Date: 3:30 PM 12/27/01 +0100
From: dino frisullo
Subject: romigrantsocialforum- LA MEMORIA
DELLE STRAGI - E UNA R
Cari amici,
metto in circolazione, perch credo utile per
una riflessione critica su un decennio di lotte per i diritti di cittadinanza,
la mia comunicazione al convegno di Firenze dello scorso 15 dicembre su
"Immigrazione e autorganizzazione".
Vi segnalo inoltre alcune iniziative collegate
fra loro dal filo rosso della memoria delle stragi del proibizionismo.
- A PERUGIA dal 26 al 29 dicembre,
nell'ex chiesa di S. Anna, il Laboratorio teatrale interculturale "Human
Beings" mette in scena "Dal gorgo / Segnali", una rievocazione
del "naufragio fantasma", ormai comprovato dalle foto del batiscafo
di Repubblica dopo anni di rimozione, in cui morirono 283 migranti al largo di
Capo Passero il 26 dicembre di cinque anni fa. Lo spettacolo stato preceduto
da una conferenza stampa nella quale il pakistano Shabir Khan, rappresentante
delle famiglie di quei morti, ha annunciato l'invio dell'ennesima lettera ai
presidenti del Consiglio e della Repubblica per chiedere il recupero del
relitto, per restituire i resti alle famiglie in Pakistan, India e Sri Lanka
(costo previsto due miliardi: meno di quanto pagarono le vittime per andare a
morire...). Info: Danilo Cremonte (Associazione culturale Smascherati!)
075.5734519 - 349.8618557.
- A PALERMO ieri la stessa tragedia
stata rievocata nella chiesa di S. Sofia dalla comunit tamil dello Sri Lanka
(alla quale appartenevano la maggioranza delle vittime), che ha chiesto oltre
al recupero del relitto l'erezione di un monumento alla memoria di quei morti a
Capo Passero. Chiedono, su questo obiettivo, l'appoggio di tutte le persone
sensibili e specialmente dei siciliani. Info: Fulvio Vassallo 348.3363054.
- A TRAPANI sabato 29 dicembre alle ore 16 da
piazza Vittorio partir una manifestazione, promossa dai Forum Sociali e dai
movimenti antirazzisti siciliani, per ricordare un'altra strage, quella in cui
sei tunisini morirono nel rogo della loro cella, nel "lager" Serraino
Vulpitta il 28 dicembre del '99, o successivamente per le ustioni riportate,
nell'ospedale di Palermo. Per quella strage, dovuta alla logica custodiale e
alla totale assenza di prevenzione antincendio, tuttora incriminato l'allora
prefetto Cerenzia, ma il centro di detenzione ancora in piena attivit,
purtroppo con l'attiva collaborazione del volontariato cattolico trapanese.
Anche su quella vicenda stato elaborato un testo teatrale. Info: Fulvio
Vassallo, e a Trapani Valeria Bertolino 338.3915252.
- A ROMA l'associazione albanese Iliria ha
annunciato per domenica 24 marzo 2002 (e non il 29 marzo, come erroneamente
scritto nel mio articolo di oggi sul Manifesto) la convocazione di una
manifestazione nel quinto anniversario dell'altro naufragio, quello provocato
dalla nave militare italiana Sibilia che, per ordine dei ministeri dell'Interno
e della Difesa, il 28 marzo del '97 port la manovra di ostruzionismo fino a
speronare la carretta albanese Kater i Radesh e il suo carico umano al largo di
Otranto. Anche per quel dramma aperto un processo a Brindisi che vede per
imputati solo i due capitani delle navi coinvolte, e non i responsabili
governativi (che nel frattempo cercano di chiudere la vicenda offrendo denaro
alle famiglie delle vittime). Info: a Roma Vladimir Kosturi 339.2902110, a
Brindisi Roberto Aprile 368.582406.
- INFINE UNA PROPOSTA: che la manifestazione
nazionale del 19 gennaio a Roma, per la quale si sta lavorando, sia aperta
simbolicamente dai tamil di Palermo, dagli srilankesi, dai pakistani e dagli
albanesi di Roma, con uno striscione "MAI PIU' STRAGI, MAI PIU' LAGER, MAI
PIU' CLANDESTINI" e con le immagini di queste ed altre tragedie.
