Date: 10:12 AM 5/28/01 +0200

From: Sergio Briguglio

Subject: direttiva criteri di ammissione nell'Unione europea

 

Cari amici,

dovrebbe essere imminente (e mi giungono segnali in tal senso) la definizione, da parte della Commissione europea, della proposta di direttiva sui criteri di ammissione per gli immigrati nell'Unione europea. Ho cercato piu' volte di sottolineare come si tratti dell'appuntamento principale del processo di armonizzazione europea delle politiche di immigrazione e di asilo, e di quello piu' rischioso. I motivi sono almeno tre:

 

a) i paesi dell'Unione europea tendono a proteggere, almeno a livello di dichiarazioni ufficiali, una buona tradizione in materia di asilo, e sullo specifico argomento e' in atto da anni, da parte delle istituzioni internazionali (l'ACNUR, in primo luogo) e delle ONG, una efficace azione di pressione sui governi e sulle istituzioni europee;

 

b) la cultura relativa all'immigrazione e' incommensurabilmente piu' povera: caratterizzata, sia a livello istituzionale sia a livello della lobby di ONG (dominata dalle componenti dell'Europa centro-settentrionale), da uno slogan privo di sostanza ("lotta contro l'immigrazione clandestina, integrazione per l'immigrazione legale"), che nulla dice sulla questione principale (come rendere percorribili canali legali di immigrazione);

 

c) una direttiva sui criteri di ammissione per l'immigrazione in Europa vincolerebbe la normativa a livello nazionale e, se impostata secondo linee restrittive o non realistiche, ucciderebbe sul nascere quel minimo di sperimentazione che si e' costruito in Italia in questi anni (l'ingresso per sponsorizzazione, la possibilita' di conversione dei permessi di breve durata in permessi per lavoro autonomo); a maggior ragione, ucciderebbe, prima della nascita, quelle forme di ingresso previste dalla legge italiana e non ancora attuate (ingresso per ricerca di lavoro auto-sponsorizzata, ex art. 23, co.4), come pure quelle che meriterebbero di essere introdotte nella normativa (si pensi alla conversione del permesso di soggiorno di breve durata in permesso per lavoro subordinato).

 

Non so se i contenuti della proposta di direttiva siano gia' noti, ne' se stia gia' circolando un documento preparatorio a riguardo. Chiunque sia in possesso di informazioni in materia e' pregato di metterle in circolazione (a meno che non sia per lui un punto d'orgoglio il fare da tappo a qualunque tentativo di partecipazione democratica ai processi decisionali nell'Unione europea).

 

In mancanza di informazioni, adotto un atteggiamento sanamente pessimista, e ripropongo alla vostra attenzione le considerazioni che svolgevo, in un messaggio di tre anni fa, riguardo alla "Proposta relativa ad una convenzione sui criteri di ammissione", avanzata nel '97 (durante la presidenza austriaca dell'Unione, se ricordo bene). I contenuti di quella proposta erano ispirati ad una visione molto meno intelligente di quella che ha caratterizzato finora le proposte di Vitorino e del suo staff (inclusa la recente Comunicazione sulle politiche di immigrazione); ma non posso escludere che siano ancora guardati con favore, per la mancanza di cultura che lamentavo sopra, in ambito europeo.

 

La lettura di queste mie vecchie note (che raccomando ai piu' intelligenti tra voi) potrebbe contribuire a farvi avvertire l'urgenza di un lavoro di pressione per il quale non siamo minimamente attrezzati.

 

Mi appello a quanti abbiano rapporti, formali o informali, con le istituzioni europee perche' si possa stabilire un collegamento idoneo a far pervenire il punto di vista delle ONG italiane (e, credo, di diversi organismi istituzionali attivi in Italia - penso ad ACNUR e OIM) a coloro che sono chiamati a definire la proposta di direttiva. Una parte non trascurabile di tale punto di vista (quella relativa alla necessita' di favorire forme di ingresso del migrante orientate alla ricerca di occupazione sul posto) e' contenuta nel documento che allego in coda al messaggio, inviato un paio di mesi fa dal Gruppo di Riflessione dell'Area Religiosa al Commissario Vitorino.

