Date: 10:48 AM 5/10/00 +0100

From: Sergio Briguglio

Subject: Italia-Germania 3 a 3 (prima puntata)

 

Cari amici,

Enrico Pugliese mi ha invitato a mettere per iscritto le proposte avanzate,

a fine marzo, durante un seminario indetto da Maritati. Lo faccio un po'

per consentirgli di impallinarle piu' comodamente, un po' nella speranza

che ne derivi un dibattito allargato.

 

Per evitarvi crisi isteriche spezzo il messaggio in quattro puntate. Il

testo completo potete comunque trovarlo alla pagina

http://briguglio.frascati.enea.it/immigrazione-e-asilo/2000/maggio/

nel documento "mail-strategie-2.html".

 

Affrontero' due temi: il quadro normativo esistente, le modifiche strategiche.

 

1) Il quadro esistente.

 

Una legge sulla condizione dello straniero (un soggetto distinto dal

cittadino per il fatto che e' privo di un "diritto a soggiornare" e che

puo' quindi essere ammesso o allontanato dal territorio dello Stato) deve

indicare le condizioni in base alle quali il soggiorno e' consentito e

legale, e le misure per impedire il soggiorno illegale. Le misure

repressive, oltre a essere, a giudizio di molti, spiacevoli, sono di

difficilissima applicazione e, nei fatti, di scarsissima efficacia nei casi

in cui debbano riguardare una porzione non meramente residuale di un

fenomeno. Soprattutto quando il fenomeno nel suo complesso assuma

dimensioni non trascurabili. Un conto, per intenderci, e' individuare ed

allontanare dallo stadio qualche decina di "portoghesi", altro e' farne

uscire ottantamila. Consci di questa verita' e attenti al proprio interesse

economico, i presidenti delle squadre di calcio si premurano di mettere in

vendita i biglietti con congruo anticipo rispetto all'inizio della partita.

Non ne vendono in misura maggiore alla capienza dello stadio; tuttavia, se

la squadra ha successo e ogni settimana rimangono senza biglietto

quarantamila spettatori, un presidente sveglio contempla la possibilita' di

ampliare lo stadio.

 

Anche riguardo all'immigrazione andrebbe adottato lo stesso atteggiamento:

una volta fissata la misura in cui si vuol considerare positivo l'ingresso

e il soggiorno di migranti, ci si dovrebbe accertare che, entro quei

limiti, ingresso e soggiorno non siano inutilmente ostacolati. Solo

successivamente - sul piano logico - ci si dovrebbe dedicare

all'individuazione e all'attuazione delle misure repressive per quanto

esubera da quei limiti e, quindi, non e' considerato accettabile; con un

occhio, pero', alla eventuale necessita' di ritoccare anche sensibilmente

la stima di quanto e' benvenuto, alla luce di considerazioni di

opportunita' economica, politica e - perche' no? - etica.

 

Il Testo unico sull'immigrazione offre gli strumenti per effettuare, anche

frequentemente, queste revisioni, e per fissare vie percorribili di

ingresso legale. Li offre, ma non li impone; gran parte della sua efficacia

e' cosi' lasciata all'applicazione che ne viene data. Vediamo perche'.

 

