Date: 11:38 PM 1/8/00 +0100
From: Sergio Briguglio
Subject:
Cari amici,
vi mando il testo di un articolo, pubblicato
oggi dal Manifesto, scritto in
risposta a un precedente articolo di Dino
Frisullo (che riporto in coda).
Cordiali saluti
sergio briguglio
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In una lettera al Manifesto di sabato scorso,
Dino Frisullo, con
l'autorevolezza che gli deriva da anni di
attivita' in difesa di immigrati
e rifugiati, distribuisce generose tirate
d'orecchie a destra e a manca
(piu' a manca che a destra) sul tema dei
centri di custodia per stranieri.
In particolare, gran parte
dell'associazionismo laico e religioso e'
accusato, da Frisullo, di non essersi opposto
con sufficiente forza
all'istituzione di questi centri, uno dei
quali - quello di Trapani - e'
assurto a tristi onori di cronaca, dopo la
morte, in un rogo, di quattro
immigrati in attesa di espulsione. Facendo
parte della porzione di
associazionismo oggetto degli strali di
Frisullo, provo, sebbene privo di
comparabile autorevolezza, a replicare.
Frisullo vede il rischio che la lotta per
"chiudere i lager e aprire le
frontiere" resti appannaggio di una
sparuta minoranza garantista, e sia
condannata, per cio' stesso, a indossare gli
abiti di infruttuosa,
ancorche' nobile, testimonianza. Mi sembra un
timore fondato, per la
semplice ragione che, a dispetto
dell'accostamento formale dei due temi, si
sta spostando eccessivamente il baricentro
della questione sul primo dei
due. Non si considera, cioe', che la campagna
per la chiusura dei centri
("lager", nella terminologia di
Frisullo) non e' cosa che possa essere
condotta separatamente da quella per
l'apertura delle frontiere, ma e' un
banale, ancorche' nobile, corollario di
quest'ultima. E' la chiusura (anche
solo parziale) delle frontiere a dare origine
allo spartiacque tra
immigrazione legale e immigrazione illegale.
Ed e' questo spartiacque che
rende ineludibile il concetto di espulsione:
si puo' applicare la
concezione piu' ampia possibile di una legge e
consentire lo scavalcamento
dello spartiacque al maggior numero di persone
con una programmazione dei
flussi non micragnosa, con sanatorie una
tantum o con regolarizzazioni "a
regime", ma fintantoche' lo spartiacque
esiste, esistera' anche l'immigrato
insanabilmente illegale da espellere. E'
infine il bisogno di effettivita'
che il provvedimento di espulsione, come ogni
altro provvedimento, presenta
a imporre la limitazione della liberta' di
movimento dello straniero in
attesa di espulsione: per quale strana
volonta' di autocastrazione un tale
straniero dovrebbe astenersi, altrimenti, dal
rendersi irreperibile?
All'inverso, provate a liberalizzare
l'immigrazione e vedrete evaporare
come neve al sole permessi di soggiorno,
espulsioni e centri di custodia.
Se questa e' la situazione, concentrare il
dibattito, come molti stanno
facendo, sulla chiusura dei centri, piuttosto
che sull'apertura delle
frontiere, evoca l'immagine di suffragette
che, invece di battersi per
l'estensione del diritto di voto alle donne,
chiedano surrettiziamente che
si chiuda un occhio sull'appropriazione, da
parte dell'elettore maschio, di
una seconda scheda elettorale e sul suo
ingresso in cabina in compagnia
della moglie o della figlia. D'altra parte, su
una questione come
l'apertura delle frontiere e la conseguente
liberalizzazione
dell'immigrazione, e' evidente come non basti
racimolare una dozzina di
parlamentari ben intenzionati, ne' l'eventuale
unanimita' delle
associazioni attive nel settore. Si tratta
piuttosto di raccogliere un
consenso maggioritario nel paese, giacche' il
problema tocca aspetti
basilari della societa', quali il dualismo
cittadino-straniero, i
fondamenti dello stato sociale e la
ridistibuzione della ricchezza: aspetti
che difficilmente possono avvantaggiarsi delle
fughe in avanti di elites
illuminate. Oggi la societa' italiana non
appare affatto disposta a
manifestare quel consenso maggioritario. Puo'
diventarlo per due strade: il
riconoscimento di elementi di convenienza
nella prospettiva di un'apertura
delle frontiere o l'individuazione di
corrispondenti e adeguate motivazioni
etiche.