 

Diffido, infine, Dino (Frisullo, per i piu' giovani) dal considerare questa una "battaglia di retroguardia" (lui si esprimerebbe con altra scelta di termini), dal momento che, se dovesse passare una "Proposta di direttiva" non molto diversa dalla "Proposta di convenzione" tutti i casi di cui con generosita' indiscutibile si occupa da anni afferirebbero, senza speranza di redenzione alcuna per gli interessati, al solo capitolo "lotta contro l'immigrazione clandestina".

 

Cordiali saluti

sergio briguglio

 

 

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Dal messaggio del luglio '98:

 

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1) Asilo

 

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2) Immigrazione.

 

Fino ad oggi, la soft-law europea ha riguardato principalmente il problema del controllo delle frontiere (a mo' di difesa dall'immigrazione illegale) e quello delle espulsioni. Un'enfasi particolare e' data anche, a livello di dichiarazione di intenti, alla necessita' di favorire i processi di integrazione degli immigrati legalmente residenti. In mancanza della definizione dei criteri di ammissione degli immigrati, si tratta quindi di una politica attenta agli immigrati (participio passato) piuttosto che ai migranti (participio presente): una politica che compie sforzi immani per separare il grano degli immigrati legali dalla zizzania degli immigrati illegali, e che, completata la pulizia, classifica automaticamente come zizzania ogni migrante che diventi immigrato, rendendo necessaria una nuova bonifica. Senza fine.

 

Per dire la verita', una buona dose di attenzione e' stata prestata, di recente, al problema dei criteri di ammissione. La Proposta relativa a una convenzione sulle norme di ammissione, presentata al Consiglio dalla Commissione il 30/7/97, presenta infatti un quadro dettagliato di tali norme. Si tratta pero' di un'attenzione capace di far rimpiangere il primiero disinteresse. Vediamo perche', passandone in rassegna gli elementi piu' censurabili.

 

a) L'ingresso per lavoro subordinato e' consentito solo allo straniero chiamato da un datore di lavoro, con un contratto di durata non inferiore a un anno, per una posizione lavorativa per la quale sia stata accertata l'indisponibilita', nel territorio dello Stato membro, di lavoratori comunitari o stranieri regolarmente soggiornanti per lavoro, nonche' quella, nel territorio dell'Unione europea, di stranieri soggiornanti a titolo duraturo. Anche il rinnovo del permesso e' condizionato all'esistenza di un contratto di lavoro e all'accertamento di indisponibilita'.

 

E' evidente che chi ha scritto questa proposta e' un cultore delle sanatorie. Queste disposizioni infatti costituiscono un distillato della bestiale applicazione che e' stata data, dal 1987 a oggi, alla legislazione italiana in materia e che, ostacolando oltre misura l'incontro diretto tra domanda e offerta di lavoro, ha reso indispensabili, per l'appunto, tre imponenti sanatorie.

 

b) E' consentito l'ingresso per lavoro stagionale, a condizioni analoghe - durata del contratto a parte - a quelle appena riportate, ma senza alcuna possibilita' di stabilizzare la condizione di soggiorno in presenza di una opportunita' di lavoro con contratto a lungo termine.

 

c) L'ingresso per lavoro autonomo e' consentito allo straniero che abbia mezzi sufficienti per intraprendere l'attivita' prescelta (e fin qui niente di male), ma solo a condizione che tale attivita' possa avere - badate bene - effetti positivi sull'occupazione. Il rinnovo del permesso e' condizionato all'effettiva occorrenza di tali effetti. L'attivita' presa in considerazione e' quindi solo quella imprenditoriale di livello medio alto. Niente e' previsto esplicitamente per la prestazione di servizi, essendo rinviata a un successivo accordo tra le Parti contraenti la disciplina di questa particolare attivita' (di grande rilievo per i lavoratori stranieri - si pensi al proverbiale giardiniere che ha spadroneggiato nel dibattito sulla regolarizzazione in corso).

