Date: 11:55 AM 7/26/99 +0200

From: Sergio Briguglio

Subject: immigrazione, asilo, europa

 

Cari amici,

approfittando di un magnifico sabato autunnale di fine luglio, provo a

coinvolgervi nella riflessione avviata - per quel che mi riguarda - dal

seminario organizzato dall'ACNUR nella dimessa cornice dell'Oratorio del

Caravita, e culminata nel meeting di Cecina. Il tentativo e' reso piu'

arduo dal bisogno di esternazione di un gruppo di gitanti accampatisi, per

un pic-nic, a distanza troppo breve da me (vi scrivo dal Tuscolo). Confido

pero' che vino e ragione possano cooperare per la composizione rapida dei

conflitti in corso e che presto si ristabilisca la pace. La mia, quanto

meno.

 

La questione che voglio affrontare e' la seguente: con l'entrata in vigore

del Trattato di Amsterdam la politica di immigrazione e asilo sara'

trasferita, in sede europea, dal terzo al primo pilastro. Il terzo pilastro

e' quello della cosiddetta coperazione intergovernativa, ed e'

caratterizzato - semplificando - dall'esistenza di un paralizzante diritto

di veto in capo al singolo Stato, da scarsa trasparenza dei processi

decisionali (scarso coinvolgimento del Parlamento europeo), dal carattere

prevalentemente non vincolante delle decisioni assunte (la cosiddetta

soft-law). Il primo pilastro e' invece quello delle competenze comunitarie,

e corrisponde a processi decisionali meno ingessati (maggioranza

qualificata) e piu' trasparenti (meccanismo di co-decisione

Consiglio-Parlamento), a un ruolo propositivo piu' rilevante della

Commissione, a un carattere vincolante delle decisioni assunte, a un

controllo da parte della Corte di giustizia sull'applicazione e

sull'interpretazione di tali decisioni. Un passaggio di questo genere

comportera' quindi il trasferimento di una buona parte delle competenze in

materia di immigrazione e asilo dallo Stato all'Unione europea.

 

Il processo di trasferimento prevede una prima fase - della durata di

cinque anni - nella quale le decisioni eventualmente assunte avranno si'

carattere vincolante, ma continuera' a valere il criterio dell'unanimita'

(e quindi il diritto di veto). Successivamente tale criterio lascera' il

posto a quello della maggioranza qualificata. Ci si potrebbe quindi

attendere che, sul piano formale, il quadro normativo di riferimento non

venga significativamente modificato nei prossimi cinque anni, e che - nel

bene o nel male - il trasferimento di competenze non sia comunque materia

di cui occuparsi nell'immediato, soprattutto quando incombano le urgenze

quotidiane di soccorso e assistenza a immigrati, rifugiati e profughi.

 

Tuttavia, c'e' il rischio che mentre a Roma si discute (o, nella

fattispecie, si soccorre e si assiste), Sagunto sia espugnata. A espugnare

Sagunto - sia detto per inciso - basterebbero i trecento pargoli vestiti di

giallo che hanno invaso da un quarto d'ora quelli che ritenevo a torto, e a

dispetto delle esternazioni dei gitanti, i quieti boschi del Tuscolo;

essendo pero' costoro gia' impegnati a centrare, con i San Siro da

quattrocentocinquanta grammi, il mio Power Book da tre chili, il compito e'

assegnato a uno stock di politici e di funzionari governativi che, con o

senza unanimita', lavora intanto a creare le basi culturali per le

decisioni che verranno.

 

E' possibile evincere di quali basi si tratti esaminando i contenuti della

soft-low (risoluzioni, raccomandazioni, posizioni comuni, etc., del

Consiglio europeo) e delle proposte attualmente all'esame delle

Istituzioni. Cerco, mentre i pargoli gialli ringraziano, con impeto

ultroneo, per il pane quotidiano, di passare in rassegna i principali punti

critici che da questi documenti emergono.

 

 

1) Asilo.

 

Non c'e' documento o decisione che non ribadisca la assoluta necessita' di

rispettare il diritto d'asilo come stabilito dalla Covenzione di Ginevra

del 1951 e dal Protocollo di New York del 1967. In piu', si riconosce come

sia necessario prevedere misure di protezione anche per soggetti la cui

situazione non corrisponda a quella del rifugiato come descritta dalla

Convenzione di Ginevra e come i singoli Stati possano riconoscere un

diritto di asilo piu' ampio, sulla base delle rispettive norme

costituzionali. In contraddizione con questo riconoscimento, tuttavia,

vanno (o sono andati) progressivamente rafforzandosi tre orientamenti:

 

a) Un'interpretazione restrittiva della Convenzione di Ginevra; in

particolare, riguardo al problema dell'agente di persecuzione.

