Date: 11:01 AM 10/10/00 +0200

From: Sergio Briguglio

Subject: armonizzazione europea

 

Cari amici,

vi sottopongo alcune considerazioni che traggono spunto dal processo di armonizzazione delle politiche relative a immigrazione e asilo in ambito europeo. Le suddivido in due brevi note (brevi rispetto ai Rotoloni Regina). La prima e' di carattere piu' generale e tenta di fornire una chiave interpretativa unitaria di processi quali la messa in discussione dell'attualita' della Convenzione di Ginevra del 1951, l'istituzione di regimi di protezione complementari a quello definito dalla stessa Convenzione, la definizione dei requisiti per l'ingresso e il soggiorno di migranti economici. Obbedisce, cosi', a un mio chiodo fisso: quello della necessita' di tenere sempre presente la stretta connessione tra politiche di immigrazione e misure a tutela del diritto di asilo. E tenta disperatamente di muovere una critica all'uso di slogan del tipo "i rifugiati non sono come gli immigrati: sono esseri come noi".

 

La seconda parte tratta alcuni dei nodi principali da affrontare in relazione al processo di armonizzazione della normativa sull'asilo e sulle altre misure di protezione. O meglio, si sofferma su quei punti che - a mio parere - non trovano gia' una adeguata o condivisibile trattazione negli interventi ufficiali di organismi istituzionali o non governativi.

 

Cordiali saluti

sergio briguglio

 

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1) I regimi di protezione dello straniero.

 

I motivi di espatrio variano con continuita' dal desiderio di migliorare le proprie condizioni di vita alla necessita' di sfuggire a pericoli imminenti per la propria vita. L'ideale sarebbe poter definire strumenti normativi capaci di rispondere, con continuita', alle specifiche necessita' di ciascun individuo. Nell'impossibilita' di farlo concretamente, si tende ad approssimare la distribuzione continua delle persone migranti con una discreta. E' ovvio come, quanto piu' dettagliata e' tale descrizione - quanto piu', cioe', e' raffinata la discretizzazione -, tanto meglio si possano definire strumenti normativi graduati e adeguati. E' altrettanto ovvio come la definizione di tali strumenti possa solo seguire (ma non necessariamente segue) la descrizione. Una buona descrizione e' quindi condizione necessaria, anche se non sufficiente, per una buona definizione delle misure.

 

Convenzionalmente, oggi, si tende a suddividere i migranti in tre grandi categorie (discrete):

 

- persone che migrano per motivi economici;

- persone in fuga da situazioni di violenza generalizzata (es.: guerre) o da disastri naturali;

- persone in fuga da persecuzione.

 

Non si tratta - come e' evidente - di una ripartizione univoca: vi sono rilevanti sovrapposizioni tra le varie categorie, e in molti casi il tentativo di ordinarle in base a un "merito" crescente e' fallace. Si pensi, ad esempio, al fatto che tra i perseguitati puo' esservi un potente decaduto (ma almeno in parte responsabile della situazione da cui fugge); o al fatto che chi fugga da condizioni di assoluta miseria puo' essere di fatto escluso dal godimento delle liberta' in misura anche maggiore di chi lo sia in seguito a persecuzione; o, ancora, al fatto che il bambino ucciso in Palestina sotto gli occhi delle telecamere era certamente piu' meritevole di protezione di quanti siano stati uccisi nel corso degli stessi disordini, cui prendevano parte attiva per convinzioni politiche.

 

Quali "regimi di protezione" sono previsti per queste tre categorie?

 

Un regime di protezione per coloro che appartengano alla terza categoria (in seguito: rifugiati) e' stato definito con la Convenzione di Ginevra del 1951 (in seguito: "Convenzione"). Gli elementi principali di tale regime sono il diritto di non refoulement (il diritto di non essere rimpatriati e, quindi, il diritto di soggiornare nel paese di accoglienza), il godimento della piu' favorevole tra le condizioni previste per lo straniero, l'accesso (almeno per un certo tempo) a misure assistenziali.

