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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Apolidia
 
Scheda pratica a cura di Giulia Perin e Paolo Bonetti (Aggiornata al 12.02.2009)
 
Sommario

1. La definizione di apolide e le ipotesi che più frequentemente danno luogo a casi di apolidia.
2. Le norme rilevanti in materia.
3. Il procedimento di accertamento dello stato di apolidia.
3.1. I due procedimenti alternativi: l'accertamento amministrativo o l'accertamento giudiziario.
3.2. Il permesso di soggiorno per attesa del riconoscimento dello stato di apolidia.
4. Il trattamento dell'apolide.
5. L'acquisizione della cittadinanza italiana da parte dell'apolide e dei figli dell'apolide.

1. La definizione di apolide e le ipotesi che più frequentemente danno luogo a casi di apolidia.
Apolide è "una persona che nessuno Stato, in base al proprio ordinamento giuridico, considera come proprio cittadino".
Così prevede l'art. 1 della Convenzione di New York del 28 settembre 1954 relativa allo status degli apolidi, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 1 febbraio 1962, n. 306. Tuttavia lo stesso articolo esclude dall'ambito di protezione della Convenzione:
1) coloro che godono attualmente di protezione o di assistenza da parte di un organo o di un'istituzione delle Nazioni Unite diversa dall'ACNUR fino a quando esse godono di tale protezione o assistenza (è il caso dei profughi palestinesi che vivono nei campi profughi amministrati in Medio Oriente dall'UNWRA);
2) le persone rispetto alle quali sussistano fondati motivi di ritenere che esse abbiano commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l'umanità, ai sensi degli atti internazionali elaborati per stabilire le disposizioni relative a tali crimini (si veda lo Statuto della Corte penale internazionale) o che si siano resi colpevoli di atti contrari ai fini e ai principi delle Nazioni Unite.
L'apolidia può essere originaria o successiva.
A) Si ha apolidia originaria, quando fin dalla nascita la persona è apolide.
B) Si ha apolidia successiva, quando la persona perde la cittadinanza che aveva in precedenza senza avere o acquisire la cittadinanza di un altro Stato, a causa di una manifestazione di volontà propria o altrui o di una nuova normativa o comunque di un atto dei pubblici poteri
Come si illustrerà al par. 5, nella legislazione italiana sulla cittadinanza si cerca di ridurre le ipotesi di apolidia, così conformandosi all'esigenza avvertita dalla comunità internazionale di ridurre o escludere più possibile i casi di apolidia.
Infatti, in proposito, la Convenzione del 30 agosto 1961 sulla riduzione dell'apolidia (entrata in vigore il 13 dicembre 1975) prevede che una persona non può essere privata della propria nazionalità per motivi razziali, etnici, religiosi o politici; enuncia schematicamente misure per la prevenzione dell'apolidia, derivante da trasferimenti di territorio e stabilisce norme per la concessione della cittadinanza alle persone nate in un paese, che diversamente sarebbero apolidi. La convenzione, sottoscritta soltanto da 29 Stati, prevede che un organismo dell'ONU curi la supervisione delle domande presentate ai sensi della Convenzione stessa; tuttavia tale organismo non è mai stato istituito, ma le sue funzioni sono state affidate dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite all'ANUR (Risoluzione 3274 XXIX).
Secondo l'ACNUR, nel panorama internazionale le ipotesi che più frequentemente danno luogo a casi di apolidia sono le seguenti:

- la modifica dei confini territoriali o della sovranità tra Stati;
- la privazione arbitraria della cittadinanza a gruppi o a individui da parte dello Stato;
- conflitti di legge (ad esempio, quando un bambino di genitori stranieri nasce in uno Stato che conferisce la propria cittadinanza solo ai figli dei propri cittadini, mentre secondo le leggi dello Stato di cui sono cittadini i genitori, acquisiscono la cittadinanza soltanto coloro che nascono sul territorio dello Stato);
- problemi amministrativi, p. es. termini per l'iscrizione all'anagrafe poco realisti, tasse eccessivamente alte, mancata previsione di procedimenti di impugnazione o revisione, difficoltà nell'accesso alla documentazione o ai criteri per ottenere la cittadinanza;
- la rinuncia individuale alla cittadinanza senza la previa acquisizione o garanzia di acquisizione di un'altra cittadinanza;
- il matrimonio o la dissoluzione del matrimonio, qualora la perdita della cittadinanza ne costituisca una conseguenza automatica;
- la mancata registrazione di un figlio alla nascita, quando abbia come conseguenza l'impossibilità per il figlio di dimostrare il luogo di nascita o l'identità dei genitori;
- l'applicazione di pratiche discriminatorie basate sull'etnia, la religione, il sesso, la razza o le opinioni politiche ai fini della concessione o del diniego della cittadinanza;
- il fatto di essere figlio di apolidi.

