Date: 3:07 AM 10/28/01 +0100
From: dino frisullo
Subject: IL DIROTTAMENTO - Un sogno dedicato
alla memoria di Mal
Quando i venti uomini, attraversato un immenso
capannone ingombro di merci, entrarono nella sala mortuaria e si disposero in
silenzio intorno alla bara, il tempo si ferm˜ per un lunghissimo momento. Con
loro, ai quattro angoli dello squallido sgabuzzino senza finestre, quattro
agenti della Polaria e il direttore dello scalo merci di Fiumicino.
Il sonoro ronzio di un moscone attrasse alcuni
sguardi. Veniva da fuori, dal sole caldo dell'ottobre romano. Dalla vita.
Percorse la stanza, poi vol˜ subito via, vergognoso o impaurito.
Quaranta occhi tornarono a fissare il telo
grezzo bianco malamente appuntato sotto un mazzo di fiori mezzo stecchiti, sopra
una cassa di legno innaturalmente grande per il corpo di una giovane donna.
Nessuno fiatava. Qualche mano si mosse esitante a sfiorare il legno, i chiodi,
la tela. Alcuni occhi si chiusero forte sotto le fronti aggrottate, come per
scacciare un pensiero, un'immagine. L'immagine di quel corpo che era stato
bello e fresco, e che il giorno prima non era potuto partire perchŽ troppo
gonfio e guasto.
Due giorni nella stiva di quella nave, e poi
dieci giorni in chissˆ quale magazzino a CrotoneÉ Il giorno prima il comandante
aveva rifiutato di caricare la bara: troppo forte l'odore della morte. Forse
avevano dovuto cambiarla con una pi grande e pi ermetica, che potesse
contenere ci˜ che era diventato il corpo di Malli Gullu.
***
Il moscone rientr˜ nella stanza con un ronzio
leggero e si pos˜ piano sulla bara. Si guard˜ intorno disorientato, fece un
mezzo giro su sŽ stesso, poi vol˜ dritto verso la porta e si scagli˜ verso il
cielo, tendendo le ali brillanti come un aereo in fase di decollo.
***
L'aereo lacer˜ la ragnatela delle nuvole e
protese le ali brillanti in alto, verso il soleÉ
***
"RiprŽnditela, ma falle cambiare vita. E
cambia strada pure tu, finchŽ sei in tempo. Lo sappiamo che sei un terrorista,
tu e tutti i tuoi parenti laggi a Sirnak. Ce l'hai portata tu nella sede
dell'Hadep, tua moglie, e tu sei responsabile dei suoi guai. La prossima volta
non la rivedrai tanto facilmente!"
L'uomo sent“ i muscoli del viso e delle
braccia tendersi dolorosamente nello sforzo di non rispondere, di non colpire.
Si chin˜ e sollev˜ quasi di peso il corpo sottile di Malli afflosciato su una
sedia. Sent“ all'orecchio il suo respiro pesante, quasi un rantolo. I lunghi
capelli erano rappresi dallo stesso sangue che macchiava il vestito, il viso
era annerito dai lividi. Lentamente, un gradino dopo l'altro, riusc“ a portarla
gi per le scale della caserma di Gebze. Ogni movimento le strappava un gemito.
Il gendarme di guardia al portone li guard˜ entrambi con odio prima di premere
il pulsante.
Fuori accorsero le donne, la sollevarono
delicatamente sulle braccia robuste intrecciate a barella, volarono verso la
macchina in attesa. I veli bianchi fluttuavano intorno a lei come un vestito da
sposa.
***
"Mi hanno torturataÉ"
Il medico finse di non sentire, si cacci˜ le
mani nelle tasche del camice e si volse bruscamente all'uomo in attesa.
"Portala via, ha solo contusioni, guarirˆ presto". Guard˜ gli occhi
imperiosi dell'ufficiale in piedi in fondo alla stanza, poi distolse lo sguardo
dalla domanda muta nello sguardo dell'uomo.
"Lo so che vorresti una certificazione,
ma non ce n' bisogno. Tua moglie non ha versamenti interni o fratture, i
lividi passano presto. Se dovessimo metterci a scrivere per ogni
sciocchezzaÉ"
***
Quando le tavole di lamiera si chiusero con
colpi secchi di chiavarde sopra le loro teste, Malli barcoll˜ e sarebbe caduta
se non avesse trovato, nel buio, il braccio di suo marito. Gli si strinse, e le
due bambine si strinsero ad entrambi. L'aria era rappresa di calore e fetore,
irrespirabile.
"Come in quella cellaÉ" mormor˜.
"Manca l'aria e la luce, come lˆ dentro. Ricordi? Mi sento male come
allora. Ma almeno qui non verrˆ nessuno a picchiarmi, ci siete voiÉ"
Scandiva le parole con difficoltˆ, ansimando.