La convenienza sarebbe facile da riconoscere
se si ipotizzasse un modello
di libera circolazione dei lavoratori migranti
(trascuro qui, per
semplicita', il fatto che i migranti non siano
solo lavoratori) in un
mercato del lavoro perfettamente libero e
concorrenziale. La caduta dei
salari derivante dall'aumento dell'offerta
associato all'afflusso di
immigrati porterebbe a una crescita del
prodotto interno tale da compensare
largamente il danno subito dai lavoratori
nazionali (a condizione,
naturalmente, di trasferire parte dei benefici
dell'accresciuta produzione
ai soli lavoratori nazionali - con un
approccio, quindi, discriminatorio).
Sarebbe poi il progressivo degrado della
condizione dei lavoratori
stranieri (non protetti da trasferimenti
compensativi) a porre un limite
spontaneo al flusso migratorio, proteggendo il
sistema dal collasso.
Naturalmente, quando a sinistra si parla di
libera circolazione,
difficilmente la si pensa affidata alla
"mano invisibile" del libero
mercato. Si pensa piuttosto a un libero
accesso del migrante a un sistema
di diritti minimi di cittadinanza,
rappresentabili, schematicamente,
dall'istituzione di un reddito minimo
garantito. Questo naturalmente fa si'
che all'ingresso di ogni ulteriore immigrato
corrisponda un onere per la
societa'. Vi e' convenienza finche' l'aumento
di ricchezza prodotto dal
lavoratore che entra a far parte del sistema
eccede l'onere associato al
suo sostentamento minimo. Se, pero', per
qualche ragione - ad esempio, la
quantita' limitata di strumenti di produzione
(il capitale) - la
produttivita' di ciascun nuovo immigrato
decresce col crescere del numero
dei lavoratori gia' presenti nel sistema, la
condizione di convenienza
dell'ulteriore ingresso risulta, da un certo
momento in poi, violata. In
un'economia di tipo industriale, normalmente
e' cosi'. Ci sono ragioni per
ritenere che la realta' odierna sia diversa?
Forse si': i modelli
sviluppati per le economie industriali potrebbero
non essere adatti a un
economia in cui il settore dei servizi
acquista una rilevanza sempre
maggiore. Ma si tratta di rendere quelle
ragioni cognite ed evidenti alla
maggioranza del paese.
Se, malauguratamente, di ragioni del genere
non ne venisse rinvenuta
alcuna, passata la soglia oltre la quale la
condizione di convenienza e'
violata, la societa' temerebbe di patire un
danno da ulteriori flussi in
ingresso. Questo non significa ancora la
perdita di motivi a supporto di
una politica di apertura delle frontiere, ma
tali motivi andrebbero cercati
in campo etico, anziche' economico: mille sono
gli argomenti che militano
in favore di una piu' equa distribuzione del
benessere tra il nord e il sud
del mondo. Sono, tuttavia, argomenti su cui si
e' tutti solleciti a
convenire nelle discussioni a tavola o sotto
l'ombrellone o nei convegni
socio-religiosi in istituti a cinque stelle.
Molto meno quando qualcuno
venga a frugare concretamente nel nostro
portafoglio.
In entrambi i casi si tratta - mi sembra - di
rafforzare argomenti,
piuttosto che suscitare emozioni. Le emozioni
hanno vita breve, anche se
intensa; le soluzioni che qui si richiedono
hanno invece a che fare con
l'atteggiamento di lungo periodo di un popolo
verso altri popoli, non di
una sparuta minoranza verso sparute minoranze.
Devono quindi sopravvivere
all'impegno degli arieti dei diritti umani.
Anche quando l'impegno e', come
nel caso di Dino Frisullo, di eccezionale
qualita'.