 

d) Gli studenti possono si' svolgere modeste attivita' lavorative che non intralcino il corso di studi, ma non hanno alcuna possibilita' di convertire, al termine del corso, il permesso di soggiorno in un permesso per lavoro; ne' ce l'hanno gli stranieri ammessi per svolgere un tirocinio.

 

e) Salve limitate eccezioni (da lavoro autonomo a lavoro subordinato e viceversa, e in caso di scioglimento del vincolo familiare che aveva motivato il rilascio di un permesso per motivi familiari), non e' consentita la conversione dei permessi di soggiorno. Il permesso e' poi revocato in caso di assenza dallo Stato ospitante di durata superiore a un trimestre per anno, e per pervenire all'equivalente di una carta di soggiorno (di durata non inferiore a dieci anni) lo straniero deve maturare un periodo di soggiorno regolare di durata compresa tra i cinque e i nove anni, a seconda del tipo di permesso posseduto.

 

Questi elementi risentono di un'impostazione di tipo protezionistico che puo' essere cosi' schematizzata: il valore primario da difendere e' la condizione del lavoratore nazionale. Per evitare che questa possa deteriorarsi si aborrisce la libera concorrenza tra i lavoratori nel mercato del lavoro e si protegge la quantizzazione tanto del salario quanto della quantita' di lavoro scambiata - il concetto, cioe', di "posto di lavoro", con un numero di ore di lavoro e un salario non inferiori a certi fissati minimi. Questo, se da una parte garantisce il lavoratore (occupato) nazionale, dall'altra produce bacini di disoccupazione: non tutti coloro che vorrebbero lavorare possono lavorare. Creato il disoccupato, il sistema, preso dai rimorsi, ostenta apprensione per la sua situazione; il lavoratore straniero e' ammesso cosi' solo come supplente del lavoratore nazionale, nei casi - sporadici - in cui un particolare settore del mercato del lavoro non registri offerta di lavoro, a dispetto della presenza di lavoratori, occupati o disoccupati, nazionali.

 

Al lavoratore straniero e' richiesto, in altri termini, di dimostrare costantemente di non essere un potenziale concorrente del disoccupato nazionale. La cosa - recepita perfino dall'iconografia solidaristica nostrana ("fanno solo i lavori che gli italiani non vogliono fare") - e' paradossale, dal momento che la vera causa del disagio del disoccupato nazionale risiede proprio nel fatto che a lui, in primo luogo, e' impedito di entrare in concorrenza con il lavoratore nazionale occupato.

 

Notate che se, invece di acquisto e vendita di lavoro, si trattasse si acquisto e vendita di auto o di materassi a molle, sarebbe evidente a tutti come l'ostacolare la concorrenza portata dai venditori esterni al mercato nazionale (l'atteggiamento protezionistico), pur salvaguardando la condizione dei venditori nazionali, conduca ad uno spreco di risorse per l'intera societa' tale da rendere indiscutibilmente preferibile un sistema che liberalizzi invece la concorrenza e compensi, con opportuni sussidi, i venditori nazionali da questa danneggiati.

 

Vi e', in questa alternativa  tra una politica di chiusura del mercato e una di apertura temperata da sussidi compensativi, il nodo della questione di come l'Unione europea si pone non solo di fronte ai lavoratori stranieri, ma anche di fronte ai giovani (che, se non possono essere espulsi come i primi, possono pero' essere comunque tenuti ai margini delle attivita' produttive). Si tratta di scegliere tra la via di uno sviluppo partecipato e quella di una conservazione dello statu quo (chi c'e' c'e', chi non c'e' non c'e'). L'Europa sembra voler scegliere questa seconda via. A me sembra la strada dell'estinzione (se il lavoro a basso costo non va verso i capitali, i capitali andranno verso il lavoro a basso costo...). In ogni caso, riguardo all'immigrazione, fa si' che sia data enfasi alla lotta contro la clandestinita', e che, in mancanza di altre strade, agli stranieri non resti che appellarsi alla tutela di diritti (l'asilo) che poco hanno a che fare con la loro situazione effettiva: e' la risposta notarile ad un atteggiamento notarile. Con le conseguenze descritte al punto 1.

