Date: 11:37 PM 10/5/02 +0200

From: dino

Subject: RMSF - risposta a stefano galieni

 

Invio allo stesso indirizzario questa risposta alla lunga lettera di critica alle manifestazioni in corso a Roma, messa in rete mercoled scorso da Stefano, scusandomi a mia volta della lunghezza. Ma ho voluto cogliere questa occasione non per polemizzare, ma per chiarire (anche a me stesso) alcune caratteristiche e valenze, dal mio angolo visuale, di questo movimento.

 

Proprio mentre stavo per inviare questa mail, mi ha chiamato il presidente dell'associazione del Bangladesh. Un operaio bengalese trentenne, Kamal, s' buttato dal terzo piano perch il suo datore di lavoro, un benzinaio, s'era rifiutato di legalizzarlo. Ora al Cto di Roma fra la vita e la morte, come leggerete (spero) sui giornali di domani, domenica. A proposito di tempi e di urgenze...

 

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Caro Stefano, sono stato a lungo in dubbio se rispondere alla tua mail, che certo non ha il tono pi adatto per avviare un confronto sereno. L'asprezza diversa dall'acredine, il dissenso non pu e non deve diventare banalizzazione o aggressione verbale nei confronti di chi ha idee o pratiche diverse. Ma non voglio fermarmi a questioni di stile.

 

Ad onor del vero per, e senza polemica, vorrei ricordarti che ben prima di sapere delle manifestazioni dal tg, eri intervenuto a una grossa assemblea in piazza Vittorio affermando la condivisione tua e del Prc della decisione, che maturava in quell'assemblea, di presidiare in massa entrambi i rami del parlamento in occasione della discussione sul "decreto Maroni". Cosa che poi avvenuta, con cinque manifestazioni ciascuna delle quali ha coinvolto non "poche centinaia", ma dai mille immigrati in su, e in crescendo.

 

Peccato che poi tu le abbia viste solo in tv. Perch se ci fossi stato, con la sensibilit di uno che sa cos' lotta di classe, avresti percepito molte cose: dignit, rabbia, consapevolezza di s come persone e come lavoratori, ironia persino. Sollievo ed anche gioia, nel trovarsi in tanti e "clandestini" a gridare i propri slogan in faccia a coloro dai quali ti tocca fuggire quando sei solo e clandestino. Nel "manifestarsi", prima e pi che "manifestare".

 

Certo, questo ciclo di manifestazioni (che continuer marted pomeriggio a Montecitorio) ha avuto molti limiti. Davanti al parlamento c'erano in larga maggioranza i bangladeshi e i kurdi. Forse non un caso: insieme, il paese pi povero del mondo e il paese che non c'. Un'altra manifestazione, anch'essa positiva perch dava voce alla stessa tensione (e non importa se alla testa c'era questo o quel leader), ha coinvolto anche gruppi di albanesi, moldavi ed ecuadoregni. Sempre maledettamente troppo poco rispetto al panorama dell'immigrazione romana, certo. E sono state manifestazioni maledettamente "semplici", rozze, difensive, circoscritte al problema della clandestinit, centrate pi sul decreto Maroni che sull'insieme della Bossi-Fini. Eppoi preparate in fretta, senza darsi i tempi (d'altronde epocali a Roma pi che altrove, purtroppo) per coinvolgere pi di qualche italiano. Tutto vero, tutto vero.

 

Ma nel '99, ti ricordi come part il ciclo di lotte sul "diritto ad esistere"? Part in modo molto simile. Dalla decisione di gruppi di pakistani e senegalesi a Brescia, di bangladeshi e indiani a Roma, di maghrebini e pakistani a Napoli e Caserta, di dire basta, di sedersi davanti alla questura o in una piazza, di disobbedire al terrore, di non nascondersi e non umiliarsi pi. A Brescia quell'impulso elementare di disperata dignit pot contare su un gruppo di compagni che se ne misero "al servizio" con intelligenza, e su un tessuto sindacale ed operaio ricettivo. Altrove, Roma inclusa, queste condizioni si realizzarono meno. Ogni lotta ha la sua storia. Ma nessuna lotta o vertenza seria nasce programmata a tavolino da qualche stratega dell'antagonismo. Nasce quando la realt data non pi sopportabile, quando un soggetto collettivo, grande o piccolo, parziale o complessivo che sia, percepisce di non avere nulla da perdere e/o molto da guadagnare, e che star fermi non si pu, significa solo arretrare. Quando questo avviene, chi ha strumenti (politici, organizzativi, culturali, mediatici) per dare una mano, ha due scelte: farlo, aiutare un soggetto negato a "manifestarsi" e insieme a superare la sua parzialit ed i suoi limiti. Oppure non farlo, adducendo e "bacchettando" quei limiti e quella parzialit.

