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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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16.11.2011

Accesso dei cittadini marocchini a prestazioni assistenziali di maternità e di invalidità

 
Due pronunce dei Tribunali di Tivoli e di Perugia affermano la diretta applicabilità della clausola di parità di trattamento dell’Accordo euromediterraneo CE-Marocco.
 
Tribunale di Tivoli, ordinanza dd. 15.11.2011 (R.G.A.C. n. 747/2011) (354.66 KB)
Tribunale di Perugia, sez. lavoro, sentenza n. 825/2011 (XX c. Ministero economia e finanze, INPS e Comune di Assisi) (2.05 MB)
 

Due pronunce, rispettivamente del Tribunale di Tivoli e di quello di Perugia, affermano la diretta applicabilità nell’ordinamento italiano della clausola di parità di trattamento in materia di “sicurezza sociale” contenuta nell’accordo euromediterraneo tra Comunità europea e Regno del Marocco con conseguente diritto di accesso dei cittadini e delle cittadine del Marocco regolarmente soggiornanti in Italia alle prestazioni di maternità (assegno comunale di maternità) e di invalidità a prescindere dal possesso o meno della carta di soggiorno o permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti.

Con l’ordinanza depositata il 15 novembre scorso, il Tribunale di Tivoli, sez. lavoro, ha accolto il ricorso presentato da una cittadina marocchina, coniuge di un lavoratore marocchino,  e regolarmente soggiornante in Italia munita di permesso di soggiorno per motivi di famiglia, contro il Comune di CastelMadama e l’INPS che le avevano rifiutato l’erogazione dell’assegno di maternità comunale previsto dall’art. 74 del d.lgs. n. 151/2001, già istituito e regolato dall’art. 66 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 e che prevede quale condizione di accesso per le cittadine extracomunitarie  il possesso della carta di soggiorno o permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti.

Con la sentenza depositata il 28 ottobre scorso, il Tribunale di Perugia, sez. lavoro, ha accolto il ricorso presentato da un cittadino marocchino regolarmente soggiornante in Italia con permesso di soggiorno, che si era visto rifiutare dall’INPS l’erogazione di una pensione di invalidità civile nonostante  l’accertamento dello stato di invalidità al 100% da parte della commissione sanitaria istituita presso la USL di residenza e questo in ragione del mancato possesso della carta di soggiorno richiesta dall’art. 80 c. 19 della legge n. 388/2000. In quest’ultimo caso, il giudice del lavoro non ha solo considerato il contrasto della norma di cui alla legge n. 388/2000 con la previsione contenuta nell’Accordo di associazione euromediterranea CE-Marocco, ma ha  sottolineato come la Corte costituzionale abbia già dichiarato illegittima la norma di cui alla legge n. 388/2000 con riferimento alla pensione di invalidità civile, con la sentenza n. 11/2009, la cui portata applicativa di carattere immanente e generale è stata recentemente riconosciuta dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 14733 del 5 luglio 2011.

Ambedue le pronunce giurisdizionali ribadiscono come rientrino nel campo di applicazione del diritto comunitario anche le clausole  di "non discriminazione" in materia di sicurezza sociale contenute negli  Accordi di  Associazione  euromediterranei stipulati tra la Comunità Europea e i relativi Stati terzi. Si tratta, nello specifico, degli Accordi euromediterranei che istituiscono un'Associazione tra le Comunità Europee e i loro Stati membri, da un lato, e rispettivamente la Repubblica Tunisina, il Regno del Marocco e l'Algeria, dall'altro, tutti ratificati con legge e vincolanti per l'Italia in quanto membro della CE (ora UE).