 

...

 

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Il documento inviato dal Gruppo di Riflessione al Commissario Vitorino:

 

NOTA SULLA COMUNICAZIONE AL CONSIGLIO E AL PARLAMENTO EUROPEO SU UNA POLITICA COMUNITARIA IN

MATERIA DI IMMIGRAZIONE

 

 

Premessa

 

La recente Comunicazione al Consiglio e al Parlamento europeo su una politica comunitaria in materia di immigrazione rappresenta una tappa di grande rilievo nel percorso di armonizzazione tracciato dal Trattato di Amsterdam. In particolare, e' da salutare come novita' estremamente positiva l'impostazione della Comunicazione, laddove si sottolinea come la creazione di vie di immigrazione legale effettivamente percorribili sia un elemento fondamentale di una equilibrata politica dell'immigrazione e rappresenti una conditio sine qua non per il contrasto delle forme di immigrazione illegale.

 

In quest'ottica, l'elaborazione di un quadro giuridico comune per l'ammissione di cittadini di paesi terzi - in particolare di coloro che chiedono di entrare nel territorio di uno Stato membro dell'Unione per motivi economici - puo' costituire il fondamento per la creazione di una siffatta politica.

 

Con questa nota si intende presentare, alla luce dell'esperienza italiana, alcuni elementi che possono contribuire ad una definizione adeguata e lungimirante dei criteri per l'ammissione di migranti economici.

 

 

L'esperienza italiana

 

La normativa sull'immigrazione per lavoro in Italia ha limitato, per tutti gli anni '90, le possibilita' di ingresso legale al caso dei lavoratori assunti previamente da un datore di lavoro. Non consentendo, sul piano formale, un incontro diretto sul territorio italiano tra il datore di lavoro e il lavoratore che rendesse possibile la naturale costituzione di un rapporto di lavoro, questa possibilita' di ingresso e' stata assai scarsamente sfruttata dagli immigrati, a dispetto del fatto che il mercato del lavoro italiano fosse interessato ad assorbire contingenti significativi di lavoratori stranieri (nell'ordine delle centomila unita' per anno) e che la legge non ponesse limiti superiori al numero di ingressi per lavoro.

 

La maggior parte dei lavoratori immigrati sono cosi' pervenuti ad una condizione di soggiorno legale beneficiando di provvedimenti di sanatoria - la regolarizzazione, cioe', di situazioni di soggiorno nate o prolungatesi in condizioni illegali. Anche coloro che formalmente sono entrati in Italia in seguito alla previa assunzione da parte di un datore di lavoro hanno trascorso, nella maggior parte dei casi, un periodo di soggiorno illegale, reperendo sul posto l'opportunita' di impiego che ha consentito loro di fare il successivo ingresso legale, a seguito di un rimpatrio di fatto non ostacolato dalle autorita'.

 

Una stima della percentuale - sul totale -  di immigrati oggi regolarmente soggiornanti per lavoro che siano transitati attraverso un soggiorno illegale prima di approdare alla condizione di legalita' indicherebbe un valore non inferiore all'ottanta per cento.

 

 

L'ingresso sponsorizzato

 

L'entrata in vigore della nuova legge organica sull'immigrazione e del suo regolamento di attuazione hanno consentito, dall'anno scorso, una nuova modalita' di ingresso: l'ingresso "per inserimento nel mercato del lavoro" di un lavoratore per il quale un soggetto legalmente operante in Italia (cittadini italiani o stranieri, enti o associazioni) offra garanzie di mantenimento per un soggiorno di un anno che consenta la ricerca di occupazione sul posto.

 

Questa forma di ingresso e' stata considerata con grande interesse, e il tetto massimo fissato dal Governo (invero piuttosto basso: quindicimila unita' per l'intero anno 2000) e' stato raggiunto in poche settimane.

