Date: 10:21 AM 8/28/98 +0200

From: Sergio Briguglio

Subject: replica a Bolaffi

 

Cari amici,

vi mando il testo di una replica all'articolo (interessante) di Bolaffi,

apparso su Repubblica di ieri. La replica (che, come al solito, rappresenta

il mio punto di vista personale e che spera di dare origine a discussione)

potrebbe apparire come lettera su Repubblica o come articolo su Manifesto o

Liberazione (i soli giornali, questi ultimi, che mi diano benevolo ricetto;

ma l'articolo presenta un punto di vista liberistico che potrebbe tornare

loro indigesto).

 

Cordiali saluti

sergio briguglio

 

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Guido Bolaffi, sintetizza con grande efficacia, su la Repubblica del 27

agosto, un punto di vista sull'immigrazione clandestina, secondo il quale

il fenomeno, immettendo abusivamente nel sistema una popolazione di

lavoratori disposti a cercare occupazione in condizioni di libero mercato

(senza il rispetto quindi di minimi salariali, obblighi contributivi,

etc.), avvantaggia le elites dei paesi di provenienza, i datori di lavoro

disonesti e gli immigrati clandestini, e svantaggia datori di lavoro onesti

e lavoratori (nazionali e stranieri) in regola, nonche' chi aspira a

migrare regolarmente e, infine, i contribuenti del paese di accoglienza. La

soluzione, ovvia secondo Bolaffi, e' quella di lottare contro

l'immigrazione clandestina. Provo qui a prospettarne una diversa.

 

La condizione descritta (bene) da Bolaffi e' quella di un sistema che tenta

di tenere alto il prezzo di un bene (la manodopera nazionale) applicando

norme protezionistiche nei confronti di beni concorrenti provenienti

dall'estero. Se si trattasse di auto, tutti riconoscerebbero (tranne forse

i contribuenti nazionalisti e polli) che le misure protezionistiche, oltre

a provocare un evidente danno per chi vende il bene straniero, provocano, a

fronte di un innegabile vantaggio per chi vende il bene nazionale, uno

svantaggio piu' grande, in valore assoluto, per chi compra. Si ha cioe', in

presenza di tali misure, un danno netto per lo stesso sistema nazionale.

Inversamente, l'apertura del mercato alla concorrenza straniera favorisce,

si', i venditori stranieri, ma anche gli acquirenti nazionali; e favorisce

questi ultimi in misura maggiore - si badi - di quanto non danneggi i

venditori nazionali. Le politiche di immigrazione dei paesi dell'Unione

europea non tengono in alcun conto queste osservazioni: si tende a

proteggere il salario del lavoratore nazionale, e si ammette quindi un

lavoratore straniero solo quando e' possibile un inserimento altrettanto

protetto, non trovando la domanda di manodopera risposta nell'offerta dei

lavoratori nazionali. Lo slogan che descrive questa tendenza e' "accogliamo

solo chi puo' inserirsi regolarmente, e garantiamo parita' di diritti tra

stranieri regolari e lavoratori nazionali". Resta il problema dello spreco

netto di risorse del sistema, di cui nessuno parla.

 

Ricetta alternativa: apriamo le frontiere e liberalizziamo il mercato del

lavoro; se ne avvantaggeranno i lavoratori stranieri (non piu' a rischio di

clandestinita', per inciso); se ne avvantaggeranno i datori di lavoro (non

ci sara' piu' distinzione tra onesti e disonesti, perche' tutti

diventeranno, ope legis, onesti); ne avranno danno i lavoratori, per lo

piu' nazionali, precedentemente protetti (i salari si abbasseranno). Se

pero' ricordiamo che l'entita' del vantaggio acquisito dai datori di lavoro

supera quella di tale danno, riconosciamo che e' possibile, con opportuni

trasferimenti che redistribuiscano il reddito, sottrarre ai datori di

lavoro quella parte del maggior guadagno che serve a compensare le perdite

dei lavoratori  precedentemente protetti. Nessuno, nel sistema, perde;

alcuni guadagnano. Tutti soddisfatti? Si', tranne i difensori della parita'

di diritti sul suolo patrio: dei trasferimenti non beneficierebbero infatti

i lavoratori stranieri ammessi con l'apertura delle frontiere. Sto

proponendo di discriminarli negativamente? Si', ma molto meno - e su questo

anche Bolaffi conviene, in un passaggio del suo articolo - di quanto li

discriminerei lasciandoli, in nome dello slogan, nel loro paese.