 

Per quanto riguarda la categoria dei migranti economici, mentre e' difficile trovare oggi un significativo consenso - che non sia il mio e quello di pochi altri - intorno a proposte che prevedano il riconoscimento di un diritto di ingresso e soggiorno incondizionato (liberalizzazione dell'immigrazione o - se volete - non refoulement), vi e' una generale convergenza sul riconoscimento di diritti (non solo di ingresso e soggiorno, ma anche di accesso alle misure di stato sociale) condizionato all'appartenenza alla categoria dei migranti legali. Per decidere se si tratti di un "regime di protezione" effettivo - se possa, cioe', nei fatti, accedervi qualcuno - e' necessario valutare se i criteri di appartenenza a tale categoria possano essere concretamente soddisfatti. In presenza di criteri irragionevolemente restrittivi (si pensi, ad esempio, ad un accesso all'immigrazione per lavoro limitato al solo meccanismo della chiamata nominativa da parte di un datore di lavoro), la categoria rimane vuota (ancorche' formalmente definita), e la distribuzione (discreta) di regimi di protezione e' privata di una delle sue (gia' scarse) componenti. Tale distribuzione finisce, in questo caso, per corrispondere alla distribuzione (continua) delle necessita' in modo ancora piu' rozzo di quanto non avvenga per la descrizione a tre categorie qui considerata.

 

E' da notare come l'inadeguatezza di una distribuzione discreta (e rozza) di regimi di protezione ad accomodare il carattere continuo delle necessita' dei migranti produca squilibri che sono pagati anche dalle categorie per le quali un regime di protezione sia effettivamente previsto. Persone, infatti, che non trovino alcuna risposta alle proprie specifiche necessita' (il migrante economico privo di una chiamata nominativa, nell'esempio precedente) la cercheranno simulando l'appartenenza ad una categoria protetta (quella dei rifugiati, tipicamente). Ne risultera' un aggravio del sistema di riconoscimento dell'appartenenza alla categoria protetta, e l'introduzione di filtri procedurali (procedure accelerate, per esempio) tali da mettere a rischio anche la posizione di richiedenti bona fide.

 

Perche' questo non accada, e' quindi necessario che un primo sforzo sia effettuato, anche da parte di chi istituzionalmente si occupa di rifugiati, perche' si arrivi almeno alla definizione di condizioni di accesso ragionevolmente rilassate per l'immigrazione economica.

 

L'altro sforzo riguarda la categoria intermedia (coloro che fuggano da situazioni di violenza generalizzata o da catastrofi naturali). In ambito europeo e' in discussione, in questo periodo, la definizione di regimi di protezione per gli appartenenti a tale categoria. Un primo terreno di confronto riguarda l'istituzione di un regime di protezione temporanea in caso di esodi di massa. La preoccupazione principale, nel dibattito in corso, sembra essere quella di garantire

 

a) che tale regime (che, di per se', puo' comportare la sospensione delle procedure di riconoscimento dello status di rifugiato) abbia durata limitata e carattere eccezionale;

 

b) che i diritti accordati ai beneficiari del regime di protezione coincidano sostanzialmente (ancorche' temporaneamente) con quelli accordati in base alla Convenzione;

 

c) che a tutti i beneficiari sia consentito, al piu' tardi, all'atto della cessazione del regime temporaneo, di accedere alle procedure di riconoscimento dello status di rifugiato.

 

Tale preoccupazione intende porre rimedio al fatto che tra i beneficiari di un regime di protezione temporanea possono trovarsi anche persone che appartengono alla categoria dei rifugiati. In tal modo, tuttavia, il regime di protezione che ne deriva consiste solo nella temporanea estensione del regime stabilito dalla Convenzione a soggetti verosimilmente appartenenti alla seconda categoria, in un quadro di riferimento, pero', che mostra scarso interesse all'introduzione di misure di protezione di portata piu' ridotta, ma estese a un novero di beneficiari piu' ampio (la seconda categoria, appunto). Al mantenimento di una protezione meno qualificata ma piu' generale si preferisce, insomma, che il rifugiato non sia privato dei benefici associati al suo status (o che non lo sia per un tempo troppo lungo).