L'ingresso per lavoro subordinato e' possibile, entro le quote fissate dal

decreto flussi, a seguito di una chiamata nominativa da parte di un datore

di lavoro. La cosa entusiasma i politici di tutti gli schieramenti, che, di

fronte all'idea di un immigrato che entra con la certezza di un posto di

lavoro, sono disposti a commuoversi ed applaudire come se si trattasse di

Rivera in Italia-Germania 4 a 3. Sfortunatamente entusiasma molto meno gli

imprenditori, che, dovendo assumere - poniamo - un guardiano notturno, a

Rivera preferirebbero Bertini, e non se la sentono di scegliere al buio -

sulla base, cioe', al piu', di un nome letto in una lista. Gli

imprenditori, anche quando votano per Berlusconi, Bossi o Fini, sono,

riguardo al problema dell'assunzione di un lavoratore, di un antirazzismo

esemplare. Per loro un lavoratore e' da assumere se - per semplificare - il

prodotto di una sua ora di lavoro eccede, al prezzo di mercato, il salario

che per quell'ora gli devono corrispondere. Che sia bianco, nero, giallo o

a pallini e' cosa che li intriga quanto la meccanica quantistica intriga

Rutelli. Vorrebbero pero' poterlo vedere all'opera prima di firmare un

contratto. In mancanza di questa possibilita' esplicita, la chiamata

nominativa continua a funzionare come ha sempre funzionato: per dare

regolarita', ex post, a un rapporto di lavoro nato nell'irregolarita': lo

straniero e' in Italia; incontra il datore di lavoro; comincia a lavorare

in nero; da' un saggio della sua produttivita' marginale; il datore di

lavoro capisce che non deve rischiare di perderlo, va all'ufficio

provinciale del lavoro e avvia la procedura per la chiamata come se lo

straniero stesse a Rabat, a Tirana, a Bucarest.

 

Tutto, quindi, rispetto alla chiamata nominativa, rimane come prima. O

meglio: tutto rimarrebbe come prima se in Italia, oltre ai magistrati,

fossero soggetti alla legge anche i burocrati. Perche' dovete sapere - e

certamente lo sapete - che il datore di lavoro che va all'ufficio

provinciale del lavoro si vede chiedere, secondo quanto stabilito

dall'articolo 30, comma 3, lettera c) del Regolamento, la dimostrazione

della propria capacita' economica. La cosa - sia detto per inciso - e' del

tutto priva di rilevanza, giacche' il datore di lavoro sta firmando un

contratto col quale si impegna a retribuire in modo adeguato il lavoratore.

Si obietta: ma se il datore di lavoro e' uno spiantato e finisce poi per

non essere in grado di garantire la retribuzione al lavoratore? Rispondo:

faccia come farebbe se il lavoratore fosse italiano; lo licenzi. Lo

licenzi? - chiedono indignati gli obiettori - Ma come? e la giusta causa? e

il giustificato motivo? Rispondo: ma ci siamo accorti che, mentre

pretendiamo giuste cause e giustificati motivi, il mondo reale va avanti

con datori di lavoro che fanno firmare al lavoratore fogli di dimissione

senza data? E cosa e' preferibile: un rapporto di lavoro che si tronca

senza giustificato motivo o uno che, per l'incombere del tabu' del

licenziamento, non nasce proprio o resta irregolare e incontrollabile sotto

tutti gli aspetti?

 

In attesa delle risposte degli interlocutori giuslavoristi, chiudo l'inciso

e torno ai nostri burocrati. Si', perche' non ci sarebbe niente di

drammatico se la norma del Regolamento venisse applicata con buon senso.

Qualcuno dei nostri burocrati, invece, e' riuscito a dare una

quantificazione (assente nella normativa, assente anche nel vademecum

pubblicato dal Ministero dell'interno) al reddito annuo necessario per

procedere alla chiamata nominativa: ottantacinque milioni! Delle due l'una:

o il burocrate in questione prende sette milioni al mese e, conscio della

sua pochezza, da' per scontato che tutti gli italiani - ai quali riconosce

superiorita' di meriti - viaggino agli stessi livelli; o ritiene che

genitori anziani e invalidi bisognosi di assistenza siano prerogativa di

gioiellieri all'ingrosso e professionisti di golf, il ceto medio

provvedendo invece a farne confezioni di Manzotin da vendere al mercato

nero.

 

In questo contesto restano fuori sia Bertini sia Rivera, ed e' difficile

meravigliarsi se Italia-Germania finisce 3 a 3. Per andare in finale si

puo' allora sperare solo nell'articolo 23, quello sulla sponsorizzazione.