 

Secondo la Posizione comune sulla interpretazione armonizzata della

definizione del termine "rifugiato" (G.U. 13/3/96), perche' la persecuzione

sia rievante e' necessario che ad effettuarla siano i pubblici poteri

ovvero che questi la tollerino o assumano, in merito, un atteggiamento

passivo. Vengono cosi' a essere esclusi quei casi in cui la persecuzione

sia esercitata da un potere diverso (esempio: terroristi) e i pubblici

poteri risultino incolpevolmente privi della capacita' di contrastarla.

 

b) Il rinvio del richiedente asilo nel cosiddetto paese terzo ospitante

sicuro.

 

Il principio alla base di questo comportamento (vedi risoluzioni del

Consiglio del dicembre '92 e del giugno '95) puo' a grandi linee essere

sintetizzato come segue: se un paese aderente alla Convenzione di Ginevra

ha autorizzato o tollerato un soggiorno di congrua durata sul proprio

territorio, senza che il richiedente presentasse li' domanda di protezione,

il problema della protezione stessa e' affare che riguarda il richiedente e

quel paese (da cui l'espressione "mandare il richiedente a quel paese").

 

La faccenda presenta due aspetti preoccupanti: il primo e' legato al fatto

che, in mancanza di convenzioni o accordi internazionali, non e' garantito

che il paese terzo sia disposto a riaccogliere e ad esaminare la domanda di

asilo dello straniero. Piu' precisamente, la garanzia c'e' (disciplinata

dala Convenzione di Dublino) nell'ambito dell'Unione europea, ma non in

caso di rinvio in paese non appartenente all'Unione.

 

Il secondo aspetto riguarda la distinzione tra asilo ai sensi della

Convenzione di Ginevra (d'ora in avanti, "ginevrino") e asilo ai sensi

della Costituzione (d'ora in avanti, "costituzionale"). La distinzione non

e' affatto questione di lana caprina, giacche' l'asilo ginevrino spetta

solo a chi tema di essere perseguitato, mentre l'asilo costituzionale puo',

per certi paesi (ad esempio, l'Italia), coprire soggetti che fuggano da

pericoli o limitazioni della liberta' molto piu' generali (una situazione

di violenza generalizzata, ad esempio). Il rinvio di un richiedente asilo

in altro Stato sulla semplice base della considerazione che tale Stato

prevede l'asilo ginevrino non tutela evidentemente l'eventuale bisogno di

asilo costituzionale. Lo Stato terzo potrebbe, cioe', riaccogliere

temporaneamente lo straniero ma negargli, subito dopo, la protezione

richiesta, in nome del fatto che le ragioni poste alla base della domanda

non rientrano nell'ambito ginevrino. La cosa e' complicata dal fatto che si

pretende di individuare l'esistenza di un eventuale paese terzo sicuro

prima di qualunque esame di merito della domanda, mentre, da quanto detto,

e' evidente come il fatto che un paese terzo sia o meno "sicuro" (disposto,

cioe', ad accordare protezione) dipenda proprio dalla situazione specifica

denunciata dal richiedente.

 

c) L'imposizione di oneri e sanzioni a carico del vettore che trasporti

stranieri da respingere alla frontiera.

 

Piu' precisamente, gli Stati membri dell'Unione europea si impegnano

(articolo 26 della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen) ad

adottare disposizioni che impongano l'onere del riconducimento dello

straniero respinto nel paese di destinazione e che introducano sanzioni a

carico del vettore che trasporti stranieri privi dei documenti richiesti

per l'ingresso. Una previsione di questo genere (recepita - per inciso -

dalla legislazione italiana) puo' interferire pesantemente con l'esercizio

del diritto d'asilo: di fronte ad uno straniero privo degli ordinari

requisiti per l'ingresso (ad esempio, il passaporto) il vettore, piuttosto

che rischiare di incorrere in sanzioni e oneri, preferirebbe - e di fatto

preferisce - non prenderlo a bordo. Ne' la situazione e' temperata dal

riconoscimento di come il richiedente asilo sia esonerato dal possesso

degli ordinari requisiti per l'ingresso: non e' detto che il nostro

straniero riesca a farsi considerare richiedente asilo; potrebbe restare,

infatti, intrappolato nelle maglie del pre-esame e veder considerata la

propria domanda inammissibile o manifestamente infondata. In questo caso,

in linea di principio, al vettore potrebbero toccare oneri e sanzioni in

quantita' industriali. Non essendo la tutela dei diritti dell'uomo in cima

ai pensieri del vettore, il calcolo (detto, per ovvie ragioni, "calcolo

vettoriale") e' presto fatto, e l'aspirante richiedente rimane a terra.