 

Che questa posizione si traduca o meno nel rafforzamento della situazione (negativa) sopra prospettata di un sistema di regimi di protezione sostanzialmente ridotto al solo regime ex-Convenzione dipende da come verra' trattato il secondo argomento concernente la categoria intermedia: la definizione di un regime di protezione complementare (rispetto alla Convenzione). Lo sforzo richiesto qui e' quello di abbandonare la tendenza velleitaria a fare di tale regime la mera estensione (a una categoria - la seconda - per di piu' potenzialmente vastissima) di quello stabilito dalla Convenzione, con la previsione di uno status di fatto equivalente, e di considerare invece con favore la possibilita' che tale protezione complementare si traduca nel diritto di non refoulement (per il tempo in cui il regime si applica) e, per il resto e successivamente, in un'equiparazione del beneficiario con il migrante economico legale.

 

In concusione, un obiettivo strategico dell'azione di pressione nel processo decisionale europeo dovrebbe essere - a mio parere - il proliferare di regimi di protezione graduati, tali da riprodurre nel modo piu' fedele possibile la scala di necessita' dei migranti; non solo a beneficio di quanti oggi sono esclusi da qualunque forma di protezione, ma anche di quanti vi sono oggi potenzialmente inclusi. In quest'ottica, non deve essere demonizzato un ripensamento della Convenzione di Ginevra che, lasciando inalterato (o anche rafforzando) il livello di protezione per i casi che effettivamente lo richiedano (forme particolarmente oppressive di persecuzione), provveda a graduarlo verso il basso, per le situazioni meno gravi, fino al livello del mero diritto di non refoulement.

 

 

2) Lavori preparatori

 

a) Fondo europeo per i rifugiati.

 

Due problemi:

 

Il punto di partenza della bozza di proposta di decisione e' che vi sono evidenti squilibri tra gli standard di accoglienza dei vari Stati, come pure in relazione al numero di richieste di asilo avanzate nei diversi Stati. Di fronte a tali squilibri, viene affemato un duplice obiettivo del Fondo europeo: alleviare il peso sostenuto dagli Stati che ricevono piu' domande; soccorrere gli Stati che hanno gli standard di accoglienza piu' bassi, in modo da favorire un livellamento in alto di tali standard.

 

Nei fatti, la formulazione attuale della bozza da' spazio solo al primo di questi obiettivi, dal momento che il criterio di ripartizione dei fondi e' strettamente legato al numero di persone che abbiano chiesto ovvero ottenuto protezione in ciascuno Stato membro.

 

Se lo squilibrio tra la quantita' di domande presentate fosse legato a sole questioni di esposizione geografica (se, cioe', la Convenzione di Dublino trovasse una piena ed efficace applicazione), questo criterio sarebbe senz'altro adeguato e privo di controindicazioni. Se pero' quello squillibrio e' associato proprio ai diversi standard di accoglienza - se, cioe', a dispetto di quanto stabilito dalla Convenzione di Dublino, le persone in cerca di protezione presentano la propria domanda di asilo nei paesi piu' allettanti (a valle di "movimenti secondari"), a prescindere da quale sia la frontiera attraverso cui hanno fatto ingresso nell'Unione europea -, la destinazione di fondi ai paesi che ricevono piu' domande finisce con l'alimentare una tendenza che andrebbe invece contrastata. Bisognerebbe, piuttosto, ripartire i fondi in base a un criterio che faccia riferimento al dislivello esistente tra gli standard di accoglienza offerti da uno Stato membro e quelli medi nell'Unione europea.

 

Inoltre, tra i possibili beneficiari delle misure finanziate con il Fondo, sono menzionati i richiedenti asilo, i rifugiati, le persone accolte nell'ambito di un regime di protezione temporanea, ma non quelle accolte all'interno di un regime di protezione complementare.

 

b) Revisione della Convenzione di Dublino.

 

Il principio (auspicato da molti organismi non governativi) in base al quale e' responsabile dell'esame lo Stato in cui e' presentata la domanda di asilo incentiva, in una situazione di standard di accoglienza squilibrati, gli attraversamenti clandestini della frontiera esterna dell'Unione europea e la tolleranza, da parte degli Stati di ingresso, di flussi illegali verso gli Stati a standard di accoglienza elevato.

 

Per eliminare il problema si potrebbe introdurre il meccanismo dell'assegnazione casuale ad uno qualsiasi degli Stati membri della responsabilita' dell'esame della domanda (fatta eccezione per i casi in cui vada salvaguardata l'unita' familiare).

