Date: 9:12 AM 5/12/00 +0100

From: Sergio Briguglio

Subject: Italia-Germania 3 a 3 (terza ed ultima puntata)

 

Cari amici,

ecco l'ultima puntata del polpettone che potete trovare, in

versione completa, alla pagina

http://briguglio.frascati.enea.it/immigrazione-e-asilo/2000/maggio/

nel documento "mail-strategie-2.html".

 

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2) Le modifiche.

 

Chi di voi sia arrivato incolume fino a questo punto puo' sentirsi

certamente legittimato, se condivide l'analisi della normativa in vigore

fin qui svolta, ad invocare un drastico ripensamento del quadro di

riferimento. Liquidati i ripensamenti di marca restrittiva come capaci solo

di accentuare lo spreco di energie che consegue all'impostazione attuale,

provo a prendere brevemente in esame quelli di segno opposto, che prediligo.

 

Personalmente subisco il fascino del libero mercato. Lo subisco da fisico.

Il fisico sa risolvere solo equazioni di primo grado o, se e' giovane, di

secondo. Di fronte ad ogni altra equazione cerca di amputarla di tutti i

termini (sperabilmente piccoli) che la separano dal novero di quelle che

lui sa risolvere. In quest'ottica, il libero mercato - un mercato in cui le

quantita' scambiate e il loro prezzo dipenda dall'equilibrio tra la domanda

di molti microscopici acquirenti e l'offerta di molti microscopici

venditori - e', in prima approssimazione, una buona soluzione di molti

problemi economici. Ha infatti il pregio di massimizzare il profitto

complessivo, senza che nulla vada sprecato a seguito dell'imposizione di

prezzi e quantita' diverse da quelle di equilibrio. Quelli tra voi che

cominciano ad avvertire un principio di orticaria possono bloccarlo

immediatamente riflettendo sul fatto che un tipico esempio di mercato non

libero (non affidato cioe' alla libera concorrenza) e' quello dominato da

un potere monopolistico. Converranno allora con me - forse - nel

concludere, sulla concorrenza, che "libera e' bella". A dispetto della

forfora.

 

La frequentazione di persone che stimo profondamente e che spendono la loro

vita per riparare i guasti di una societa' che, in fondo, l'idea di libero

mercato l'ha sposata mi richiama spesso a considerare che, mentre, quando

si tratta di particelle energetiche in un tokamak, il trascurare dei

termini nelle equazioni al peggio fa pubblicare articoli inutili sulle

riviste scientifiche (senza pero' che quelle particelle se ne abbiano a

male), quando si tratta di mercato del lavoro, di economia, di politica, le

semplificazioni, se usate per prendere decisioni, possono ammazzare la

gente. Il che ancora non significa che le semplificazioni siano di per se'

deleterie; le conclusioni che se ne traggono, anzi, possono far da guida

per lo sviluppo del dibattito, ma necessitano di correzioni.

 

Credo che per l'immigrazione ci si trovi, oggi, in una situazione di questo

genere. L'idea di liberalizzare i movimenti migratori e di lasciare che sia

la libera concorrenza nel mercato del lavoro a determinare i salari di

equilibrio e, con essi, la convenienza di un inserimento nella societa'