 

Le manifestazioni di questi giorni hanno rotto proprio quella situazione di calma irreale sospesa sul filo della speranza della "sanatoria", su cui aveva contato il governo per far ingoiare la Bossi-Fini. Fra agosto e settembre Roma, e in particolare l'Esqilino e nell'Esquilino in particolare i bangladeshi, sono stati flagellati da un crescendo di rastrellamenti e fogli d'espulsione (irrevocabili per legge, perch "con accompagnamento immediato"), conditi da una catena di aggressioni, rapine e intimidazioni. Gi questo stato percepito come una fraudolenta infrazione da parte delle forze di polizia della regola non scritta della "moratoria" delle espulsioni durante le fasi di regolarizzazione. E in agosto s' verificata una prima rottura, con la denuncia (ai carabinieri) di una rapina a sfondo razzista ad opera di carabinieri, veri o falsi che fossero, e poi con il presidio di massa (mai visto prima) di un commissariato di Ps per un'intera giornata per ottenere il rilascio del presidente dell'associazione del Bangladesh, ingiustamente fermato a valle di una rissa con agenti in borghese che forse era una provocazione. Entrambi i fatti, non per caso, nel quartiere ormai meticcio dell'Esquilino. Due segnali della percezione comune che non si pu sempre subire, mentre in questura s'incrociano le file degli "espellendi" e quelle dei "regolarizzandi", e stare nell'una o nell'altra davvero frutto del caso.

 

Ma la speranza e l'attesa sono state poi travolte dalla forzatura leghista sulla "sanatoria" e sul suo carattere nettamente "padronale". All'improvviso migliaia di persone si sono trovate licenziate in tronco, o comunque hanno capito che a legalizzarsi sarebbe stata (sar), a queste condizioni, una minoranza. Che la revoca delle espulsioni da cui quasi tutti sono stati colpiti dipende dall'arbitrio di un prefetto. Che i licenziati, per la regola dei "tre mesi pregressi", non possono trovarsi un altro datore di lavoro che li legalizzi, salvo che questi sia disposto a dichiarare il falso. Che ogni "dichiarazione di emersione", vera o falsa che sia, si paga a caro prezzo, dai contributi (spesso anche futuri) di tasca del lavoratore, fino alle tariffe milionarie degli speculatori e dei mercanti d'illusioni. E allora la gente ha deciso: basta, andiamo in piazza prima che i giochi si chiudano.

 

L'hanno deciso in particolare i bangladeshi, e questo un dato storico delle mobilitazioni a Roma. Insieme agli est-europei ed ai pakistani sono l'immigrazione pi "operaia". Ma a differenza dagli est-europei, non hanno alle spalle il crollo dei regimi del socialismo reale e la successiva anomia sociale, ma una lotta pluridecennale per l'indipendenza e la democrazia in patria, nonch contro il razzismo in Europa e specialmente in Gran Bretagna. Sono tutti dati che pesano nellorientamento pi o meno conflittuale e nella coscienza di s delle varie comunit. Un discorso analogo si pu fare ovviamente per i kurdi, e in particolare per i kurdi di Turchia, presenti in quasi tutte le mobilitazioni e protagonisti non per caso dell'eroica esperienza autogestionaria del centro Ararat (nel senso che davvero eroico mettere insieme il pranzo con la cena per cento persone, e pensare anche, con il "pane", alle "rose" del teatro, della musica, del cinema),.