E' un articolo che e' nato in due fasi: i primi tre commi facevano parte

del disegno di legge del Governo; il quarto fu inserito, sotto forma di

emendamento governativo, per tener conto della pressione esercitata da una

parte della maggioranza sensibile agli argomenti esposti dalle ONG. Nella

versione definitiva prevede (primi tre commi) che, fissata nel decreto

flussi una quota di ingressi per inserimento nel mercato del lavoro, i

lavoratori possano entrare - a cercare lavoro sul posto - sulla base di una

garanzia di mantenimento presentata, entro sessanta giorni dalla

pubblicazione del decreto flussi, da uno sponsor (cittadino italiano o

straniero, o ente). Trascorso quel termine, possono entrare (quarto comma)

i lavoratori iscritti in liste tenute dalle Rappresentanze diplomatiche o

consolari italiane e basate sull'anzianita' di iscrizione. La ratio che sta

dietro a questo articolo e' evidente alla luce del problema Rivera-Bertini

descritto sopra - la necessita', cioe', di un incontro diretto, sul posto,

tra datore di lavoro e lavoratore. Quella, in particolare, che sta dietro

al quarto comma e' evidente se, lasciato il punto di vista del datore di

lavoro, si abbraccia per un momento quello del lavoratore straniero: cosa

fa se non ha nessuno che lo sponsorizzi dall'Italia? languisce ai bordi

della piscina di Betsaeta' o si affida ai servigi di uno scafista? Il

quarto comma offre - per dirla con una persona che l'ha capito - una luce,

sia pur tenue, in fondo a quello che, altrimenti, sarebbe un tunnel

completamente buio.

 

Funziona tutto questo? Potrebbe, ma non funziona ancora. Sui primi tre

commi grava la maledizione dei sessanta giorni. Il limite per presentare la

richiesta completa di documentazione - riguardo al quale, se distraete per

un momento il mio narcisismo, confessero' di aver detto e fatto anch'io

delle poderose stupidaggini - risulterebbe adeguato a regime - in una

situazione, cioe', in cui banche e assicurazioni sapessero dove mettere

mani per stipulare le fideiussioni richieste dal Regolamento e -

soprattutto - in cui i Comuni fossero agili nell'accettare

autocertificazioni in relazione all'abitabilita' dell'alloggio destinato

allo straniero. La situazione, cioe', che si avra', se tutto va bene, il

prossimo anno. Non quest'anno.

 

Alla scadenza temporale non sarebbero assoggettate le sponsorizzazioni

presentate da associazioni e da enti locali, ma associazioni e enti locali

non sembrano fulmini nell'avvalersi di questa facolta'. Non sta a me

giudicarli. Ma si giudicano da soli se e quando pontificano in favore del

principio di sussidiarieta' (meno Stato, piu' decentramento, piu' privato)

o contro "l'ennesima sanatoria".

 

Il limite dei sessanta giorni era pensato perche' non si sovrapponessero

due canali di ingresso: quello relativo ai primi tre commi e quello

relativo al quarto comma. La cosa puo' far sorridere in una societa'

rivoluzionata da Internet: che difficolta' ci puo' mai essere a gestire

simultaneamente due flussi di richieste in concorrenza tra loro se queste

richieste vengono registrate e trasmesse per via informatica? L'Italia

della pubblica amministrazione pero' e' altra cosa; fosse per lei, Bill

Gates oggi lavorerebbe come foca ammaestrata al Circo Zavatta. Una cosa

comunque e' certa: non ha senso stoppare gli ingressi sponsorizzati se

quelli ex comma 4 per qualche ragione non possono aver luogo. E di ragioni

del genere ce ne sono, purtroppo, almeno due. La prima e' di carattere

contingente: non sono state ancora istituite le liste. La cosa mi commuove

come mi commuovevano, anni fa, i misteri dell'universo. Capisco che il

personale di consolati e ambasciate possa essere esitante ad accettare una

incombenza nuova, ma - mi chiedo - cosa farebbero al consolato italiano a

Sofia, anche senza l'incombenza nuova, se diecimila bulgari chiedessero un

visto di ingresso per turismo? Verosimilmente, registrerebbero le

richieste, annotando, tra le altre cose, la data e il nome del richiedente.

Bene: compilare una lista di prenotazione equivale a registrare analoghe

richieste su uno stesso foglio di carta. Finche' lo spazio non e' esaurito.

Poi, si passa a un nuovo foglio, e cosi' via, con numerazione progressiva

dei fogli e, se occorre, pinzatura degli stessi in un unico fascicolo. Si

spedisce poi i tutto per posta celere. Se si dispone di un computer, magari

corredato con il software prodotto dalla foca del Circo Zavatta, si puo'

risparmiare carta e spedire il risultato della registrazione per posta

elettronica. Un computer del genere costa un paio di milioni. E' quello che

un immigrato clandestino spreca per arrivare in Italia con gli scafisti.