ospite e, in definitiva, il numero di immigrati effettivamente presenti in

ogni istante e', in prima battuta, accattivante. Spariscono, infatti, dal

rosario di problemi elencati prima, tutti quelli associati a liste di

prenotazione, requisiti per l'ingresso e per il rinnovo del permesso,

incontro tra domanda e offerta di lavoro, allontanamenti dal territorio

dello Stato, centri di permanenza temporanea, etc. D'altra parte, le

persone che stimo profondamente mi ricordano - anche con la loro semplice

presenza - che ci sono almeno due pericoli dietro l'angolo della

semplificazione. Il primo e' associato al fatto che i salari di equilibrio,

in presenza di un'offerta di lavoro di molto accresciuta dal flusso

migratorio, possono cadere al di sotto dei livelli che anni di progressi

sociali ci hanno abituato a considerare "minimi". Essendo questi livelli

ben piu' alti di quelli - realmente minimi - che caratterizzano molti paesi

sottosviluppati, il flusso di immigrazione non avrebbe motivo di arrestarsi

spontaneamente, dal momento che un inserimento "al di sotto del minimo",

inaccettabile dal nostro punto di vista, sarebbe percepito comunque come

vantaggioso dall'immigrato. Questa circostanza porrebbe la politica di

fronte a un bivio: lasciare che i lavoratori nazionali, in concorrenza con

quelli stranieri, vedano precipitare il loro tenore di vita al di sotto

delle soglie minime o ripristinare, con sussidi selettivi, gli standard di

chi - nazionale - e' danneggiato dall'ingresso degli stranieri, lasciando

poi che questi ultimi valutino da se' la convenienza della propria

condizione, basata sul solo salario di equilibrio. Notate che, se il

divario tra le due concezioni (nazionale e straniera) delle condizioni

"minime" e' sufficientemente ampio, qualunque tentativo di includere i

lavoratori stranieri tra i beneficiari di sussidi, evitando

discriminazioni, si tradurrebbe, per la finitezza delle risorse a

disposizione, nella necessita' di porre un limite al flusso di immigrazione

prima che esso si sia arrestato spontaneamente e, quindi, nel ritorno a una

politica di frontiere controllate.

 

Nel secondo pericolo ci si imbatte quando il flusso di immigrazione, caduti

i salari di equilibrio a livelli prossimi a quelli considerati minimi anche

da chi provenga da un paese sottosviluppato, dovrebbe arrestarsi. Nel mondo

ideale e in quello dei fisici teorici (che a quello ideale molto si

avvicina, prestanza fisica a parte) l'equilibrio viene raggiunto in modo

indolore: ogni lavoratore ha una conoscenza perfetta di cio' che lo aspetta

nel paese di immigrazione; sa valutare esattamente quale sara', al suo

ingresso, il nuovo salario di equilibrio e scegliere lucidamente se migrare

o meno e, in ogni caso, ogni suo passo e' perfettamente reversibile. Nel

mondo reale l'informazione e' imperfetta e i processi sono, in una certa

misura, irreversibili. Cosi', se superate con un bel balzo un fossato zeppo

di coccodrilli largo cinque metri e, atterrando, scoprite che siete finiti

nelle sabbie mobili, un conto e' che decidiate di fare un balzo,

altrettanto bello, in senso inverso, altro e' che riusciate a farlo. Allo

stesso modo, se l'immigrato scopre al suo arrivo, o dopo un po' di tempo,

che le condizioni di inserimento sono peggiori di quanto lui stesso reputi

il minimo accettabile, e' possibile che non sia piu' in grado di invertire

la marcia e tornare in patria. Si creano allora sacche di emarginazione

sostanzialmente incurabile: nel momento infatti in cui si tentasse di porvi

rimedio con misure assistenziali di qualunque genere, si manderebbe allo

stesso tempo un segnale, ai potenziali migranti, tale da alterare la

percezione relativa alle condizioni di inserimento effettivo nel paese di

immigrazione; le sacche di emarginazione, appena rimosse, verrebbero

rapidamente rimpiazzate da nuove analoghe sacche.

 

Se ne puo' concludere che, finche' permane un forte divario tra il tenore

di vita sperimentato, nel paese di origine, dal migrante e quello "minimo

accettabile" nei paesi di destinazione, e finche' la reversibilita' del

movimento migratorio non e' piena, una completa liberalizzazione

dell'immigrazione puo' risultare impraticabile. Tuttavia, dal momento che

l'abbattimento del divario tra paesi ricchi e paesi poveri deve mantenere

un carattere di traguardo della politica - sia pure di una politica di

lungo periodo - e che quell'abbattimento sarebbe accompagnato da una

maggior fluidificazione e reversibilita' dei movimenti migratori (il

fossato andrebbe restringendosi), quella stessa liberalizzazione deve

costituire l'obiettivo verso cui far tendere, su un piano strategico, le

modifiche - di breve periodo - della normativa e della politica di

immigrazione.