Casi frequenti di apolidia si verificano nelle ipotesi di privazione della cittadinanza di esuli politici che fuggono dai loro Stati, nei quali vige un regime autoritario-fascista o socialista: la perdita della cittadinanza per motivi politici è un evidente mezzo per prevenire o reprimere ogni tentativo di critica o di fuga. Tale sistema fu praticato anche in Italia dal regime fascista nei confronti degli esuli antifascisti ed infatti in polemica con quel passato l'art. 22 Cost. prevede il divieto di ogni perdita della cittadinanza italiana per motivi politici.
Più recentemente casi molto numerosi di apolidia si sono verificati in almeno due ipotesi.
In primo luogo vi è il caso dei profughi nell'ambito di conflitti bellici o di occupazioni militari. Si pensi ai palestinesi che vivono nei territori occupati da Israele nel 1967 e che non sono cittadini israeliani e che non sono neppure più cittadini giordani dopo la rinuncia giordana alla sovranità sulla Cisgiordania avvenuta nel 1988, né cittadini egiziani dopo la rinuncia dell'Egitto ad amministrare Gaza. Si pensi anche ai conflitti interetnici nell'ex Jugoslavia e in Ruanda, i quali hanno comportato talvolta la deliberata distruzione degli atti dello stato civile per alterare la composizione etnica dei luoghi e costringere i fuggitivi a non avere più documenti utili a consentirne il rientro.
In secondo luogo dopo la successione tra Stati verificatasi tra il 1990 e il 1993 nei territori dell'ex URSS e dell'ex Jugoslavia le nuove leggi sulla cittadinanza adottate dai nuovi Stati hanno talvolta previsto di non attribuire la cittadinanza del nuovo Stato a persone che già prima della nascita del nuovo Stato abitavano nel suo territorio per il solo fatto che essi appartengono a gruppi linguistici, etnici o religiosi di minoranza o per il solo fatto di essere nato nel territorio che oggi appartiene ad un nuovo e diverso Stato o per il solo fatto di essere figlio di chi è nato in quel territorio oggi straniero e che era arrivato nel territorio del nuovo Stato nell'ambito di forze armate o di polizia o di una pubblica amministrazione; in tali ipotesi al venir meno della cittadinanza dello Stato estintosi o che ha perso la sovranità su quel territorio non è seguita l'acquisizione della cittadinanza di altro Stato.
Non può considerarsi apolide lo straniero che abbia difficoltà a dimostrare la propria cittadinanza, ad esempio perché la Rappresentanza diplomatico-consolare accreditata presso la Repubblica italiana rifiuti di rilasciargli il passaporto, finchè non rientri nel proprio Paese per adempiere all'obbligo di svolgere il servizio militare. Infatti le difficoltà di provare lo status di cittadino di un determinato Stato, benché talvolta pongano lo straniero in una condizione di fatto assimilabile a quella dell'apolide, non sono sufficienti per invocare lo status di apolidia.
Invece non rientrano propriamente nell'apolidia i casi di apolidia di fatto, cioè le ipotesi in cui una persona pur senza aver perduto la cittadinanza non fruisce della protezione che il proprio Stato garantisce agli altri cittadini. Infatti le ipotesi in cui una persona sia cittadino di un determinato Stato, ma subisca dalle autorità di quello Stato un trattamento che appare incompatibile con lo status di cittadino e che evidenzia di fatto la mancanza di un effettiva volontà di protezione dello stesso cittadino rientrano non già tra i casi di apolidia, bensì tra i casi meritevoli di protezione internazionale, da riconoscersi nelle due forme alternative dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria.
Peraltro le norme internazionali, nazionali e comunitarie che disciplinano tali status prevedono che il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria può essere chiesto ed ottenuto non soltanto da chi sia cittadino di un determinato Stato, ma anche dall'apolide che risiedeva stabilmente in un determinato Stato.
In proposito si vedano l'art. 2 del decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 140 Attuazione della Direttiva 2003/9/CE che stabilisce norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri, l'art. 2  del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, Attuazione della Direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta e l'art. 2  del  Decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 Attuazione della Direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato.