 

Dovrebbe pero' essere tutelata, almeno in fase di ricorso e finche' permangono differenze tra gli Stati dell'Unione europea nell'interpretazione della nozione di rifugiato e negli standard relativi ai regimi di protezione complementare, la possibilita' di chiedere protezione ad uno Stato membro che, a differenza degli altri, sia - in linea di principio - disposto ad offrirla per la specifica situazione del richiedente. In particolare, alla luce dei contenuti della bozza di direttiva sulle procedure di riconoscimento dello status di rifugiato, Stati diversi potrebbero considerare liste diverse di "paesi d'origine sicuri" (in corrispondenza ai quali le domande siano da rigettare come manifestamente infondati). Inoltre, in assenza di una definizione uniforme di un regime di protezione complementare, il rigetto di una domanda di riconoscimento dello status di rifugiato ex Convenzione potrebbe avere, per il richiedente, conseguenze completamente diverse in Stati diversi (in un certo Stato l'allontanamento, in un altro l'adozione di misure di protezione complementari).

 

Una notevole semplificazione dell'intera questione si otterrebbe definendo gli standard (procedurali e sostanziali) della protezione complementare prima di ogni altra misura di armonizzazione in materia di asilo.

 

 

c) Protezione temporanea.

 

La durata massima definita nella bozza di direttiva (due anni) fa si' che il regime si possa interrompere anche mentre le condizioni che hanno indotto l'afflusso di massa permangono. In mancanza della definizione di standard minimi di protezione complementare, la semplice garanzia di un accesso individuale alla procedura di riconoscimento dello status di rifugiato ex Convenzione lascia privi di copertura quei beneficiari del regime di protezione temporanea che non rientrino nella definizione di rifugiato. Che il problema esista e' riconosciuto, anche dalla Commissione europea, dal momento che, nella bozza di direttiva sulla protezione temporanea, si stabilisce di ripristinare la protezione (se il regime di protezione temporanea e' ancora in vigore) per coloro che, avendo ricevuto il diniego del riconoscimento dello status di rifugiato, non possano comunque rimpatriare per il perdurare delle cause che hanno indotto l'esodo.

 

Anche in questto caso, la definizione di una durata massima del regime di protezione temporanea (pensata a salvaguardia dei rifugiati ex Convenzione che rischiano di subire un danno dal differimento del pieno riconoscimento del loro status) richiede che siano preventivamente definiti gli standard minimi di protezione complementare.

 

 

d) Procedure di riconoscimento dello status di rifugiato.

 

Il ricorso contro il diniego adottato, per manifesta infondatezza, con procedura accelerata non ha necessariamente effetto sospensivo rispetto all'allontanamento dal territorio. La sospensione puo' essere decisa dall'autorita' competente (per l'allontanamento - sembra evincersi dalla formulazione adottata nella bozza di direttiva), su richiesta dell'interessato.

 

Tre problemi:

 

d.1) L'autorita' competente decide sulla richiesta senza aver sentito l'UNHCR. Si dovrebbe dare un maggior peso all'UNHCR (o alle ONG delegate) rispetto a questa decisione, prevedendo un parere obbligatorio o, addirittura, vincolante sulla opportunita' della sospensione.

 

d.2) La manifesta infondatezza puo' essere stabilita, tra l'altro, per l'assenza tra i motivi addotti a sostegno della domanda di uno di quelli previsti dalla Convenzione di Ginevra (o da quella Europea dei Diritti dell'Uomo). Dovrebbe essere presa in considerazione la possibilita' che i motivi addotti rendano possibile l'adozione di misure di protezione complementare e, in tal caso, dovrebbe essere previsto, per il caso considerato, l'automatico accesso alle corrispondenti procedure (qualora distinte dalla procedura di riconoscimento dello status di rifugiato).

 

d.3) In presenza di diversita' fra gli Stati membri nell'interpretazione della nozione di rifugiato, negli standard di protezione complementare e nelle liste dei paesi d'origine sicuri, dovrebbe poi essere contemplata la possibilita' - come detto sopra in relazione alla Convenzione di Dublino - di cercare protezione nello Stato disposto, in linea di principio, ad accordarla per la specifica situazione presentata dal richiedente.