Cari saluti e buone feste a tutti/e
Dino Frisullo
CONTRIBUTO DI DINO FRISULLO AL CONVEGNO
SULL'AUTORGANIZZAZIONE DEI MIGRANTI
FIRENZE, 15 DICEMBRE 2001
A proposito di "autorganizzazione":
modelli alieni e alibi nostrani
Sui tentativi e sugli esperimenti di
autorganizzazione dei/coi migranti in Italia, e pi ancora sulle ideologie che
li hanno accompagnati, ha pesato la fascinazione di un modello: quello del
"black people" di derivazione anglosassone. Lideologia e la prassi
imperiale inglese, e il razzismo nordamericano che ne figlio legittimo, hanno
obbligato le minoranze ad organizzarsi nei ghetti in forma non solo
contrapposta ma separata socialmente e spazialmente. Non stato cos n in
Francia e nellEuropa mediterranea, n in Belgio, Germania e Olanda, dove i
movimenti antirazzisti (gi a partire dall'antica migrazione intraeuropea)
hanno visto convergere le varie minoranze e parte degli autoctoni.
In Italia, giunta in ritardo allimmigrazione,
il modello "black people" ha inciso su un settore ristretto e
politicizzato dellimmigrazione, specialmente dal subcontinente indiano e
dallAfrica anglofona, ma ancora di pi sulle idee e sui comportamenti di una
parte consistente della sinistra. Anche in forma di comodo alibi. In fondo,
lideologia dellautorganizzazione separata degli stranieri libera dalla
responsabilit di organizzarsi insieme a loro per diritti comuni. Basta
attendere che la mitica organizzazione autonoma nasca e si sviluppi, tuttal
pi offrirle sedi e sostegno "esterno" nelle mobilitazioni. Non
occorre fare i conti con le contraddizioni e i conflitti interni
allimmigrazione, anzi non si deve: per non ledere la loro autonomia. Non cՏ
bisogno di farsi attraversare e trasformare da nuove culture, basta osservarle
con paternalistica simpatia. Non vanno messe in discussione le forme e le idee
portanti di organizzazioni (politiche, sindacali, sociali) tuttora
nazionalitarie: i migranti si devono organizzare "altrove"
Questa ideologia rassicurante va presa di
petto e combattuta francamente. Il movimento antirazzista in Italia, nelle sue
forme pi avanzate, di fatto ha visto interagire italiani e immigrati. Cos
nelle lotte per il diritto alla casa, nelle vertenze per il soggiorno, nelle
migliori esperienze sindacali, in alcuni luoghi e movimenti delle donne. Invece
di considerare queste esperienze una sorta di "stato di necessit" in
attesa della mitica autorganizzazione dei migranti, bisognerebbe trarne modelli
per la ricostruzione di una rete nazionale "mista", in cui da pari a
pari lottino insieme italiani e immigrati e, last but not least, per un
ripensamento in chiave pluralista di tutte le strutture politiche e sociali
della sinistra.
Il peso delle sconfitte e l'etnicizzazione
forzata
Fra l87 e il 92 una vasta avanguardia
dellimmigrazione, composta in larga parte dai rifugiati e dai migranti di pi
antico insediamento in Italia, ha vissuto unet delloro. Sembrava allora
possibile, sulla base delle peculiarit positive del "caso italiano"
(l'esperienza recente dellemigrazione, una vasta rete di antagonismo sociale,
una robusta e plurale sinistra politica, il peso del volontariato
cristiano-progressista, istituzioni di democrazia intermedia spesso aperte e
ricettive), conquistare rapidamente pieni diritti di cittadinanza e imporre una
politica aperta dellimmigrazione e dellasilo. Le piattaforme di allora oggi
apparirebbero utopiche, ma a quei tempi venivano scritte a cento mani, e i
governanti erano costretti a confrontarvisi.
Il processo pi importante era lassunzione di
responsabilit dei "primi" fra gli immigrati (in senso temporale e in
senso di scala sociale) nei confronti degli "ultimi". I profughi
politici sudamericani, palestinesi, del Corno dAfrica si facevano carico dei
bisogni e dei diritti dei migranti per lavoro e dei nuovi arrivati maghrebini o
asiatici. Gli "old comers" aiutavano i "new comers" ad
orientarsi, e in questo rapporto cresceva un vasto settore di avanguardia
sociale.
Questo processo positivo fu spezzato coscientemente
dalla reazione degli apparati statali, sia centrali sia locali.
Il segno dellinversione di tendenza venne con
la cacciata degli albanesi (91), con le difficolt del primo rinnovo dei
permessi di soggiorno (92), con la controriforma boniveriana dellaccesso alla
cittadinanza (92). Fu linizio di una lunga regressione, non ancora conclusa,
sul terreno dei diritti sociali e civili.
