Date: 2:20 PM 8/28/00 +0200
From: dino frisullo
Subject: KURDINRETE 1 (28.8.00) - MASSACRO IN
KURDISTAN
KURDINRETE 1 - 28 AGOSTO 2000
A TUTTI I SOGGETTI E LE RETI DELLA
SOLIDARIETA'
MESSAGGIO DA DIFFONDERE E RIPRODURRE
N.B. - In attesa dell'attivazione del sito e
del discussion-group dell'associazione Azad
(<http://www.azad.it>www.azad.it) e della riattivazione della sua casella
di posta elettronica, attualmente bloccata per motivi tecnici
(<mailto:azad@azad.it>azad@azad.it), con questo messaggio avvio, su un
indirizzario ampio, la spedizione regolare, ogni due-tre giorni, di materiali,
appelli e informazioni sulla questione kurda.
Prego tutti gli interlocutori di scusare (e
segnalare) duplicazioni e difficolt di ricezione e di lettura dovute alla mia
inesperienza, e di segnalare l'eventuale "non gradimento" di questi
messaggi, che avranno cadenza quasi quotidiana.
Per ogni comunicazione si pu usare, per ora,
la mia casella di posta elettronica <mailto:dinofrisullo@libero.it>dinofrisullo@libero.it
(non "iol.it", ugualmente attiva per forwarding). Chiedo a coloro che
abbiano inviato messaggi alla casella di Azad di rinviarli al mio indirizzo.
Cari saluti a tutti - Dino Frisullo
MASSACRO IN KURDISTAN
Il quotidiano della diaspora kurda Ozgur
Politika (in Internet
<http://www.ozgurpolitika.com>www.ozgurpolitika.com: cliccare "eski
sayilar", cio numeri arretrati, e selezionare la data voluta) ha
pubblicato i nomi delle vittime e, il 26 agosto, le foto della strage di Kendakor
del 15 agosto.
Questo villaggio di pastori nel Kurdistan
irakeno, prossimo alla frontiera turca, stato bombardato da aerei turchi dopo
una ricognizione, alle 16 del pomeriggio. Dopo una serie di "no
comment", ufficiosamente il massacro di 45 civili, uomini donne e
bambini, stato ammesso da Ankara affermando che "per errore" si
scambiato il villaggio per un accampamento di guerriglieri del Pkk.
Le foto pubblicate da Ozgur Politika, e
riprese in parte nell'edizione parziale inglese on-line del quotidiano kurdo
(<http://www.kurdishobserver.com>www.kurdishobserver.com), sono di una
chiarezza agghiacciante: si trattato di un bombardamento chimico con uso di
napalm.
Formalmente il territorio kurdo-irakeno
sotto protezione Onu, e di fatto controllato militarmente dall'aviazione Usa
e inglese. L'ambasciatore Usa ad Ankara ha affermato per (kurdishobserver
24/8) che i fatti "non riguardano gli Usa: bisogna rivolgersi al governo
turco", il quale comunque "ha diritto, secondo gli Usa, di
intervenire ne Kurdistan irakeno contro i terroristi del Pkk". Un concetto
analogo stato espresso dal Dipartimento di Stato.
Il villaggio rientra nell'area di controllo
del Pdk di Massud Barzani, tradizionale alleato della Turchia, che, pur
protestando, ha avallato finora la tesi inverosimile dell'errore.
Si registrata (ozgurpolitika 26/8) la
protesta dei ministeri degli Esteri francese e spagnolo, di due deputati kurdi
nel parlamento di Berlino, di France-Libert e Mrap francese, e naturalmente di
tutte le organizzazioni kurde in Turchia e nella diaspora in Europa, dalle
Madri per la pace alla confederazione Kon-kurd e al Congresso nazionale kurdo.
In Italia tutto tace. La stampa ha relegato,
dopo Ferragosto, la strage fra le "brevi", e la pubblicazione delle
foto delle vittime stata annunciata il 27 agosto dai quotidiani Messaggero
("Orrore on-line") e Liberazione. Il governo non ha preso posizione.
Osman Baydemir, vicepresidente
dell'Associazione turca per i diritti umani e portavoce della "Piattaforma
per la democrazia" di Diyarbakir, ha annunciato l'intenzione di recarsi in
delegazione sul posto per verificare i fatti. Difficilmente gli sar possibile:
il valico di frontiera fra Turchia e Kurdistan irakeno aperto ad ogni tipo di
traffico, compreso quello di esseri umani (profughi), ma ermeticamente chiuso
da quattro anni alle missioni umanitarie e alla stampa.