Forse, si potrebbe fare una colletta...

 

La seconda ragione e' di carattere strutturale: oltre ad essere iscritto in

una lista di prenotazione, lo straniero che voglia entrare in Italia a

cercare lavoro sulla base del quarto comma deve soddisfare i requisiti

fissati da Regolamento. Questo si limita a rinviare a limiti e modalita'

(non "requisiti") fissati dal decreto flussi. Il decreto, per quest'anno,

non pone altro limite che quello numerico e quello, relativo alle liste, di

cui si e' detto. C'e' pero' una direttiva, emanata dal Ministro

dell'interno ai sensi dell'articolo 4, comma 3, del Testo unico, che fissa

i requisiti relativi alla disponibilita' di mezzi di sostentamento per ogni

tipo di ingresso. Per l'ingresso in questione e' stabilito che lo straniero

debba disporre di un ammontare pari a circa cinque milioni (meta'

dell'importo annuo dell'assegno sociale piu' l'occorrente per

l'assicurazione sanitaria) e delle risorse necessario per l'eventuale

rimpatrio. Lo straniero deve inoltre indicare l'esistenza di idoneo

alloggio in Italia.

 

Queste richieste non tengono conto del parere espresso,  in sede di esame

del Regolamento, dalla Commissione affari costituzionali della Camera, con

cui si raccomandava che non venissero imposte condizioni ulteriori, di

natura economica, all'ingresso in questione. Ora, mentre il requisito

relativo alle risorse finanziarie puo' risultare ragionevole, quello

relativo all'indicazione di un alloggio rischia di risultare

insormontabile, a meno di non costringere l'immigrato a dissipare i suoi

cinque milioni, in due mesi, in una pensione preventivamente prenotata. Non

essendovi, infatti, alcuna struttura di accoglienza che non sia gia'

completamente saturata da profughi e richiedenti asilo, difficilmente

rimpatriabili, non si vede come il tunisino o l'albanese privo di contatti

in Italia (che' di loro stiamo parlando) possa individuare, dal proprio

paese, un alloggio disponibile.

 

Il pericolo che domanda e offerta di lavoro continuino a restare separati o

che debbano cercare incontri fuori dalla legalita' e' parzialmente

scongiurato da due disposizioni contenute nel decreto flussi. Con la prima

si prende atto della mancata istituzione di liste nel generico consolato

italiano e si stabilisce, per quest'anno, di riservare l'ingresso per

ricerca di lavoro auto-sponsorizzata ai lavoratori di Albania, Marocco,

Tunisia e, probabilmente, Romania - paesi con i quali l'Italia ha stabilito

intese per la riammissione degli espulsi e ai quali destina un trattamento

priviegiato per gli ingressi per lavoro. E' un modo per impegnarsi ad

attivarle, quelle liste, e per scoprire come l'impresa non richieda audacia

soverchia. Quanto al problema alloggio, poi, la necessita' di porvi

soluzione potrebbe stimolare un intervento, delle istituzioni e della

societa', capace di dare, simultaneamente, risposta ai due timori piu'

diffusi che l'auto-sponsorizzazione suscita: il timore di un ingresso che

dia scarse risposte alle specifiche esigenze del mercato del lavoro, e

quello di una presenza in Italia di soggetti deboli e abbandonati a se

stessi. L'intervento potrebbe consistere - saccheggio qui tra le proposte

altrui - in un investimento congiunto del mondo imprenditoriale, degli Enti

locali e dello Stato in corsi di formazione, residenziali, che accompagnino

i migranti in cerca di lavoro nella fase di primo inserimento e li

esonerino dal ricorso alla divinazione per il reperimento preventivo di un

alloggio. Ha un costo? Si', come tutti gli investimeni. Ma, come tutti gli

investimenti, puo' restituire un interesse non trascurabile in termini di

migliore inserimento dell'immigrato, minor tensione nella societa', maggior

produttivita' del lavoratore, minor probabilita' di fallimento

dell'esperienza migratoria e, quindi, minor necessita' di interventi, assai

piu' costosi e dolorosi, per l'allontanamento di stranieri indesiderati.

 

(1. continua)