A titolo di esempio,  l'art. 65 dell'Accordo euromediterraneo con il Marocco firmato a Bruxelles il 26.02.1996 ed entrato in vigore il 01.03.2000 (e clausole del tutto analoghe sono contenute negli accordi con l’Algeria firmato il 22 aprile 2002 ed entrato in vigore il 10 ottobre 2005 e la  Tunisia firmato il 17.07.1995 ed entrato in vigore il 01.03.1998,  ma non invece in quelli sottoscritti con  Egitto, Israele, Regno di Giordania, Palestina) prevede che "1....i lavoratori di cittadinanza marocchina e i loro familiari conviventi godono, in materia di sicurezza sociale, di un regime caratterizzato dall'assenza di ogni discriminazione basata sulla cittadinanza rispetto ai cittadini degli Stati membri nei quali essi sono occupati. 2. Il termine "sicurezza sociale" include i settori della sicurezza sociale che concernono le prestazioni relative alla malattia e alla maternità, all'invalidità, le prestazioni di vecchiaia e per i superstiti, i benefici relativi agli infortuni sul lavoro, alle malattie professionali, al decesso, le prestazioni relative alla disoccupazione e quelle familiari". Il successivo art. 66 specifica che sono esclusi dall’applicazione della  previsione sulla parità di trattamento solo i cittadini di una delle parti che risiedono o lavorano illegalmente nel territorio del paese ospite, fissando dunque l'unico requisito della residenza o dell'attività lavorativa legale svolta nel territorio della parte contraente. (Informazioni e riferimenti sulla pubblicazione dei testi degli Accordi di associazione euro-mediterranei negli organi ufficiali dell’Unione europea possono essere reperite al link: http://europa.eu/legislation_summaries/external_relations/relations_with_third_countries/mediterranean_partner_countries/r14104_it.htm)

Come ricordano nelle loro pronunce i giudici del lavoro di Tivoli e Perugia, vi è  ormai un consolidato orientamento  nella giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, secondo cui  tali disposizioni concernenti il divieto di discriminazioni fondate sulla nazionalità nella materia della sicurezza sociale  sono di immediata e diretta applicabilità nell’ordinamento degli Stati membri e hanno il rango di norme di diritto derivato del diritto comunitario, fonte dunque di obblighi e diritti, imponendo dunque la disapplicazione delle norme interne eventualmente confliggenti o incompatibili (in tal senso la causa di riferimento e’ Kziber c. Germania, sentenza CGE 31 gennaio 1991, causa C-18/90). 

La seconda importante questione interpretativa risolta dalla Corte di Giustizia europea e ora ripresa dai giudici del lavoro di Tivoli e Perugia,  e’ stata quella riguardante la nozione di   "sicurezza sociale" contenuta nei citati Accordi euromediterranei  - ed ancor prima negli accordi di cooperazione che li hanno preceduti-, che deve essere intesa allo stesso modo dell'identica nozione contenuta nel regolamento CEE n. 1408/71 (ora Regolamento CE n. 883/2004).  Dopo le modifiche apportate dal Regolamento del Consiglio 30/4/1992 n. 1247, sono incluse   nella nozione di "sicurezza sociale" oltre alle   “prestazioni familiari” ovvero quelle  “prestazioni in natura o in denaro destinate a compensare i carichi familiari “  (ora art. 1 lett. z) Reg. CE n. 883/2004) (e dunque anche l’assegno di maternità comunale), anche le "prestazioni speciali a carattere non contributivo", definite ora prestazioni “miste” ai sensi dell’art. 70 del Regolamento n. 883/2004/CE, [incluse quelle] destinate alla tutela specifica delle persone con disabilità,   [...] ed elencate nell'allegato II bis (ora allegato X)".   Per quanto concerne l‘Italia, questo allegato menziona espressamente quelle prestazioni che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di assistenza sociale cioè la pensione sociale, le pensioni e le indennità ai mutilati ed invalidi civili, ai sordomuti, ai ciechi civili, gli assegni per assistenza ai pensionati per inabilità.

Al riguardo, si vedano a solo titolo di esempio le conclusioni tratte dalla Corte di Giustizia Europea nella sentenza  sul caso Henia Babahenini c. Belgio (dd. 15/01/1998, causa C-113/97) e citate nell’ordinanza del giudice del lavoro di Tivoli. La Corte era stata interpellata dal giudice nazionale belga in merito all'applicabilità della clausola di non-discriminazione in materia di "sicurezza sociale" prevista  dal precedente accordo di cooperazione tra Comunità Europee e Algeria, firmato nel 1976 e poi sostituito dall'Accordo euromediterraneo di Associazione,  in riferimento ad una prestazione sociale non contributiva   per disabilità.  La Corte così si esprime:

 "Per quanto riguarda,.., la nozione di previdenza sociale che figura in questa disposizione, dalla citata sentenza Krid (punto 32) e, per analogia, dalle citate sentenze Kziber (punto 25), Yousfi (punto 24) e Hallouzi-Choco (punto 25) risulta che essa va intesa allo stesso modo dell'identica nozione contenuta nel regolamento n. 1408/71. Ora dopo la modifica operata dal regolamento (Cee) del Consiglio 30/04/1992 n. 1247, il regolamento n. 1408/71 menziona esplicitamente all'art. 4, n. 2 bis, lett. b ) (vedi anche l'art. 10 bis, n. 1, e l'allegato II bis di questo regolamento), le prestazioni destinate a garantire la tutela specifica dei minorati. Del resto, anche prima di questa modifica del regolamento n. 1408/71, costituiva giurisprudenza costante, sin dalla sentenza 28/5/1974, causa 187/73, Callemeyn (Racc. p. 553), che gli assegni per minorati rientravano nell'ambito di applicazione ratione materiae di questo regolamento... Di conseguenza, il principio,..., dell'accordo, che vieta qualsiasi discriminazione basata sulla cittadinanza nel campo della previdenza sociale dei lavoratori migranti algerini e dei loro familiari con essi residenti rispetto ai cittadini degli Stati membri in cui essi sono occupati comporta che le persone cui si riferisce questa disposizione possono aver diritto agli assegni per minorati alle stesse condizioni che devono essere soddisfatte dai cittadini degli Stati membri interessati" .

Con riferimento alla normativa belga sul reddito minimo garantito per le persone anziane, l'equivalente dell'assegno sociale italiano,  e che escludeva da tale provvidenza i cittadini  stranieri a meno che non beneficino già di una pensione di invalidità o di reversibilità, la Corte di Giustizia Europea, ord. 17 aprile 2007 (caso Mamate El Youssfi c. Office National des Pensions) ha concluso che "l'art. 65, n. 1, primo comma, dell'Accordo euromediterraneo che istituisce un'associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e il Regno del Marocco, dall'altra, firmato a Bruxelles il 26 febbraio 1996 e approvato a nome delle dette Comunità con la decisione del Consiglio e della Commissione 24 gennaio 2000, 2000/204/CE, CECA, deve essere interpretato nel senso che esso osta a che lo Stato membro ospitante rifiuti di accordare il reddito minimo garantito per le persone anziane ad una cittadina marocchina che abbia raggiunto i 65 anni di età e risieda legalmente nel territorio del detto Stato, qualora costei rientri nell'ambito di applicazione della succitata disposizione per avere essa stessa esercitato un'attività di lavoro dipendente nello Stato membro di cui trattasi oppure a motivo della sua qualità di familiare di un lavoratore di cittadinanza marocchina che è od  è stato occupato in questo medesimo Stato".