 

Empiricamente, a Roma e non altrove, io dico dunque: contro la Bossi-Fini ripartiamo da tre. Dall'assunzione dei luoghi simbolici anche per la prefettura, per la polizia, per An (vedi la sua festa a piazza Vittorio): l'Esquilino, il binomio Colle Oppio-Testaccio, i "campi nomadi". Dai bangladeshi, dai kurdi, dai Rom. I primi non esauriscono certo la nuova immigrazione clandestina per lavoro, n i secondi la questione lacerante dell'asilo negato ai profughi di guerra, n i terzi l'emarginazione forzata nei ghetti urbani e la delegittimazione (anche ai fini del permesso di soggiorno) di stili di vita diversi. Ma le incarnano, queste questioni, e in pi le assumono come sfida in positivo, e possono coinvolgere altri: penso per un verso all'immigrazione povera latinoamericana (peruviana in particolare), per l'altro ai kossovari, agli eritrei ed agli afghani esclusi dall'asilo.... E possono, con le loro mobilitazioni, rimettere al centro dell'attenzione pubblica (e in particolare della sinistra sociale e politica) la questione specifica e generale dell'immigrazione, che rischia di restare schiacciata da quelle della "legalit", della guerra e del lavoro, riducendosi a "voce" e atto di presenza (pur necessaria), quando non semplice pennellata di colore, all'interno di mobilitazioni generali.

 

Mi pare infatti evidente che per quante volte si ripeta la formula rituale sulla valenza generale ("paradigmatica", come di moda dire) della Bossi-Fini, di fatto sta passando nel "popolo di sinistra" l'abitudine di parlar d'altro e l'idea che s, una legge odiosa, ma ormai passata e non ci si pu far molto, i rapporti di forza sono quelli che sono in parlamento e nella societ, e comunque c' la sanatoria, e sulla sanatoria si giunti a un compromesso accettabile e in qualche modo la gente si legalizzer, tanto in fondo l'imprenditoria che lo vuole, e poi si vedr come rilanciare una bella Carta dei Diritti

 

Ci che manca, in questo quadro oscillante fra velleit e rassegnazione, la percezione dei rapporti di forza. Ovvero: come nel '98 sulla Turco-Napolitano, se si perde sulla questione pi bruciante dell'uscita dalla clandestinit sar ben difficile rimettere in discussione altri elementi del quadro segregazionista proposto dalla Bossi-Fini. Perch all'indomani della "sanatoria", cio non fra molto: a met novembre, inizier il terrore di polizia contro chi sar rimasto "clandestino", e le campagne d'ordine, i rastrellamenti e le deportazioni Sar duro arginare, allora, la diffusione delle logiche e delle strutture concentrazionarie. Se invece si esce in piedi da questa fase di lotte, insisto: di lotte visibili e di piazza  e non solo di sacrosante consulenze di sportello, se centinaia di migliaia di persone avranno "conquistato" il permesso di soggiorno e si sar arginato l'attacco al diritto d'asilo, l'atmosfera generale sar ben diversa: si potr aprire una stagione di vertenze sociali e di resistenza civile.

 

Ritorno dunque al parallelo con il '98-99. Intendiamoci: non siamo ancora alla resistenza disperata, allo sciopero della fame di massa e simili. Forse dovranno arrivarci, ma per ora va fatta vivere la possibilit e la speranza che, modificando il decreto Maroni o molto pi probabilmente incidendo sulle circolari e le prassi applicative locali e nazionali, si realizzi nei fatti l'obbiettivo del permesso di soggiorno per tutti. Ma per questo occorre mobilitazione capillare e nazionale, non solo a Roma e non solo davanti al parlamento (che comunque un segnale di valenza nazionale). Occorre la massima visibilit: tre minuti al Tg, Stefano, parlano a milioni di persone, immigrati e italiani. Occorre ricostruire rapidamente quel "circolo virtuoso" dei primi anni '90 per cui si creava una sinergia, nella distinzione dei ruoli e delle forme, fra chi manifesta e chi preme per altre vie. Occorre conquistare "tavoli vertenziali" con gli apparati di governo nazionale e locale e, su un altro livello, con i gruppi politico-parlamentari. Ed occorre, infine, una forte capacit di denuncia degli abusi, delle discriminazioni, dei ricatti e delle speculazioni di cui sar costellata quest'odissea della "sanatoria", da parte del padronato come degli apparati di polizia: dunque gli Osservatori. (I quali stanno gi vivendo di fatto in questi mesi, attraverso la circolazione di notizie, comunicati, allerta di parlamentarie avvocati giornalisti etc., che ha consentito di denunciare e a volte bloccare decine e decine di abusi, deportazioni etc.: non si parte da zero).