2. Le norme rilevanti in materia.
La condizione di apolide è regolata da norme di diritto internazionale, comunitario e interno.

Tra le Convenzioni internazionali, spicca la Convenzione di New York del 28 settembre 1954, relativa allo status degli apolidi, cui è stata data esecuzione in Italia con la legge 1° febbraio 1962, n. 306 (pubblicata in G.U. n. 142 del 7 giugno 1962). L'Italia aveva posto  riserve agli artt. 6, 7 par 2, 8, 19, 22 par 2, 23, 25, 32 (che sono state ritirate) e riserve agli artt. 17 (lavoro subordinato) e 18 (lavoro autonomo) (le cui disposizioni sono considerate dal Governo italiano come semplici raccomandazioni), tuttora operanti.
Vi sono poi il Protocollo dell'Aja relativo ad alcuni casi di apolidia del 1930 e la Convenzione di New York del 30 agosto 1961, per la riduzione dei casi di apolidia, ai quali però l'Italia non ha aderito.

A livello comunitario, alcuni testi normativi contemplano il caso dell'apolide. I principali sono i seguenti:
- il Regolamento (CEE) 14 giugno 1971, n. 1408, relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunità;
- la Direttiva del Consiglio del 20 luglio 2001, n. 55, sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell'equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell'accoglienza degli stessi;
- la Direttiva del Consiglio del 27 gennaio 2003, n. 9, recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri;
- la Direttiva del Consiglio del 22 settembre 2003, n. 86, relativa al diritto al ricongiungimento familiare;
- la Direttiva del Consiglio del 29 aprile 2004, n. 83, recante norme minime sull'attribuzione a cittadini di Paesi terzi o apolidi della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta.

Quanto alle norme interne, oltre alla legge di attuazione della Convenzione di New York, vengono in rilievo:
- la Legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza;
- la Legge 31 maggio 1995, n. 218, legge di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato;
- il D. lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina della immigrazione e norme sulla condizione dello straniero;
- l'art. 17 del D.p.r. 12 ottobre 1993 n. 572 (Regolamento di esecuzione della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza),
- gli artt. 9 e 11 del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394 (Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286), come modificato dal regolamento approvato con D.P.R. 18 ottobre 2004, n. 334.

3. Il procedimento di accertamento dello stato di apolidia.

3.1. I due procedimenti alternativi: l'accertamento amministrativo o l'accertamento giudiziario. 
Secondo l'orientamento dominante, l'accertamento dello status di apolidia può essere chiesto sia in sede amministrativa, sia in sede giudiziaria.
Il procedimento giurisdizionale è considerato dalla giurisprudenza maggioritaria come alternativo e non come successivo al procedimento amministrativo.
Benché alcune pronunce abbiano escluso che l'accertamento dello status di apolidia possa essere richiesto direttamente al giudice, senza essersi prima rivolti al Ministero dell'Interno, la giurisprudenza maggioritaria ammette che l'interessato possa scegliere se chiedere l'accertamento dello status al Ministero dell'Interno o direttamente all'autorità giurisdizionale (in questo senso, App. Perugia, 20 aprile 2004, trib. Lucca, 16 dicembre 2002; trib. Alessandria, 19 giugno 2002, trib. Prato, 14 gennaio 1997).
Pronunciandosi per la prima volta in argomento, Sentenza n. 28873 del 9 dicembre 2008 delle Sezioni unite della Corte suprema di Cassazione ha ritenuto ammissibile il ricorso straordinario per cassazione avverso il decreto della Corte di Appello che, in sede di gravame, dichiarava improponibile il ricorso per l'accertamento dinanzi all'autorità giudiziaria ordinaria dello stato di apolidia e hanno affermato la giurisdizione del giudice ordinario.
Accomuna entrambi i tipi di procedimento la questione della prova dell'apolidia che consiste in un fatto negativo, cioè il mancato possesso di alcuna cittadinanza di alcuno Stato. E' evidente che un'eccessiva richiesta di prove finirebbe con l'esigere al richiedente una prova quasi impossibile, cioè la documentazione riferita a tutti gli Stati del mondo. In realtà dottrina e giurisprudenza ritengono sufficiente che si abbiano degli elementi meramente indiziari.
In primo luogo l'onere della prova spetta senz'altro al richiedente in base alle norme sul procedimento amministrativo e sulle azioni giudiziarie in materia di diritti, ma si ritiene che debba essere concretamente proporzionato alle sue possibilità, mentre l'autorità amministrativa o l'autorità giudiziaria hanno il potere-dovere di verificare l'efficacia dei fatti allegati o di corroborare l'eventuale inefficacia di altri titoli a supportare la regolarità del soggiorno.
In secondo luogo i mezzi di prova non sono sempre indicati chiaramente dalle vigenti norme legislative e regolamentari, sicchè il richiedente potrebbe esibire documenti ufficiali rilasciati da autorità statali, i testi di norme vigenti in determinati Stati, la documentazione di atti di pubbliche amministrazioni italiane o straniere, l'allegazione di atti notori, l'esame del passaporto o di altri documenti di viaggio che attestino dove la persona abbia vissuto.

