Date: 5:25 PM 6/8/00 +0200

From: Sergio Briguglio

Subject: articolo sul Manifesto

 

Cari amici,

vi mando il testo dell'articolo, pubblicato oggi dal Manifesto, in risposta a quello di Bolaffi, di domenica scorsa, sul Corriere.

 

Cordiali saluti

sergio briguglio

 

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Guido Bolaffi, in un articolo apparso domenica sul Corsera, stigmatizza "la rumorosa mobilitazione organizzata in varie citta' da gruppi di immigrati senza permesso di soggiorno". Per disfarsi, senza spreco soverchio di energie intellettuali, di un problema complesso, Bolaffi accomuna la protesta di chi ha presentato istanza di regolarizzazione da oltre un anno e mezzo a quella, ipotetica, di chi entrera' domani o dopodomani, clandestinamente, in Italia. Suscitato lo sdegno del lettore medio di fronte a quest'ultima proterva pretesa, Bolaffi non ha difficolta' a indirizzarne, cosi', il furore anche contro l'altra, piu' moderata, richiesta. A condizione, naturalmente, che il lettore medio sia un perfetto imbecille o si accosti per la prima volta alle questioni di politica dell'immigrazione. Nel tentativo di recuperare alla realta' dei fatti almeno il profano normodotato, provo a ripercorrere date ed elementi salienti della vicenda di questa regolarizzazione.

 

La legge 40 entra in vigore nel marzo '98. E' una legge organica e pone le basi per una politica effettiva dell'immigrazione. Intelligenza vorrebbe che, girando pagina rispetto a una dozzina d'anni di mancata gestione del fenomeno, si dia una chance di accesso alla legalita' a chi da quella sia stato escluso dalla assoluta e riconosciuta assenza di canali di ingresso regolare concretamente percorribili. L'intelligenza pero' e' in ferie in quel periodo, e bisogna aspettare altri sette mesi (ottobre '98) per il varo di un provvedimento che avvii il processo di regolarizzazione. Vengono fissati i requisiti per il rilascio del permesso (possesso di un documento di identita', opportunita' di lavoro, disponibilita' di alloggio, prova di presenza in Italia anteriore al 27 marzo '98) e una data limite per la presentazione delle istanze (il 15 dicembre '98). Viene anche fissato un tetto di trentottomila permessi rilasciabili, confidando di poter utilizzare successivi decreti-flussi per assorbire le eventuali domande in eccesso.

 

Al 15 dicembre le istanze presentate sono piu' di trecentomila (le domande complete di documentazione saranno poi duecentocinquantamila). Si preferisce allora emanare un decreto legislativo, con il quale si rimuove il tetto, ma si lasciano - purtroppo - inalterati i requisiti. Dico "purtroppo" per almeno due ragioni. La prima ha a che fare con la prova di presenza. Esigerla, nell'ottobre '98, aveva lo scopo di evitare il cosiddetto effetto di richiamo - che entrassero, cioe', da allora al successivo 15 dicembre, stuoli di clandestini attratti dal miraggio di un permesso "facile". Continuare a chiederla nel maggio '99, quando entra in vigore il decreto legislativo, a persone che - testimoni i questori - trovavansi in Italia almeno dal 15 dicembre '98 e' cosa che con il contrasto dell'effetto di richiamo non c'entra piu' nulla. Non stupirebbe cosi' se il contribuente medio - dotato o meno - si chiedesse irritato perche' mai centinaia di poliziotti siano stati impegnati per un anno e mezzo a datare col Carbonio 14 registri della Caritas o di associazioni sindacali, quando sarebbe stato sufficiente ridefinire - col decreto legislativo - la data limite per la presenza in Italia.

 

La seconda ragione riguarda i requisiti relativi ad alloggio e lavoro. Premiare chi dimostri di essere pervenuto ad un inserimento sostanzialmente stabile e' cosa che si sposa perfettamente con quella liberalizzazione dell'immigrazione che Bolaffi, nel suo articolo, mostra di aborrire: si lascia che gli stranieri attraversino a piacimento le frontiere, ma, per riconoscere loro il diritto di beneficiare delle misure dello stato sociale, si richiede - per esempio - che dimostrino di saper raggiungere, con le loro forze, una relativa autosufficienza in un lasso di tempo prestabilito. E' invece cosa che si sposa molto male con una regolarizzazione una tantum: una fotografia, a un fissato istante, della condizione di inserimento dell'immigrato che non tenga conto ne' del tempo speso in Italia dallo straniero ne' delle esperienze di inserimento abitativo o lavorativo pregresse nulla dice sulla sua capacita' di adattamento alla societa' che lo ospita. Il matrimonio e' poi disastroso se, data la solerzia dell'amministrazione nell'esaminare le domande, si pretende che per quella fotografia l'immigrato, il datore di lavoro e il locatore restino in posa, immobili, a dire cheese per un anno e mezzo.

 

Queste ragioni - va detto - non devono essere molto diverse da quelle che albergavano nella mente del capo della polizia uscente, se e' vero - ed e' vero, ovviamente - che con successive circolari e direttive sono state date istruzioni ai questori perche' l'esame dei requisiti fosse sempre meno fiscale e sempre piu' improntato a buon senso. L'ultima di queste direttive, che avrebbe sbloccato la situazione di quasi tutte le settantamila domande pendenti, risale a fine marzo scorso, e raccomandava di rilasciare - finalmente - il permesso di soggiorno nei casi in cui l'accertamento relativo alle prove di presenza non apparisse destinato a una sollecita conclusione. Uso l'imperfetto perche' e' bastato uno starnuto dei partiti di opposizione perche' il governo si arrendesse senza condizioni e l'amministrazione chiudesse con dinieghi venti o trentamila pratiche sospese.

 

Obietta Bolaffi: acconsentire alla richiesta di regolarizzazione danneggia ingiustamente chi si attenga alle regole aspettando in patria, prudentemente, il proprio turno di migrazione. Ha ragione. O meglio: l'avra'. Quando a quelle regole si atterranno anche governo ed amministrazioni. Ma il primo vero decreto-flussi e' entrato in vigore da meno di tre mesi, a ben due anni dall'approvazione della legge! E, per l'assunzione di uno straniero residente all'estero, gli uffici provinciali del lavoro impongono - senza che la legge lo esiga e in barba ai richiami di Fazio - un minimo di quaranta ore settimanali e un reddito annuo, in capo al datore di lavoro, di ottantacinque milioni. Consolati e ambasciate esitano intanto, tremebondi, ad allestire le liste di prenotazione che la legge, invece, prescrive.

 

Alla lentezza e alla stupidita' si puo' porre rimedio, con l'impegno e con la pazienza. Non e' detto, pero', che ogni protesta contro lentezze e stupidita' sia frutto della cultura delle "non regole". Di quel sinistrismo da cui Bolaffi - capo di gabinetto del ministro Turco - prende coraggiosamente le distanze ogni qual volta i sondaggi prospettino imminente un governo Berlusconi.

 

Sergio Briguglio