Date: 1:37 PM 10/5/01 +0200
From: dino frisullo
Subject: TEMPO DI GUERRA... lettera aperta a
Scaiola
TEMPO DI GUERRA
LETTERA APERTA AL MINISTRO SCAIOLA E AL
PREFETTO E AL QUESTORE DI ROMA
Signor ministro, lei e il presidente del
Consiglio in questi giorni hanno ripetutamente negato che l'Italia debba
ritenersi in guerra con i musulmani o con coloro che hanno avuto la sfortuna di
nascere in altri mondi. Dobbiamo supporre che gli apparati di sicurezza abbiano
ricevuto disposizioni conseguenti.
Vorrei raccontarle la storia di Huseyn,
profugo kurdo.
Ieri mattina, per la seconda volta in due
giorni, stato fermato da una pattuglia di polizia all'interno della stazione
Termini a Roma. Era con il suo amico Yan, anche lui kurdo ma biondo e di pelle
chiara tanto quanto Huseyn scuro e crespo di barba e capelli. Una volta
controllati i documenti, in regola per entrambi (anzi: Huseyn ha gi ricevuto
l'asilo politico che Yan attende ancora), gli agenti hanno trattenuto solo
Huseyn. L'altro per rimasto, per amicizia.
La prima domanda: siete musulmani? Alla
risposta positiva, sono stati portati nel posto di polizia ferroviaria presso
il primo binario e chiusi in una stanzetta per quattro-cinque ore per un
"controllo di documenti". Prima, gli sono state sequestrate le
batterie dei telefonini (poi restituite) e le spillette del Pkk di Ocalan, non
restituite affatto perch secondo l'agente erano "illegali". Non
basta: dalla Polfer sono stati trasferiti nell'Ufficio stranieri della
questura, dove sono rimasti altre cinque ore senza mai mangiare n bere, prima
di essere infine rilasciati, a sera, e scaricati nella stessa stazione.
Mentre le scrivo, signor ministro, Huseyn sta
molto male. Per un'intera giornata ha rivissuto, senza ragione, situazioni gi
viste. Nel suo paese, il Kurdistan turco, fu arrestato due volte. La prima si
risvegli dal coma in ospedale, con gli abiti insanguinati dalla tortura. La
seconda volta fu torturato per 45 giorni di seguito. Fugg in Germania, ne fu
respinto in Turchia, riuscito a espatriare una seconda volta e ad avere asilo
in Italia. Dove non avrebbe mai creduto di ritrovare lo stesso arbitrio di
polizia.
Un altro profugo kurdo, di nome Hamza, molto
contento: nel centro autogestito Ararat, a Roma, sta avviando in collaborazione
con la Uisp due squadre di football e pallavolo, le prime "nazionali"
del suo paese negato. C' per un'ombra nel suo sorriso, da quando nella stessa
stazione Termini una pattuglia l'ha fermato, gli ha chiesto della sua
religione, gli ha controllato i documenti e infine l'ha obbligato, in pubblico,
a sfilarsi la maglietta e rimettersela all'incontrario, nascondendo all'interno
l'immagine stampata che richiama il suo paese e la sua lotta.
Potrei raccontarle altre storie.
Quella di H., mio amico palestinese, che a
quindici anni aveva proiettato la rabbia infinita della sua infanzia a Sabra e
Chatila in un atto di violenza, ha pagato duramente, ne ha tratto un libro, ora
un'altra persona e un libero cittadino in attesa dell'asilo politico. Fino a
quando, in tempo di pre-guerra, stato prelevato dal suo posto di lavoro da
agenti in borghese inviati dal Viminale e tradotto a Ponte Galeria, da dove
solo l'insistenza di alcuni avvocati riuscita a impedire un'espulsione verso
un Medio oriente in cui sarebbe messo a morte.
Oppure quella di Tassaduq Hossain, giovane
commerciante pakistano che in vita sua non ha mai fatto politica, ma aveva il
vezzo di portare la barba e vestire l'abito tradizionale nero anzich bianco.
Nella scorsa estate, prima del dramma delle Twin Towers ma dopo i fatti di
Genova, stato prelevato a casa e rimpatriato, nonostante avesse un regolare
permesso di soggiorno, con l'accusa improbabile e mai provata di
"partecipazione a banda armata".
Del resto nota la vicenda dei cinque afghani
presunti terroristi, poi risultati normali "clandestini". Meno nota,
perch forse se ne sono vergognati inquirenti e cronisti, la circostanza che
le cartine dei "possibili obiettivi" erano le mappe di Roma normalmente
fornite dalla Caritas, con l'indicazione di San Pietro ed altro
Signor ministro, che devo rispondere ai miei
amici kurdi, pakistani, indiani, bengalesi o arabi che mi chiedono se dunque
vero che diventata sospetta la loro religione, i loro abiti, i loro simboli,
la loro pelle? Che dobbiamo rispondere, noi dell'associazionismo che ogni
giorno deve delle risposte agli "stranieri", a chi ci chiede se in
tempo di guerra non sia meglio scivolare rasente i muri, non frequentare stazioni
e metropolitane, insomma nascondersi? E dove mai potrebbero nascondersi?
Dino Frisullo
per le associazioni "Senzaconfine" e
"Azad"
Roma, 5 ottobre 2001