 

Posti questi obbiettivi, guardiamo dunque a questo breve ed iniziale ciclo di manifestazioni romane. Hanno imposto l'apertura di due tavoli di confronto con le due autorit locali vere sull'immigrazione: il questore gioved sera, il prefetto marted prossimo. Hanno condotto alla convocazione di un incontro in sede parlamentare con tutti i gruppi dell'opposizione, i sindacati e gran parte dell'associazionismo anche religioso, che vedr al centro non la "riduzione del danno" della Bossi-Fini, ma l'esperienza concreta e bruciante di questo avvio di "sanatoria" da parte degli immigrati e quindi le loro proposte. Ed hanno arginato di fatto la campagna di rastrellamenti. Due soli esempi: il rilascio senza conseguenze, ottenuto in piazza, di undici immigrati "clandestini" fermati mentre dall'Esquilino venivano a Montecitorio, e l'impegno strappato al questore (da verificare, ovvio) di evitare nei prossimi due mesi i "pattuglioni" e le espulsioni a pioggia. Intanto in occasione dell'incontro con il questore, dove erano presenti anche i sindacati degli immigrati che sono altrettanti "sensori" dei licenziamenti e degli abusi padronali (ad un solo sportello periferico della Cgil si sono presentati sessanta edili rumeni "in nero" licenziati in blocco da un'impresa!), si concordato un censimento dei casi di licenziamento ed estorsione ai danni dei lavoratori con un formulario comune. E nella stessa sede si sono concordate con la questura modalit possibili di accesso alla "sanatoria" anche da parte degli asilanti in attesa o "rigettati", fermo restando il loro eventuale diritto all'asilo e la relativa procedura.

 

Tutto questo credo che configuri una risposta alla terza delle domande finali che fai, Stefano, e che ponga qualche premessa per rispondere positivamente anche alle prime due. E' gi qualcosa, non credi?

 

E' vero che la scelta, per chi la vuol fare, di "accompagnare" la discesa in piazza di settori dell'immigrazione, impone anche di fare i conti con i "loro" tempi e non solo con i "nostri". Nello spazio di giorni e settimane si gioca infatti l'altalena fra speranza e disperazione, fra fiducia nella lotta collettiva e arrembaggio ai mercanti di illusioni e carte false. La decisione di manifestare non pu sempre essere presa a tavolino, ed a volte pu imporsi non solo e non tanto perch una certa manifestazioni o iniziativa "serve" nel confronto con la controparte o nella scena istituzionale ma perch, semplicemente, "tiene insieme" le persone, contrappone all'atomizzazione valori collettivi di solidariet. Ogni costruzione di un soggetto collettivo conosce queste dinamiche. Del resto non questa la risposta che diamo a chi lamenta la "inutilit" delle grandi mobilitazioni sull'articolo 18, perch "tanto il governo va avanti lo stesso"?

 

Ho cercato di elencare le ragioni per cui personalmente e come Senzaconfine abbiamo deciso di seguire ed aiutare questo (ri)nascente movimento per il permesso di soggiorno e il diritto d'asilo. Ne sono convinto, ma non pretendo di imporle a nessuno, e neppure ho la presunzione di pensare che siano le uniche pratiche possibili e necessarie in questa situazione. Assumo la mia/nostra parzialit. Ma come rispetto le pratiche altrui, pretendo rispetto sulle nostre. Le battute liquidatorie non servono a nessuno, e non sono il modo migliore per riavviare quel metodo inclusivo e non concorrenziale di confronto e lavoro comune che, sono d'accordo, finora nel Migrants Social Forum romano mancato.

 

Dino Frisullo

 

 

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