E' urgente che ci che Baydemir non potr
fare, lo faccia una delegazione dall'Italia, che comunque si pensava di
inviare nel Kurdistan irakeno (come gi dalla Germania gli operatori di
Pro-Asyl) anche per indagare le ragioni del perdurante esodo da una regione
formalmente sotto controllo kurdo. Se ne parlato nell'incontro di Parma di
domenica 27 agosto sull'"asilo negato" per i kurdi: l'ipotesi
potrebbe essere la prima met di ottobre, necessario comunicare disponibilit
di massima.
Ora che la strage nota e provata, ancora
pi urgente moltiplicare le prese di posizione. I numeri di fax utili sono:
06.4941526 (Ambasciata turca a Roma), 06.3236210 (Ministero degli Esteri), e
per conoscenza Azad (06.44701017) e Uiki (06.42013799).
I profughi e gli esuli kurdi terranno un
presidio di protesta dinanzi all'ambasciata turca a Roma (via Palestro) gioved
31 agosto dalle ore 11, insieme a tutti gli italiani che vorranno aderire.
Chiediamo agli operatori dell'informazione di
darne notizia, e inoltre di scaricare da Internet le foto e pubblicarle.
CHIEDIAMO DI ROMPERE IL SILENZIO!
Associazione Azad - Roma
*********************************************************
Allegato 1
Invio, per comprendere il contesto della
strage di Kendakur e la situazione in movimento nel Kurdistan irakeno, un mio
articolo che dovrebbe uscire il 29 o il 30 agosto sul Manifesto. (DF)
"Stavamo portando le greggi ai pascoli
estivi", racconta una donna allĠagenzia Reuters: "gli aerei ci hanno
sorvolati a bassa quota, poi sono tornati indietro e tutto e' esploso
intorno a noi. Quando ho ripreso i sensi non ho visto che sangue". Il 15
agosto lĠaviazione turca ha celebrato a suo modo lĠanniversario dellĠavvio
della lotta armata kurda in Turchia nellĠ84 e della sua cessazione unilaterale
nel Ġ99. Nelle terribili foto pubblicate dal quotidiano della diaspora Ozgur
Politika, le ustioni sui corpi di adulti e bambini del villaggio kurdo-irakeno
di Kendakor denunciano lĠuso del napalm.
Quel giorno Massud Barzani, uno dei due leader
che dividono il controllo del Kurdistan meridionale, celebrava nella sua
capitale Erbil un altro anniversario: quello del suo partito, il Pdk. Kendakor
rientra nella sua area di controllo. Il Pdk, tradizionale alleato di Ankara, ne
ha sposato la versione ufficiosa: la strage sarebbe stata "un tragico
errore". In sostanza, i pastori sarebbero stati scambiati per guerriglieri
del Pkk.
Una scusa poco credibile: i reparti del Pkk
ritirati dalla Turchia non sono certo attestati in prossimita' del confine
turco ma piu' ad est, nellĠarea controllata dallĠaltro partito kurdo-irakeno,
il Puk di Jalal Talabani. Ma questa versione e' utile per seminare discordia
fra kurdi addebitando, agli occhi della popolazione che visse lĠorrore della
strage di Halabja, la responsabilita' indiretta del massacro alla presenza del
Pkk.
Difatti Yener Soylu, ex ufficiale turco
passato allĠimpegno pacifista dopo la prigionia presso il Pkk, cosi' individua
il triplice intento delle bombe: risposta di guerra allĠofferta di pace del
Pkk, divisione fra i kurdi, affermazione della totale liberta' dĠazione turca.
Con le spalle coperte: il Dipartimento di Stato Usa ha lapidariamente
commentato che "la Turchia e' libera di garantire la propria
sicurezza in territorio kurdo-irakeno". Pochi giorni dopo la stampa turca
ha dato ampio risalto al rapporto della Rand Corporation dal titolo "The Future
of Turkish-Western Relations": per gli Usa la Turchia e' "potenza
geostrategica" vitale per la difesa delle risorse dellĠOccidente, da
coinvolgere nellĠombrello regionale antimissile e nel contenimento strategico
della Russia e da sostenere ai fini dellĠingresso nellĠUnione europea.
Se la Turchia e' vitale per gli Usa, la
questione kurda e' vitale per la Turchia, che vede un rischio mortale in ogni
sorta di statualita' o autonomia kurda nellĠIraq del nord. Il 10 marzo il
presidente Demirel, parlando allĠAccademia militare, scopriva le carte: la
Turchia e' pi contraria dello stesso Iraq a una divisione del suo
territorio nel dopo-Saddam che sĠintravede a Baghdad. E dato che non si puo'
tornare agli antichi accordi con Saddam per la repressione dei kurdi sui due
lati della frontiera di Habur, il controllo turco va esteso ben oltre le
province di confine, nelle quali le operazioni militari turche, fino a marzo e
a luglio di questĠanno, non sono mai cessate.