a) L'accertamento dello status di apolide in via amministrativa.
Prima del 1993, non vi era alcuna disposizione che disciplinasse il procedimento amministrativo per l'accertamento dello status di apolide. Oggi, la disciplina di alcuni degli aspetti del procedimento amministrativo per l'accertamento dello status di apolide è contenuta nell'art. 17 del D.p.r. 12 ottobre 1993 n. 572 (Regolamento di esecuzione della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza), che attribuisce al Ministero dell'Interno la competenza a certificare lo status di apolidia della persona residente nel territorio italiano.
Tale articolo prevede che la persona interessata all'accertamento dello status di apolide debba produrre un'apposita istanza in bollo corredata dalla seguente documentazione:

1. atto di nascita
2. documentazione relativa alla residenza in Italia. Nella prassi amministrativa si esige il certificato di residenza e copia autenticata del titolo di soggiorno (attestazione comunale del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente del cittadino comunitario residente in Italia, permesso di soggiorno, permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, carta di soggiorno di familiare di cittadino comunitario residente in Italia, carta di soggiorno permanente di cittadino comunitario residente in Italia, iscrizione del minore di 14 anni sul permesso di soggiorno o sulla carta di soggiorno del genitore, tutore o affidatario);
3. ogni documento idoneo a dimostrare lo stato di apolide (es. l'attestazione rilasciata dall'autorità consolare del Paese d'origine o, se ritenuto necessario, anche del Paese di ultima residenza dell'interessato da cui risulti che il medesimo non è in possesso di quella cittadinanza).

I documenti stranieri devono essere legalizzati e tradotti. 
La stessa disposizione prevede altresì che il Ministero dell'Interno ha la facoltà di richiedere, a seconda dei casi, altri documenti.
La domanda deve essere presentata al ministero dell'Interno o per il tramite della Questura ovvero mediante raccomandata con ricevuta di ritorno da inviarsi al seguente indirizzo: Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione - Direzione centrale per i diritti civili, la cittadinanza e l'immigrazione - Via Cavour, 6 00184 ROMA.
Il procedimento amministrativo di riconoscimento dello stato di apolidia ha una durata complessiva molto lunga, perché deve concludersi entro il termine di 350 giorni ovvero entro il termine di 895 giorni nel caso in cui debba chiedersi il parere della Rappresentanza diplomatica o consolare e quello del Ministero degli Affari esteri. Tali termini sono indicati nella tabella A allegata al regolamento approvato con D.M. Interno 18 aprile 2000, n. 142 (pubblicato in G.U. 5 giugno 2000, suppl. ord. n.86/L, si veda in particolare a p. 46). Infatti nell'ambito di questo procedimento amministrativo il Ministero dell'Interno ha la facoltà di attivare una verifica presso il Ministero degli Affari esteri e/o presso le autorità dello Stato estero, al fine di stabilire se effettivamente la persona non è più considerata cittadino di quello Stato.
Si ritiene che l'impugnazione dell'eventuale rifiuto opposto dal Ministero dell'Interno alla certificazione dello status di apolidia debba essere fatta davanti al giudice ordinario e non al giudice amministrativo, dal momento che la pretesa all'accertamento dello status di apolidia deve essere qualificata come diritto soggettivo e non come interesse legittimo.
In ogni caso è evidente il limite intrinseco di tale procedimento amministrativo di riconoscimento dell'apolidia: di esso può fruire soltanto colui che sia già regolarmente residente nel territorio italiano e dunque si applica soltanto ai casi di apolidia successiva, cioè alle ipotesi di persone che per qualsiasi motivo abbiano perso la cittadinanza del Paese di origine in periodo successivo all'inizio della loro regolare iscrizione anagrafica nelle liste della popolazione residente in un Comune italiano (caso di ex-straniero già regolarmente soggiornante).
Nulla si prevede invece per chi sia giunto in Italia quando già si trovava in condizione di apolide, anche se costui potrebbe chiedere ed ottenere lo status di rifugiato o di protezione sussidiaria qualora nel Paese in cui risiedeva, ancorché privo di cittadinanza, sia stato oggetto di persecuzioni o comunque vi sia il fondato timore di persecuzioni individuali per motivi di lingua, razza, opinioni politiche, condizioni personali o sociali ovvero allorché abbia subito un danno grave a causa di torture, maltrattamenti, pene inumane o degradanti o della violenza in situazione di conflitto interno o internazionale.
 
