Facendo evidente riferimento all’aiuto prestato dall’iscritta allo SPI CGIL ad un nucleo familiare immigrato che era stato oggetto di un provvedimento di sfratto, il manifesto riporta la seguente frase ingiuriosa: “Cara la me romana [che e’ il nome della militante CGIL] sono tutti bravi a fare i culattoni con il culo degli altri (tipico dei comunisti: quello che e’ tuo e’ tuo quello che e’ mio e’ tuo) portatelo a casa tu il beduino sfrattato (non paga l’affitto da due anni) noi nella casa del comune ci mettiamo gente anziana e bisognosa ma di Adro. Prima i nostri poi anche gli altri ! W la lega nord, W Bossi”.
I ricorrente ravvedono nei contenuti del manifesto la fattispecie della molestia a sfondo etnico-razziale definita e conseguentemente proibita dall’art. 2 c. 3 del d.lgs. n. 215/2003 di recepimento della direttiva europea n. 2000/43/CE, come : quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi di razza o di origine etnica, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo”. Secondo i ricorrenti ,infatti, la fattispecie rientra pienamente nella previsione normativa e ciò sia che si abbia riguardo alla generalità degli immigrati, che vengono qualificati con il termine a connotazione evidentemente spregiativa di “beduino”, sia nei confronti della militante della CGIL, che viene offesa nella sua dignità di donna, con l’epiteto tipicamente maschilista ed omofono di “culattona”.
Secondo la definizione di molestia di cui alla normativa italiana ed europea, non viene richiesto affatto che la vittima della comportamento cosi’ qualificato sia essa stessa portatrice del fattore vietato, facendo esclusivo riferimento a “comportamenti indesiderati posti in essere per motivi di…” e senza alcun riferimento alla condizione personale della vittima. E nella specie non vi è dubbio che i motivi del comportamento molesto siano esattamente quelli vietati cioè razza e origine etnica, ovvero la condizione degli immigrati stranieri visti come titolari di una dignità sociale inferiore rispetto agli “autoctoni”.
In secondo luogo perché la stessa Corte di Giustizia europea con la sentenza 17.7.2008 “Coleman” ha introdotto nel nostro ordinamento la nozione di discriminazione e molestia “associata”, nel senso che il soggetto viene colpito non in quanto appartenente al gruppo protetto, ma in quanto collegato al gruppo e al fattore protetti . Con la pronuncia citata infatti la Corte ha ritenuto applicabile la direttiva 2000/78 e ha ritenuto sussistente la discriminazione e la molestia per ragioni di disabilità in un caso in cui l’una e l’altra erano state subite da una madre lavoratrice non disabile, a causa delle assenze dal lavoro determinate dalla necessità di accudire la figlia malata. Ciò che quindi ha determinato l’applicabilità della direttiva è stata dunque non l’appartenenza, ma il legame tra il gruppo protetto (i disabili, in quel caso) e il soggetto discriminato o molestato. In analogia, dunque, la militante della CGIL di Adro subisce ora un trattamento lesivo della sua dignità personale a causa della attività da lei svolta a tutela del gruppo protetto (gli stranieri, genericamente intesi) e in immediata connessione materiale e temporale con la molestia compiuta nel contempo nei confronti del gruppo protetto dalla direttiva.
I ricorrenti sottolineano inoltre che questo non e’ l’unico episodio molesto sofferto dall’interessata, ma giunge a seguito di altri episodi, per cui emerge evidentemente il collegamento e la finalità ritorsiva rispetto all’attività’ compiuta dalla vittima di contrasto alle discriminazioni e alle politiche pubbliche discriminatorie operate dal governo locale a guida leghista e culminate in una serie di azioni giudiziarie conclusesi con la soccombenza dell’ente locale. Pertanto, i ricorrenti chiedono al giudice di accertare la natura ritorsiva del comportamento messo in atto con l’affissione del manifesto e conseguentemente di applicare l’art. 4 bis del d.lgs. n. 215/03, con il quale e’ stato recepito l’art. 9 della direttiva europea n. 2000/43: “La tutela giurisdizionale di cui all’art.4 si applica altresì’ avverso ogni comportamento pregiudizievole posto in essere, nei confronti della persona lesa da una discriminazione diretta o indiretta o di qualunque altra persona, quale reazione ad una qualsiasi attività diretta ad ottenere la parità di trattamento”, con conseguente legittimità della richiesta di liquidazione del danno anche non patrimoniale quale forma di danno punitivo nei casi in cui l’atto o comportamento discriminatorio costituiscono ritorsione ad una precedente azione giudiziale ovvero ingiusta reazione ad una precedente attività del soggetto leso volta ad ottenere il rispetto del principio di parità di trattamento. I ricorrenti hanno dunque richiesto un risarcimento a carico della Lega Nord e a favore della parte lesa pari a 30.000 euro, oltreche’ l’immediata rimozione del manifesto offensivo.
A cura del servizio di supporto giuridico contro le discriminazioni etnico-razziali e religiose. Progetto ASGI con il sostegno finanziario della Fondazione italiana a finalità umanitarie Charlemagne ONLUS.