Riguardo alla giurisprudenza italiana, c’è da segnalare la recentissima sentenza della Corte di Cassazione italiana, n. 17966/2011, depositata il 1 settembre scorso, con la quale il giudice di legittimità ha compiuto  un revirement rispetto ad un  suo precedente orientamento giurisprudenziale (ci si riferisce a Cass., sentenza n. 24278 dd. 29.09.2008). Nella recentissima sentenza, la Suprema Corte prende finalmente atto della corretta portata applicativa della clausola di parità di trattamento in materia di sicurezza sociale contenuta negli Accordi euromediterranei. La Cassazione rigetta il ricorso dell’INPS contro la sentenza della Corte di Appello di Torino che aveva riconosciuto  ad un cittadino marocchino regolarmente soggiornante in Italia ma privo della carta di soggiorno o permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti, il diritto alla pensione di inabilità negatagli  sulla base dell’art.. 80 c. 19 l. n. 388/2000. I giudici di legittimità sottolineano che la Corte di Appello di Torino aveva correttamente applicato il principio del primato della norma comunitaria contenuta negli Accordi di associazione CE-Marocco su quella interna confliggente, nonostante  la pensione di inabilità costituisca una  prestazione assistenziale e non previdenziale. Questo  in quanto    “non vi è  sovrapposizione tra il concetto comunitario di sicurezza sociale e quello nazionale di previdenza sociale”. Infatti, prosegue la Corte di Cassazione “il concetto comunitario di sicurezza sociale deve essere valutato alla luce della normativa e della giurisprudenza comunitaria per cui deve essere considerata previdenziale una prestazione  attribuita ai beneficiari prescindendo da ogni valutazione individuale o discrezionale delle loro esigenze personali, in base ad una situazione legalmente definita e riferita ad uno dei rischi elencati nell’art. 4 c. 1 del Regolamento n. 1408/71, dove sono incluse le prestazioni di invalidità”. La Corte di Cassazione, dunque, conclude che “la Corte di Appello di Torino aveva fatto una corretta applicazione del principio di diritto secondo il quale il giudice nazionale deve disapplicare la norma dell’ordinamento interno, per incompatibilità con il diritto comunitario, sia nel caso in cui il conflitto insorga con una disciplina prodotta dagli organi comunitari mediante Regolamento, sia nel caso in cui il contrasto sia determinato da regole generali dell’ordinamento comunitario, ricavate in sede di interpretazione dell’ordinamento stesso da parte della  Corte di Giustizia europea” (Cass. sentenza n. 26897/2009).

Prima della sentenza di Cassazione dd. 1 settembre 2011, diversi tribunali di merito si erano già espressi a favore dell’applicabilità diretta nell’ordinamento italiano della clausola di parità di trattamento e non discriminazione in materia di sicurezza sociale contenuta negli accordi di associazione euro-mediterranei. Si possono citare al riguardo almeno le tre seguenti decisioni giurisdizionali:

Tribunale di Genova, ordinanza 3 giugno 2009, Ahmed CHAWQUI c. INPS (relativo all’assegno di invalidità); Tribunale di Verona, ordinanza 14 gennaio 2010, n. 745/09 (relativo all’indennità speciale per i ciechi); Corte di Appello di Torino, sentenza n. 1273/2007 dd. 14.11.2007  (relativa all’indennità di accompagnamento).

Le recenti pronunce dei Tribunali di Tivoli e di Perugia sottolineano ulteriormente, dunque, la fondatezza del ricorso alla clausola di parità di trattamento in materia di sicurezza sociale contenuta in tali accordi di associazione euromediterranei per sostenere la tesi dell’illegittimità e della conseguente disapplicazione della clausola di cittadinanza o del requisito del permesso di soggiorno per lungosoggioranti ai fini dell’accesso a prestazioni “familiari” di welfare previste dalla nostra legislazione nazionale quali l’assegno INPS per i nuclei familiari numerosi, la “carta acquisti” per minori di anni 3 e l’assegno di maternità comunale di cui all’art. 74 del d.lgs. n. 151/2001 . In virtù del principio del primato del diritto comunitario sulle norme interne ad esso incompatibili e del conseguente dovere di disapplicazione di queste ultime, l’INPS, Ministero del Lavoro e dell’Interno dovrebbero dunque   estendere per via amministrativa tali prestazioni ai beneficiari della clausola di parità di trattamento in materia di sicurezza sociale di cui agli accordi euro-mediterranei, così come effettuato a favore delle donne extracomunitarie familiari di cittadini italiani o di Paesi membri dell’UE con riferimento all’assegno di maternità comunale, sebbene anche tale estensione sia avvenuta con un ingiustificabile ritardo di tre anni rispetto alla legislazione di recepimento della direttiva europea n. 2004/38 (circolare INPS n. 35 dd. 09/03/2010).

Si ringraziano per la segnalazione delle pronunce dei Tribunali di Tivoli e di Perugia, rispettivamente gli avvocati Salvatore Fachile, del foro di Roma e Francesco Di Pietro, del foro di Perugia.

La causa promossa dinanzi al Tribunale di Tivoli fa parte del progetto curato dall'Antenna territoriale ASGI anti-discriminazione di Roma e finanziato dalla fondazione Open Society-Justice Initiative.

Commento a cura di Walter Citti, consulente ASGI Servizio di supporto giuridico contro le discriminazioni etnico-razziali e religiose.

 
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