 

Tre sono le principali linee di pensiero riguardo alle modifiche da

apportare in questa direzione. La prima e' quella tradizionale, per

l'Italia, della sanatoria. E' una modifica che consiste nell'adozione di

una norma transitoria, ed equivale a una liberalizzazione dell'immigrazione

ex post. Ha il pregio di riparare i danni di una politica eccessivamente

restrittiva (lo e' stata certamente, sul piano formale, quella degli anni

90). Ha il difetto di sposarsi male con una normativa sulla condizione

dello straniero che, per il resto, non e' affatto ispirata a criteri di

libero mercato. In un contesto, cioe', in cui al possesso del permesso di

soggiorno consegue il diritto ad accedere - almeno sulla carta - a un

pacchetto di diritti sociali, il dare legalita' a un soggiorno

originariamente non autorizzato e' visto come un costo. Si tenta allora -

e' quello che si e' fatto nel '95 e nel '98 - di cautelarsi da questo costo

introducendo dei requisiti restrittivi per la legalizzazione (il vezzo e'

allora quello di parlare di regolarizzazione, piuttosto che di sanatoria),

ed e' il caos. Non dico - sia chiaro - che le sanatorie non vadano fatte,

ma devono essere vere sanatorie, e a gestirle devono essere dei veri

ministri dell'interno.

 

La seconda linea di pensiero e' quella della cosiddetta regolarizzazione a

regime sostenuta da molti autorevoli esponenti dell'associazionismo e del

mondo dei giuristi - penso al Frisullo dei bei tempi in cui si occupava di

immigrazione, a Palombarini, a Pepino e a molti altri esponenti dell'ASGI

-, ma ha trovato simpatie anche in ambiti istituzionali - penso ad Adriana

Vigneri. Consiste nell'ipotizzare l'accesso al permesso di soggiorno per

quello straniero che, entrato illegalmente, abbia conquistato sul posto

alcuni prefissati requisiti di inserimento. E' ovviamente una linea di buon

senso, giacche' suggerisce che per lo straniero di fatto inserito e' del

tutto inutile adottare provvedimenti repressivi come l'espulsione, la

detenzione nei centri e simili. Rispetto allo strumento della sanatoria (o

della regolarizzazione) "una tantum" presenta il vantaggio della scarsa

visibilita' - non stimola cioe' Gasparri ad esprimere, con la profondita'

che tutti gli invidiano, i due o tre concetti di cui e' padrone. Ha il

difetto - a mio parere - di una certa dose di ambiguita': se il possesso

dei requisiti per la legalizzazione fa maturare una mera facolta' di

richiedere la legalizzazione, questa restando soggetta al potere

discrezionale dell'amministrazione, la condizione dello straniero finisce

per sfuggire a quella riserva di legge cui la sottopone - proteggendola -

l'articolo 10 della Costituzione. In caso contrario - se cioe' lo straniero

matura un diritto alla legalizzazione - ogni politica di quote va a farsi

benedire: che senso avrebbe aspettare in patria l'ammissione in Italia, se

posso andare in Italia a conquistarmi, eludendo la lentezza della politica

e della burocrazia, un permesso di soggiorno? In entrambi i casi, poi, la

legalizzazione conseguirebbe a un periodo - probabilmente lungo - di

nascondimento nell'illegalita', senza alcuna possibilita' di ricorso alla

protezione delle leggi - ricorso che potrebbe inopinatamente interrompere

il cammino verso la regolarizzazione.