b) L'accertamento dello status di apolide in via giurisdizionale.
Non esiste alcuna specifica disposizione che disciplini l'accertamento giurisdizionale della condizione di apolide, fermo restando che si tratta di un'azione di accertamento di status, sicchè deve ritenersi applicabile l'art. 2697 cod. civ. in base al quale "chi vuole fare valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento".
Pertanto, la soluzione delle questioni di diritto sostanziale e di diritto processuale è affidata all'elaborazione giurisprudenziale.

Il giudice competente e il rito applicabile.
Secondo l'indirizzo prevalente, la giurisdizione in materia spetta al giudice ordinario, trattandosi del giudice compente in generale per le azioni di stato delle persone e per eventuali lesioni dei diritti soggettivi.
Quanto al rito applicabile per l'accertamento dello status di apolidia, esistono due diversi orientamenti.
Secondo una parte della giurisprudenza (App. Milano, 9 aprile 2002, Trib. Alessandria, 19 giugno 2000; Trib. Milano, 25 gennaio 1990), il giudizio rientra negli ordinari giudizi di cognizione e deve essere introdotto con un atto di citazione ad udienza fissa, da notificarsi al Ministero dell'Interno.
Secondo altra parte della giurisprudenza (Trib. Milano, 5 marzo 2003, trib. Lucca, 16 dicembre 2002, trib. Prato, 14 gennaio 1997), invece, l'accertamento dell'apolidia deve avvenire nell'ambito di un procedimento in camera di consiglio, da svolgersi secondo le previsioni degli artt. 737 ss. c.p.c.
Questa posizione si fonda sulla considerazione che si verte in materia di status delle persone e che non sarebbe possibile identificare un soggetto titolare dell'interesse a contraddire. Ad essa, i sostenitori della prima interpretazione eccepiscono che soltanto in presenza di una disposizione di legge espressa, il procedimento potrebbe essere regolato secondo le norme dei procedimenti in camera di consiglio.
Durante il procedimento, può essere chiesto al giudice in via cautelare il rilascio di un permesso di soggiorno.

Limiti all'onere probatorio gravante sull'interessato.
In astratto, l'apolide dovrebbe dimostrare di non essere cittadino di nessuno dei numerosissimi Stati esistenti al mondo.
La giurisprudenza, tuttavia, ritiene sufficiente che l'interessato provi di non essere cittadino di quegli Stati con i quali ha intrattenuto rapporti significativi.
In concreto, l'interessato dovrà dimostrare:
- di avere perso la cittadinanza dello Stato di origine e quella dello Stato di ultima residenza,
- di non avere acquistato né la cittadinanza dello Stato di ultima residenza, né la cittadinanza italiana.
Circa i mezzi di prova ammissibili, oltre a quelli sopra indicati, nella giurisprudenza si ammette anche la produzione di testi volti a confermare le circostanze addotte nell'azione proposta.