Il naufragio delle speranze unificanti
comport la segmentazione del movimento su linee etniche e su linee dinteresse
(fra rifugiati politici e migranti per lavoro, fra regolari e
"clandestini", fra inseriti e drop-outs). Ma non fu un processo
puramente spontaneo: ci fu chi lavor coscientemente a dividere. Per diversi
anni le istituzioni, specialmente locali, finsero di continuare ad aprire spazi
allautorganizzazione dei cittadini stranieri, ma solo sul piano
dellesibizione folklorica (le feste, le cene, lesotismo contrabbandato per
educazione alla diversit), valorizzando ed esasperando le differenze rispetto
alla trama delluguaglianza, "educando" gli elementi di avanguardia
alle peggiori pratiche di corridoio e clientelari, respingendo e isolando,
viceversa, le esperienze "orizzontali" e conflittuali.
Questi processi di disgregazione
"dallalto" accentuarono e accelerarono la disgregazione "in
basso", frutto della disillusione e della sconfitta del movimento per i
diritti di cittadinanza, e insieme all'avvio di martellanti campagne xenofobe
determinarono il riflusso difensivo nellorganizzazione comunitaria, nei gruppi
dinteresse affidati a leadership spesso speculative, nellautoghettizzazione
culturale o religiosa.
Alla fine degli anni 90 si riscontra cos il
paradosso di un immenso arcipelago di associazioni e comunit, quasi privo di
rappresentanze di rilievo nazionale e di pulsioni unificanti salvo le
vertenze per il diritto al soggiorno, che per a questo punto coinvolgevano
quasi solo le nuove leve dellimmigrazione.
Il filo rosso della Pantanella
Proprio le vertenze per il soggiorno,
tuttavia, hanno garantito una continuit di presenza e di movimento in un
quadro di pesante riflusso. Di questaltro paradosso italiano il protagonismo
dei "clandestini", che in altri paesi tendono a nascondersi nelle
pieghe delle metropoli, rispetto ai "regolari" non regge una
spiegazione economicista, legata al maggior bisogno di giovane forza-lavoro
immigrata in Italia rispetto a paesi dal mercato del lavoro pressoch saturo.
In realt cՏ un filo non economico, ma esperienziale e politico che fa s che
a Brescia in testa ai movimenti per il soggiorno nel 2000 si ritrovino gli
stessi volti della giovane immigrazione asiatica di un decennio prima a Roma.
Allinizio degli anni '90 nella capitale si
svilupp unesperienza molto particolare. La nuova immigrazione dal
subcontinente indiano (e per breve tempo anche quella maghrebina e africana) si
organizz per linee intercomunitarie e tendenzialmente universalistiche, e
conquist il permesso di soggiorno; poi costru e difese la grande e
travagliata esperienza di convivenza della Pantanella, ledificio che in un
anno ospit decine di migliaia di persone, e anche dopo il suo sgombero forzoso
(in tempo di guerra del Golfo) seppe riannodare per anni i fili della diaspora
nella provincia romana (ma anche oltre: si pensi al lungo sciopero della fame
per gli alloggi in Porta Ticinese a Milano, sostenuto con i fondi dell'ex
Pantanella), difendendo i vari insediamenti dalle incursioni di razzisti e
polizia.
Le due immagini plastiche di quegli anni, che
ogni tanto riemergono dai racconti degli immigrati, sono lo scatolone colmo di
migliaia di passaporti che varca il portone della questura di Roma un minuto
prima della scadenza della "sanatoria Martelli", e il corteo che
dalla Pantanella percorre le strade di Roma e sale di corsa le scale del
Campidoglio alternando la richiesta del soggiorno a quella del diritto di voto.
Le forme di lotta di quei due anni (sciopero
della fame, pratica dellobbiettivo, trasversalit intercomunitaria,
autorganizzazione di strada), rafforzate dalla parziale vittoria, si sono
riproposte poi nella vertenza del 96-97 e in quella del 2000, ancora in corso.
A ripercorrerle sono stati gli stessi protagonisti, via via che la ricerca del
lavoro li spostava pi a nord e accentuava la coesione "operaia"
dellimmigrazione specialmente pakistana e bangladeshi, aggregando intorno a
loro settori dimmigrazione africana a Brescia o a Venezia, maghrebina a Napoli
o a Bologna
E stato cos che, mentre i settori dellimmigrazione
che si consideravano pi "garantiti" si rinchiudevano in pratiche di
nicchia, nellaffermazione individuale o nel riflusso, le loro stesse istanze
di diritti civili erano portate avanti da coloro che non godevano, per via
della clandestinit, neppure del diritto elementare di esistere.