 

Vi e' da dire che, per l'esistenza di un bacino di presenze illegali giacente, e per l'esiguita' dei numeri fissati in sede di prima utilizzazione di questo strumento, e' da ritenersi che gran parte del contingente sia stato utilizzato da lavoratori stranieri gia' presenti in Italia, anche in questo caso a seguito di un rimpatrio non intercettato da controlli. Queste condizioni dovrebbero ripetersi per il 2001, dato che - stando almeno alla bozza di decreto di programmazione presentato dal Governo al Parlamento italiano - il tetto non e' stato innalzato e il bacino di presenze illegali in Italia si e' probabilmente accresciuto negli ultimi dodici mesi (a dispetto di una significativa intensificazione dei controlli alle frontiere).

 

Lo strumento della prestazione di garanzia, se non mortificato dalla definizione di tetti numerici troppo bassi, puo' certamente dar luogo, per il futuro, a un canale di ingresso percorribile e - quindi - di rilievo per una discreta percentuale di coloro che aspirano a migrare in Italia per lavoro. Tuttavia, la necessita' di avere legami con soggetti ("sponsor") gia' presenti in Italia (siano essi cittadini italiani o associazioni o enti, siano immigrati stranieri gia' stabilizzati) esclude a priori quanti non possano fruire di tali legami, ovvero li induce a cercare di crearne attraverso - ancora una volta - un periodo di soggiorno illegale.

 

E' necessario, quindi, allargare il ventaglio di strumenti utilizzabili, per evitare che esistano larghe fasce di migranti "obbligati" a percorrere vie illegali per poter conquistare una posizione legale.

 

 

L'ingresso per ricerca di lavoro autogarantito

 

La normativa italiana offre, in realta', uno strumento ulteriore, capace di dare risposta a questo problema; e' previsto infatti che, ove il tetto fissato per gli ingressi protetti da sponsor non sia raggiunto in un tempo prefissato (due mesi), possano essere autorizzati ingressi di lavoratori di paesi terzi che siano capaci di garantire da se' il proprio mantenimento nell'anno di ricerca di lavoro. A questo scopo, la legge prevede che il lavoratore debba essere iscritto in "liste di prenotazione" tenute dalle rappresentanze diplomatiche italiane nei paesi di emigrazione, e debba dimostrare di disporre di un ammontare in denaro di poco superiore a meta' dell'importo annuale del sussidio sociale (in tutto, circa duemilacinquecento euro).

 

La definizione di tetti assai limitati per gli ingressi protetti da sponsor e, soprattutto, la mancata istituzione delle liste di prenotazione nelle ambasciate e nei consolati italiani hanno impedito per l'anno 2000 - e, verosimilmente, impediranno per tutto il 2001 - l'utilizzazione di questo meccanismo (che indicheremo nel seguito come "ingresso per ricerca di lavoro autogarantito"). E' auspicabile pero' che in Italia si arrivi presto, quanto meno, ad una sperimentazione in materia, e che la stessa strada sia considerata con interesse in ambito europeo. Questa possibilita' di ingresso corrisponde, infatti, piu' di ogni altra alle modalita' effettivamente adottate da chi entri e soggiorni illegalmente in Italia, ma e' priva, rispetto a tale caso, di tutte le caratteristiche negative (elusione delle norme sull'immigrazione e sul lavoro, ricorso ai trafficanti, nascondimento forzato ed esposizione al rischio di contaminazione criminale) che rendono l'immigrazione illegale un problema sociale.