3.2. Il permesso di soggiorno per attesa del riconoscimento dello stato di apolidia.
L'art. 11, comma 1, lett. c) del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394 (Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286), come modificato dal regolamento approvato con D.P.R. 18 ottobre 2004, n. 334, prevede che un apposito permesso di soggiorno per acquisto dello stato di apolide è rilasciato allo straniero già in possesso di permesso di soggiorno per altri motivi, per la durata del procedimento di riconoscimento.
E' evidente che si tratta di un permesso di soggiorno rilasciabile soltanto nei casi di apolidia successiva, cioè a persona che era già regolarmente soggiornante in Italia ad altro titolo e che avendo perso la sua originaria cittadinanza per qualsiasi motivo abbia regolarmente iniziato un procedimento amministrativo o giudiziario mirato al riconoscimento del proprio status di apolide.
Proprio perché a causa della perdita della cittadinanza la persona non potrebbe esibire alcun valido passaporto, né potrebbe rientrare in alcun Paese di appartenenza, l'art. 9, comma 6 del citato regolamento esenta la persona che richieda tale tipo di permesso di soggiorno dall'obbligo di esibire un valido passaporto e la documentazione concernente la disponibilità di sufficienti mezzi di sussistenza, di un alloggio idoneo e di mezzi per il ritorno nel Paese di origine.
Anche tale previsione riguarda soltanto i casi di apolidia sopravvenuta in Italia a persona che vi soggiornava già quando era straniera e cioè i casi concernenti chi sia già titolare di un permesso di soggiorno (sono dunque esclusi i soggiorni di breve periodo per i quali è sufficiente la dichiarazione di soggiorno).
Nella prassi amministrativa la circolare del Minstero dell'interno - Dipartimento della pubblica sicurezza - Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere - 7 dicembre 2006 (Prot. n. 400/C/2006/401948/P/14.201) ha stabilito, tra l'altro che:
A) la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per attesa del riconoscimento dello status di apolidia è presentata direttamente al Questore;
B) la domanda di rinnovo dello stesso rientra tra quelle che devono essere presentate presso gli Uffici Postali abilitati utilizzando l'apposito kit a banda gialla disponibile presso tutti gli uffici postali, i Patronati ed i Comuni abilitati, in virtù della convenzione stipulata tra il Ministero dell'Interno e Poste Italiane SPA, ai sensi dell'art. 39, comma 4 bis della Legge 16 gennaio 2003, n. 3, come modificato dall'art. 1 quinquies, della Legge 12 novembre 2004, n. 271; all'atto della presentazione della istanza, la persona deve provvedere al pagamento di € 30,00, così come stabilito con Decreto del Ministro dell'Interno del 12 ottobre 2005 e deve allegare:

1) Istanza compilata e sottoscritta dall'interessato ( Modulo 1 e Modulo 2 qualora in possesso di reddito);
2) Fotocopia di tutto il passaporto o altro documento equipollente (se in possesso);
3) Copia dell'istanza di riconoscimento dello status di apolide.

In conformità agli obblighi derivanti dal Regolamento CE n. 1030 del 13 giugno 2002, che istituisce un modello uniforme di permesso di soggiorno, dal 1 gennaio 2006 è previsto il rilascio del permesso di soggiorno elettronico, in sostituzione di quello cartaceo. Con decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze 4 aprile 2006, di concerto con il Ministro dell'Interno, è fissato in € 27,50 il corrispettivo del rilascio del permesso di soggiorno elettronico; il pagamento è effettuato tramite appositi bollettini di c/c postale premarcati, disponibili presso gli uffici postali abilitati alla ricezione delle istanze e pagabili presso qualunque ufficio postale.

4. Il trattamento dell'apolide.
In base alle norme nazionali ed internazionali vigenti ogni apolide riceve un trattamento giuridico che per alcuni aspetti è identico a quello previsto nelle medesime condizioni per il cittadino e per altri aspetti è identico a quello previsto per lo straniero.
In base alla Convenzione relativa allo statuto degli apolidi adottata a New York il 28 settembre 1954, ratificata e resa esecutiva con legge 1 febbraio 1962, n. 306, l'apolide riceve:
 