Nuvole nere sĠaddensano dunque sulla
martoriata regione, dalla quale il controllo Onu e lĠombrello militare
turco-anglo-americano non arrestano lĠesodo dei profughi. Il 7 agosto una
delegazione della tedesca Pro-Asyl cos descriveva la situazione: oppressione
non solo da parte di Saddam (che controlla le aree petrolifere di Kirkuk e
Mossul, espellendone ogni settimana quaranta famiglie kurde) ma degli stessi
partiti kurdi, rischio di tortura e morte, operazioni militari turche e
irakene, conflitti interkurdi alimentati dalle potenze dellĠarea.
Ma se la Turchia vuole presidiare lĠintero
Nord Iraq, per perseguire lĠeterno sogno di annientamento dei guerriglieri del
Pkk ma anche per contenere lĠIran nella fase convulsa che seguirebbe
lĠipotetico collasso del regime di Baghdad, deve portare le proprie armi ben
oltre Erbil, fino a Suleymanye. Magari passando per i giacimenti di Mossul,
tentazione antica e ricorrente. Dunque deve cambiare in parte cavallo e
avvicinarsi al Puk di Talabani, strappandolo allĠinfluenza iraniana. Del resto
ultimamente il Pdk di Barzani e' inviso al governo turco per le pressioni
denunciate dalla minoranza turcomanna e per lĠufficialita' della sua
rappresentanza ad Ankara, di cui piu' dĠun ministro turco ha chiesto la
chiusura.
Inoltre la Turchia, che pure si prepara a
ripristinare relazioni diplomatiche con Baghdad, teme un tentativo del Pdk di
imporre, come gi nel Ġ96 e nel Ô98, la sua egemonia appoggiandosi sulle armi
irakene. In luglio il nipote di Barzani, capo del governo di Erbil, ha infatti
smentito lĠallarme lanciato da Talabani sullo schieramento di quindici
divisioni irakene presso la linea di demarcazione.
Per questo il regime turco ha avviato, a
partire da una visita incrociata ad Ankara e Suleymanye, unĠoffensiva
diplomatica culminata nella visita di Talabani in Turchia a fine luglio. Anche
se smentiti poi in parte dal leader del Puk, i comunicati che hanno seguito i
suoi incontri con Ecevit e i generali turchi sono chiari. Il Puk si sarebbe
impegnato a neutralizzare i guerriglieri del Pkk attestati in posizione
difensiva sul monte Kadir, in cambio di una normalizzazione dei rapporti con la
Turchia. E di una ripartizione meno favorevole al Pdk degli introiti del ricco
traffico di petrolio e merci che, in violazione dellĠembargo, attraversa la
frontiera di Habur.
La chiusura delle sedi di Suleymanye del
quotidiano Welat, del Centro di cultura della Mesopotamia e di un ospedale
della Mezzaluna Rossa kurda, e gli scontri sporadici fra i due partiti
kurdo-irakeni e il Pkk che potrebbero innescare un conflitto fratricida come
quello del Ġ92, sono valsi al leader del Puk "lĠapprezzamento" del
presidente Ecevit.
Dopo una fase di teso confronto, da un mese le
armi kurde tacciono. Per questo forse lĠaviazione turca ha rotto il silenzio
con lĠurlo del napalm dal cielo di Kendakor. Quei poveri pastori sono vittime
sacrificali nella grande scommessa sul futuro dellĠunica parte del Kurdistan in
cui, come nota il Christian Science Monitor, nelle scuole si studia su libri
kurdi e milizie kurde vigilano sui confini. Anche sui confini interni fra
partiti e clan, certo. E con la copertura dellĠaviazione angloamericana che
ancora il 12 agosto ha ucciso due civili a Samawa, in uno dei quotidiani raid
in territorio kurdo e irakeno dalla base turca di Incirlik.
EĠ ancora lontana quella "regolazione
pacifica dei conflitti intestini nel Kurdistan irakeno, che eviti che kurdi si
uniscano ai propri nemici contro altri kurdi", chiesta in giugno da un
vibrante appello della Comunita' kurda in Italia, nella quale e' ampia la
presenza della diaspora kurdo-irakena. Il sogno di una vera autonomia kurda in
un Iraq democratico e' forse ancor piu' remoto della speranza di una
democratizzazione della Turchia.
La Turchia e' troppo importante per rischiare
di essere destabilizzata dalla democrazia, lĠIraq deve restare diviso de facto
ma non de jure, e i kurdi non entrano in gioco se non come litigiosi e
disperati vassalli. EĠ questo il sanguinoso messaggio delle bombe di Kendakor.
EĠ per fuggire questo destino che i kurdi sfidano a migliaia il mare Egeo, e
venti di loro il 27 agosto hanno perso la sfida.