 

Il risultato netto e' che al vettore viene assegnato impropriamente un

ruolo a meta' strada tra quello della polizia di frontiera e quello della

Commissione centrale per l'asilo, e che, stante il rigore con cui tale

ruolo viene sostenuto, allo straniero non resta che rivolgersi allo

scafista (piu' tollerante sul piano del diritto, ma meschino ed esoso

quanto a servizi offerti).

 

Accanto ai pericoli associati a questi tre orientamenti attivi, merita di

essere sottolineato, infine, anche quello derivante dalla lacunosita' di un

altro orientamento - di per se' positivo. Mi riferisco all'intenzione

(Proposta di azione comune, presentata dalla Commissione al Consiglio il

20/3/97) di introdurre misure per il riconoscimento di un regime di

protezione temporanea in caso di esodi di massa. La cosa potrebbe

somigliare da vicino - almeno riguardo alla fuga da situazioni di violenza

generalizzata - al riconoscimento del "diritto costituzionale", se non

fosse per il fatto - e questa e' la lacuna - che l'idea e' quella di far

scattare le misure solo in caso, appunto, di arrivi di massa. Resterebbe

cosi' priva di protezione la situazione di chi, in solitudine, chieda di

essere accolto sulla base delle stesse ragioni che in altri momenti hanno

causato o causeranno un esodo di massa. C'e' da dire che la definizione di

criteri comuni per il riconoscimento di una tale protezione su base

individuale e' tra gli obiettivi del processo di armonizzazione (vedi il

Piano d'azione del Consiglio e della Commissione del 7/12/98), ma e'

considerato un obiettivo di medio termine, quelo relativo agli esodi di

massa essendo invece ritenuto urgentissimo.

 

Qui la mattinata autunnale si e' trasformata in un pomeriggio invernale.

Gran parte dei pargoli gialli e' stata ormai fatta fuori dai fulmini, e con

essa i gitanti esternatori. Ma diluvia, e il ritrovato silenzio non basta a

compensarmi dei reumatismi. Vado cosi' a svernare a valle. Nel tempo della

mia transumanza avrete agio di riflettere su quale possa essere la

filosofia che si nasconde dietro queste tendenze. Potremo cosi' confrontare

le rispettive conclusioni.

 

...

 

Ecco, sono transumato e vi dico qual'e' la mia impressione.

 

A fronte di una dichiarazione molto solenne del valore del diritto d'asilo,

in realta' le Autorita' sono, in realta', molto piu' attente ai costi che

derivano dall'accoglimento degli stranieri da proteggere. In linea di

principio questa attenzione potrebbe trovare giustificazione nel fatto che

il rispetto delle liberta' della persona e' estremamente precario in

moltissimi e popolosissimi paesi, e se tutti coloro che soffrono

limitazioni gravi della lberta', cosi' come concepita in Europa,

chiedessero protezione i nostri Stati affonderebbero sotto il peso dei

rifugiati. In realta', accanto al problema potenziale del numero molto

elevato di domande d'asilo proprie vi e' quello, attuale, del numero molto

elevato di domande abusive - domande presentate, cioe', al mero scopo di

ottenere titolo a soggiornare in uno degli Stati membri. Quest'ultimo

problema non deriva - come certe volte si tenta di far credere - da una

tendenza innata alla frode di quanti hanno avuto natali fuori dal

territorio dell'Unione, ma piuttosto - come cerchero' di argomentare al

punto 2 - dalla assoluta inesistenza di alternative legali valide per

l'immigrazione per motivi economici.

 

Piuttosto che in una apertura di canali legali di immigrazione capaci di

alleggerire quello dell'asilo, la preoccupazione delle Autorita' si traduce

nell'introduzione - esplicita o tacita - di meccanismi di frizione che

calmierino il numero dei richiedenti e, a fortiori, dei fruitori del

diritto. Naturalmente non vi e' alcuna garanzia, per questa strada, che

quanti arrivano a godere di protezione siano effettivamente coloro che ne

avevano maggior bisogno. Il meccanismo, anzi, e' tale da selezionare -

semmai - i soggetti piu' forti e abili (accanto a un certo numero di

persone che di protezione non avrebbero alcun bisogno).