Lateralmente a questo percorso, nascosta e
operosa, si sviluppava unaltra rete, quella delle donne immigrate. I loro
centri di ritrovo e di consulenza, spesso frequentati insieme da italiane e
immigrate e comunque raramente "comunitari", hanno davvero il sapore
dellautorganizzazione, non quella stentoreamente ideologica ma quella che fa i
conti con i percorsi di vita.
I "governi amici": il sonno,
l'incubo e il possibile risveglio
Le vertenze per il soggiorno e il parallelo
sviluppo di una rete antirazzista nazionale (in alcune fasi anche europea)
furono resi possibili, negli anni 90, dalla forte coesione
dellassociazionismo italiano. Per anni ha funzionato un "circolo
virtuoso" di unit dei diversi, dai centri sociali al volontariato
cristiano, dai sindacati alle associazioni locali e non su un minimo
denominatore al ribasso, ma su piattaforme chiare e radicali.
Questo tessuto volato in pezzi non appena si
profilata lombra rassicurante dei "governi amici". Allimprovviso
per vasti settori dellassociazionismo i contenuti si misuravano in termini di
compatibilit con questo o quel ministro, nei cui corridoi si contrattavano
progetti e si riunivano ininfluenti consulte. Anche a livello locale gran parte
dellassociazionismo si and ritagliando spazi di sopravvivenza pi o meno
dignitosa, ma quasi sempre sostitutiva dellimpegno vertenziale per i diritti e
per i servizi pubblici.
Questo "sonno della ragione" tocc
lapice quando la Rete antirazzista si trov sola a contestare i passi indietro
della legge 40 sul decisivo terreno del rapporto fra il cittadino straniero e
lautorit (di polizia). Non poteva reggere: poco dopo la Rete antirazzista si
sciolse, mentre lassociazionismo cattolico perdeva la spinta propulsiva di un
Luigi Di Liegro, la Cgil sopprimeva il promettente protagonismo del suo
Coordinamento nazionale immigrati, si esauriva la parabola
dell'Arci-solidariet. Rapidamente si dissolse anche quella sensibilit
democratica di larghi settori dintellettuali garantisti, che avevano
accompagnato con appelli, prese di posizione e campagne di stampa tutta la
prima fase del movimento.
Per molti operatori antirazzisti e moltissimi
immigrati fu un incubo stridente la contraddizione fra le proclamazioni sulla
"legge pi avanzata dEuropa" e la verifica quotidiana dellarbitrio
crescente e della crescente clandestinizzazione, intrecciata a spirale con le
campagne dodio e dordine.
Tutto questo ha accentuato lisolamento degli
immigrati, rimasti quasi soli a fare i conti con le questure, e la tendenza
allautorganizzazione molecolare e precaria, spesso clientelare, comunque
difensiva. E esemplare in questo senso landamento kafkiano della lunghissima
vertenza per la "sanatoria" del 98, della cui portata dirompente il
vasto mondo dellassociazionismo e della sinistra si accorse solo dopo
lesplosione di Brescia e di Roma.
Oggi non tanto la nascita del governo di
destra (che di per s non genera antagonismo, come insegnano le esperienze
locali di Milano e Bologna), ma le sue scelte di politica dellimmigrazione
obbligano a un "serrate le file" che potrebbe invertire la tendenza. Da
un lato tende a chiudersi, nella comune precariet e incertezza del diritto, la
forbice fra profughi e migranti per lavoro, fra regolari e
"clandestini", fra salariati fissi e ambulanti millemestieri, fra
"inseriti" e marginali. Dallaltro, l'associazionismo e il volontariato
italiano costretto a prendere atto della fragilit delle sue pratiche
"di nicchia" (anche nella versione positiva di microsociet
alternativa, gestione di servizi tendenzialmente universalisti etc.), che
possono essere represse o private di luoghi e fondi al battere di ciglia di un
qualsiasi viceministro o "governatore" locale.
Dalla comune percezione che si sta toccando il
fondo e che niente e nessuno pi garantito, pu forse nascere una nuova
spinta unificante. Le condizioni ci sono tutte.