 

La terza linea di pensiero ha per me il pregio, quasi ineguagliabile, di

essere la mia. E forse ora anche di alcuni salernitani illuminati. La

indichero', in loro onore, come la linea della Scuola Salernitana. Parte

dall'osservazione che a militare contro la possibilita' di liberalizzare

completamente i flussi sono, per quanto detto prima, il rischio che il

migrante si inserisca a livelli inaccettabili in base al comune sentire

della societa' di accoglienza o, addirittura, al suo proprio modo di

vedere, e che, allo stesso tempo, non possa ritrarsene per mancanza dei

mezzi necessari al ritorno in patria. Tiene pero' conto, questa terza

linea, del fatto che gli sbarramenti oggi adottati per pararsi da questo

rischio -  la programmazione di quote fondata sulla rilevazione delle

necessita' del mercato del lavoro, la chiamata nominativa, l'ammontare dei

mezzi di sostentamento da garantire per l'inserimento nel mercato del

lavoro o per il rinnovo del permesso - finiscono per risultare cosi' ardui

da valicare da rendere appetibile e competitivo il servizio offerto da

trafficanti e scafisti. Si tratta allora di salvare le capre

dell'inserimento minimo con i cavoli di un accesso non proibitivo al

mercato del lavoro.

 

La soluzione puo' consistere nel consentire, accanto agli ingressi

determinati sulla base della programmazione di quote, una forma di ingresso

piu' fluida. Lo straniero e' ammesso a condizione che depositi un biglietto

di viaggio di ritorno (da utilizzare per l'eventuale rimpatrio) e dimostri

di avere mezzi di sostentamento - proporzionati all'importo dell'assegno

sociale - sufficienti per un soggiorno di breve durata (tre mesi, tanto per

non creare inutile scompiglio nella normativa esistente). Puo', durante

questo periodo, svolgere attivita' di lavoro autonomo - occasionali, per

definizione. Puo' anche, ad ogni scadenza del permesso, rinnovarlo per

altri tre mesi, a condizione che dimostri di disporre di un ammontare di

risorse pari a quello richiesto per l'ingresso. Puo' infine convertire il

permesso in due casi: se ha la possibilita' di stipulare un contratto di

lavoro subordinato o se, dopo un prefisato numero di rinnovi del permesso

(ad esempio, tre), e' in grado di dare stabilita' alla propria attivita' di

lavoro autonomo (con l'iscrizione a un albo, ad esempio, se richiesta).

Qualora si voglia mantenere un controllo sul numero complessivo di accessi

stabili al soggiorno per lavoro (cosa che, ovviamente, non obbedisce ad

alcun criterio razionale di rilievo), si puo' imporre la condizione

supplementare, per la conversione, che la richiesta non ecceda la quota

fissata col decreto di programmazione dei flussi.

 

Il rischio - mi metto qui nei panni di chi fatichi ad abbandonare la

cultura del controllo di polizia - che lo straniero si sottragga alla

periodica verifica dei mezzi di sostentamento, e che quindi si trasformi in

un irregolare irreperibile, potrebbe essere scongiurato - grazie

all'ingresso originariamente regolare - archiviando insieme, al momento del

rilascio del permesso, gli estremi del documento di viaggio e le impronte

digitali. Il disappunto di fronte alla prospettiva di un tale generalizzato

rilevamento delle impronte - e mi metto ora nei panni di chi la cultura del

controllo di polizia l'ha sempre aborrita - e' mitigato dal considerare

che, in fondo, le impronte digitali sono assimilabili a foto-tessera molto

contrastate (grazie all'inchiostro), di soggetto diverso dall'usuale (dita,

anziche' volto), e ad alta risoluzione...

 

Non sto a rubarvi tempo e pazienza in spiegazioni pedanti di come e perche'

questo meccanismo inietti liberta' ed efficienza in una politica

dell'immigrazione. Vi invito pero' ad oservare come si tratti di una

riforma... gia' fatta. Tutti i suoi elementi essenziali sono, infatti, gia'

nascosti nella normativa vigente, e, al piu', richiedono un po' di buon

senso in sede interpretativa. Cosi', ad esempio, l'ingresso per soggiorno

di breve durata e' previsto, previa dimostrazione di disponibilita' di

mezzi (che andrebbe solo ridimensionata, rispetto al caso del turista, per

questo "turista-lavoratore"). La possibilita' di svolgimento di attivita'