Lui le accarezz˜ con dolcezza i capelli e la fronte, come faceva sempre per
calmarla quando le tornavano quei ricordi. "Calma, Malli. Siamo come in
prigione, vero, ma ti attendeva una prigione molto peggiore. Invece stiamo
andando verso la libertˆ. Fatti forza, l'ultima fatica".
Qualcuno nel buio gli tocc˜ il braccio, poi
una voce in kurdo con l'accento del sud: "Hevˆl, avete cibo e acqua con
voi? Siamo chiusi qua dentro in quattrocento da tre giorni, fermi ad aspettare
voialtri dalla Turchia. Abbiamo messo in comune tutto, e dovreste farlo anche
voi. Abbiamo sete, ci rimasta solo una tinozza d'acqua sporca e dei pani
ammuffiti che non vi consiglio, hanno fatto apposta a lasciarceli vicino alla
latrina. Hai acqua e pane per i miei bambini, hevˆl?"
Lui si svincol˜ lentamente dall'abbraccio di
Malli, si chin˜ a rovistare nel grande zaino militare e ne trasse una bottiglia
e due pani rotondi odorosi di sesamo. L'altro quasi glieli strapp˜ di mano
mormorando un "grazie, hevˆl". Con gli occhi ormai abituati
all'oscuritˆ, lo videro farsi largo nel groviglio di corpi fino a un gruppo di
donne e bambini addossati alla parete, accasciati sul terriccio misto a letame
che copriva il fondo della stiva. I pani e l'acqua finirono in un attimo.
***
Questa volta tutti, anche i poliziotti, si volsero
a seguire affascinati il volo del moscone. Poi tornarono a guardare
alternativamente la bara e i propri piedi, incerti.
Avevano lasciato il centro d'accoglienza cos“
in fretta da dimenticare sul tavolo il grande mazzo di fiori gialli e rossi un
po' appassiti, comprati per poche lire da un fioraio amico, che il giorno prima
s'erano dovuti riportare indietro. Che si pu˜ fare davanti a una bara, senza
neanche un fiore?
L'italiano che li accompagnava ripens˜ con
rabbia alla burocrazia aeroportuale che aveva escluso categoricamente la
possibilitˆ di esporre la bara nella chiesetta accanto all'aeroporto, dove i
fiori non sarebbero mancati e avrebbero potuto circondarla di pensieri e
parole, con quella serenitˆ che danno le chiese di campagna anche a chi non
crede, o a chi crede in un altro Iddio. "Non si pu˜, ha i fogli per
l'espatrio, dunque come se fosse giˆ all'estero e la chiesa territorio
nazionale, non pu˜ rientrare in Italia neanche per pochi metri, le norme son
chiareÉ"
Cos“ dovevano salutarla fra quelle mura
scrostate chiuse da una saracinesca, unico arredo un lavandino nella parete di
fronte. L'italiano strinse i pugni e ricacci˜ indietro un fiotto di rabbia
impotente.
Il piccolo Mahsun fu il primo a sollevare lo
sguardo. Si schiar“ la gola e cominci˜ a parlare in turco in tono sommesso, poi
via via pi alto. Tutti pendevano dalle sue labbra.
"Questo corpo, compagni, di una donna
dell'Hadep. Ha conosciuto la prigione e la tortura per lo sciopero della fame
che le donne intrapresero in tutte le cittˆ tre anni fa, quando sequestrarono
il nostro presidente. E' fuggita dalla Turchia con il marito e le figlie perchŽ
per quello sciopero della fame l'attendeva una condanna a lunghi anni di
carcere. E' morta soffocata nella stiva di una naveÉ"
***
Il mare. Quelle navi di legno fradicio e di
ferro arrugginito. Quelli che venivano dai villaggi il mare non l'avevano mai
conosciuto, e ne avevano paura. Negli incubi di ciascuno di loro, anche dei
bambini, soprattutto dei bambini, ritornava il mare e quelle stive fetide, e le
armi spianate dei poliziotti che li scortavano nella notte fino al porto e poi
quelle degli equipaggi mafiosi, le banconote che passano di mano in mano a
pacchetti sempre pi grossi, le onde sempre pi alte nella notte nera, i colpi delle
onde che sembrano spaccare il fasciame della nave, gli ordini secchi, il pianto
dei bambini, il puzzo pungente di orina, l'imbarazzo delle donne per la
promiscuitˆ, il rombo dei motori e delle eliche, e poi il silenzio, lunghe
attese sballottati in mezzo al mare, e nuovi carichi umani e la nave che
riparte, i vestiti si fanno ruvidi d'untuosa polvere salmastra, le barbe lunghe
e la fame, e le canzoni, le storie e gli scherzi in dieci lingue per far
passare la fame e la paura, ma i racconti tornano sempre alla prigione e
alla guerra e qualcuno protesta, basta pensiamo al futuro, siamo quasi in
Europa, e l'Europa prende forma di scogli appuntiti e neri nel mare in
tempesta, e il timone impazzisce e l'equipaggio fugge, la nave fa acqua, torna
il terrore della morte, le urla non sovrastano il muggito del mare nella notte
nera o nell'alba livida, e poi finalmente una nave, un elicottero, qualcuno in
aiuto, e l'incubo finisce ma torna ogni volta che chiudi gli occhi, soprattutto
i bambini, che non vogliono pi dormire per non rivedere in sogno il mareÉ
Venti pensieri corsero al mare e alle navi che
ciascuno aveva conosciuto. Uno dopo l'altro, tutti si sorpresero a tirare un
respiro profondo. L'atmosfera s'era fatta d'improvviso ancora pi soffocante,
come in quelle stive o nei cassoni di quei Tir allineati nel ventre dei
traghetti.