I mille fili dell'altra societa' e i profughi
di guerra
Il processo di segmentazione comunitaria
dell'immigrazione, come ogni guaio al mondo, ha anche i suoi lati positivi. La
mancata "cittadinizzazione" sul terreno dei diritti civili e politici
ha spinto masse di migranti a fare di necessit virt, e ad organizzarsi non
dentro ma ai margini della societ italiana. Si sono moltiplicati cos i
commerci e i negozi "etnici", i ritrovi e i centri culturali di tipo
comunitario (spesso informali e all'aperto), le reti di mutuo sostegno nelle
mille difficolt dell'inserimento, gli alloggi promiscui Una microeconomia e
una microsociet in rapida espansione, sempre precaria ma non sempre disperata.
Anche nel rapporto con le istituzioni (a
partire dalle questure e dai commissariati), il crollo dell'attenzione da parte
degli operatori italiani ha obbligato i migranti a "far da s",
promuovendo figure di "mediatori istituzionali" a volte onesti, a
volte no, ma comunque forti di un qualche potere contrattuale. Queste figure,
in genere (non sempre) legate a una specifica comunit, hanno sostituito le
vecchie avanguardie dei primi anni '90, dedite spesso ormai all'autopromozione.
Nel frattempo irrompevano i naufraghi dalle
guerre. Anche in Italia gran parte dell'immigrazione clandestina stanziale
ormai composta da profughi per coercizione, non da lavoratori migranti per
scelta (spesso forzosa, certo, ma in qualche modo meditata). I profughi,
specialmente se sospinti dalle guerre, portano con s nello stesso tempo una
forte ed esclusiva coesione interna e quella particolare tensione
universalistica basata sulla comune esperienza del dolore e dell'esodo. Si
pensi all'esperienza drammatica degli scontri, ma anche della condivisione e
dell'affratellamento, nei campi che ospitavano gli sfollati dalle varie
repubbliche ex-jugoslave in guerra fra loro.
Questo flusso, destinato a ingigantirsi con
l'onda sismica di guerra che scuote le societ asiatiche, il Medio oriente,
l'Africa nera e sempre pi anche l'America latina, determina un nuovo
protagonismo denso di rischi e di opportunit. Alla giusta esigenza di
valorizzazione della cultura di origine, le vittime dell'esodo aggiungono un
potente motivo politico in pi per rivendicare e praticare la propria identit
in terra straniera. Non sono mossi da un progetto ma da un'emergenza; in genere
non vogliono radicarsi, ma ritornare; dell'Occidente non hanno conosciuto il
mito, ma spesso la violenza armata. Hanno un duplice bisogno di ritrovarsi e
autogestire la brusca proiezione in una realt nuova, totalmente diversa da
quella dei villaggi da cui spesso provengono senza la mediazione
dell'inurbamento.
Questa duplice realt nuova (il tessuto della
forzata autorganizzazione "border line" e quello dell'esodo di
guerra) impone alla sinistra e alla societ civile italiana di
sprovincializzarsi rapidamente. Ci che avviene nei Balcani o in Kurdistan, in
Bangladesh o in Per, si riflette immediatamente nella diaspora in Italia e in
Europa. E' un universo in movimento, esposto alle derive integraliste e agli
scontri inter- e intracomunitari ma anche alla nascita di un nuovo
universalismo dei diritti umani, violati e violentati nelle terre d'origine ma
anche, ogni giorno, nei rastrellamenti, nelle file in questura, nelle
deportazioni - nella "guerra interna".
La scommessa oggi se il nuovo soggetto
trasversale, plurale e di massa che in Italia il movimento "No
global" sapr raccogliere questa spinta positiva, modificandosi e
camminando con le gambe delle vittime della globalizzazione economica e della
guerra - quelle lontane, ma soprattutto quelle vicine. Le sue cento sedi
possono diventare i luoghi del confronto, della resistenza e
dell'autorganizzazione non separata.
Se questo non avverr, i processi in atto
conducono dritto all'America dei ghetti. Con i suoi movimenti radicali, ma
anche con la sua permanente guerra per bande.
---
--- --- --- --- --- --- ---
Sottoscrivi / To subscribe this group, send an
email to:
romamigrantforum-subscribe@yahoogroups.com
Per saperne di pi / To learn more about the
romamigrantforum group, please visit
<http://groups.yahoo.com/group/romamigrantforum/messages>http://groups.yahoo.com/group/romamigrantforum/messages
per sottrarsi dalla lista / To unsubscribe
from this group, send an email to:
romamigrantforum-unsubscribe@yahoogroups.com
Your use of Yahoo! Groups is subject to the <http://docs.yahoo.com/info/terms/>Yahoo! Terms of Service.