Sergio Briguglio
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Articolo di Dino Frisullo (Manifesto di sabato
scorso):
IMMIGRATI
Il 29 a Firenze, una giornata d'uscita dal
Centro
DINO FRISULLO *
M i attendo che a met gennaio, alla
riapertura delle Camere, l'amica e
deputata, Rosanna Moroni, recuperi
l'emendamento soppressivo dei centri di
detenzione elaborato due anni fa dalla Rete
antirazzista, proposto da lei
nella discussione sulla legge 40 e poi
"accantonato" insieme all'eccezione
d'incostituzionalit. Perch, come disse
l'attuale ministro della
Giustizia, da capogruppo del gruppo comunista
allora unito, non si poteva
mica far saltare
sull'immigrazione il governo Prodi. Mi attendo
che a Rosanna si associ
Domenico Maselli, allora relatore sulla legge,
che profetizz che "tanto i
centri non
si faranno, al pi metteranno un piantone
fuori dei centri Caritas". Che da
Manconi, domenica a Trapani, e da entrambi i
partiti eredi dell'allora Prc
venga
una solenne autocritica rispetto a quella
scelta, di cui pochi mesi dopo
proprio a Trapani si videro gli esiti. Che
Fava e Lumia non si limitino
alla denuncia
della sbarra assassina all'esterno della
camera a gas di Trapani, ma
insieme a Evangelisti pongano lo stesso
problema a Veltroni e D'Alema, nel
congresso
dei Ds.
Il problema di una legge che ha speso quasi
tutti i suoi fondi per
costellare l'Italia di galere surrettizie per
poveri cristi, mentre
profughi e immigrati non
trovano accoglienza e la "sanatoria"
(che doveva essere la contropartita
per i centri di detenzione), varata con un
anno di ritardo, a un altro anno
di distanza
vede un fiorente mercato di carte vere e false
e 150 mila esseri umani
ancora in attesa alle porte delle questure, le
quali negano pure il rinnovo
del soggiorno
ai disoccupati.
Mi attendo che in un soprassalto di civilt
giuridica la sinistra
parlamentare, tutta o in parte, contrapponga
al referendum leghista non la
difesa di una legge
in larga parte indifendibile, ma la modifica
della sua parte repressiva:
gli orrori di via Corelli, Ponte Galeria e
Trapani sono l'ovvio corollario
dell'enfasi
sulle espulsioni (il ricorso entro cinque
giorni!) e sul controllo di
polizia. Mi attendo pure che l'amico e
deputato verde, Saraceni, riporti
con forza in
parlamento le proposte, che allora anche lui
"accanton", sui diritti
civili: l'elettorato amministrativo, la doppia
cittadinanza, il
trasferimento ai comuni delle
competenze sul soggiorno. E mi piacerebbe
sapere se l'esperienza
ministeriale abbia cambiato le idee in
proposito di Rosa Russo Iervolino,
che allora
sottoscriveva la logica di queste proposte.
Non dico questo per amor di polemica, ma
perch oggi con la legge
sull'asilo, arenata a fronte degli sbarchi
quotidiani degli asilanti kurdi
e kossovari, con
la "sanatoria" ridotta a farsa
kafkiana e col marchio dell'infamia sui
centri di detenzione, ora di trarre un
bilancio e voltare pagina. Previa
autocritica non
solo dei partiti, ma di quella parte
dell'associazionismo (cristiano e
laico) che avvi allora la deriva verso i
"governi amici", lasciando la
Rete antirazzista a
far la parte della Pizia nella sola compagnia
dei giuristi democratici, del
manifesto e delle aree sociali che oggi
animano la contestazione dei centri
di
detenzione. Quella maggioranza
dell'associazionismo che ancora a fine '99,
con la sola eccezione dell'Asgi e dell'Ics,
accettava o subiva la proposta
governativa di mettere nei centri di
detenzione anche gli asilanti - oh
certo, in "sezioni speciali aperte".
Se non vi sar questo ripensamento, anche i
singoli parlamentari che hanno
condiviso la nostra indignazione rischiano, al
di l delle intenzioni, di
fare da
foglia di fico di un sistema politico che non
intende, nel suo complesso,
riaprire la questione dell'immigrazione e
dell'asilo nei termini di civilt
e diritti
rivendicati da un decennio di lotte ed
esperienze solidali. E la lotta
sacrosanta per "chiudere i lager, aprire
le frontiere" rester appannaggio
di una minoranza
garantista, certo nobile e legittima ma
testimoniale - e spesso divisa ben
oltre il necessario: speriamo che sappia
unirsi il 29 gennaio a Firenze,
dove il centro
di detenzione non ancora aperto e non s'ha
da aprire.
* Rete antirazzista