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30.06.2011

Kater I Rades - la corte d'appello di Lecce si č pronunciata sulla strage

 
Quattordici anni dopo, il 29 giugno 2011, dopo tredici ore di consiglio, la sentenza per la morte di 108 persone. La corte decide per la distruzione dei resti della nave che i familiari delle vittime volevano riavere per farne un monumento alla memoria.
 
 
Il 28 marzo 1997 a bordo della "Kater" c'erano 120 persone: i numerosi corpi che finirono a 790 metri di profondità furono recuperati nell'ottobre successivo grazie all'intervento della nave oceanografica "Performer" chiesto dal pubblico ministero inquirente, Leonardo Leone de Castris. La Kater I Rades aveva lasciato il porto di Valona attorno alle 16 del 28 marzo 1997. La tragedia avvenne due ore dopo. Il natante, non appena al largo dell'isola di Saseno, venne avvicinato dalla nave "Zeffiro" della Marina Militare Italiana che poi lasciò a Laudadio e alla "Sibilla" il compito di convincere il comandante del natante albanese a tornare indietro. La nave albanese era di fabbricazione russa ed era lunga 21 metri e larga tre e mezzo: era stata rubata dai gruppi criminali che gestivano il traffico di clandestini nel porto meridionale di Saranda. Il suo comandante, dopo aver ignorato per oltre due ore le intimazioni della fregata italiana "Zeffiro", fu avvicinata dalla corvetta "Sibilla" a 35 miglia al largo di Brindisi.

Secondo il pm di primo grado, per un concorso di colpa del comandante della "Sibilla", che voleva fermare la rotta della "Kater", e di quello della motovedetta albanese, che non ascoltava le intimazioni, ci fu la collisione ed avvenne la tragedia. La motovedetta si ribaltò su un fianco e affondò: 34 furono i sopravvissuti e quattro i cadaveri subito recuperati. Tesi queste ribaltate in appello con la richiesta del procuratore generale, Giuseppe Vignola, di assolvere Laudadio sostenendo che la collisione tra la Sibilla e la Kater era stata causata dalle manovre spericolate del comandante della motovedetta per sfuggire al blocco navale italiano davanti alle coste pugliesi. I giudici, però, non hanno creduto alla pubblica accusa e hanno confermato la sentenza di primo grado. (ANSA)

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