***
Il terzo giorno Malli svenne. Quando si
riprese fra le braccia del marito, sent“ che qualcosa le si era spezzato
dentro. Rantolava. Ogni respiro era come una coltellata sempre pi
profonda.
Intorno a loro tutti dormivano addossati gli
uni agli altri. Respiravano forte o russavano, e quel rumore ritmato di
quattrocentocinquanta respiri all'unisono s'impastava con il pulsare dei
motoriÉ Malli si port˜ le mani alle orecchie che fischiavano, si sent“ svenire
un'altra volta.
Si fece forza. "Forse sto per
morire" disse piano all'orecchio dell'uomo, che protest˜ debolmente.
Bisbigli˜ ancora alcune parole e l'uomo scosse la testa con forza, poi la sua
bocca si stir˜ in un sorriso incerto. "Se non che questoÉ Non morirai,
sta' tranquilla, era solo un malore. Comunque, se proprio vuoiÉ Ma come
facciamo, in mezzo a tutta questa gente?"
Alla fine cedette, frug˜ nello zaino e ne tir˜
fuori un vestito. Era il pi bello, quello rosso e verde rilucente dell'oro
delle monete e dei monili, quello delle danze e delle feste pi importanti. Le
stese intorno una coperta e distolse lo sguardo, ma con la coda dell'occhio la
guard˜ mentre a fatica, gemendo, lei si sfilava il vestito scuro e si fasciava
di lucida seta. Si sent“ soffocare dalla tenerezza. La sua compagna (cos“ la
chiamava, non moglie, malgrado le proteste dei suoceri) non era mai stata cos“
bella.
Quando gli occhi di Malli divennero vitrei, la
sua bocca sorrideva ancora. Lui cap“ subito e cominci˜ a urlare. Tutti si
svegliarono, e il suo grido divenne l'urlo disumano di quattrocento gole.
Continu˜ per due giorni e due notti quell'urlo, perdendosi nel vento e nel
mare.
"Sono impazziti lˆ sottoÉ Se gli apriamo
ci saltano addosso, non se ne parla nemmeno. Buttategli qualche bottiglia
d'acqua, qualche scatola di antibiotico. Che ci siano morti come gridano, non
ci credo, hanno la pelle dura quei cani, sentite? ululano proprio come
caniÉ"
***
Quando al largo di Crotone la issarono sopra
coperta, il suo corpo snello s'era gonfiato al punto che tutti pensarono che
fosse stata incinta. Ma sembrava ugualmente una regina. Sulla seta lucente il
vento agitava i suoi lunghi capelli neri e faceva tintinnare le monete d'oro.
***
Svegliato di soprassalto dal suo stesso urlo
l'uomo si drizz˜ nel lettino, madido di sudore. Si port˜ le mani alla gola.
Lentamente torn˜ a respirare. Per fortuna le bambine non s'erano svegliateÉ Le
guard˜ dormire abbracciate e si chiese con angoscia se avrebbero mai avuto una
vita normale, se avrebbero mai messo da parte il ricordo dei giorni e delle
notti in quella stiva, accanto al cadavere della madre.
Torn˜ a stendersi senza chiudere gli occhi.
Quel pomeriggio il corpo di Malli era volato via verso Roma e poi verso
Istanbul. Ne aveva avuto la certezza dall'interprete, ma non aveva potuto
nemmeno rivedere la bara. Voleva accompagnarla fino a Roma nell'ultimo viaggio.
La burocrazia l'aveva bloccato lˆ nel campo di Crotone: niente da fare, non
aveva ancora il permesso di soggiorno.