 

La soluzione dovrebbe invece essere ricercata - come anticipato - in un

ripensamento della politica relativa agli stranieri in arrivo in Europa che

dia - per cosi' dire - all'immigrazione quello che e' dell'immigrazione e

all'asilo quel che e' dell'asilo. Ne parliamo nel prossimo punto.

 

 

2) Immigrazione.

 

Fino ad oggi, la soft-law europea ha riguardato principalmente il problema

del controllo delle frontiere (a mo' di difesa dall'immigrazione illegale)

e quello delle espulsioni. Un'enfasi particolare e' data anche, a livello

di dichiarazione di intenti, alla necessita' di favorire i processi di

integrazione degli immigrati legalmente residenti. In mancanza della

definizione dei criteri di ammissione degli immigrati, si tratta quindi di

una politica attenta agli immigrati (participio passato) piuttosto che ai

migranti (participio presente): una politica che compie sforzi immani per

separare il grano degli immigrati legali dalla zizzania degli immigrati

illegali, e che, completata la pulizia, classifica automaticamente come

zizzania ogni migrante che diventi immigrato, rendendo necessaria una nuova

bonifica. Senza fine.

 

Per dire la verita', una buona dose di attenzione e' stata prestata, di

recente, al problema dei criteri di ammissione. La Proposta relativa a una

convenzione sulle norme di ammissione, presentata al Consiglio dalla

Commissione il 30/7/97, presenta infatti un quadro dettagliato di tali

norme. Si tratta pero' di un'attenzione capace di far rimpiangere il

primiero disinteresse. Vediamo perche', passandone in rassegna gli elementi

piu' censurabili.

 

a) L'ingresso per lavoro subordinato e' consentito solo allo straniero

chiamato da un datore di lavoro, con un contratto di durata non inferiore a

un anno, per una posizione lavorativa per la quale sia stata accertata

l'indisponibilita', nel territorio dello Stato membro, di lavoratori

comunitari o stranieri regolarmente soggiornanti per lavoro, nonche'

quella, nel territorio dell'Unione europea, di stranieri soggiornanti a

titolo duraturo. Anche il rinnovo del permesso e' condizionato

all'esistenza di un contratto di lavoro e all'accertamento di

indisponibilita'.

 

E' evidente che chi ha scritto questa proposta e' un cultore delle

sanatorie. Queste disposizioni infatti costituiscono un distillato della

bestiale applicazione che e' stata data, dal 1987 a oggi, alla legislazione

italiana in materia e che, ostacolando oltre misura l'incontro diretto tra

domanda e offerta di lavoro, ha reso indispensabili, per l'appunto, tre

imponenti sanatorie.

 

b) E' consentito l'ingresso per lavoro stagionale, a condizioni analoghe -

durata del contratto a parte - a quelle appena riportate, ma senza alcna

possibilita' di stabilizzare la condizione di soggiorno in presenza di una

opportunita' di lavoro con contratto a lungo termine.

 

c) L'ingresso per lavoro autonomo e' consentito allo straniero che abbia

mezzi sufficienti per intraprendere l'attivita' prescelta (e fin qui niente

di male), ma solo a condizione che tale attivita' possa avere - badate bene

- effetti positivi sull'occupazione. Il rinnovo del permesso e'

condizionato all'effettiva occorrenza di tali effetti. L'attivita' presa in

considerazione e' quindi solo quella imprenditoriale di livello medio alto.

Niente e' previsto esplicitamente per la prestazione di servizi, essendo

rinviata a un successivo accordo tra le Parti contraenti la disciplina di

questa particolare attivita' (di grande rilievo per i lavoratori stranieri

- si pensi al proverbiale giardiniere che ha spadroneggiato nel dibattito

sulla regolarizzazione in corso).

 

d) Gli studenti possono si' svolgere modeste attivita' lavorative che non

intralcino il corso di studi, ma non hanno alcuna possibilita' di

convertire, al termine del corso, il permesso di soggiorno in un permesso

per lavoro; ne' ce l'hanno gli stranieri ammessi per svolgere un tirocinio.

