispano-americani e da Andorra, Filippine, Guinea Equatoriale e Portogallo, in base alla possibilità della “doppia cittadinanza”, prevista all’articolo 11 della Costituzione;

registra l’acquisizione della cittadinanza spagnola presso l’ufficio dello stato civile.

Infine, disposizioni speciali sull’acquisizione della cittadinanza spagnola, non inserite nel codice civile, sono state introdotte con la settima disposizione aggiuntiva della Ley 52/2007, de 26 de diciembre, por la que se reconocen y amplían derechos y se establecen medidas en favor de quienes padecieron persecución o violencia durante la guerra civil y la dictadura(tale disposizione è entrata in vigore il 27 dicembre 2008)(13) .

Le disposizioni, di natura temporanea, hanno consentito infatti la richiesta di acquisizione della cittadinanza spagnola, entro un periodo di due anni a partire dalla data di entrata in vigore della settima disposizione aggiuntiva, poi prorogato per un ulteriore periodo di un anno, fino al 27 dicembre 2011, con decisione del Consiglio dei Ministri del 22 gennaio 2010, per le seguenti due categorie:

persone con padre o madre che siano stati spagnoli di origine;

nipoti di coloro che persero o dovettero rinunciare alla cittadinanza spagnola come conseguenza dell’esilio.


12) Si veda ad esempio la concessione della cittadinanza spagnola alle vittime straniere, e ai loro familiari, degli attentati terroristici di Madrid dell’11 marzo 2004, disposta con il Real Decreto 453/2004, de 18 de marzo, sobre concesión de la nacionalidad española a las víctimas de los atentados terroristas del 11 de marzo de 2004.

13) “Adquisición de la nacionalidad española.
1. Las personas cuyo padre o madre hubiese sido originariamente español podrán optar a la nacionalidad española de origen si formalizan su declaración en el plazo de dos años desde la entrada en vigor de la presente Disposición adicional. Dicho plazo podrá ser prorrogado por acuerdo de Consejo de Ministros hasta el límite de un año.
2. Este derecho también se reconocerá a los nietos de quienes perdieron o tuvieron que renunciar a la nacionalidad española como consecuencia del exilio” (settima disposizione aggiuntiva della legge 52/2007).

La perdita e il riacquisto della cittadinanza

In base al codice civile perdono la cittadinanza spagnola coloro che, divenuti indipendenti dalla loro famiglia di origine (emancipados), decidano di risiedere abitualmente all’estero, di acquisire volontariamente un’altra cittadinanza o di utilizzare esclusivamente una cittadinanza straniera, che avevano prima della loro emancipazione.

La perdita della cittadinanza spagnola avviene dopo tre anni, calcolati a partire dall’acquisizione della nuova cittadinanza o dall’emancipazione. Gli interessati potranno tuttavia evitare di perdere la cittadinanza spagnola se, entro il tempo indicato, dichiarano di volerla conservare innanzi all’ufficiale di stato civile(14) .

L’acquisizione della cittadinanza di uno dei Paesi ispano-americani o di Andorra, Filippine, Guinea Equatoriale e Portogallo non comporta automaticamente la perdita della cittadinanza spagnola, vista la possibilità della doppia cittadinanza.

In ogni caso perdono la cittadinanza spagnola coloro che rinunciano espressamente ad essa, ne mantengono un’altra e risiedono abitualmente all’estero.

Coloro che sono nati e risiedono all’estero, ma sono cittadini spagnoli in quanto figli di padre o madre spagnola, seppure nati all’estero a loro volta, laddove le leggi del Paese gli attribuiscano la cittadinanza dello stesso, perderanno in ogni caso la cittadinanza spagnola, a meno che non dichiarino espressamente di volerla conservare innanzi all’ufficiale dello stato civile, entro tre anni a partire dalla maggiore età o dall’emancipazione(15) .

Per gli spagnoli che non sono cittadini d’origine, ma per acquisizione, la perdita della cittadinanza avviene nei seguenti casi:

quando, per un periodo di tre anni, utilizzano esclusivamente la cittadinanza alla quale avevano dichiarato di rinunciare per acquisire quella spagnola;

quando entrano volontariamente al servizio di Forze armate straniere o rivestono cariche politiche in uno Stato straniero, contro il divieto espresso dal Governo spagnolo.

La sentenza definitiva che afferma che l’interessato è incorso nei reati di falsità, occultazione o frode, con riferimento all’acquisizione della cittadinanza spagnola, produce la nullità dell’atto stesso di acquisizione, anche se non deriveranno da ciò effetti pregiudiziali per le terze persone eventualmente coinvolte, purché sia accertata la loro buona fede. L’azione penale di annullamento può essere avviata sia d’ufficio, dal pubblico ministero, sia a seguito di denuncia personale, entro un periodo massimo di quindici anni.

Coloro che abbiano perso la cittadinanza spagnola potranno comunque recuperarla, se in possesso dei seguenti requisiti e con la procedura indicata:

  • avere la residenza legale in Spagna. Tale requisito non è richiesto agli emigranti o ai loro figli. Negli altri casi è possibile, in circostanze eccezionali, ottenere la deroga rilasciata dal Ministro della giustizia;
  • dichiarare, innanzi all’ufficiale dello stato civile, di voler recuperare la cittadinanza spagnola;
  • iscrivere il recupero della cittadinanza nel registro dello stato civile.

Per i casi menzionati di annullamento dell’atto di acquisizione della cittadinanza spagnola, per falsità, occultazione o frode, al fine di ottenere il recupero o l’acquisizione della cittadinanza è richiesta anche un’apposita abilitazione, rilasciata discrezionalmente dal Governo spagnolo.

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http://eudo-citizenship.eu/country-profiles


14) Tale possibilità è stata inserita con la legge 36/2002, al fine di consentire agli interessati di non perdere la cittadinanza spagnola in maniera, per così dire, automatica, cioè solo in conseguenza del trascorrere di un periodo di tempo determinato.

15) Anche tale disposizione è stata introdotta con la legge 36/2002, sempre con l’intento di evitare la perdita della cittadinanza in modo automatico.