A) un trattamento identico a quello del cittadino italiano in materia di libertà di religione e di libertà di istruzione religiosa dei loro figli (art. 4), di proprietà intellettuale ed industriale (art. 14), di diritto di agire e difendersi davanti alla giustizia (art. 16), di istruzione obbligatoria (art. 22, comma 1), di assistenza e soccorso pubblico (art. 23), di trattamento dei lavoratori e di previdenza sociale (art. 24), obblighi fiscali (art. 29).
B) un trattamento identico a quello previsto per gli stranieri in materia di acquisto o locazione o altri contratti concernenti la proprietà mobiliare e immobiliare (art. 13), diritto di associazione non politica e senza scopo di lucro e di associazione sindacale (art. 15), l'accesso ad ogni forma di lavoro subordinato (art. 17), di lavoro autonomo (art. 18) e di libere professioni (art. 19), edilizia residenziale pubblica e aiuti pubblici in materia di case di abitazioni (art. 21), accesso all'istruzione superiore e ai corsi universitari, incluse le misure del diritto allo studio (art. 22, comma 2), libertà di circolazione e soggiorno nel territorio dello Stato (art. 26).

Tuttavia in base all'art. 7 della Convenzione del 1954 l'apolide dopo 3 anni di residenza sul territorio italiano è esentato da ogni verifica della condizione di reciprocità.
Sotto molti aspetti, il trattamento dell'apolide può essere equiparato a quello dello straniero: l'art. 1, commi 1 e 3, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e la condizione dello straniero, approvato con d. lgs. n. 286/1998, indicano espressamente gli apolidi tra i soggetti destinatari del complesso di norme destinate a regolare la condizione giuridica dello straniero, sicché l'apolide riceve il medesimo trattamento di uno straniero extracomunitario, salvo che sia previsto un trattamento diverso o migliore da leggi o da convenzioni internazionali in vigore in Italia. Ciò comporta, tra l'altro, che:

1) all'apolide deve essere rilasciato un permesso di soggiorno, valido per lo svolgimento di attività lavorativa (art. 17 Convenzione di New York del 1954); nella prassi il rilascio e rinnovo di tale permesso avviene previa esibizione della certificazione di apolidia con modalità analoghe a quelle previste per il permesso di soggiorno per attesa del riconoscimento dello stato di apolidia;
2) l'apolide potrà, inoltre, mantenere o ristabilire il suo diritto all'unità familiare con cittadini italiani, comunitari o extracomunitari anche chiedendo il ricongiungimento con i propri familiari, con applicazione delle medesime norme applicabili agli stranieri.
Sotto alcuni profili, tuttavia, l'apolide è assimilato al cittadino italiano e riceve un trattamento analogo a quello previsto per i rifugiati.