 

Elementi essenziali per il funzionamento del canale di ingresso per ricerca di lavoro autogarantito sono dunque

 

a) l'istituzione di una lista di prenotazione accessibile (anche per posta o per via telematica, se questo contribuisce ad evitare forme inutili di burocratizzazione), con graduatoria fondata, piu' che sul possesso di particolari qualificazioni professionali, sull'anzianita' di iscrizione (l'obiettivo e' quello di dare chances anche a un'immigrazione a bassa qualificazione che, altrimenti, sarebbe indotta a percorrere vie illegali);

 

b) la definizione di requisiti patrimoniali non eccessivamente restrittivi e, in ogni caso, tali da rendere l'ingresso legale piu' vantaggioso, per il migrante, di un ingresso illegale che faccia ricorso ai servizi dei trafficanti;

 

c) la definizione di tetti numerici annuali non inutilmente bassi (chi aspiri a migrare deve veder progredire con ragionevole rapidita' la propria posizione in graduatoria; un progresso troppo lento, che faccia presagire un'attesa di molti anni prima che si verifichi la possibilita' di ingresso legale, induce, ancora una volta, il lavoratore a tentare le vie illegali);

 

d) una moderata opera di orientamento del migrante nella fase precaria di ricerca del lavoro (chi oggi migra illegalmente trova comunque, con le proprie forze e in tempi rapidi, opportunita' di inserimento; un sostegno puo' comunque rendere piu' rapido ed efficace tale inserimento).

 

 

L'ingresso per breve soggiorno prolungabile

 

Nell'ipotesi che non si voglia percorrere, in sede europea, la via (attualmente in auge in Italia) della definizione di tetti numerici sugli ingressi, e che si voglia invece lasciare piu' spazio alle dinamiche di mercato (pur con una adeguata attenzione alle situazioni di tensione sociale che possono verificarsi), e' possibile pensare ad un meccanismo lievemente (ma significativamente) modificato di ingresso per ricerca di lavoro autogarantito.

 

Il meccanismo in questione potrebbe consistere in un ingresso per breve soggiorno (ad esempio, per tre mesi), condizionato al soddisfacimento dei seguenti criteri:

 

a) disponibilita' di mezzi di sostentamento, proporzionati all'importo del sussidio sociale e alla durata del soggiorno (requisito piu' facile da dimostrare, per via della breve durata del soggiorno, rispetto a quello descritto al paragrafo precedente);

 

b) deposito, all'atto dell'ingresso, di un titolo di viaggio per l'eventuale rimpatrio o dell'ammontare in denaro necessario per acquistarlo;

 

c) rilevamento delle impronte digitali.

 

Non sarebbe piu', invece, rilevante il rispetto di un tetto numerico.

 

Il cittadino di un paese terzo cosi' ammesso sarebbe autorizzato a cercare lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro, come pure a svolgere attivita' occasionali di lavoro autonomo (si tratterebbe, per cosi' dire, di una forma di "turismo per lavoro").

 

L'autorizzazione al soggiorno potrebbe, a richiesta, essere prorogata per un analogo periodo, previa dimostrazione del possesso di mezzi corrispondenti (segno di un certo inserimento nel tessuto economico). Potrebbe poi - ed e' il punto piu' rilevante - essere tramutata in una autorizzazione di lungo periodo (analoga a quella rilasciata a chi faccia oggi ingresso legale per lavoro subordinato o autonomo) in presenza di una opportunita' di impiego, ovvero dopo un numero sufficiente di proroghe dell'autorizzazione originale, che testimoni un inserimento adeguato (sia pure frutto di attivita' autonome o saltuarie).

 

Il deposito delle impronte digitali e del titolo di viaggio consentirebbe l'immediata identificazione e l'eventuale allontanamento dello straniero che, eluse le disposizioni relative al soggiorno di breve durata, sia sottoposto a successivi controlli.

 

Un meccanismo di questo genere, pur non potendosi considerare una completa liberalizzazione dei movimenti migratori, corrisponderebbe a un quadro normativo capace di tener conto in modo assai realistico di quanto oggi succede in fatto di immigrazione - spesso a dispetto di normative formalmente restrittive. Resterebbe agli Stati la possibilita' di evitare che si creino tensioni intollerabili associate a forme di inserimento eccessivamente precario, mentre certamente verrebbe sottratta alle organizzazioni di trafficanti tutta la porzione di utenza costituita da migranti desiderosi di inserimento in attivita' economiche lecite.