 

e) Salve limitate eccezioni (da lavoro autonomo a lavoro subordinato e

viceversa, e in caso di scioglimento del vincolo familiare che aveva

motivato il rilascio di un permesso per motivi familiari), non e'

consentita la conversione dei permessi di soggiorno. Il permesso e' poi

revocato in caso di assenza dallo Stato ospitante di durata superiore a un

trimestre per anno, e per pervenire all'equivalente di una carta di

soggiorno (di durata non inferiore a dieci anni) lo straniero deve maturare

un periodo di soggiorno regolare di durata compresa tra i cinque e i nove

anni, a seconda del tipo di permesso posseduto.

 

Questi elementi risentono di un'impostazione di tipo protezionistico che

puo' essere cosi' schematizzata: il valore primario da difendere e' la

condizione del lavoratore nazionale. Per evitare che questa possa

deteriorarsi si aborrisce la libera concorrenza tra i lavoratori nel

mercato del lavoro e si protegge la quantizzazione tanto del salario quanto

della quantita' di lavoro scambiata - il concetto, cioe', di "posto di

lavoro", con un numero di ore di lavoro e un salario non inferiori a certi

fissati minimi. Questo, se da una parte garantisce il lavoratore (occupato)

nazionale, dall'altra produce bacini di disoccupazione: non tutti coloro

che vorrebbero lavorare possono lavorare. Creato il disoccupato, il

sistema, preso dai rimorsi, ostenta apprensione per la sua situazione; il

lavoratore straniero e' ammesso cosi' solo come supplente del lavoratore

nazionale, nei casi - sporadici - in cui un particolare settore del mercato

del lavoro non registri offerta di lavoro, a dispetto della presenza di

lavoratori, occupati o disoccupati, nazionali.

 

Al lavoratore straniero e' richiesto, in altri termini, di dimostrare

costantemente di non essere un potenziale concorrente del disoccupato

nazionale. La cosa - recepita perfino dall'iconografia solidaristica

nostrana ("fanno solo i lavori che gli italiani non vogliono fare") - e'

paradossale, dal momento che la vera causa del disagio del disoccupato

nazionale risiede proprio nel fatto che a lui, in primo luogo, e' impedito

di entrare in concorrenza con il lavoratore nazionale occupato.

 

Notate che se, invece di acquisto e vendita di lavoro, si trattasse si

acquisto e vendita di auto o - che so io - di materassi a molle, sarebbe

evidente a tutti come l'ostacolare la concorrenza portata dai venditori

esterni al mercato nazionale (l'atteggiamento protezionistico), pur

salvaguardando la condizione dei venditori nazionali, porti ad uno spreco

di risorse per l'intera societa' tale da rendere indiscutibilmente

preferibile un sistema che liberalizzi invece la concorrenza e compensi,

con opportuni sussidi, i venditori nazionali da questa danneggiati.

 

Vi e', in questa alternativa  tra una politica di chiusura del mercato e

una di apertura temperata da sussidi compensativi, il nodo della questione

di come l'Unione europea si pone non solo di fronte ai lavoratori

stranieri, ma anche di fronte ai giovani (che, se non possono essere

espulsi come i primi, possono pero' essere comunque tenuti ai margini delle

attivita' produttive). Si tratta di scegliere tra la via di uno sviluppo

partecipato e quella di una conservazione dello statu quo (chi c'e' c'e',

chi non c'e' non c'e'). L'Europa sembra voler scegliere questa seconda via.

A me sembra la strada dell'estinzione (se il lavoro a basso costo non va

verso i capitali, i capitali andranno verso il lavoro a basso costo...). In

ogni caso, riguardo all'immigrazione, fa si' che sia data enfasi alla lotta

contro la clandestinita', e che, in manccanza di altre strade, agli

stranieri non resti che appellarsi alla tutela di diritti (l'asilo) che

poco hanno a che fare con la loro situazione effettiva: e' la risposta

notarile ad un atteggiamento notarile. Con le conseguenze descritte al

punto 1.

 

 

3) Conclusioni.

 

In questi anni, in Italia, e' stato svolto un lavoro di lobbying

discretamente efficace su immigrazione e asilo. Molto dovrebbe essere

ancora fatto per portarne a maturazione i frutti. Ora pero' ci accorgiamo

che stanno smantellando l'impianto di irrigazione generale al quale abbiamo

allacciato quello del nostro terreno. Sull'irrigazione - d'altra parte -,

grazie anche ai tanti errori commessi dalle nostre parti, avremmo la nostra

da dire. Dobbiamo tacere? Direi di no. E allora con chi parlarne? E con

quali soggetti europei collegarci?

 

A queste domande non so rispondere. C'e' qualcuno che sa rispondere?

 

Resto in attesa.

 

Cordiali saluti

sergio briguglio