occasionali di lavoro autonomo non e' esclusa (solo per quelle non

occasionali esiste una disciplina precisa). La conversione di un permesso

di soggiorno di breve durata in un permesso per lavoro autonomo e' ammessa

- come gia' detto - dall'articolo 39, comma 7 del Regolamento (in questo

caso, la dimostrazione di capacita' reddituale risulterebbe suddivisa in

"comode rate trimestrali"). La facolta' di convertire un permesso di breve

durata in uno per lavoro subordinato in presenza di una documentata

opportunita' di assunzione dovrebbe infine essere garantita dall'articolo

5, comma 9 del Testo unico, che stabilisce che "il permesso ... e'

convertito ... se sussistono i requisiti ... per altro tipo di permesso da

rilasciare in applicazione del presente testo unico".

 

Uno degli aspetti messi in rilievo - anche nel seminario di cui vi dicevo -

in relazione all'inserimento degli immigrati nel mercato del lavoro e' che

possono esere distinte, nell'esperienza vissuta in Italia, tre fasi: una

prima, in cui la condizione dello straniero e' di doppia irregolarita'

(soggiorno e lavoro); una seconda, in cui la legalita' del soggiorno e'

conquistata (grazie a sanatorie, fino ad oggi) ma il lavoro continua ad

essere in nero; una terza, in cui anche la condizione lavorativa perviene a

regolarita'. Tutti - o almeno coloro che vogliono una piena

liberalizzazione di movimenti migratori e rapporti lavorativi confinata tra

le pure idealizzazioni - sarebbero felici se ingresso e accesso al lavoro

potessero essere caratterizzati da immediata regolarita'. La proposta or

ora delineata potrebbe servire a garantire una maggior facilita' - rispetto

a quanto sperimentato fino ad oggi - di accesso al soggiorno legale. Puo'

essere completata da alcune considerazioni - vedo gia' Enrico Pugliese che

carica la doppietta - sull'accesso al lavoro regolare.

 

Parto dall'osservazione di un dato: vi e' un forte dislivello tra la

quantificazione del "livello minimo" al di sopra del quale l'immigrato e'

considerato "accettabilmente inserito" (l'importo dell'assegno sociale) e

la retribuzione che un immigrato percepisce per un lavoro, in regola, a

tempo pieno (a spanne, il doppio dell'assegno sociale). La gamma di livelli

intermedi potrebbe essere coperta allora - senza scandalo, a mio parere, e

con vantaggio sia del lavoratore, sia del datore di lavoro - se fosse

consentito un abbassamento del costo del lavoro, anche in corrispondenza ad

impieghi regolari. Si puo' obiettare - riprendendo argomenti esposti in

precedenza - che questo farebbe degradare il tenore di vita dei lavoratori

italiani - quanto meno, di quelli meno qualificati - o che, se si tentasse

di proteggere questi ultimi, si lascerebbero entrare nelle dinamiche del

mercato del lavoro pericolosi elementi di discriminazione. Il parametro da

inserire nel modello per argomentare contro queste obiezioni e' il tempo:

l'abbassamento del costo del lavoro puo' riguardare i lavoratori in fase di

primo impiego o, comunque, nei casi di bassa anzianita', ed essere via via

riassorbito al crescere di questa. Il fattore discriminazione verrebbe

cosi' meno, non rilevando, nel computo dell'anzianita', l'origine del

lavoratore.

 

Sono - credo - idee gia' sentite, e le espongo al vostro sorriso di

commiserazione. In un sussulto di orgoglio, cerco pero' di spegnere il

sorriso sulle vostre labbra chiedendovi quale esito abbia, invece, l'azione

repressiva nei confronti del lavoro nero, quanta parte della presunta

disoccupazione italiana - su cui continuiamo a dedicare le nostre ansie -

sia veramente tale, e, infine, cosa restera' dell'idea di lavoro

subordinato, se potro' surrogarlo con prestazioni di lavoro autonomo per le

quali contrattero' liberamente il compenso?

 

In attesa della replica di Enrico Pugliese e/o di un vostro cortese cenno

di riscontro, vi appioppo i miei piu'

 

cordiali saluti

sergio briguglio