Al pari dei cittadini italiani e diversamente dagli stranieri, gli apolidi sono obbligati a prestare servizio militare qualora sia obbligatorio per i cittadini (in questo senso, cfr. art. 16 legge 5 febbraio 1992, n. 91, considerata costituzionalmente legittima dalla sent. n. 172/1999 della Corte costituzionale).
L'art. 28 della Convenzione del 1954 prevede, inoltre, che all'apolide debba essere rilasciato un titolo di viaggio per apolidi che gli permetta di circolare al di fuori del territorio dello Stato, che deve essergli rilasciato a meno che vi si oppongano ragioni imperiose d sicurezza nazionale o di ordine pubblico. Tale titolo di viaggio deve essere comunque rilasciato all'apolide regolarmente residente sul territorio italiano, mentre la Convenzione raccomanda allo Stato di accordare una speciale attenzione agli apolidi regolarmente residenti in altri Stati che si trovino sul territorio e che non siano in grado di ottenere un titolo di viaggio dal Paese di loro residenza abituale.
In proposito si ricordi che l'apolide residente in un altro Stato che voglia entrare in Italia è tenuto a munirsi del visto d'ingresso in Italia, a meno che non dispongano di un titolo di soggiorno rilasciato da uno degli Stati tra i quali vige la libera circolazione in base agli accordi di Schengen.
Un documento di identità dovrebbe rilasciato agli apolidi che non possiedano un titolo di viaggio valido (art. 29 della Convenzione).
Lo Stato deve altresì dare assistenza amministrativa agli apolidi, sostituendosi agli apolidi nei rapporti con autorità si Stati esteri, rilasciando loro certificati e documenti che normalmente dovrebbero essere rilasciati agli stranieri dalle autorità del loro Paese; tali rilasci possono anche essere a pagamento, ma l'importo dell'eventuale tariffa dovrebbe essere rapportata al costo delle medesime prestazioni erogate in favore dei cittadini italiani (art. 25). Lo Stato deve permettere altresì il trasferimento degli averi dell'apolide verso il proprio territorio e verso il territorio di un altro Stato (art. 30).
L'art. 12 della Convenzione prevede che lo statuto della persona dell'apolide è regolato dalla legge del Paese di domicilio o di residenza, fatto salvo il rispetto dei diritti precedentemente acquisiti dall'apolide e concernenti lo statuto della persona, in particolare quelli risultanti dal matrimonio.
Pertanto l'art. 19 della legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato) prevede che, nelle ipotesi in cui si debba applicare la legge nazionale di una persona, agli apolidi si applichi la legge dello Stato del domicilio o, in mancanza, la legge dello Stato di residenza.
Del tutto eccezionali possono essere i provvedimenti di espulsione nei confronti degli apolidi. Infatti l'art. 31 della Convenzione del 1954 prevede che l'apolide possa essere espulso soltanto per motivi di ordine pubblico o di sicurezza nazionale ed in tal caso deve aver tempo di difendersi e farsi difendere di fronte ad un giudice prima che l'espulsione sia eseguita e deve essergli accordato un termine ragionevole per consentirgli di farsi ammettere in un altro Stato, fatta salva la facoltà di applicare misure di ordine interno (presumibilmente per motivi di sicurezza).
L'art. 32 della Convenzione raccomanda agli Stati di facilitare e accelerare  la naturalizzazione degli apolidi.
Perciò la concessione della cittadinanza italiana può essere richiesta dall'apolide al Presidente della Repubblica (analogamente a quella del rifugiato) dopo 5 anni di residenza legale nel territorio italiano (art. 9, comma 1, lett. e) legge 5 febbraio 1992, n. 91), invece dei dieci anni previsti per lo straniero extracomunitario, ferma restando la necessità che anche l'apolide produca documentazione analoga a quella prevista per gli stranieri ai fini di attestare la sussistenza degli altri requisiti attinenti all'incensuratezza penale, alla non pericolosità per la sicurezza dello Stato e per l'ordine pubblico, di autosufficienza economica e di affidabilità fiscale.

Un apolide può essere anche un rifugiato?
Un apolide può essere riconosciuto come rifugiato se si è visto obbligato ad abbandonare il Paese di residenza per uno dei motivi indicati dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Tuttavia, non tutti gli apolidi sono rifugiati: molti di loro non abbandonano mai il proprio Paese di residenza.

5. L'acquisizione della cittadinanza italiana da parte dell'apolide e dei figli dell'apolide.
Con l'adesione alla Convenzione di New York del 1954, gli Stati contraenti si sono impegnati a facilitare l'assimilazione e la naturalizzazione delle persone in condizione di apolidia.
Come già ricordato al par. 4, la legge sulla cittadinanza prevede che gli apolidi possano ottenere la naturalizzazione dopo un periodo di residenza legale abbreviato a cinque anni rispetto ai dieci contemplati in via ordinaria.
Vi è peraltro anche un'altra ipotesi di acquisto della cittadinanza di diritto da parte dell'apolide alla nascita.
Infatti l'art. 1, comma 1, lett. b, legge 5 febbraio 1992, n. 91 attribuisce di diritto la cittadinanza italiana a chi è nato in Italia da genitori apolidi o se il figlio di genitori stranieri alla nascita in Italia sarebbe apolide perché non segue la cittadinanza dei genitori secondo la legge dello Stato al quale i genitori stranieri appartengono.
La condizione di apolidia dei genitori deve essere effettivamente attestata, o in via giudiziaria a seguito dell'accertamento da parte del giudice effettivamente competente o in via amministrativa da parte del Ministero dell'Interno.
Invece l'art. 3 del regolamento di esecuzione della legge sulla cittadinanza (D.P.R. 12 ottobre 1993, n. 572) prevede che il figlio nato in Italia da genitori stranieri non acquista la cittadinanza italiana per nascita qualora l'ordinamento del Paese di origine preveda la trasmissione della cittadinanza al figlio nato all'estero, eventualmente anche subordinandola ad una dichiarazione di volontà da parte dei genitori o dei legali rappresentanti del minore o all'adempimento di formalità amministrative da parte dei genitori.
Per il resto l'apolide è equiparato allo straniero negli altri casi di acquisto o riacquisto della cittadinanza italiana.