Quella sera, per la prima volta in dieci
giorni, era riuscito a piangere. "Vorrei tornare anch'io con leiÉ"
Dalle roulotte rugginose allineate sulla pista dell'ex aeroporto erano usciti
in tanti, gli si erano stretti intorno senza parlare. Il suo dolore era anche
il loro.
"Vorrei tornareÉ" Indicava in
direzione del mare, oltre il mare e le montagne di Grecia e d'Anatolia. Tendeva
le mani verso un villaggio del Botan, le ombre dolci delle montagne e il verde
della valle del Tigri, il profumo del fieno, i canti e le risate nel tramonto,
i vecchi accoccolati davanti alle case, le donne alla fontana, l'odore del pane
appena cottoÉ
Lo sentirono tutti all'improvviso, l'odore del
fieno e del pane. Fu quando un anziano gli prese le mani e disse con voce
forte, a lui e a tutti: "Non piangere pi. Tua moglie ha finito di
soffrire. E' tornata nel vostro villaggio, e l“ ti aspetta. Un giorno prenderai
per mano le tue figlie e tornerai laggi con loro. Con tutti noi. Torneremo
laggi un giorno, nel nostro paese, ricostruiremo i villaggi distrutti e
canteremo nella nostra lingua, e taglieremo il fieno e spezzeremo il
paneÉ"
***
"Possiamo scrivere due parole di saluto
sulla stoffa della bara? Nella fretta abbiamo dimenticato anche i fioriÉ"
Il sottufficiale si strinse nelle spalle e
fece segno di s“. Un agente sorrise e trasse di tasca un pennarello nero.
Scrissero lentamente sulla tela, in stampatello, due frasi di commiato.
"Noi, popolo kurdo in Italia e amici italianiÉ" In lingua turca: in
kurdo, lo sapevano, quelle parole sarebbero state cancellate all'arrivo a
Istanbul.
Come in un rito sfilarono davanti alla bara
passandosi il pennarello e firmarono. Alcuni con uno sgorbio, per non far
riconoscere il proprio nome; altri per esteso, come per sfida.
Si guardarono incerti. Mahsun alz˜ le braccia.
Era finita. Il direttore dello scalo merci annu“: l'aereo attendeva in pista. I
kurdi si posero le mani giunte sul viso in un gesto di raccoglimento, quasi di
preghiera, poi le appoggiarono sulla bara. Gli italiani li imitarono. Il
funzionario tossicchi˜, imbarazzato e impaziente.
Uno dopo l'altro staccarono le mani dalla
bara. Uno degli italiani disse in turco, a voce alta: "Un giorno le tue
figlie torneranno nel tuo paese libero, te lo giuriamo".
In fila indiana, con un ultimo sguardo alla
bara, si avviarono verso l'uscita.
***
Il moscone saett˜ verso l'alto, liberoÉ
***
I venti uomini si scossero, come folgorati
dalla stessa idea. Si mossero all'unisono. Le loro braccia sollevarono la bara
con facilitˆ. Si mossero lentamente verso l'uscita, verso la pista dove
scaldava i motori l'aereo per Istanbul. Gli agenti, sorpresi, li lasciarono
passare. Quegli occhi incutevano rispetto. Il piccolo corteo si mosse,
raggiunse l'aereo in attesa.
A un chilometro da l“, i passeggeri normali si
stavano stipando in un bus navetta. Ma era troppo tardi per loro.
La bara fu caricata nella stiva dell'aereo,
poi i venti uomini salirono lentamente la scaletta. Nessuno mosse un dito
contro di loro, neppure quando ordinarono all'equipaggio di chiudere i
portelloni e decollare. Non avevano armi, e non ce n'era bisogno.
Bastavano gli sguardi.
Quando l'aereo atterr˜ sulla vecchia pista
dell'ex aeroporto di Crotone, l'uomo giˆ sentiva che sarebbero arrivati. Prese
per mano le sue bambine e segu“ l'anziano. In cento uscirono dalle roulotte e
salirono a bordo. Nessuno os˜ fermarli.
Pochi minuti dopo l'aereo lacer˜ la ragnatela
delle nuvole e protese verso il cielo le ali brillanti.
All'arrivo a Istanbul, una grande folla era l“
ad attenderlo. Travolsero i cordoni di polizia, guidati e trascinati dalle
donne di Gebze. Uscirono dall'aeroporto, la bara di Malli Gullu in testa, ed
erano giˆ mille.
Quando attraversarono i quartieri di Istanbul
e furono centomila, si cap“ che neanche i blindati li avrebbero fermati. La
notizia vol˜. A milioni si misero in cammino dall'Europa e da tutta la Turchia
verso oriente. Verso il Kurdistan, verso il sole, il fieno e il pane.
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Dino Frisullo - 27 ottobre 2001
(E' tutto vero, tutto... tranne il finale:
facciamo che un giorno sia vero anche quello...)