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Prevenzione, contrasto e integrazione: il modello italiano per combattere il terrorismo

2 Ottobre 2017

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Ultimo aggiornamento:

Lunedì 2 Ottobre 2017, ore 09:48
Il ministro Minniti ne ha parlato alla Camera il 28 settembre presentando un’iniziativa editoriale sullo stesso tema

Le tappe storiche del fenomeno terroristico sono state ripercorse, dal ministro dell’Interno Marco Minniti, a partire da quell’11 settembre del 2001. Quando «il terrorismo irrompe sulla scena mondiale» provocando «una forte scossa» e segnando «uno spartiacque incancellabile della storia del mondo». Nasce così un fenomeno che «non ha confini» e che, ha detto Minniti, «temo ci accompagnerà ancora per un periodo non breve».

L’intervento del ministro si è svolto il 28 settembre scorso, presso la Sala della Regina di Montecitorio, in occasione della presentazione del libro di Andrea Manciulli “Sconfiggere il terrorismo. L’evoluzione della minaccia jihadista e gli strumenti legislativi di contrasto” per il quale Minniti ha scritto la prefazione.

Per combattere il terrorismo, il “modello italiano” sembrerebbe all’avanguardia. Le nostre forze dell'ordine, ha riconosciuto Minniti, «possiedono uno straordinario background che affonda le sue radici nella lotta all'eversione interna e alla mafia stragista». Difficile da riscontrare altrove. Inoltre, possiamo padroneggiare strumenti e organismi nati per combattere la mafia e il terrorismo del nostro Paese. Organismi che funzionano e che pochi al mondo possono vantare: il Centro di analisi strategica antiterrorismo (Casa), unico tra i Paesi Ue, che consente lo scambio di informazioni e il coordinamento tra forze di polizia e intellingence riunendoli a uno stesso tavolo; la Procura nazionale antimafia e antiterrorismo, un patrimonio di competenze e di esperienze.

Minniti ha auspicato che organismi simili possano nascere anche per l’Unione europea. «Sarebbe un vantaggio tecnico e strategico fondamentale», ha osservato. Per quanto riguarda l’unificazione dei servizi segreti, invece, e pur dichiarandosi un «convinto europeista», Minniti pensa che un tale passo dovrebbe comportare «la costruzione degli Stati Uniti d'Europa, perché l'intelligence è il cuore di ogni singolo Stato nazionale e il servizio segreto europeo deve rispondere all'autorità politica».

Il ministro ha poi fatto una riflessione sul valore di un approccio ai temi, nell’Unione europea, che parta dagli Stati membri, come ha fatto l’Italia in tema di immigrazione. «Siamo partiti da una forte agenda nazionale – ha ricordato il ministro - che poi è diventata un'agenda europea. Se fossimo partiti a parti rovesciate, forse non ce l'avremmo mai fatta». Il formato che si è costituito a Parigi il 28 agosto sull'immigrazione, ha detto, «può andare avanti anche su altre questioni, dalla difesa comune alla sicurezza».

«L’Italia – ha continuato Minniti – ha il know how» necessario a combattere il terrorismo. Lo ha dimostrato anche in occasione della sparatoria a Sesto San Giovanni in cui venne ucciso il terrorista Anis Amri, autore della strage ai mercatini di Natale di Berlino. L’intervento degli agenti nacque da un banale controllo sul territorio. «Non servono interventi straordinari», ha dichiarato Minniti, né blindare un territorio a vocazione turistica come il nostro. Piuttosto serve attività di prevenzione e di intelligence e «un’alleanza con la comunità», per riuscire a individuare anche le minacce di azioni spontanee, di un singolo o di un gruppo, la cui prevedibilità tende a zero.

C’è poi una questione che attiene al «rapporto delle democrazie con i grandi provider». La propagazione del terrorismo, infatti, avviene secondo un «principio di emulazione» che si concretizza soprattutto attraverso il web. Il tema, ha detto il ministro dell’Interno, sarà all’ordine del giorno nella riunione del G7 del 20 ottobre a Ischia. Una legge in proposito, però, sarebbe «l'ultima ratio», meglio arrivare a una «cooperazione effettiva», ha auspicato.

Bisogna, infine, sapersi misurare con le evoluzioni del terrorismo. Abbiamo espulso 77 persone dall’inizio dell’anno, senza che avessero commesso dei reati, ma a tutela della sicurezza nazionale. Le politiche di interdizione, con lo strumento dei rimpatri per la sicurezza nazionale, che altri Paesi non hanno, consentono di intervenire preventivamente, «un attimo prima che la radicalizzazione entri dentro la progettualità criminale», ha osservato Minniti.

Non bisogna dimenticare, però, che dai confini del Sud della Libia stanno fuggendo anche i militanti dello “Stato islamico” sconfitti a Raqqa. Circa 25-30.000 foreign fighter potrebbero disperdersi in «una diaspora del ritorno» e utilizzare le stesse rotte dei profughi. Anche per questo, ha ribadito il ministro, è importante controllare la frontiera libica, perché rappresenta la frontiera meridionale del Sud Europa.

Ma il passo che il ministro dell’Interno ritiene «più significativo per la prevenzione del terrorismo» è il Patto con l’Islam italiano. Un accordo che, ha spiegato, affronta il tema del rapporto con le comunità religiose al quale hanno aderito «la stragrande maggioranza delle associazioni» islamiche italiane. «Essi si dichiarano insieme italiani e musulmani», aderiscono alla nostra Costituzione e ai nostri valori: è «l’Islam italiano». Sono questi processi di integrazione, ha detto Minniti, che possono fare da antidoto al terrorismo, perché è importante ricordare che gli autori degli attacchi sono «figli europei», cresciuti senza integrazione nelle nostre città.